Dal 1953 il Festival inizia ad essere un fatto di costume

Un’immagine del palco del Festival della canzone italiana di Sanremo nell’edizione del 1955. Fotografo: sconosciuto. Fonte: Gaetano Giuseppe Amore, Op. cit. infra

“Signori e signore, benvenuti al Casinò di Sanremo per un’eccezionale serata organizzata dalla Rai, una serata della canzone con l’orchestra di Cinico Angelini. Premieremo, tra le 240 composizioni inviate da altrettanti autori italiani, la più bella canzone dell’anno. Le venti canzoni prescelte vi saranno presentate in due serate e saranno cantate da Nilla Pizzi e da Achille Togliani con il duo vocale Fasano”.
Esattamente con queste parole, alle 22 in punto di lunedì 29 gennaio 1951, Nunzio Filogamo dichiarava aperto il primo festival della canzone. <21
Gli inizi non potrebbero essere più distanti e diversi rispetto alle edizioni con le quali siamo cresciuti ed alle quali siamo abituati: il pubblico in sala, raccolto intorno a tavolini tipo vecchio cabaret, cenava durante lo spettacolo circondato dai camerieri impegnati nel servizio. Si trattava di un pubblico numericamente scarso, tanto che fu necessario, per la seconda serata, trovare delle persone da sistemare ai tavolini vuoti. Questo non tanto per il prezzo (500 lire per l’ingresso, cena compresa), ma perché il pubblico di Sanremo era abituato ad un cartellone totalmente diverso al Casinò: dai premi letterari alle stagioni di prosa, “eventi culturali di un certo livello”. <22 Questo a testimonianza di quale fosse l’accoglienza del pubblico ad un evento del genere ed in generale quale fosse la considerazione che il pubblico, o quantomeno un certo tipo di pubblico, avesse della canzone italiana e della musica leggera. La vera platea, però, era quella degli ascoltatori della Radio che, potenzialmente, avrebbe potuto contare milioni di persone. La manifestazione, nata proprio per rinnovare il repertorio della Radio, aveva l’obiettivo di dare alla canzone italiana una precisa fisionomia che, contemporaneamente, tenesse conto dei fermenti e delle novità che emergevano sul piano internazionale, nonostante la proverbiale refrattarietà anche alle più piccole innovazioni della Rai. <23
Già un anno dopo l’esordio si inizia a diffondere l’idea che il Festival possa essere un buon affare per l’industria discografica: al secondo appuntamento annuale sono 310 le case editrici che presentano una canzone in gara, il prezzo del biglietto inizia a lievitare e i più lungimiranti discografici iniziano a cogliere l’opportunità di esercitare una forte egemonia sulla manifestazione.
È il caso di Ladislao Sugar, proprietario delle Messaggerie Musicali, che colse per primo l’innovazione proveniente dagli Stati Uniti del disco a 45 giri che diventò uno strumento fondamentale della storia del Festival soprattutto negli anni della doppia esibizione, in quanto consentiva di incidere sui due lati le due canzoni in gara. Per non parlare dell’avvento del disco a 33 giri che consentiva di incidere sui due lati tutte le canzoni finaliste dell’edizione.
Dal 1953 il Festival inizia ad essere un fatto di costume: lo seguono più di sessanta inviati, spariscono tavolini e camerieri ed un biglietto per la serata finale arriva a costare anche diecimila lire, nascono le giurie di esperti ed una forma embrionale di quella che oggi viene definita demoscopica, diffusa su sedici sedi Rai in tutta Italia.
Si arriva, così, all’edizione del 1955: la prima edizione teletrasmessa del Festival di Sanremo. Pur essendo inizialmente trasmesso in differita, non perse nulla in termini di successo di pubblico che per circa vent’anni, in regime di totale monopolio Rai, vedrà la media dei telespettatori attestarsi intorno ai 30/35 milioni.
La finalissima del 1955 è addirittura trasmessa in Eurovisione in cinque Paesi: Francia, Belgio, Olanda, Germania e Svizzera.
Questa prima diffusione così internazionale è il motivo del successo, divenuto poi planetario, di quella che probabilmente è la canzone italiana per eccellenza: Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno si abbatté come un ciclone sul Festival del 1958, cambiando per sempre a percezione della musica leggera e della canzone popolare italiana nel mondo e nel nostro Paese.
[NOTE]
21 Borgna, G. (1986) Le canzoni di Sanremo. Bari: Laterza. P. 3.
22 Ibid.
23 Facci, S., Soddu, P. (2011) Il Festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la Nazione. Roma: Carocci.
Gaetano Giuseppe Amore, Il Festival di Sanremo come prodotto culturale, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2020-2021

Se si indaga sulla nascita dell’idea di «canzone italiana», i proclami che accompagnano il lancio del primo Festival di Sanremo nel 1951 sono particolarmente rivelatori. Merita riportare un lungo stralcio del primo articolo che il Radiocorriere dedica al Festival.
“Una nuova iniziativa, volta a valorizzare la canzone italiana è stata recentemente promossa dalla Rai e avrà, questa settimana, la sua realizzazione conclusiva. L’intento principale è quello di promuovere un elevamento nel campo della musica leggera italiana, compatibilmente con i presupposti “popolari” propri del genere in se stesso, ma in maniera da colmare le sensibili manchevolezze che vi si riscontrano oggi, e da soddisfare le sia pure elementari esigenze estetiche che anche la canzone, in quanto espressione musicale, propone. Non va infatti dimenticato che spesso la canzone, nei suoi esempi migliori, ha saputo raggiungere una raffinata misura artistica ed un elevato livello espressivo, e che ad essa hanno rivolto il loro interesse, e talora fornito un contribuito concreto, famosi artisti e intellettuali di quasi ogni paese […]”. <25
Dunque, «elevamento» del livello ma non troppo («compatibilmente con i presupposti “popolari” propri del genere»), e rimando alla condizione contemporanea della canzone italiana, «in maniera da colmare le sensibili manchevolezze che vi si riscontrano», nonostante le sue «esigenze estetiche» siano «elementari». La volontà di elevare il livello artistico della canzone italiana sarà un tema chiave del dibattito su di essa a partire, soprattutto, dalla fine degli anni cinquanta, e in maggior misura durante i sessanta.
Queste ambizioni dichiarate potrebbero suonare fuori posto nel contesto di Sanremo, specie se se ne considerano gli esiti. Tuttavia, questa rete di discorsi sulla rivalutazione della canzone non ha valore solo aneddotico, ma è indice di qualcosa di più profondo in atto in quegli anni. L’articolo prosegue: “L’influsso della musica popolare afro-americana e ispanoamericana – le cui due correnti principali, quella jazzistica e quella cubana e brasiliana, si ramificano in una infinità di filiazioni commerciali e si intorbidano ingrossandosi – […] è divenuto via via più rilevante e col trascorrere degli ultimi anni ha impresso una fisionomia esotica alle canzoni dei diversi paesi europei attenuando sempre più i caratteri originali di queste e l’aderenza al substrato etnico e sentimentale dei popoli da cui scaturiscono. La canzone italiana, che discende dai canti napoletani e dalle romanze e si collega ad una tradizione lirica insigne ma scarsa di evoluzioni recenti, è andata particolarmente soggetta a questo influsso ed è venuta a mancare, negli ultimi anni, di un carattere originale e vivo. Con una serie di iniziative, la Rai cerca appunto di promuovere la rinascita di uno spirito veramente attivo nella canzone italiana e l’acquisizione di una individualità spiccata, indirizzando in tal senso gli autori e gli editori musicali”. <26
Non è difficile riconoscere, nella critica alla «musica popolare afro-americana e ispano-americana», nel richiamo al carattere «originale» e al «substrato etnico», lessico e ambizioni simili a quelle della critica di epoca fascista. Ma a che cosa stanno guardando, i funzionari Rai, quando parlano della «canzone italiana […] che discende dai canti napoletani e dalle romanze e si collega ad una tradizione lirica insigne ma scarsa di evoluzioni recenti»? Che repertorio hanno in mente? Quello che la Rai sta proponendo è di fatto una restaurazione, o un revival, della canzone italiana, ma quel passato migliore a cui guardano i burocrati dell’ente come modello per migliorare la canzone a loro contemporanea – in realtà – non sembra essere mai esistito, esattamente come non esisteva, prima di allora, una «canzone italiana» pensata con tali elementi di coerenza interna.
Se si segue il Radiocorriere in questi anni, i riferimenti alla finalità di elevare la qualità della canzone e «valorizzare la musica leggera» <27 compaiono con frequenza proprio a partire dal 1951, né particolari proclami si ritrovano negli anni precedenti. A riprova di come il Festival nasca nel contesto di un generale ripensamento delle politiche culturali della Rai, appena una settimana dopo l’annuncio della nuova manifestazione il Radiocorriere torna sul tema del rilancio della canzone attraverso un recupero dei suoi «caratteri originari».
[NOTE]
25 «Il festival della canzone italiana a Sanremo», Radiocorriere, a. 28, n. 5, 28 gennaio-3 febbraio 1951, pp. 16-17.
26 Ibidem, corsivi miei.
27 Così si esprime il direttore della giuria del Festival del 1951, Pier Bussetti, in Gianni Giannantonio, «Il mondo cambia, le canzoni no», Radiocorriere, a. 28, n. 7, 11-17 febbraio, 1951.
Jacopo Tomatis, I generi della canzone in Italia: teoria e storia, dal fascismo al riflusso, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Torino, 2016