Nei mesi del settembre e ottobre 1943, sul versante friulano, dal distaccamento «Garibaldi» si formarono altri tre battaglioni

Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 le truppe tedesche attaccarono i presidi italiani del Tarvisiano e nella zona di Tolmino e Postumia. Nei giorni seguenti i militanti antifascisti già organizzati si spostarono in montagna e costituirono le prime formazioni partigiane, contando sull’ausilio delle armi abbandonate dai militari che lasciati privi di direttive tentavano la fuga dai tedeschi. È noto come, anche in molte località, i soldati sbandati e fuggiti alla cattura furono aiutati dalla popolazione e dal clero locale nell’intento di nascondersi dalle forze tedesche <62. Inoltre, è importante segnalare la partecipazione attiva della popolazione a quella che di fatto rappresenta la prima grande battaglia della Resistenza italiana: la battaglia di Gorizia. A questo episodio resistenziale presero parte, sotto la spinta delle formazioni partigiane slovene, gli operai dei cantieri di Monfalcone (ai quali si affiancarono cittadini goriziani, contadini, militari e ufficiali che non volevano consegnarsi ai tedeschi) che, fra il 10 e il 12 settembre, si radunarono per combattere in difesa di Gorizia a fianco dei battaglioni sloveni, formando su tre battaglioni la «Brigata Proletaria». La battaglia, combattuta in città e in varie località del Carso, durò dal 12 al 25 settembre 1943. Le formazioni slovene si ritirarono, mentre quelle italiane, sopraffatte dai tedeschi, ripiegarono e si divisero in piccoli gruppi. I superstiti formarono il battaglione «Triestino» nel Carso e altri si ritirarono per unirsi ai battaglioni garibaldini nel Collio <63. Parallelamente, le forze partigiane di Tito, nel tentativo di contrastare l’avanzata tedesca, riuscirono a formare una grande zona libera che partiva da Lubiana per estendersi fino alle porte di Gorizia, da Caporetto al Tarvisiano, alle alte valli del Natisone, al Collio e all’Istria. Dato il massiccio reclutamento, i distaccamenti sloveni diventarono brigate e il 6 ottobre 1943, tra l’Isonzo e il vecchio confine italiano, si formarono due divisioni: «Gorizia» e «Tricorno» che costituiranno, nel mese di dicembre, il IX Corpus d’armata <64.
Nei mesi del settembre e ottobre 1943, sul versante friulano, dal distaccamento «Garibaldi» si formarono altri tre battaglioni quali il «Friuli» (Valli del Natisone), il «Pisacane» (Montefosca) e il «Mazzini» (Nebola) a cui si aggiunse in seguito il battaglione «Matteotti» (un gruppo autonomo che si era formato sul Monte Bernadia, nella Valli del Torre).
A fianco di queste formazioni partigiane è doveroso citare quelle formazioni di matrice non garibaldina che presero parte alla lotta di liberazione e fornirono un fondamentale supporto ai reparti delle brigate: il Partito d’Azione <65 e il distaccamento «Giustizia e Libertà» (formato a Subit di Attimis operò a fianco della Brigata Garibaldi-Friuli nell’inverno del 1943-44); la banda autonoma di Attimis (distaccamento apartitico formato da militari disertori e giovani antifascisti); i Gruppi di Azione Patriottica (G.A.P.); i gruppi armati dell’Intendenza «Montes» (il cui compito fu quello di assicurare armi e vettovagliamenti alle formazioni che operarono sulle Alpi Giulie e Carniche, oltre all’organizzazione di squadre di G.A.P. volte alla difesa e al trasporto del materiale e all’eliminazione di spie e delatori); le Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.) che operarono per lo più in pianura e campagna; le organizzazioni quali il Fronte della Gioventù (Fdg) e i Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e infine, non meno importanti, i gruppi di resistenza passiva tra cui si possono citare il gruppo di Treppo Grande, il gruppo di Gemona e il gruppo di Pielungo.
Un ruolo di notevole importanza nella Resistenza fu rivestito dal clero e dai cattolici. Come afferma Giampaolo Gallo: «nello sfascio nazionale la Chiesa è l’organizzazione che rimane intatta: si è compromessa ma non si è mai identificata con il fascismo ed ha un tale peso nell’opinione pubblica da porsi come guida spirituale per la rinascita del paese […] perciò appoggia risolutamente […] il nascente partito cattolico, la Democrazia Cristiana, che si inserisce nello schieramento antifascista e partecipa attivamente alla Resistenza»66. Il clero friulano assunse così un ruolo di notevole importanza, non solo per il conforto religioso e l’assistenza materiale, ma perché fu in grado di suscitare nel territorio un movimento cattolico di resistenza che porterà in seguito alla creazione di centri di ‘resistenza passiva’ in città e in campagna e proprio da questi ultimi la partenza di numerosi volontari verso i reparti mobili in montagna, in particolar modo per la Osoppo <67, sulla cui nascita si tornerà in seguito.
L’azione di queste forze fu determinante nella lotta di liberazione e, soprattutto, nell’affronto delle azioni tedesche all’interno del territorio. La prima offensiva tedesca, nel settembre 1943, mirò alla conquista di Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e quasi tutta l’Istria, ma l’azione partigiana dovette fare i conti con la mancanza di esperienza, viveri, munizioni, equipaggiamento e tutto l’occorrente per affrontare le controffensive del nemico. Nonostante la mancanza di organizzazione ed esperienza, l’intensificarsi dell’azione partigiana portò i tedeschi alla necessità di accrescere i presidi – ne furono installati a Cividale, Tarcento, Venzone, Ospedaletto, Vedronza, Faedis, Mossa, Capriva, Cormons, Plava – e di eseguire continue puntate sul Collio, nelle Valli del Torre e del Natisone, nelle colline sopra Attimis e Faedis. Nonostante ciò, i continui contrattacchi li costrinsero, a causa di numerose perdite, a condurre attacchi in forze. Nella metà di ottobre fu lanciata la seconda offensiva che aveva come obiettivo la divisione slovena «Gorizia» e, dopo combattimenti durati 15 giorni, le forze tedesche riuscirono ad insediarsi nella «Repubblica di Caporetto», così denominata dai partigiani sloveni. Nonostante i diversi tentativi di attaccare i presidi controllati dalle forze nemiche, come ad esempio quello di Vedronza, i rastrellamenti tedeschi si fecero sempre più aspri e la situazione militare, con il sopraggiungere dell’inverno e le dure condizioni climatiche, si aggravò. Così, nel giro di poco tempo, i responsabili dei battaglioni decisero di sciogliere i reparti e solo un’esigua parte (i quadri e gli uomini più validi) scelse di trasferirsi nella Destra Tagliamento (Monte Ciuarlec). Saranno poi questi uomini, temprati da questa esperienza, a dare nuova vita ai battaglioni che rinasceranno in primavera <68.
Un avvenimento di notevole importanza nella dimensione della resistenza friulana, che permise senz’altro l’allargamento della base sociale partigiana, fu la nascita della Brigata Osoppo, di cui si è brevemente accennato sopra, avvenuta nel dicembre 1943 su iniziativa del Comitato di Liberazione Provinciale. Questa brigata nasce «da una progressiva convergenza di gruppi antifascisti non comunisti, da un incontro di forze moderate (clero, cattolici, ufficiali dell’esercito, indipendenti) che si coagulano attorno alla Democrazia Cristiana; nasce soprattutto in seguito a un accordo tra la D.C. e il Partito d’Azione» <69. Inoltre, non meno importante, gode dell’appoggio del clero, della collaborazione dei parroci, figure capaci di creare una forte base di mobilitazione nella popolazione. La nascita di questa brigata portò quindi nella dimensione resistenziale la contrapposizione di due formazioni: la Garibaldi (principalmente comunista) e la Osoppo (che nel 1944 sarà divisa in due divisioni: la 1° Divisione Osoppo-Friuli opererà in montagna mentre la 2° Divisione Osoppo-Friuli in pianura), entrambe centrali nella lotta di liberazione friulana, ma che presenterà un dualismo di ideologie molto diverse tra loro.
Nei primi mesi del 1944 la lotta armata si estese in tutto il territorio, toccando le zone che vanno dal Collio alle Prealpi Giulie, dalla Carnia fino alla pianura, nello specifico dal fiume Isonzo fino al Livenza. Gli attacchi partigiani e le controffensive tedesche si intensificarono, tanto che il Friuli venne dichiarato «territorio di guerra antipartigiana». Inoltre, le azioni tedesche dirette contro i resistenti coinvolsero le popolazioni le quali subirono il terrorismo e la violenza nazista.
La primavera e l’estate del 1944 segnarono senza dubbio un momento di grande ripresa per le forze partigiane che durante l’inverno furono sottoposte alle tragiche conseguenze dei rastrellamenti e che in quel momento furono in grado di trovare la determinazione per riorganizzare l’assetto militare e continuare a combattere contro un nemico comune. Nonostante ciò, come si racconterà in seguito, i mesi successivi furono caratterizzati, oltre che da episodi che ancora oggi rappresentano nella memoria locale tragici momenti, da un altalenante andamento della guerra civile.
Non ci si vuole qui dilungare nel resoconto dei molti scontri che hanno caratterizzato il territorio del Friuli e della Venezia Giulia, ma proseguire nel racconto di una dimensione territoriale e resistenziale più circoscritta quale quella del Pordenonese e della Carnia.
[NOTE]
62 Dizionario della resistenza alla frontiera alto-adriatica…, p. 18.
63 Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Udine, Istituto Friulano per il Movimento di Liberazione, 1988, pp. 34-35.
64 Ivi, pp. 28.29.
65 Insieme al Partito Comunista è uno dei principali attori nell’organizzazione della Resistenza nell’Italia centro-settentrionale.
66 Ivi p. 47-48.
67 Ibidem, p. 48. Con ‘la Osoppo’ si intende la Brigata Osoppo.
68 G. Gallo, op.cit., pp. 36-37.
69 Ivi, p. 67.
Gioia Vazzaz, Soggettività e oggettività nell’opera storiografica di Mario Candotti, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2021-2022