A partire da questi anni i nuovi bersagli oggetto di contestazione e battaglia della destra furono i luoghi di studio e di critica del pensiero

La modifica della società da uno stampo agricolo a quello di potenza nel campo industriale che avvenne dal 1955 al 1963 portò grandi disagi che investirono non tanto il campo economico, con l’accrescersi delle fronde a favore o contro il capitalismo sfrenato, ma soprattutto lo stile di vita infiltrandosi nel quotidiano e creando numerosi problemi di adattamento, venendo favoriti anche dall’elevata frammentazione culturale della penisola.
«La crescita economica e culturale della popolazione italiana nel secondo dopoguerra è troppo rapida, e non è semplice da gestire». <15
La partecipazione ad un sistema modernizzato e basato sul capitale fu traumatica, a cominciare dal livello sociale: vi fu un ingresso nelle ideologie di individualismo che comportò l’abbattimento della visione patriarcale della famiglia, stralciandone i legami precedentemente ferrei. Queste modifiche sostanziali portarono ad una radicalizzazione degli ideali sia a destra che a sinistra e le fratture sociali si allargarono fino a diventare conflitti politici. Nelle circostanze più estreme, il cittadino incapace di adattarsi, alle nuove logiche di profitto e desensibilizzazione dettate dalla repentina modernizzazione, si ritrovò in breve tempo ad alienarsi spesso scegliendo delle risposte violente per protesta.
La diaspora del Movimento Sociale Italiano
E’ in questo contesto che venne alla luce la figura del “baby boomer <16” definizione dietro la quale si nasconde un’intera generazione nata nel pieno del miracolo economico, cresciuta in un momento storico di avanzata culturale e di modernizzazione della propria realtà. Si trattava dei giovani emigrati in cerca di fortuna al Nord o gli studenti che non avevano conosciuto la guerra, che si riversavano nelle università in cerca di una formazione elitaria, che spesso i loro genitori non avevano conosciuto.
«Un’intera generazione, che l’ombra della bomba atomica aveva spinto alla diffidenza nei confronti dell’Occidente e del suo modello di sviluppo, si scontrò con le strutture arcaiche di un’Italia cresciuta senza rinnovarsi». <17
Il primo problema nel caso della popolazione studentesca era la sua composizione: gli studi universitari non erano più destinati solo ed unicamente alle classi più abbienti, ma si registrò un’impennata delle iscrizioni provenienti dal proletariato e dalla borghesia: una struttura anziana e mai riformata andava a scontrarsi con le esigenze dei nuovi occupanti dell’ateneo sempre più desiderosi di una formazione ideologica innovativa e al passo con il sistema neocapitalistico instauratosi.
Questa nuova tendenza si ripercosse anche sul tipo di violenza almeno per quanto riguardò i neofascisti e lo sviluppo di una cultura di critica e lo spostamento dell’elettorato dalle campagne portò il terreno di scontro ideologico negli atenei e nei licei. Le precedenti azioni squadriste del Ventennio si erano spesso concentrate sui contadini e sulle classi meno abbienti, mentre a partire da questi anni i nuovi bersagli oggetto di contestazione e battaglia furono i luoghi di studio e di critica del pensiero, lasciando intendere almeno in questo caso un’evoluzione della figura del nero <18.
«La popolazione universitaria era più che raddoppiata in meno di vent’anni, passando da 227.000 a oltre 500.000 iscritti. Ma docenti, spazi e strutture degli atenei erano cresciuti molto meno e l’università restava culturalmente inadeguata alle trasformazioni sociali in atto, con una classe docente, corporativa e nepotista, che si opponeva a ogni tentativo di riforma». <19
Le occupazioni sempre più frequenti già dal 1967 cominciavano ad avere una caratterizzazione differente rispetto al passato ed il ruolo delle forze dell’ordine era sempre più preponderante: le occupazioni delle università di Pisa e Trento si erano risolte con la forza.
«Inoltre rispetto al passato, emergevano tematiche nuove che rappresentavano un vero e proprio salto di qualità. La prima era la tematica anti-imperialista, che aveva come riferimento principale la guerra del Vietnam; la seconda emergeva dalle elaborazioni svolte nel corso dell’occupazione di varie facoltà di Architettura e della facoltà di Sociologia di Trento circa il ruolo professionale del laureato dentro i rapporti capitalistici di produzione; la terza, emersa durante l’occupazione dell’università di Pisa dal 7 all’11 febbraio del 1967, riguardavano la figura sociale dello studente, ripresa e analizzata nei dettagli dalle famose Tesi della Sapienza». <20
Nel corso della storia le principali richieste da parte degli studenti si erano sempre espresse attraverso la rappresentanza delle differenti organizzazioni universitarie, sotto forma di trattative democratiche. Le principali istanze erano quelle di ammodernare gli statuti e lo sviluppo di forme di diritto allo studio. Con le occupazioni d’altro canto si chiariva il nesso causale tra la riforma scolastica e il rafforzarsi del sistema basato sul capitalismo.
Fu inevitabile l’espansione di questa forma di lotta affiorata a ridosso e all’interno del 1968, abbattutasi su 102 tra atenei e facoltà nel giro di un anno, con 31 su 33 sedi universitarie occupate integralmente o limitatamente <21.
Le motivazioni a sospingere questi moti avevano evidente vigore per due ragioni capillari: in primis le proteste contro l’aumento delle rette e dei disagi frutto della carenza di una salda infrastruttura accademica; in secondo luogo in risposta reazionaria alle prese di posizione dure delle istituzioni e alla brutale repressione attuata dalla pubblica autorità. Le occupazioni sopperivano inoltre alla funzione di accrescere le fila dei contestatori offrendo agli studenti eventi che li coinvolgessero all’interno delle organizzazioni parte integrante del movimento. La volontà di crescere ed espandersi al di fuori del mondo accademico avrebbe condotto, in seguito, le proteste studentesche nelle piazze, legando il loro destino e le proprie tematiche a quello del lavoro operaio, questo binomio sarebbe poi sfociato nell’autunno caldo.
La grande spinta dei movimenti di rivolta era più profonda di quanto si potesse pensare, in quanto non era legata soltanto all’Italia, ma era presente anche in numerose altre nazioni. Nel resto del mondo, infatti, seppur con delle differenze, si seguivano sia gli ideali della rivoluzione culturale cinese maoista, nella forma della lotta alla ‘tigre di carta’. I valori che quindi si stavano diffondendo erano di stampo antimperialista, antiburocratico e principalmente di tipo libertario. Un chiaro esempio delle conseguenze della diffusione di tali ideali, è la rivoluzione che, di lì a poco, sarebbe scoppiata in Francia.
A Roma la situazione era in pieno fermento e come nel resto della nazione i focolai maggiormente degni di nota si potevano trovare nelle facoltà di architettura e lettere.
«Il 28 febbraio il consiglio di facoltà di lettere accetta di fare gli esami nella facoltà occupata; gli studenti impongono gli “esami alla pari”, caratterizzati dalla pubblicità, dalla possibilità di rifiutare il voto, dalla firma del verbale a voto assegnato, dalla pubblica discussione del voto con l’esaminando e gli studenti presenti». <22
Le autogestioni, le minacce e la lotta al baronato dei docenti erano diventate insostenibili tanto da richiedere l’intervento dei militari: «A Roma il rettore D’Avack, disperato e impotente contro il dilagare del disordine, si risolse infine a mettere tutto «nelle mani del potere democratico dello Stato», ossia a invocare la forza pubblica». <23
La presa di posizione di D’Avack portò alla liberazione dell’università per circa due giorni. Preso il tempo per riorganizzarsi gli studenti decisero di occupare nuovamente, concentrandosi in un grande schieramento a Piazza di Spagna, unitisi in un corteo la manifestazione si diresse verso l’ateneo. Vi fu un vero e proprio invito a partecipare alla rivolta, veicolato tramite un volantino fatto girare nella notte del 28 febbraio <24.
Era il 1 marzo 1969 e ai primi movimenti sospetti del corteo, radunatosi dinnanzi la facoltà, iniziarono gli scontri contro i reparti di polizia. Per la prima volta rispetto a quanto avvenuto in passato i manifestanti riuscirono a reggere il colpo delle cariche della Celere. In prima linea a trattenerle cariche vi erano gli studenti Avanguardia Nazionale Giovanile con al fianco alcuni membri del Fronte Universitario d’Azione, del Movimento Sociale Italiano e di Primula Goliardica <25, già a partire dalle seconde file il grosso dei contestatori, invece, apparteneva al Movimento Studentesco o si trattava di simpatizzanti di sinistra.
«Ma la cosa più interessante è che a capeggiare l’attacco alla polizia sono i fascisti, a cominciare da quelli di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano delle Chiaie. Del resto rispetto alla massa composta da studenti poco avvezzi agli scontri di piazza, gli avanguardisti hanno, in questo senso già una notevole esperienza. E’ quindi naturale che siano loro i più attrezzati per questo tipo di azioni». <26
Questo caso è rimasto alla storia per la sua particolare commistione di ideali degli studenti, che in questa importante battaglia si unirono sotto l’egida dell’anti-sistema, disconoscendo le personali simpatie politiche almeno per la durata dello scontro <27.
Il bilancio della giornata fu comunque tremendo e l’evento per la sua eco nei media e per la risonanza che ebbe tra gli studenti di tutta la nazione divenne un simbolo della lotta. «Si registrarono 148 feriti tra le forze dell’ordine e 478 tra gli studenti. Ci furono 4 arrestati e 228 fermati. Otto automezzi della polizia furono incendiati. Cinque pistole furono sottratte agli agenti». <28
L’obiettivo sperato dalle forze dell’ordine e dai vertici accademici non venne raggiunto, anzi gli studenti riuscirono, nonostante i feriti, a riprendere la loro occupazione spartendosi tra i sostenitori di una fazione politica più che l’altra alcune delle sedi dell’ateneo.
«Dopo la battaglia di Valle Giulia venne occupata l’università: la facoltà di Giurisprudenza passò in mano al gruppo guidato da Stefano Delle Chiaie, quella di Lettere fu invece “presa” dal Movimento studentesco. Su Giurisprudenza svettava la bandiera nera, su Lettere il drappo rosso». <29
[NOTE]
14 P. Viola, “Storia moderna e contemporanea IV. Il Novecento”, Einaudi, Torino, 2000, pp. 254-257
15 M. Lazar, M. A. Matard-Bonucci, “Il libro degli anni di piombo”, Rizzoli, Milano, 2010, p.138
16 “La prima generazione che crebbe all’ombra della bomba atomica” come esposto da H. Arendt, “Sulla violenza”, Guanda, Milano, 2017
17 T. Detti, G. Gozzini, “Storia Contemporanea II. Il Novecento”, Pearson, Milano, 2017, p. 306
18 L. Weinberg, “Patterns of neo‐fascist violence in Italian politics”, presente in Terrorism, 1979, 2:3-4, pp. 231-259,
19 A. Giannuli, “Bombe a inchiostro”, BUR, Milano, 2008, p. 23
20 D. Giachetti,“Oltre il Sessantotto. Prima durante e dopo il movimento”, BFS Edizioni, Pisa, 1998, p.38. In particolare le “Tesi della Sapienza” rappresentavano un manifesto redatto presso l’università di Pisa strutturato al fine di offrire una classificazione di stampo sindacale al Movimento studentesco definendo la figura dell’universitario come forza lavoro in fase di qualificazione. Censite d’alloro da molti studiosi per la loro innovativa funzione e lo stile delle idee riportate vennero definite da I. Montanelli e M. Cervi in “L’Italia degli anni di piombo”, BUR, Milano, 2012, p.64 come semplici “cascami di marxismo e maoismo”
21 Dati presenti su di una cronologia del Movimento Studentesco apparsa su “Tempi Moderni”, estate 1968
22 N. Balestrini, P. Moroni, “L’orda d’oro. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale”, Feltrinelli, Milano, 2003, p. 224
23 I. Montanelli, M. Cervi, “L’Italia degli anni di piombo”, BUR, Milano, 2012, p. 64
24 Il testo del suddetto volantino in versione integrale: “Ieri la polizia è intervenuta con violenza per cacciare gli studenti dall’università: ha attaccato con le camionette, ha picchiato, manganellato, ferito. Da un mese a Roma, come in tutta Italia, il Movimento studentesco era in lotta: facoltà occupate, discussioni e assemblee in varie scuole. Nelle facoltà occupate ieri si lavorava, si discuteva dei problemi della condizione studentesca, ci si organizzava per lottare contro una situazione di subordinazione e contro la struttura autoritaria della scuola e si era conquistato il fatto che gli esami venivano dati nella facoltà occupata con il controllo e la pubblica discussione di tutti gli studenti. Vedendo che il Movimento studentesco si rafforzava e allargava nella lotta, invece di esaurirsi e morire spontaneamente, il Rettore e il governo sono ricorsi alla forza. Ma gli studenti alla forza hanno risposto con la forza: questa volta hanno reagito, fermando con barricate i caroselli delle jeep e ribadendo la loro decisione di continuare la lotta e di ritornare nelle facoltà. Ma la scuola non comincia all’università. La battaglia deve coinvolgere tutti gli studenti, perché tutti gli studenti devono dire no alla scuola dei padroni.La lotta prosegue. Questa mattina alle 10. A Piazza di Spagna.”
25 Associazione studentesca di destra sociale attiva presso “La Sapienza”. Responsabile della rivista “Università 70”
26 N. Rao, “La fiamma e la celtica”, Sperling Kupfer, Milano, 2014, p. 107
27 Nel dettaglio una testimonianza di Stefano Delle Chiaie rilasciata in un’intervista a Nicola Rao pubblicata nel libro “La fiamma e la celtica”, Sperling Kupfer, Milano, 2014, p.148 “Valle Giulia nacque come un’ulteriore salto di qualità all’interno del movimento studentesco. Mentre molti continuavano a limitarsi alle richieste di riforma dell’università, noi sostenevamo che partendo dall’università la contestazione dovesse estendersi al campo politico e sociale. Ecco al di là dell’aspetto di piazza e “militare”, Valle Giulia ebbe questo significato: far capire a tutti che la contestazione era politica, non soltanto studentesca. Certo, fummo noi a dare il via agli scontri: basta guardare le fotografie di quel giorno per rendersi conto che la prima fila era composta da elementi quasi esclusivamente nostri, c’ero io, c’era Mario Merlino, c’era Cesare Perri, il presidente del FUAN-Caravella di Roma che condivideva la nostra linea. Subito dopo gli scontri arrivarono a Valle Giulia dei militanti della CGIL, che tentarono di portarsi via l’ala sinistra del “movimento”, senza riuscirci. Il giorno dopo tutti insieme facemmo un’altra manifestazione che si diresse verso Palazzo Chigi e la Camera. Si stava realizzando il nostro sogno di un’unità generazionale al di là degli steccati “destra-sinistra”. Ma di lì a qualche giorno avremmo dovuto ricrederci.”
28 M. Iacona, “1968. Le origini della contestazione globale”, Solfanelli, Chieti, 2008, p. 86
29 M. Caprara, G. Semprini, “Neri! La storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista”, Newton Compton, Roma, 2012, p. 108
Enrico Forlino, L’eversione nera negli anni di piombo: lo spontaneismo armato, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2019-2020

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