Il Sessantotto è visto come una cesura storica

Uno dei nodi più dibattuti per la storia delle agitazioni studentesche ha naturalmente interessato – coinvolgendo prospettive metodologiche diverse – la periodizzazione attraverso cui leggere e collocare il Sessantotto all’interno del dibattito storiografico generale.
Le diverse soluzioni interpretative si sono polarizzate, nella letteratura degli ultimi quaranta anni, intorno ad un particolare bivio concettuale.
Una quota significativa di autori ha preferito studiare il Sessantotto come processo di lunga durata, da inserire all’interno di periodizzazioni più o meno ampie giustificate di volta in volta dalle diverse traiettorie di analisi.
D’altra parte la breve durata dell'”evento 1968″ ha ottenuto l’attenzione degli studiosi che hanno preferito concedere autonomia interpretativa alle agitazioni universitarie di quell’anno, sviluppando spesso approcci comparativi e narrativi tutt’altro che inconsistenti. Questa prospettiva d’indagine ha interessato tanto la storiografia italiana <6 quanto quella internazionale <7. Il doppio registro interpretativo, inoltre, non ha coinvolto solo l’aspetto temporale delle analisi, tanto nel caso degli studi sul ‘lungo periodo dei processi’, quanto in quello delle analisi della cesura storica rappresentata dal 1968 come evento originale. Il fattore ‘geografico’ si è inserito in questo problema connotando entrambe le prospettive di indagine.
In quest’ottica il problema interpretativo sulla ‘durata’ del Sessantotto si è intrecciato a quello della sua diffusione spaziale, giustificando in buona parte la diversità e la complessità degli studi pubblicati nel corso degli anni.
“Quanto fu “mondiale” in effetti il ’68? Le sue caratteristiche planetarie furono davvero tali da accantonare (e sia pure temporaneamente) le differenze tra paesi consolidate in decenni o secoli di storia degli Stati nazionali moderni, e quelle fra blocchi e aree imposte dal sistema internazionale del dopoguerra? O si trattò in effetti di un esplodere contemporaneo di crisi localizzate, ciascuna delle quali andrebbe analizzata nel suo specifico contesto?” <8
La cornice geo-politica di riferimento ha quindi forgiato la rappresentazione storica in funzione delle scelte analitiche intraprese dai vari studiosi. Mentre sul piano delle diverse storie nazionali il Sessantotto poteva essere inserito all’interno di ricostruzioni del lungo periodo dei processi di trasformazione sociale, culturale e politica, la sincronica diffusione internazionale del fenomeno ha favorito anche approcci di tipo comparativo, molto spesso in grado di porre ed evidenziare alcuni dei più originali aspetti dell'”evento” di breve durata.
Naturalmente entrambe le prospettive di indagine si fondano su apparati documentali solidi e ipotesi interpretative molto spesso coerenti e condivisibili: non si tratta di una una scelta analitica che agisce in via esclusiva, a mio parere, quanto di un approccio metodologico orientato a focalizzare o chiarire alcuni aspetti piuttosto che altri.
“La tendenza generale, è bene anticiparlo, è quella di sciogliere l’anno ’68 all’interno del decennio degli anni sessanta, o addirittura entro un’epoca che abbraccia circa un quindicennio e che si muove dal ’58-’59 circa fino al ’73-’74.” <9
Se gli storici <10 interessati alle trasformazioni sociali e culturali hanno preferito considerare l’intero decennio degli anni sessanta, molto spesso gli storici politici hanno optato per una scansione temporale fedele al ciclo economico nel quale il Sessantotto era oggettivamente inserito <11.
Una periodizzazione ‘lunga’ ha avuto particolare fortuna nella storiografia italiana anche per via dell’anomalo processo di smobilitazione che ha interessato le agitazioni negli atenei del nostro paese. A differenza di quanto avvenne negli Stati Uniti, in Francia o in Germania, infatti, per l’Italia si è a lungo utilizzata l’espressione ‘maggio strisciante’ per indicare l’andamento carsico delle proteste studentesche successive alla fase montante delle agitazioni universitarie dell’anno accademico 1967-’68.
Ma al di là del permanere di una certa effervescenza negli atenei, e al di là della relativa fortuna di quella generica definizione sulla lunga durata dell’anomalo Sessantotto italiano, il problema storiografico sulla ‘fine del Sessantotto’ nel nostro paese si è intrecciato molto da vicino con le analisi che gli storici (e non solo loro) hanno formulato sul periodo immediatamente successivo ai movimenti studenteschi di quell’anno.
I rapporti tra il Sessantotto universitario e le agitazioni operaie del 1969 culminate nell’autunno caldo, da una parte. I percorsi di continuità che, d’altra parte, permettono di collegare alcune delle spinte del Sessantotto al periodo degli anni settanta, connotati da una fase di crescente violenza dello scontro politico che è poi dilagata nella recrudescenza terroristica di alcune frange estreme – e fortunatamente minoritarie – della società italiana.
Potrebbe essere quindi sbagliato – e rischioso – procedere per generalizzazioni forzate per il solo gusto di ipostatizzare l'”anno evento 1968″, collocandolo magari troppo al di fuori dei contesti storici nei quali si è effettivamente manifestato. Probabilmente l’attenzione per gli scenari politici nazionali rimane infatti di fondamentale importanza per comprendere contorni e caratteristiche delle diverse agitazioni studentesche <12.
Fortunatamente il dibattito storiografico sulla ‘durata’ del Sessantotto non ha assunto i contorni della polemica, della querelle storiografica. Sembra anzi oggi possibile compenetrare quelle esigenze di ricostruzione dei processi di lungo periodo con l’attenzione per quel fenomeno originale – la contestazione universitaria – che è stato in grado di caricarsi – suo malgrado, in positivo o in negativo – di significati e valenze di più ampia portata.
“Stanno anche iniziando ad emergere approcci di ricerca volti a verificare l’ipotesi della portata epocale del movimento e il suo valore periodizzante attraverso studi tendenti a stemperare quel concentrato di processi e mutamenti sintetizzati nella cifra 68 in una cornice più ampia. Spostando l’attenzione dall’avvicendarsi spasmodico degli eventi dell’anno 1968 ai più lenti processi che precedettero e in parte seguirono quell’anno, il Sessantotto può meglio essere colto come fenomeno catalizzatore e acceleratore di trasformazioni comunque in corso. Contro una visione mitica del Sessantotto […] si prospettano pertanto due approcci – l’approfondimento di questioni specifiche attinenti al movimento, l’approfondimento del contesto più ampio entro cui il movimento prese forma – che solo apparentemente potrebbero risultare contraddittori, ma che in ultima analisi possono contribuire entrambi alla decostruzione di un mito in favore della storicizzazione di un complesso di eventi.” <13
E’ naturalmente evidente che questa scelta di metodo non è affatto immune da motivazioni strumentali legate a stimoli ed urgenze contingenti. Da una parte il filone storiografico della World History tende per esempio a rivalutare gli aspetti planetari del Sessantotto, anche alla luce degli eventi che nel frattempo hanno ‘trasformato’ il mondo contemporaneo <14.
“Negli ultimi anni […] sintesi storiografiche e ricerche particolari […] si sono poste il problema di dove e come collocare quell’anno e gli eventi a esso collegati: in una parola di come periodizzare il ’68. La periodizzazione della storia contemporanea […] ha riacquistato un significato importante a causa non solo della svolta cronologica del passaggio al XXI secolo, ma anche della sempre più acuta consapevolezza dell’epoca di trasformazione, di transizione, di novità e rottura che ha accompagnato e seguito le vicende del 1989, di cui il crollo del comunismo e la fine della guerra fredda sono stati i più evidenti e significativi eventi. Tutto il dibattito sulla globalizzazione […] ha di fatto significato, per la storiografia, un ripensamento non solo di facciata della periodizzazione del Novecento. In quest’ambito anche il ’68 è stato oggetto di una riflessione che, come spesso succede quando si dibatte di periodizzazione, ha avuto non pochi elementi di novità sul versante dell’interpretazione stessa di quell’anno-evento.” <15
In questa direzione uno dei nodi più interessanti riguarda l’interesse con cui anche gli storici iniziano a guardare al complesso rapporto tra azione dei mezzi di comunicazione di massa e diffusione delle agitazioni studentesche <16.
D’altra parte l’autonomia storiografica del Sessantotto sembra indirettamente confermata anche dai lavori di quanti si sono impegnati in ricostruzioni dei processi storici di lungo periodo.
Tanto che questo sia stato identificato come epifenomeno di più ampi processi di trasformazione culturale, sociale e politica <17, o piuttosto riconosciuto come momento di rottura che ha aperto un più ampio periodo di conflittualità politica <18, nessuno sembra esser riuscito a stemperare del tutto la cifra ’68’ all’interno di categorie interpretative più larghe, capaci di evadere completamente alcuni dei problemi originali posti dal breve periodo in cui si consuma l’esplosione e la dissoluzione di quell'”anno-evento”.
Tra le diverse interpretazioni è possibile considerare ad esempio la sintesi fornita da uno storico come Nicola Tranfaglia <19.
Coniugando insieme la storia politica istituzionale con l’analisi della dinamica delle agitazioni studentesche ha formulato un impianto interpretativo capace di descrivere premesse ed esiti del Sessantotto in Italia, giustificando almeno in parte alcune delle caratteristiche del caso italiano alla luce del confronto internazionale, e ponendo alcune solide basi per le ricerche storiche successive.
Almeno in parte alcune delle acquisizioni di Tranfaglia potrebbero apparire ancora plausibili.
“Bisogna partire da una costatazione ormai accettata da studiosi di vario orientamento: quando in Italia esplode la contestazione studentesca, seguita l’anno dopo da una robusta offensiva di lotte operaie, l’esperienza del centrosinistra (almeno come tentativo organico di una strategia di riforme capace di investire la società italiana) può dirsi conclusa. E i suoi risultati, significativi sul piano dei rapporti e dell’atmosfera politica, appaiono deludenti sul piano economico-sociale. […] A questa costatazione c’è da aggiungerne una seconda: se l’esperienza del centro-sinistra appare per più aspetti fallimentare (nonostante acquisizioni significative come l’istituzione della scuola media unica e della materna statale, nel ’70 lo Statuto dei lavoratori e altri interventi nel campo previdenziale, sanitario e scolastico) non si può dire che l’opposizione comunista abbia in quegli anni preparato in qualche modo un’alternativa feconda, dal punto di vista progettuale e politico, alla coalizione di governo.” <20
Il quadro politico nazionale giustifica, secondo Tranfaglia, la durata e l’intensità della crisi italiana della fine degli anni sessanta.
A differenza dunque di quel che accade negli Stati Uniti, in Francia, nella Germania federale, che furono i terreni di coltura di quel fenomeno per sua natura internazionale e “planetario”, nel nostro paese il movimento di contestazione studentesca trova una situazione da molti punti di vista del tutto favorevole. […] In primo luogo una coalizione di governo in crisi e più che mai paralizzata sul piano decisionale. Quindi un partito comunista “ghettizzato” nel sistema e incapace di scegliere con chiarezza la strada della socialdemocratizzazione a tutti i livelli […]. Ancora: un assetto istituzionale contraddittorio, caratterizzato da una Costituzione avanzata ma soltanto in parte attuata e nello stesso tempo da una legislazione ordinaria formulata nel ventennio fascista o addirittura nell’Italia prefascista ed essenzialmente autoritaria soprattutto nel rapporto tra Stato e cittadini. Infine – ed è forse questo l’aspetto più qualificante – una società in sviluppo ma ancora contrassegnata da arretratezze notevoli […]. In questa situazione, dunque, la contestazione studentesca, altrove riassorbita abbastanza velocemente sul piano politico, se non su quello culturale e del costume di vita, innesca una crisi insieme politica, sociale e culturale, di cui le lotte operaie dell'”autunno caldo” sono una prima esplicitazione e di cui la nascita della cosiddetta sinistra extraparlamentare e dei gruppi organizzati alla sinistra del partito comunista sono un altro aspetto.” <21
Tranfaglia individua effettivamente alcune delle premesse specifiche del Sessantotto italiano. Così facendo giustifica in primo luogo l’anomalia italiana della ‘durata’ della crisi della fine degli anni sessanta; e introduce, in seconda istanza, alcuni degli elementi che connotano gli anni successivi al ’68 stesso, con la violenta crisi politica e sociale che ha attraversato gli anni settanta.
“Non è possibile giudicare quel che succede negli anni settanta senza tenerlo sempre collegato (e in maniera sostanziale, non formale) al fallimento dell’esperienza di centro-sinistra, da una parte, alla crisi e ai rimescolamenti della sinistra vecchia e nuova, dall’altra, e senza dimenticare di tener conto di quei fattori nuovi e contingenti – dalla crisi petrolifera del ’73 alle scelte del partito comunista nella direzione del “compromesso storico” – che intervengono successivamente a movimentare quegli anni. […] Così la crisi aperta dalla ribellione studentesca e dall'”autunno caldo”, seguita dallo scatenarsi dell’obliqua e ambigua “strategia della tensione”, che vede coalizzati contro la sinistra servizi segreti e terroristi neri, sfocia alla metà degli anni settanta in un deterioramento così grave della situazione politica, sociale ed economica da apparire appunto ad alcuni osservatori come una crisi “organica”, e dunque di difficile o impossibile soluzione.” <22
Appare evidente quanto anche questa interpretazione del “processo” che ha generato la crisi politica italiana tra anni sessanta e settanta, che la si ritenga convincente o meno, non sia in contraddizione con l’idea che l'”evento 1968″ abbia caratteristiche e ruoli originali all’interno del più ampio periodo storico in cui è iscritto. Il Sessantotto è infatti visto come una cesura storica che affonda le proprie radici nella situazione politica italiana degli anni sessanta, e che solo successivamente contribuisce ad innescare, insieme ad altri distinti fattori, la più ampia crisi politica degli anni settanta.
Mi sembra, insomma, che l’esigenza di ricostruire nel dettaglio il ‘ciclo breve dell’insorgenza’ <23 studentesca sia tutt’altro che fuori luogo, anche in un’ottica storiografica tendente invece a privilegiare l’analisi dei processi medio-lunghi in cui la crisi universitaria si è inserita.
In altre parole la decostruzione del ‘mito ’68’ è un’operazione che può contribuire efficacemente, nell’economia degli studi storici italiani, alla raffinazione delle categorie interpretative con cui viene analizzato quel particolare nodo della storia contemporanea del nostro paese. Attraverso una storicizzazione puntuale e circostanziata di quel ciclo di agitazioni universitarie è infatti possibile rafforzare anche quelle prospettive di lungo periodo che tentano di analizzare alcuni tra i più complessi momenti della storia italiana recente.
[NOTE]
6 Nella letteratura italiana che assume la dimensione internazionale dell’evento di breve periodo al centro dei suoi problemi un posto di primo piano spetta sicuramente al volume P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1998 e alla sintesi M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 2003. Oltre a questi si muovono in questa direzione anche il saggio di Marco Revelli edito nella Storia dell’Italia repubblicana per i tipi di Einaudi (M. Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana. La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri. Istituzioni, movimenti, culture, vol. 2, t. 2, Einaudi, Torino 1995) o, per esempio, la più recente ricostruzione di Marica Tolomelli, citata poco sopra.
7 Anche in questo caso mi limiterò a citare gli studi di maggior successo, come R. Fraser (a cura di), 1968. A student generation in revolt, Chatto & Windus, London 1987, e G. Arrighi, T. Hopkins e I. Wallerstein, Antisystemic Movements, Verso, London – New York 1989. Uno degli ultimi contributi a questo filone storiografico è costituito dalla raccolta di saggi C. Fink, P. Gassert, D. Junker (edited by), 1968: The World Transformed, Cambridge University Press, Washington D.C. 1998, che forse meglio di altri testimonia la maturazione scientifica raggiunta da questo particolare approccio di ricerca.
8 Da P. Ortoleva, op. cit., p. 35.
9 Da M. Flores, A. De Bernardi, op. cit., pp. VII-VIII.
10 Nella letteratura internazionale vanno citati almeno gli studi comparativi – anche se schiacciati sull’analisi degli eventi americani – di Arthur Marwick (A.Marwick, The Sixties. Cultural Revolution in Britain, France, Italy, and the United States, 1958-1974, Oxford University Press, New York 1998) e di Gerd-Rainer Horn (G. Horn, The spirit of ’68. Rebellion in western Europe and North America, 1956-1976, Oxford University Press, New York 2007). Una simile prospettiva d’indagine ha seguito la raccolta di saggi sul Sessantotto francese curata recentemente da Michelle Zancarini-Fournel (M. Zancarini-Fournel (a cura di), Les Années 68. Le temps de la contestation, Editions Complexe, Bruxelles 2000). Per quanto riguarda la storiografia italiana voglio citare almeno la raccolta di saggi curata da Carmelo Adqaagio, Rocco Cerrato e Simona Urso (C. Adagio, R. Cerrato, S. Urso (a cura di), Il lungo decennio. L’Italia prima del 68, Cierre Edizioni, Verona 1999). Centrato sugli anni sessanta, il volume raccoglie alcuni spunti interessanti e aiuta a cogliere alcune delle premesse sociali, culturali e politiche della crisi del Sessantotto.
11 Mi riferisco ai lavori di sintesi generale sulla storia dell’Italia repubblicana. In molti casi la periodizzazione del ciclo economico-politico comprime le vicende del Sessantotto in impianti narrativi necessariamente sintetici; eppure nessuno di questi autori ha potuto fare a meno di menzionare esplicitamente la discontinuità rappresentata dalle agitazione universitarie del 1968. Tra i numerosi esempi voglio citare almeno S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dala fine della guerra agli anni novanta, Marsilio, Venezia 1992, P. Ginsborg, Storia d’Italia. 1943-1996: famiglia, societa, stato, Einaudi, Torino 1998, e G. Crainz, Il paese mancato, Donzelli, Roma 2003. Una periodizzazione orientata al ciclo economico è suggerita anche da Hobsbawm in E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1995.
12 Pur nell’approccio comparativo della sua sintesi è ancora Tolomelli a sottolineare l’importanza dell’analisi dei contesti nazionali delle diverse agitazioni studentesche. Vedi M. Tolomelli, op. cit., pp. 121-126.
13 Ivi, p. 110.
14 Particolarmente sensibile alle più recenti trasformazioni delle società politiche contemporanee si è dimostrata la raccolta di saggi curata da Carol Fink e Paul Gassert (C. Fink, P. Gassert, D. Junker (edited by), 1968: The World Transformed, cit.), già menzionata nelle note precedenti.
15 Da M. Flores, A. De Bernardi, op. cit., p. VII.
16 Il contributo più maturo su questo particolare problema è in P. Ortoleva, op. cit., pp. 153-185.
17 Sto pensando per esempio alla seconda parte del volume di Silvio Lanaro citato in precedenza, che si occupa appunto di descrivere ‘la grande trasformazione’ della società italiana del secondo dopoguerra (vedi S. Lanaro, op.cit., pp. 223-455).
18 Il problema del ciclo di conflittualità politica aperto dal Sessantotto viene in particolare sottolineato nella sintesi storica pubblicata dai tipi di Laterza. Vedi ad esempio G. Sabbatucci e V. Vidotto (a cura di), Storia d’Italia, vol. 6, L’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. V-VI.
19 Docente di Storia Contemporanea all’Università di Torino, Tranfaglia ha pubblicato numerosi interventi sulla storia dell’Italia repubblicana. Oltre ad aver curato un’importante raccolta di interviste ad ex-brigatisti (N. Tranfaglia e D. Novelli (a cura di), Vite sospese. Le generazioni del terrorismo, Garzanti, Milano 1988) Nicola Tranfaglia è curatore ed autore di A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68, Franco Angeli, Milano 1991, raccolta di saggi incentrati proprio sulle agitazioni studentesche del Sessantotto.
20 Da N. Tranfaglia, Il ’68 e gli anni settanta nella politica e nella società, in A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), op. cit., p. 328.
21 Ivi, pp. 328-329.
22 Ivi, pp. 329-334.
23 L’espressione è stata coniata da Pier Paolo Poggio nella Prefazione per A. Mangano, Le culture del sessantotto. Gli anni sessanta, le riviste, il movimento, Centro Documentazione di Pistoia , Pistoia 1989.
Fabio Papalia, Il Sessantotto italiano nella dinamica delle occupazioni e dei cortei. Un confronto tra i movimenti studenteschi di Torino, Milano e Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011