Il risvolto del principio della pluralità delle fonti informative

Strettamente connessa alla cronaca, per critica occorre intendere ogni forma di ‘dissenso razionale e motivato rispetto alle idee e ai comportamenti altrui’ <150. Entrambe costituiscono attività intellettuale, espressioni del pensiero, senza riferimento alle modalità con cui il loro risultato sia espresso e portato a conoscenza di terzi; entrambe riguardano gli avvenimenti di pubblico interesse nonché i soggetti che vi sono coinvolti. Tuttavia mentre la cronaca è, come affermato, mera esposizione di fatti il cui scopo è di informare il lettore, la critica si configura come un’analisi di eventi, condotte, fenomeni, allo scopo di apprezzarne pienamente il significato e le conseguenze direttamente collegabili.
Conseguentemente il diritto di critica, che nel nostro ordinamento ha la stessa capacità scriminante del diritto di cronaca <151, si riferisce alla diffusione di opinioni delle quali non è valutabile la verità o la falsità, così che in tale ambito si ritiene sufficiente che la critica, benché aspra e corrosiva, sia esercitata su temi di interesse generale e non contenga inutili lesioni dell’altrui reputazione; qualora però il giudizio negativo riguardi un fatto, quest’ultimo deve necessariamente essere vero <152.
Circa la soggezione o meno della critica al rispetto del canone della verità, di notevole importanza è una pronuncia della Corte di Cassazione del 2002 <153, che, chiamata a decidere sul ricorso avverso una sentenza della Corte d’Appello di Venezia, aveva assolto un giornalista che in alcuni articoli aveva fortemente criticato l’operato di un’amministrazione comunale. Così i giudici avevano affermato che ‘la critica, in quanto formulazione congetturale di personali convincimenti in ordine alla genesi di determinati fenomeni naturali o sociali, non può ritenersi soggetta al rispetto del limite della verità. E ciò, beninteso, non già nel senso che la critica possa essere fantasiosa o astrattamente speculativa, svincolata cioè da qualsivoglia profilo di verità, ponendosi magari come strumentale pretesto per attentati all’altrui reputazione. Ma nel solo significato coerente con l’essenza precipua del concetto, e cioè nel senso che, quale lettura ragionata di un determinato fatto, si proponga come attività di interpretazione (positiva o negativa) dell’esistenza e della dinamica di quello stesso fatto.
In tutte le sue possibili manifestazioni la critica è interpretazione e, dunque, elaborazione della realtà, inevitabilmente attraverso il filtro del giudizio di valore che il critico dà di un dato accadimento, secondo la sua personale rappresentazione. E tale parametro valutativo è coessenziale alla critica perché, diversamente, la stessa coinciderebbe giustappunto con la cronaca […] Ed è per questo che l’espressione critica non può non risentire del retroterra culturale, politico od ideologico di chi la muove.
E quanto più si allontana dai contenuti di verità del fatto, tanto più la critica diventa astratta, lambendo la sfera del mero desiderio che quel determinato evento si fosse svolto diversamente da come è stato e fosse, cioè, quanto più possibile aderente al modulo astratto od all’idea che di quell’evento ha il critico.
Non avrebbe, allora, alcun senso pretendere che la critica sia rigorosamente veritiera proprio perché una critica obiettiva sarebbe mera contraddizione in termini, e dunque la negazione stessa della sua essenza concettuale.
È vero, di contro, che la critica deve avere un contenuto di veridicità, ma solo nel senso che deve riferirsi ad un fatto storicamente vero o ad un evento realmente accaduto, perché, se così non fosse, sarebbe fine a se stessa siccome mera astrazione ovvero sterile esercitazione accademica o filosofica che, ove in ipotesi lesiva della reputazione altrui, non avrebbe alcuna capacità scriminante, in quanto mera occasione per una gratuita aggressione dell’altrui patrimonio morale’.
Appare evidente come, affinché l’esercizio del diritto di critica operi come scriminante, occorra il rispetto dei soli limiti del pubblico interesse e della continenza <154, anche se, limitatamente a quest’ultimo, la giurisprudenza ha mostrato una maggior liberalità rispetto alle ipotesi di esercizio del diritto di cronaca: in particolare nella critica politica, sindacale, economica, etc., si è infatti giustificato l’uso di un linguaggio aspro e colorito in virtù della funzione strumentale al controllo sui pubblici poteri svolta dalla critica stessa <155. Così si è ritenuto che il diritto di critica possa esplicarsi in forma più incisiva e penetrante, quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario e, in virtù del coinvolgimento di una ‘personalità “assoluta” della storia contemporanea’, la Corte di cassazione, nella sentenza Ricca del 2006, ha superato quell’indirizzo giurisprudenziale che comunque rifiutava di considerare lecito l’attacco personale e violento, sancendo, in presenza di un homo publicus, la prevalenza del balancing test del diritto di critica sui diritti della personalità: ‘il livello e l’intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate a mo’ di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l’operatività della scriminante’ <156.

Il diritto all’informazione.
Si analizza infine il profilo passivo dell’interesse, o del diritto, del singolo all’informazione, così come è stato identificato prima in dottrina e successivamente anche in giurisprudenza. Partendo dall’esame dell’art. 21 Cost. alcuni autori hanno sostenuto l’esistenza di un diritto tanto del pubblico quanto del singolo ad essere informato con completezza ed obiettività: tale orientamento muoveva dalla ricostruzione dell’attività informativa intesa come un rapporto giuridico di comunicazione, facendone così discendere la necessità di un riconoscimento giuridico della posizione soggettiva di entrambi i lati (condizione questa affinché si possa parlare, appunto, di rapporto) <157.
Dall’art. 21 Cost. deriverebbe quindi, anche sotto il profilo passivo, un vero e proprio autonomo diritto soggettivo di libertà la cui consacrazione avviene, relativamente al settore radiotelevisivo, con l’art. 1 della legge n. 223 del 1990 che introduce precisi parametri di contenuto valevoli sia per l’emittenza pubblica che per quella privata <158.
Si ritiene inoltre che il fatto stesso che non esista nell’ordinamento un meccanismo di tutela di tale situazione giuridica, non costituirebbe, di per sé, un ostacolo alla qualificazione di tale situazione come diritto soggettivo: se infatti la libertà di informazione presenta precise caratteristiche giuridiche e gode di immediata tutelabilità giudiziaria, la libertà di informazione non può che assumere il rango di “valore” il cui fondamento è individuabile nei principi del sistema democratico in quanto questi (sovranità popolare, libertà sindacale, di associazione in partiti, etc.) riconoscono un diritto che si esplica in una libertà di scelta, la quale, per potersi dire effettiva, richiede che sia garantita anche la generale possibilità di acquisire informazioni.
L’impostazione del ragionamento cambia completamente se però si parte da un altro profilo, ovvero dal riconoscimento costituzionale del principio del pluralismo ricavato dal combinato degli artt. 3, 21 e 41 Cost.: così l’esigenza di un’informazione caratterizzata da imparzialità, completezza, apertura alle diverse tendenze politiche, culturali, etc., appare il risvolto del principio della pluralità delle fonti informative; queste caratteristiche si sostanziano infatti non in un vincolo contenutistico generalizzato alla libertà di informazione, ma sembrano essere il frutto, da una parte, di alcuni limiti esterni alla capacità imprenditoriale posti al fine di favorire lo sviluppo di altre iniziative economiche, dall’altra, di una promozione di un servizio pubblico, aperto alle diverse tendenze culturali, idonea a dar luogo a quel pluralismo complessivo di fonti informative richiesto dalla Costituzione. Muovendo da tali premesse la dottrina e, soprattutto, la giurisprudenza costituzionale hanno potuto ritenere realizzato l’interesse generale all’informazione solo in presenza di un concreto ed effettivo pluralismo informativo.
L’individuazione del diritto all’informazione, secondo la Corte costituzionale, discende quindi dal principio pluralistico, il quale tende ad assicurare effettività alla libertà di manifestazione del pensiero evitando che essa possa divenire una prerogativa esclusiva di una ristretta cerchia di soggetti. I giudici costituzionali hanno inoltre voluto distinguere due diversi aspetti, ovvero due diverse applicazioni dello stesso principio e hanno parlato di un pluralismo esterno e di un pluralismo interno: il primo rappresenta una generale caratteristica del mercato e si concretizza nella possibilità di ingresso nello stesso di quante più voci possibili; il secondo è invece quel valore che trova applicazione quando un mezzo di informazione si trova sotto il controllo pubblico e si concretizza nel principio di imparzialità e nell’obbligo di apertura del mezzo stesso alle diverse tendenze sociali, politiche, culturali, religiose. Il più importante frutto di tale principio pluralistico è però la ricostruzione di un diritto all’informazione che compare nella sentenza n. 420 del 1994, in cui i giudici della Corte costituzionale sanciscono che ‘dalla Costituzione deriva la necessità di garantire il massimo di pluralismo esterno, al fine di soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione’.
In virtù di queste parole della Corte costituzionale è quindi difficile negare l’esistenza del diritto del singolo o del pubblico all’informazione mentre è ancora oggetto di discussione la sua effettiva portata. A riguardo la dottrina ha distinto due diversi profili nei quali si concretizza tale diritto soggettivo: anzitutto vi è un diritto all’informazione del cittadino nei confronti dello Stato e della pubblica amministrazione che si manifesta nel diritto di accesso agli atti della P.A. e, ad oggi, in poche altre fattispecie quali quei casi in cui lo Stato è obbligato a fornire informazioni in determinate materie come ad esempio le notizie riguardanti gli scioperi in alcuni servizi pubblici essenziali o quelle in materia di ambiente ed inquinamento; il secondo profilo riguarda invece il diritto all’informazione nei confronti dei titolari, sia pubblici che privati, dei mezzi di comunicazione di massa.
Sotto questo secondo aspetto rientrano obblighi stabiliti da legge di varia natura: anzitutto vi è una serie di situazioni, inquadrate nell’ambito dei diritti della persona
[…] Fino ad ora, nell’esaminare la libertà di espressione e l’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca o di critica, ci si è sempre implicitamente riferiti a quella che è la più comune forma di giornalismo, ovvero la cronaca.
Occorre invece adesso passare all’esame di quella forma di giornalismo che richiede una particolare cultura dell’investigazione e della legalità, del dettaglio e del riscontro, dell’indizio e della prova, il c.d. giornalismo investigativo o d’inchiesta. Si tratta di quel giornalismo che scopre notizie originali, le verifica e le approfondisce <163, e che va tenuto ben distinto dalla cronaca giudiziaria o dalla cronaca nera, dal giornalismo d’opposizione o di denuncia etc.
La differenza tra il cronista, cui si è fatto finora riferimento, e il giornalista investigativo è che mentre il primo deve riportare in modo corretto quella che è la notizia del giorno, il secondo porta alla luce fatti ignoti ai più e che qualcuno vuole occultare. Non occorre inoltre che l’inchiesta tratti solo i grandi problemi che portano ai colpi di scena, ma vi sono anche più piccole inchieste che hanno il solo ruolo di dare un senso compiuto a cose che non lo hanno <164: un esempio di piccola inchiesta, tratto dal libro di Nino Amendore, “La zona grigia. Professionisti al servizio della mafia”, è quella che ha avuto luogo a Marsala, ove un gruppo di giornalisti ha cercato di capire perché nella città dello sbarco dei Mille non sia ancora stato costruito un monumento in ricordo. Così attraverso interviste, testimonianze, la lettura di delibere e provvedimenti, questi giornalisti sono riusciti a spiegare un microevento divenuto poi macro, in quanto inserito nel ben più ampio quadro delle vicende italiane dell’incompiuto.
Da questo semplice esempio è quindi possibile ricavare quello che è il fine ultimo di un’inchiesta: svelare le dinamiche nascoste e le reali motivazioni di vicende che interessano e che potrebbero modificare la realtà sociale, sia che si tratti di grandi scoop che di eventi locali <165. In generale il giornalismo investigativo tenta infatti di scoprire e ricostruire i fatti, non limitandosi ad una narrazione superficiale, ma andando oltre le apparenze, non accontentandosi delle dichiarazioni formali e di convenienza e scavando più in profondità, facendo venire alla luce meccanismi causali, protagonisti nascosti, sconosciute successioni temporali e motivazionali. È una forma di giornalismo scomoda ed impegnativa che spesso procura nemici ed avversità in quanto quella verità ricercata ed investigata è accuratamente tenuta al sicuro da qualcuno che, come minimo, è pronto ad adire le vie legali per evitare che le proprie attività siano rese note.
[NOTE]
150 La definizione è di BEVERE A. e CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale, cit.
151 Ex multis Cass. Civ., sez. III, 6 aprile 2011, n. 7847.
152 AGNINO F., Diritto di critica e tutela dell’onore: nulla di nuovo sotto al sole, in Danno e responsabilità, fasc. 2, 2013, p. 167-8 in cui si osserva che la critica (anche relativa alla gestione della cosa pubblica) può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente “di parte”, cioè non obiettivi, purché fondata sull’attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità. Sennonché proprio per il bilanciamento di interessi su cui tale scriminante si fonda, occorre che le espressioni di critica usate non costituiscano un attacco offensivo della persona, trasmodando in “argumenta ad nomine” e, quindi in pura contumelia. È vero che l’esigenza di ricorrere al diritto di critica come scriminante, anziché come criterio per l’accertamento della stessa esistenza di un’offesa, si pone nei casi in cui l’espressione della critica comporti valutazioni negative circa le qualità morali o intellettuali o psichiche del destinatario. In questi casi, l’inevitabilità del collegamento alla critica scrimina l’offesa soltanto quando essa sia indispensabile per l’esercizio del diritto costituzionalmente garantito, mentre restano punibili le espressioni “gratuite”, cioè non necessarie all’esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti. Il limite all’esercizio del diritto deve, pertanto, intendersi superato quando l’agente ‘trascenda ad attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, posto che, in tal caso, l’esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell’ambito di una critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell’aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta’.
153 Cass. Pen., sez. V, 14 febbraio 2002, n. 20474, Foscarini.
154 GORGONI A., I limiti alla critica, alla satira e all’esercizio dell’arte, in Obbligazioni e contratti, fasc. 7, 2010.
155 PONZANELLI G., Berlusconi versus “The Economist”: per ora vince la critica, in Nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 1, 2009.
156 Cass. Pen., sez. V, 7 giugno 2006, n. 19509, Ricca. La pronuncia riguarda il caso di un giovane contestatore che nei corridoi del palazzo di giustizia di Milano aveva rivolto epiteti non benevoli all’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, gridandogli: “Buffone, fatti processare come tutti gli altri. Rispetta la legge, la magistratura, la Costituzione, la democrazia e la dignità degli italiani o farai la fine di Ceaucescu o di Don Rodrigo!”
La sentenza contiene anche un altro passaggio fondamentale in cui si sancisce che ‘il diritto di critica può manifestarsi anche in maniera estemporanea, non essendo necessario che si esprima nelle tesi, ritenute più appropriate, istituzionali o mediatiche, ove si svolgano dibattiti fra i rappresentanti della politica ed i commentatori. Diversamente, verrebbe indebitamente limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero che spetta al comune cittadino’.
157 In tal senso si è sostenuto che nel momento stesso in cui si dà all’art. 21 Cost. ‘il significato di una garanzia della libertà di informare, abbiamo già compiuto un salto qualitativo rispetto alla semplice libertà di manifestare il proprio pensiero, perché abbia già caratterizzato il dettato costituzionale non semplicemente in funzione dell’interesse di chi utilizza il mezzo di diffusione, ma altresì in funzione dell’utilità di un prevedibile destinatario della comunicazione’ in LIPARI N., Libertà di informare o diritto ad essere informati?, in Diritto delle radiodiffusioni delle telecomunicazioni, 1978, pp. 2-3. Al contrario Pace sostiene che ‘qualora non si intenda contraddire la proclamazione individualistica di libertà contenuta nell’art. 21 Cost., il diritto all’informazione […] costituisce soltanto una “formula riassuntiva” di una serie di norme costituzionali ( artt. 1, 3 co. 2, 21, 48, 49, 97, etc.), dall’insieme delle quali deriva, per utilizzare una locuzione meno ambigua, la “libertà istituzionale dell’informazione”, di cui indirettamente beneficiano tutti i cittadini’ in PACE A., Libertà di informare e diritto ad essere informati. Due prospettive a confronto nell’interpretazione e nelle applicazioni dell’art. 7, co. 1, t.u. della radiotelevisione, in Diritto pubblico, fasc. 2, 2007, p.476. Vi è infine chi suggerisce addirittura la postulazione di un art. 21-bis della Costituzione che preveda esplicitamente tale diritto soggettivo all’informazione: in tal senso PAISSAN E., Introduzione (al convegno Etica pubblica e ruolo dei media), in Le istituzione del federalismo, fasc. S2, 2009, p. 13.
158 Legge n. 223 del 1990. Art. 1 – Principi generali: ‘1. La diffusione di programmi radiofonici o televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente interesse generale. 2. Il pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano principi fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della presente legge’.
163 BELLU G. M., Le frustrazioni del giornalismo investigativo, in SIDOTI F. (a cura di), Giornalismo investigativo, Koinè, Roma, 2003, p. 94.
164 AMENDORE N., La zona grigia. Professionisti al servizio della mafia, La Zisa, Palermo, 2007.
165 ADINOLFI G., Dentro l’inchiesta. L’Italia nelle indagini dei reporter, Edizioni della Sera, Roma, 2010, p. 21.
Nicolò Maria Salvi, Il requisito della verità della notizia nel giornalismo d’inchiesta, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2015-2016

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