A febbraio 1980 sul caso Caltagirone-Italcasse emerge una serie di aspri contrasti all’interno degli uffici giudiziari romani

Già nell’autunno del 1979 si erano accese le polemiche sull’iniziativa del giudice Alibrandi, a cui Jerace aveva passato il fascicolo, che di propria iniziativa aveva deciso di restituire il passaporto a Gaetano Caltagirone; il documento era stato sequestrato dalla Questura in precedenza in quanto il costruttore siculo-romano si trovava sotto inchiesta per vari reati legati sia ai prestiti dell’Italcasse che al fallimento di numerose società nella sua disponibilità. Il Psi non era per nulla coinvolto nella vicenda (a differenza del caso dei “fondi neri”) e non si era risparmiato nel denunciare le protezioni di cui sembrava godere il costruttore e le «voci secondo le quali usufruirebbe di un trattamento di favore da parte della giustizia a causa delle sue note amicizie politiche e dei finanziamenti che non ha lesinato alla Dc» <110. Sullo stesso tenore i commenti dell’Unità111, la quale aveva denunciato anche come Alibrandi avesse utilizzato un’interpretazione definita «scandalosa» della legge valutaria al fine di prosciogliere i Caltagirone dal reato di esportazione clandestina di valuta: in sostanza, secondo il quotidiano del Pci, il giudice sosteneva che, se un esportatore di valuta afferma di aver riportato i soldi in Italia entro una certa data, non è perseguibile. L’organo del Pci aveva anche riportato una dichiarazione di un magistrato della procura: «se si dovesse sempre seguire il criterio adottato per i Caltagirone, l’art 2 della legge valutaria del 1976 sarebbe in pratica inapplicabile» <112.
Ma è nel mese di febbraio del 1980 che lo scandalo si afferma sulle prime pagine dei giornali, quando sul caso Caltagirone-Italcasse emerge una serie di aspri contrasti all’interno degli uffici giudiziari romani. Il primo conflitto sorge all’interno della sezione fallimentare del tribunale: nei primi giorni di febbraio i giudici di quell’ufficio, all’unanimità, decidono di ordinare l’arresto di Gaetano Caltagirone, indiziato di bancarotta fraudolenta. Il presidente della sezione però si oppone e per diversi giorni il provvedimento non può essere eseguito; nel frattempo i tre fratelli si rendono irreperibili. Pci e Psi sostengono senza tentennamenti i giudici fallimentari: Ugo Intini afferma che: «nella magistratura è scoppiata una rissa sconvolgente […] quel poco di verità accertata sul caso Sindona si deve probabilmente al fatto che l’inchiesta fu svolta dalla magistratura milanese, e non da quella romana, dove purtroppo la vicinanza del palazzo deve aver svolto una paurosa opera di inquinamento <113», e l’Avanti denuncia il «groviglio delle connessioni che rimandano ad esponenti Dc e ad amici influenti e ben disposti nell’ambito della magistratura” e le “frenetiche manovre al palazzaccio per il salvataggio dei Caltagirone»; per poi ricordare che un dossier della Guardia di Finanza che descriveva dettagliatamente le sospette operazioni dei Caltagirone è finito a Alibrandi e al PM Pierro, «il quale è giunto poco dopo alla sconcertante conclusione che il fatto non sussiste e che non può costituire reato» <114. Sulla stessa linea l’Unità, sebbene con toni meno aggressivi <115. Il secondo conflitto avviene immediatamente dopo. Il Pg Pascalino, visti gli scontri, decide per l’avocazione del caso, ma il procuratore De Matteo solleva un conflitto di competenza con la sezione fallimentare e, secondo l’Unità, medita di denunciare i giudici fallimentari per abuso d’ufficio <116. La cosa non appare sorprendente se si considerano le dichiarazioni di Vitalone (di solito in sintonia con De Matteo) in occasione di un’intervista: «è un abuso, se fossi stato in procura e ne avessi avuto il potere i giudici fallimentari li avrei fatti arrestare in blocco» <117. Il terzo conflitto emerge pochi giorni dopo, a metà febbraio e riguarda la contrapposizione tra il capo della procura di Roma, De Matteo, e la maggior parte dei sostituti: 34 di essi (su 42) firmano un documento in cui si rivolgono al Csm ed al ministro di Grazia e giustizia perché sia fatta luce sull’operato della procura di Roma in merito ai fatti recenti e in cui si afferma, tra l’altro, «La sensazione diffusa tra noi è che l’ufficio [la procura] subisca strumentalizzazioni di carattere politico e comunque si presenti come uno strumento di potere» <118. Si tratta di un atto senza precedenti e, secondo i giornali, il PG Pascalino, avvisato dell’iniziativa, tenta in tutti i modi di evitare l’invio del documento, che però viene reso pubblico. Il Psi si dimostra soddisfatto: «Staremo a vedere cosa farà il ministro Morlino, se avrà paura della verità oppure si mostrerà disposto ad andare fino in fondo <119»; sulla stessa linea l’Unità, che sottolinea come «per la prima volta i magistrati che lavorano alla procura sono usciti allo scoperto e hanno scritto a chiare lettere che non intendono essere coinvolti nelle polemiche e nei più che giustificati sospetti rivolta agli uffici della procura per la scandalosa condotta tenuta nell’affare Caltagirone <120». Si è scoperto intanto che Pierro aveva chiesto il proscioglimento dei Caltagirone dall’accusa di bancarotta fraudolenta approfittando dell’assenza del magistrato titolare, Jerace.
A metà febbraio il settimanale l’Espresso pubblica un articolo in cui elenca una serie di assegni emessi dai Caltagirone a favore di esponenti della Democrazia cristiana, con abbondanti dettagli circa gli importi ed il beneficiario: i nomi sono quelli di Evangelisti, ministro della Marina mercantile, il quale afferma di aver versato il denaro alla corrente, Vincenzo Ignazio Senese e Giulio Caiati, deputati andreottiani, Giuseppe Sinesio, parlamentare di Forze nuove ed altri. <121 Pochi giorni dopo Evangelisti rilascia un’intervista a Repubblica nel corso della quale pronuncia una delle frasi più note nella pur ricca storia degli scandali politici italiani; al cronista Paolo Guzzanti che gli chiede quanti soldi abbia preso da Caltagirone afferma «Chi se lo ricorda, ci conosciamo da vent’anni, ogni volta che ci vedevamo lui mi diceva “A Fra’, che te serve?”». Lo stretto collaboratore di Andreotti non si limita però ad ammettere di aver preso soldi per la corrente ed il partito, ma spiega che sono in molti ad aver fatto lo stesso, secondo alcuni con l’intenzione di lanciare un avvertimento ad altri politici che intendessero usare la situazione a loro beneficio <122. La dichiarazione di Evangelisti suscita enormi clamori ed il ministro, dopo aver tentato una poco convincente smentita <123, sarà costretto alle dimissioni, mentre le spiegazioni del capo del governo in Parlamento in seguito alle numerose interpellanze, «oggi suonerebbero inammissibili», come afferma Craveri: «Evangelisti mi ha garantito di non aver fatto da tramite per contribuzioni valutarie di Caltagirone alla Democrazia Cristiana… Le correnti di partito sono mere realtà di fatto, non si possono neppure configurare come articolazioni politico-organizzative dei partiti» <124, volendo evidentemente sostenere che non vi fosse stata una violazione della legge sul finanziamento ai partiti approvata nel 1974 all’indomani dello scandalo dei petroli <125. Probabilmente il commento più adeguato all’episodio è quello di Ernesto Galli della Loggia, il quale osserva che le dichiarazioni del ministro Dc sono un sintomo dell’«uscita dalla legalità dell’intera classe dirigente, del suo costituirsi, propriamente, in comunità extra-giuridica, non tanto e non solo contro la legge, ma fuori della legge…» e parla di «ritorno verso un potere di tipo pre-borghese, verso un potere sciolto dalle leggi» <126.
Tutti sanno che Evangelisti è il collaboratore principale di Andreotti e che la corrente finanziata con il denaro dei Caltagirone non può che essere quella dell’ex presidente del consiglio; eppure il dibattito non sembra coinvolgerlo; «intervistato qualche tempo dopo, spiegò quella storia dei finanziamenti sotto banco con la sua indulgenza che sconfina nel cinismo. Non c’era da menar scandalo, disse. Evangelisti era solo un candidato debole, che come tale si faceva dare un po’ più di soldi dagli amici per vincere la campagna elettorale» <127.
Intanto comincia l’inchiesta del Csm sulla procura di Roma, mentre i partiti della sinistra sono molto critici su come gli uffici giudiziari della capitale, nel complesso, hanno gestito le inchieste. Per Tarsitano è l’occasione per una riflessione più ampia, il “…formarsi e consolidarsi in alcuni uffici giudiziari della capitale di un gruppo di potere che, vicino al partito democristiano, ne ha subito le influenze e ne ha soddisfatto le pretese […] alle storture si sono aggiunti gli scandali determinando una situazione tale da costringere la procura generale all’avocazione di due fatti delittuosi di segno diverso: il primo […] è il rapimento e l’omicidio dell’On. Moro; il secondo è la bancarotta dei fratelli Caltagirone” <128.
Pochi giorni dopo il giudice Alibrandi provoca la generale sorpresa <129 quando spicca decine di mandati di cattura per altrettanti dirigenti delle Casse di Risparmio ed imprenditori (tra cui i Caltagirone, che però nel frattempo si sono resi latitanti all’estero) nell’ambito dell’indagine sui “fondi bianchi”. «Improvvisamente, a due anni dall’inchiesta, il giudice Alibrandi ha fatto scattare i mandati di cattura, indistintamente, per tutti i presidenti delle casse di risparmio» afferma l’organo del Psi <130, che conta un suo funzionario tra gli arrestati, e spiega che dietro vi sono almeno due possibili spiegazioni: una vendetta di Alibrandi contro la procura per via dell’arresto del figlio <131, oppure un’azione orchestrata da Andreotti. Massimo De Carolis, da parte sua, dice che si deve togliere ai giudici istruttori la possibilità di emettere mandati d’arresto senza controllo. Secondo Intini il vero scandalo risiede nella strafe expedition di Alibrandi; «i punti che non quadrano sono molti», a cominciare dell’arresto di «tutti indistintamente (senza distinguere chi non era d’accordo con certi provvedimenti e inserendo, nelle imputazioni, un’aggravante che rende obbligatorio l’arresto e che nei due anni precedenti non figurava)». La questione, continua l’esponente socialista, è la lotta di potere: dopo l’avvertimento «in stile mafioso di Evangelisti… sarà un caso ma dopo il tuono è venuta
non solo la pioggia, ma la grandine…» <132.
Durante il mese di febbraio i giornali si occupano del caso in maniera continua ma il Popolo quasi non ne parla. All’inizio di marzo, pochi giorni dopo le dimissioni di Evangelisti partecipa al dibattito con alcuni editoriali di Alfredo Vinciguerra che mettono in guardia dall’eccessivo «scandalismo», il «vecchio vezzo italiano di lanciar fango a 360 gradi» <133 ed affermano che «emerge un catastrofismo troppo enfatizzato per apparire credibile e disinteressato. Davvero è politicamente corretto e giusto parlare di fine di prima Repubblica?». <134
Il Csm terminerà la sua indagine a maggio e invierà il fascicolo per l’eventuale provvedimento disciplinare su de Matteo al ministro, mentre avvierà il procedimento per il trasferimento d’ufficio per De Matteo, Pierro e Vessichelli.
Per quanto riguarda l’inchiesta sui “fondi neri”, nel mese di luglio la giunta per le autorizzazioni a procedere non consentirà l’esercizio dell’azione penale (voterà contro anche il Psi, oltre a Dc e Psdi, sebbene l’esponente socialista sotto accusa, Talamona, sia nel frattempo deceduto) <135.
Nel settembre 1980 Pascalino chiederà l’avvio del procedimento disciplinare a carico di quattro dei 34 magistrati della procura che avevano firmato il documento di protesta. <136 Ma lo sviluppo forse più curioso è l’incriminazione dei giudici della sezione fallimentare di Roma che avevano ordinato l’arresto dei Caltagirone; su denuncia di questi ultimi, infatti, essi verranno inquisiti prima a Firenze <137 e poi a L’Aquila; la cosa susciterà una dura condanna da parte di Magistratura democratica, che dichiarerà: «ultimo effetto inquinante di una vera e propria strategia intimidatoria e ritorsiva iniziata da quando i sei giudici della fallimentare osarono colpire un centro di potere notoriamente collegato con ambienti della Dc» <138. Per quanto riguarda l’inchiesta ministeriale i risultati saranno analoghi: «più di duemilatrecento pagine di resoconto per concludere che nell’ormai famoso caso Caltagirone la procura romana si comportò benissimo. Anzi, nella scandalosa vicenda gli unici colpevoli furono i giudici fallimentari.»
[NOTE]
110 “Caltagirone è in regola (grazie ai magistrati)”, Avanti 22 novembre 79
111 “Caltagirone fuggito? Giallo sul passaporto”, Unità del 30 settembre 79
112 “Caso Caltagirone, chiave per leggere il tabulato dei 500”, Unità del 21 ottobre 79
113 “I burattinai sono sempre gli stessi”, Avanti del 12 febbraio 80
114 “I Caltagirone come Sindona”, Avanti del 10 febbraio 80
115 “Fratelli Caltagirone, ordinato l’arresto dopo aspri contrasti. Intanto fuggono”, Unità del 9 febbraio 80
116 “Caltagirone: la procura sempre sotto accusa”, Unità del 12 febbraio 80
117 Citato in “Ora si indaga anche sui giudici che inchiodarono Caltagirone”, l’Unità del 22 febbraio 1981
118 “Chi ha preso soldi dai Caltagirone?”, L’Espresso, N. 8 del 1980,
119 “Lo scandalo procura va affrontato subito”, Avanti del 15 febbraio 80
120 “Aperta rottura tra i PM ed i vertici”, Unità del 15 febbraio 80
121 “Chi ha preso soldi dai Caltagirone?”, L’Espresso, N. 8 del 1980.
122 La pensa così, per esempio, U. Intini, nell’editoriale “C’è un mondo che Fra’ non conosce”, Avanti del 1 marzo 1980
123 «Il testo formale dell’intervista non corrisponde alla sostanza della conversazione avuta col giornalista, in quanto le generalizzazioni apparse non sono corrispondenti alla realtà e alla mia convinzione», in “Caltagirone, una secca smentita della Dc”, Popolo del 1 marzo 80
124 G. Bucciante, Il palazzo. Quarant’anni di scandali e corruzione in Italia, Leonardo, 1989. Pag. 518
125 Come suggerisce esplicitamente, ad esempio, l’interpellanza presentata dal Pci. Vedi “Evangelisti-Caltagirone, l’affare alla Camera” Unità del 1 marzo 80
126 “Dov’è lo scandalo?”, Mondoperaio, marzo 1980
127 M. Franco, Andreotti. Cit. Pag. 134
128 “Oggi prende il via l’indagine del CSM”, Unità del 4 marzo 80
129 L’episodio viene ricordato nelle memorie di Raffaele Costa, sottosegretario alla giustizia, in questo modo: «…tutti, o quasi tutti, si dimostrano indignati, come se la magistratura avesse architettato un golpe. In molti prospettano rapide modifiche alle leggi; sono molto stupito per questo atteggiamento eccessivo: i benpensanti – presenti in tutti i partiti – che si stracciano le vesti perché sono stati arrestati tanti autorevoli personaggi, hanno mai speso una parola a favore di una modifica legislativa di quelle norme che permettono, anzi facilitano, l’arresto di tanti poveri per furtarelli…?». In R. Costa, Politica e giustizia ai tempi delle Br. Cit. Pag. 135.
130 “Italcasse, tutti arrestati”, Avanti del 5 marzo 80
131 Vedere pag.121
132 “Cronache da basso impero”, Avanti del 5 marzo 80
133 “Attenzione allo scandalismo”, Popolo del 5 marzo 80
134 “Scandali e processi”, Popolo del 6 marzo 80
135 “Il PCI: no alla sanatoria per l’Italcasse”, Unità del 18 luglio 80
136 “Criticarono De Matteo, li vorrebbero punire”, Unità del 19 settembre 80
137 “Ora si indaga anche sui giudici che inchiodarono Caltagirone”, Unità del 22 febbraio 81. I giudici sotto accusa divulgano un documento in cui ricordano i dettagli dell’affare con un inedito: Alibrandi aveva ostacolato la messa all’asta degli immobili dei Caltagirone, minacciando anche il sequestro dei palazzi.
138 “Provoca reazioni sdegnate il nuovo caso Caltagirone”, Unità del 21 gennaio 82
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013

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