Le agitazioni operaie furono uno degli aspetti preminenti della resistenza torinese

Torino: ex fabbrica della Snia Viscosa. Fonte: mapio.net

Un approfondimento a parte merita la città di Torino.
La cronaca e la storia dei venti mesi dal ’43 al ’45 ruotano principalmente attorno al clima di rivolta della città operaia, al vuoto di consenso che l’opinione pubblica creava alla parvenza di autorità del regime della Rsi, alla paura che incutevano i tedeschi senza tuttavia riuscire a frenare una diffusa omertà e collaborazione con la ramificata organizzazione della Resistenza e, comunque, con le manifestazioni della sotterranea reazione al binomio fascisti-nazisti.
Mario Giovana ha tentato di delinearne la situazione socio-politica. Sin dal ventennio della dittatura in città si respirava un clima di freddezza verso il regime, un distacco dalle manifestazioni più rumorose del fascismo, e un persistere nelle masse lavoratrici di atteggiamenti di non curanza, quando non di ostilità nei suoi confronti.
Nel giugno del ’40, in cui si colloca la dichiarazione di guerra alla Francia, gli organi di controllo fascisti registravano profonde contrarietà dell’opinione pubblica all’avventura militare, crescenti malumori per le difficoltà degli approvvigionamenti, l’accentuarsi di indizi di generale distacco dal regime, accanto all’affiorare dei primi germogli di un’opposizione politica non limitata alle attività clandestine comuniste.
A metà del ’42 si assistette ad un acutizzarsi del malcontento dovuto principalmente alle sempre più pesanti condizioni di vita in cui versava la popolazione. Tra la fine dell’agosto e il settembre si verificarono episodi di blocco della produzione in alcune fabbriche; proteste che vennero ripetute nel gennaio e febbraio del ’43. Il primo marzo ebbero inizio i blocchi delle produzioni alla Fiat Mirafiori, estesisi poi ad altri grandi complessi cittadini e del resto della regione. A ciò si affiancano gli scioperi spontanei, con rivendicazioni salariali e di approvvigionamenti alimentari, in cui riuscì ad inserirsi l’iniziativa comunista per caricare le proteste di significato politico, propagandando la parola d’ordine della pace accanto a quelle delle rivendicazioni economiche. Nemmeno la dura repressione fascista riuscì a placare gli animi.
Il colpo di stato del 25 luglio ’43 sopravvenne in quest’atmosfera surriscaldata: gli operai scioperarono per tre giorni, folle di cittadini si riversarono nelle piazze inneggiando alla caduta del regime, cinquecento detenuti politici furono liberati a forza dalle carceri cittadine e la Casa del Fascio venne assalita e saccheggiata. In quegli stessi giorni si costituì il comitato dei partiti antifascisti (Pci, Psiup, Gl-Pda, Dc, Pli), sotto la denominazione di Fronte nazionale.
L’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre precedette di poco l’arrivo in città di una modesta avanguardia tedesca, che prese possesso dei punti chiave urbani e ricevette la resa incruenta dell’apparato militare.
Da qui fino all’inizio primavera del ’44 la realtà resistenziale torinese fu contraddistinta dall’azione incalzante e spettacolare dei Gruppi d’azione patriottica (Gap) comunisti, comandati dapprima da Ateo Garemi e poi da Giovanni Pesce, detto “comandante Visone”, a cui succedette Walter Nerozzi. I Gap ripetevano un’esperienza mutuata dalla Resistenza francese e “importata” dai militanti comunisti italiani che vi avevano partecipato: essi attuarono una serie di sabotaggi e di attentati che costrinsero il nemico a sentirsi assediato e a barricarsi nelle proprie sedi. Essi però dovettero anche subire una dura repressione che li portarono a sostenere ingenti perdite e nella primavera del ’44 si ritrovarono praticamente in crisi e costretti a ridurre drasticamente le proprie incursioni.
Le agitazioni operaie furono uno degli aspetti preminenti della resistenza torinese. Le officine della Fiat rimanevano l’epicentro delle contestazioni di massa, ed è proprio qui che nel novembre-dicembre ’44 presero corpo imponenti scioperi che si estesero alle altre maggiori fabbriche cittadine e della provincia, anche se con meno successo. Questi furono a carattere fortemente autonomo e spontaneo: il legame con il Pci, seppur persistente, era piuttosto labile e il Cln era attraversato da numerose contraddizioni rispetto ai problemi delle rivendicazioni operaie.
In realtà , la situazione del movimento dei lavoratori e delle sue agitazioni si svolgeva tra complesse manovre in cui fascisti, tedeschi e industriali perseguivano ciascuno obiettivi propri, e l’attivismo comunista spingeva a posizioni di scontro frontale e di endemica rivolta tese a forzare una massa operaia stretta dalle immediate esigenze di ottenere miglioramenti salariali, ottenere soccorsi in viveri e generi di prima necessità. Questo “estremismo” dalla Federazione del Pci torinese verrà condannato dalla direzione del partito. Ne derivano incertezze e pause di riflessione nella massa dei lavoratori dinanzi alle parole d’ordine di sollecitazione a incessanti azioni di lotta; né la conduzione dell’azione sindacale da parte dei dirigenti comunisti pareva adeguata alle difficoltà obiettive in cui essi si dibattevano quando il nemico offriva piattaforme di trattativa salariale e avanzava promesse di rifornimenti di beni indispensabili.
Da qui l’andamento non lineare delle agitazioni, che dal novembre al dicembre ’43 e poi nel gennaio ’44 si produssero nelle fabbriche, segnando in pratica sconfitte delle rivendicazioni operaie e disorientamenti nel movimento. Tuttavia, il permanente atteggiamento di ostilità della massa lavoratrice, il ripetersi delle agitazioni, l’evidente incapacità del sindacato fascista di accreditarsi come interlocutore credibile e i limiti che puntualmente rivelavano le concessioni dei tedeschi, accompagnate da minacce e repressioni sempre più violente, facevano salire la temperatura della protesta e indicavano un radicalizzarsi della situazione.
Le agitazioni scattarono in febbraio, e culminarono nel marzo ’44, con il concomitante appoggio di forze partigiane esterne che prolungavano dalle basi di montagna le loro azioni fino alla periferia della città. Se i risultati sindacali della lotta non potevano dirsi soddisfacenti, l’esito politico della manifestazione di forza del movimento dei lavoratori fu senza dubbio più che significativo: il nemico toccava così con mano l’isolamento nel quale si trovava e anche la sua relativa impotenza, malgrado la durezza delle repressioni, di fronte a masse popolari che non si piegavano.
L’occupazione alleata di Roma nel giugno ’44 aprì nuove prospettive all’azione della Resistenza intensificando la guerriglia partigiana ma contemporaneamente affacciando il rischio che i tedeschi, in vista di una ritirata generale verso i confini, decidessero di trasferire in Germania il più possibile gli impianti industriali e intensificassero le deportazioni di manodopera.
Il 12 giugno 1944 iniziò la mobilitazione a Mirafiori. Il 21, il commissario prefettizio decretava la serrata a tempo indeterminato degli stabilimenti di Mirafiori, con il risultato di estendere le agitazioni anche ad altri stabilimenti, unendo rivendicazioni salariali e lotta contro i trasferimenti degli impianti.
Dal 17 al 27 luglio le industrie torinesi erano in gran parte bloccate; il 22 gli aerei alleati colpivano con estrema precisione l’officina 17, sgombra di maestranze per la serrata, tanto da far pensare che la stessa direzione della Fiat avesse sollecitato l’incursione. Tedeschi e industriali capirono di essere in netta difficoltà: furono accantonati sia i piani di smantellamento generale dell’apparato industriale del paese, sia il progetto di deportazione degli operai.
L’agitazione aveva quindi conseguito un risultato di fondo; e, del resto, nelle fabbriche si lavorava ormai a smontare e a nascondere pezzi dei macchinari più importanti, e si preparavano i nuclei della Squadre di azione patriottica (Sap) destinati a difendere gli stabilimenti nella fase insurrezionale. Il movimento, infatti, si poneva ora in un’ottica di preparazione dello scontro conclusivo.
A partire dal febbraio ’45 furono accelerati tutti i preparativi in vista della scadenza finale della lotta.
Valentine Braconcini, La memorialistica della Resistenza attraverso gli scritti di Giovanni Pesce, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2007-2008