Il campione ed il bandito

Costante Giradengo. Fonte: Fabio Casalini, art. cit. infra

Costante Girardengo nacque, quinto di sette figli, a Novi Ligure il 18 marzo del 1893.
Novi Ligure, a dispetto del toponimo, si trova in provincia di Alessandria, Piemonte.
La città, nella seconda metà dell’Ottocento, vide una grande espansione grazie all’arrivo della ferrovia Torino-Genova.
La posizione geografica, la manovalanza derivante dall’inurbamento degli abitanti dalle campagne e le nuove infrastrutture favorirono il rapido sviluppo di nuove industrie.
In questo contesto vide la prima luce il futuro campione delle due ruote. Il tempo ci ha insegnato una parola per definire la condizione sociale dei Girardengo: famiglia di umili origini, dove il padre curava con amore la terra e la madre i figli.
Costante appena terminati gli studi elementari iniziò a lavorare nella rivendita di sale e tabacchi acquistata dal padre. Annessa al negozio vi era l’osteria di famiglia.
Costante s’innamorò subito della bicicletta.
Il primo contatto con il pubblico avvenne nella sua città natale, Novi Ligure.
Correva il 1907, e nella città piemontese era giunto il famoso podista Dorando Pietri, lo sconfitto più famoso del Novecento. Pietri sfidò i presenti sulla piazza centrale del paese. Il podista mise in palio due lire per il ciclista che fosse riuscito a compiere in bicicletta due giri della piazza del Mercato prima che lui ne terminasse di corsa uno. La sfida si trasformò nel concedere un giro di vantaggio al podista. Dopo diversi inutili assalti a Pietri ecco che sulla piazza giunge un ragazzino sfrontato, con la bici rubata al padre e la foga dei vincenti. La sfida prese subito corpo e Girardengo sembrava saltare su quei pedali, come i nostri occhi s’abitueranno ad ammirare negli anni novanta del Novecento grazie a un ragazzino pelato e dalle orecchie a sventola.
Costante inseguì, raggiunse e infine staccò l’olimpionico emiliano.
Costante Girardengo vinse la prima gara della sua vita e guadagnò i primi soldi grazie alla bicicletta. Gli abitanti di Novi Ligure lo portano in trionfo per le vie della città.
Il padre vacillò, non poteva resistere oltre: Costante necessitava di una bicicletta nuova.
Sarà acquistata e pagata in sette rate mensili, 160 lire il costo.
Nacque così la leggenda dell’omino di Novi.
Il tempo corre, più veloce di una bicicletta.
Divenuto professionista nel 1912, ottenne un nono posto al Giro di Lombardia. L’anno seguente conquistò il primo di nove titoli italiani per professionisti su strada. Lo stesso anno vinse una tappa al Giro d’Italia, dove concluse sesto nella classifica finale. La vittoria del titolo italiano, giunta sulle strada di Alessandria, fu macchiata dalla prigione. Costante era uscito dalla caserma di Verona, dove svolgeva il servizio militare, senza permesso. Questo fatto gli costò 15 giorni di prigione di rigore e 30 giorni di prigione semplice.
Nel 1914 si aggiudicò la tappa più lunga mai disputata al giro d’Italia, La Lucca-Roma di 430 km.
Dovette interrompere la propria attività agonistica a causa dello scoppio del primo conflitto bellico. Nel 1917 tornò alle competizioni con un secondo posto alla Milano-Sanremo, gara che si aggiudicherà l’anno seguente.
Il 1919 vide Girardengo aggiudicarsi il terzo titolo italiano e il Giro d’Italia, manifestazione dove riuscì nell’incredibile impresa di mantenere la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa e distanziare il secondo in classifica, Tano Belloni, di oltre 50 minuti. Nell’autunno di quell’anno conquistò il Giro di Lombardia.
Sino al 1925 riuscì a conservare il titolo italiano. Purtroppo il Giro d’Italia gli sfuggì per diversi anni, sempre a causa di ritiri. Nel 1921 conquistò tutte le prime quattro tappe della Corsa Rosa. Il 1923 fu un anno d’oro per il corridore piemontese: vinse la Milano-Sanremo e il Giro d’Italia, dove si aggiudicò otto tappe.
In seguito a questi successi fu coniato per lui il termine di campionissimo, poi legato a doppia mandata a Fausto Coppi.
Una nuova figura si affacciava nel ciclismo professionista, un corridore che lascerà il suo segno indelebile in questo magnifico sport: Alfredo Binda.
Il corridore lombardo, Binda nacque a Cittiglio, nel 1925 s’ aggiudicò il Giro d’Italia precedendo Costante Girardengo.
La fortuna di Binda fu di trovare sulla propria strada un Girardengo nella fase di maturità, forse sarebbe meglio dire di iniziale declino della propria carriera. Tra i due vi erano nove anni di differenza, a favore del corridore lombardo.
Quando Binda vinse il Giro d’Italia del 1925, precedendo Girardengo, il ciclista piemontese aveva 32 anni. Malgrado l’età dimostrò di poter compiere ancora infinite imprese sportive.
Nel 1926 vinse ancora la Milano-Sanremo. In tutte le altre competizioni dovette cedere la ruota all’astro nascente Binda. L’anno seguente giunse secondo alla prima edizione dei campionati mondiali, preceduto dal ciclista lombardo.
Nel 1928, a 35 anni, riuscì nell’impresa di vincere per la sesta volta la Milano-Sanremo, battendo finalmente Binda in una volata lunghissima.
Si ritirò dalle competizioni nel 1936, dopo aver ottenuto 106 successi in strada e 965 nelle gare in pista.
La Gazzetta dello Sport nel 1935 scrisse che “Girardengo ha coperto in corsa 950.000 chilometri, quasi 25 volte il giro della Terra”. Il Corriere della Sera, a firma di Orio Vergani, scrisse: “ha corso. Non ha fatto altro. Cioè, ha fatto qualche altra cosa: ha vinto. Ha vinto in permanenza dal 1913 a oggi. Aveva tante corse da vincere, Girardengo, che non ha potuto permettersi nessuno spasso. Qualche lusso, sì: le due ville, le campagne, l’automobile. Ma divertimenti mai”.
Se non fosse per una famosa canzone di Francesco De Gregori, questo dovremmo ricordare di Costante Girardengo. Il cantautore romano ha ricordato, nell’opera “Il bandito e il campione”, il rapporto tra il campione, Girardengo, e il bandito, Pollastri.
Chi era Sante Pollastri?
Il futuro bandito nacque a Novi Ligure nel 1899. Iniziò presto la propria carriera di ladro rubando carbone per proteggersi dal freddo.
Il periodo del passaggio da ladro a omicida è avvolto nelle nebbie della pianura padana.
La leggenda vuole che divenne nemico dell’arma dei carabinieri in seguito alla morte di un suo complice durante un tentativo di furto. Una seconda versione ricorda l’abuso subito dalla sorella da parte di un appartenente all’arma. Nel 1918, a 19 anni, avrebbe ucciso il colpevole e sarebbe fuggito.
Le nebbie non si diradano, ma avvolgono sempre più questa figura. Si giunse al 1922 quando, uscendo da un bar, avrebbe sputato una caramella, al rabarbaro riportano le cronache, vicino agli stivali di due fascisti, che interpretarono quel gesto come un atto di sfida e lo picchiarono a sangue.
Il 14 luglio del 1922, Pollastri e la sua banda, formata da ladri e anarchici in fuga, rapinarono un cassiere della Banca Agricola. Nella colluttazione che ne seguì, partì un colpo dalla pistola di uno dei banditi che, colpendo in pieno petto, provocò la morte del cassiere. Gli anni della latitanza furono funestati da diversi delitti perpetrati da Pollastri: molto scalpore destò l’uccisione di due carabinieri, nel 1926, a Mede in Lomellina. Tra Piemonte, Liguria e Lombardia, la banda di Pollastri fu responsabile della morte di 5 carabinieri e due poliziotti.
Sante Pollastri scappò.
Era un uomo in fuga.
Si rifugiò a Parigi, dove fu catturato il 10 agosto del 1927.
La cattura avvenne nei pressi della metropolitana grazie all’intervento del commissario Guillaume, uomo che Georges Simenon trasformerà nel commissario Maigret consegnandolo al mito.
Sante Pollastri fu tradito da una confidenza di un informatore della polizia.
Tra i nomi degli autori dell’informazione data alla polizia si ipotizzò quello di Costante Girardengo.
Un ciclista famoso, definito il campionissimo, permise l’arresto di un pluriomicida?
Il tutto nella capitale francese?
Il rosa, colore della maglia del vincitore del Giro d’Italia, si tinge di giallo, colore che indossa il vincitore del Tour de France.
Le vite di Sante Pollastri e Costante Girardengo ebbero corsi paralleli, e non solo a causa della comune discendenza novese. I testimoni concordano sul fatto che i due si conoscessero, che fossero amici e, sempre secondo le voci, che continuassero a vedersi anche negli anni della latitanza. I due s’incontrarono sicuramente a Parigi, al termine di una gara al Velodromo, in una fredda sera dell’inverno del 1925. Quel colloquio fu oggetto di una testimonianza che Girardengo rilasciò al processo nei confronti di Sante Pollastri dopo la cattura e l’estradizione sul suolo italico.
Così si conclude la storia di un uomo divenuto campionissimo, di un amico trasformatosi nel più famoso ladro nell’Italia che si avviava al fascismo e della cattura da parte di un commissario francese divenuto leggendario grazie ad un immenso scrittore.
Fabio Casalini

Ventimiglia (IM): la stazione ferroviaria
Camporosso (IM): cippo dedicato alla memoria dei caduti, vicebrigadiere Somaschini e carabiniere Gerbi. Foto: S.B.
Camporosso (IM): Località Cassogna

La leggenda del bandito inizia quando Sante, uscendo da un bar, una sera del 1922, sputò una caramella amara al rabarbaro che cadde vicino agli stivali di due fascisti, che interpretandola come una sfida lo picchiarono a sangue.
Siamo nella città di Novi Ligure nota perché contrariamente al nome si trova in Piemonte. A dieci chilometri c’è Parodi Ligure e un chilometro più in là la frazione di Tramontana.
Si narra che i Novesi, ovunque si trovassero, si riconoscessero tra di loro, emettendo un caratteristico fischio detto “cifulò”. Si fischiava più spesso allora, e il livello di rumorosità consentiva la comunicazione sonora. Capitò così al celeberrimo bandito anarchico Sante Pollastri, verso la metà degli anni Venti, che fischiò per annunciarsi nella confusione del velodromo d’inverno di Parigi al grandissimo ciclista Costante Girardengo, chiamato l’Omino di Novi, e al suo masseur Biagio Cavanna, lo stesso massaggiatore cieco che qualche anno dopo manipolò i muscoli del campione Fausto Coppi.
Nel 1927, quando tutti credevano che Pollastri fosse rimasto ucciso in uno scontro a fuoco al confine fra Italia e Francia, il bandito raggiunse Parigi dove in quei giorni si disputava la “sei giorni”, importante gara ciclistica che vedeva Girardengo fra gli atleti più attesi. Poco tempo dopo fu l’occasione per il commissario Guillaume di arrestarlo nella metropolitana di Parigi.
Si dice che George Simenon si ispirò a lui quando a partire dal 1930 cominciò a scrivere i romanzi con il commissario Maigret come protagonista.
Ma partiamo dal dicembre 1926 quando per la banda di Pollastri incomincia la resa dei conti. Segnalati e braccati, cercano di guadagnare la via verso la Francia trasferendosi nella zona di confine ventimigliese.
La prima vittima è un cameriere fascista troppo curioso del buffet della stazione. Da quel momento dal 6 all’8 dicembre, Pollastri è segnalato in ogni luogo della zona intemelia.
Nella stazione ferroviaria di Ventimiglia il carabiniere Tommaso Brondolo intima al bandito Massari di fermarsi, il criminale tenta la fuga ma, inseguito, fredda il carabiniere con tre colpi di pistola.
C’è un amico di Ventimiglia che compare un paio di volte nelle cronache giudiziarie dei processi a Pollastri; una prima volta quando il bandito rientrato da un colpo in Costa Azzurra ottiene una Maino per poter raggiungere Novi Ligure; la seconda volta quando prima di prendere al volo il treno lungo il percorso per la Francia senza passare dalla stazione, gli procura alcuni biglietti da poter esibire ad eventuali richieste del personale viaggiante francese. L’amico si chiama Palmarin o Parmarin secondo gli adattamenti dal dialetto. Non so chi fosse esattamente, lo conosceva bene Elio l’anarchico più umano che io abbia conosciuto e immagino che sostenessero una causa comune.
In quelle notti, una pattuglia di carabinieri (vicebrigadiere Somaschini e carabiniere Gerbi) incappa in una imboscata nei sentieri che fiancheggiano la provinciale per Dolceacqua: i militi, travestiti da cacciatori, cadono uccisi.
In memoria di quel fatto, l’allora comandante del reparto, il carabiniere maresciallo capo Luigi Ronteuroli fa erigere un cippo che esiste tuttora a un chilometro da Camporosso, dopo il cimitero.
L’associazione nazionale carabinieri ne cura la manutenzione e le caserme dei Carabinieri di Sanremo e Imperia sono intitolate ai due militi. Ma mentre non ci sono dubbi su chi abbia effettuato un paio di omicidi intorno alla stazione di Ventimiglia e Pollastri e i suoi saranno infatti condannati, su quanto successo a Camporosso esistono ancora oggi dubbi e sospetti che qualche ladro di polli o piccolo delinquente locale, abbia approfittato della presenza del bandito in zona per compiere una vendetta. Pollastri uscirà infine assolto per questi due omicidi.
Proprio quella sera, lì vicino, sulla collina a est in località Cassogna, i manenti di Migone sono a cena; qualcuno picchia ai vetri. Migone è un proprietario terriero che si è portato i contadini da Genova e dall’Oltregiogo e sarà anche un proprietario della Società Anonima di Distribuzione dell’Acqua. Mentre fuori piove ed è già buio, il padre di famiglia va a vedere chi bussa; essendo originario di Tramontana riconosce subito il famoso Pollastri che è capitato lì per caso a duecento chilometri dal paese, insieme a due compari. Fanno poche parole. Si siedono e mangiano un piatto di minestrone. Non c’è paura in casa, capiscono che si tratta di banditi che rapinano banche e gioiellerie non certo una casa di campagna e dei mezzadri.
Con poche parole si fanno spiegare dove si trovano esattamente, forse credevano di essere già in val Roia; invece sono ancora nella parallela val Nervia, più lontana dal confine.
Pollastri quando va via, lascia una tavoletta di cioccolata per i bambini. Uno di questi che allora aveva tredici anni e non aveva mai visto la cioccolata, è quello che anni dopo, ha raccontato questa storia.
Scriveva Giorgio Bocca su L’Espresso: «Noi andavamo al mare a Ventimiglia, dove ogni tanto, ma questo lo abbiamo saputo dopo, il bandito Pollastri, quello che era amico di Girardengo, lasciava qualche morto ammazzato nei carruggi della città vecchia».
Pollastri aveva un altro amico che lo aveva ispirato nel suo percorso anarchico e che si era dato lo pseudonimo significativo di “Renzo Novatore” e diceva «oggi cerco un’ora sola di furibonda anarchia e per quell’ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita» e ancora «per compagno ebbi sempre il pericolo che amai come un fratello. E sulle labbra sempre l’ironico sorriso dei superiori e dei forti». È difficile dire con certezza se anche Pollastri fosse anarchico ma è certo che a una domanda del giudice aveva risposto: «ho le mie idee».
Chi ha conosciuto Pollastri da uomo libero dopo trent’anni di galera, quando aveva ottenuto la grazia dal presidente Gronchi, lo descrive come una persona tranquilla come tante, che faceva l’ambulante e viveva onestamente. Sua mamma forse avrebbe detto come tante mamme che era stata tutta colpa delle cattive compagnie e di qualche donna.
Arturo Viale, 39. Il campione e il bandito in “Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza”, Edizioni Zem, 2019

Altri lavori di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica…non c’era ancora, Edizioni Zem, 2020; L’ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz’agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini