I francesi d’Algeria erano dunque contrassegnati al loro interno da profonde disuguaglianze

La necessità di mettere a coltura grandi proprietà per aumentare la resa della terra contribuì a creare l’immagine che i francesi d’Algeria fossero tutti dei grandi proprietari terrieri che avevano sfruttato la popolazione locale. In realtà alla fine dell’800 i pieds-noirs furono i fautori della bonifica della piana della Mitidja: combattendo una vera lotta contro la natura, per sconfiggere la siccità e le malattie, riuscirono a impiantare coltivazioni anche a Sersou, regione da sempre considerata incoltivabile a causa della siccità estiva e del rigore invernale <19.
Le grandi innovazioni culturali, come la coltivazione dell’eucalipto, un ottimo aiuto nella lotta contro il paludismo, sottolinearono l’abilità dei pieds-noirs nell’agricoltura e dimostrarono gli enormi benefici derivati dalla colonizzazione: «la vegetazione fiorente, i campi e i frutteti prosperi avevano reso palpabile la «giusta presenza» di coloro che avevano compiuto un tale lavoro. Era sufficiente guardarsi attorno per rendersi conto che gli europei non erano degli impostori in questa terra <20.»
[…] Camus, con ironia, ci offre uno scorcio della vita dinamica che i francesi avevano portato in queste terre: «aggrappati a immensi pendii, rotaie, vagoncini, gru, minuscoli treni… In un sole divorante locomotive simili a giocattoli girano intorno a enormi tra i fischi, la polvere e il fumo. Giorno e notte, un popolo di formiche si dà da fare sulla carcassa fumante della montagna. Appesi ad una stessa corda contro il fianco della scogliere, decine di uomini, col ventre appoggiato alle impugnature delle aratrici automatiche, trasaliscono nel vuoto per tutto il giorno e staccano spuntoni interi di roccia che crollano nella polvere rombando. Più in là, i vagoncini si rovesciano sul versante, e le rocce, scaricate bruscamente verso il mare, si lancino e rotolano nell’acqua. A intervalli regolari, nel cuore della notte, e in pieno giorno, le detonazioni scuotono tutta la montagna e sollevano perfino il mare. L’uomo, in mezzo a questo cantiere attacca la pietra di fronte. […] queste pietre, strappate alla montagna, servono l’uomo nei suoi disegni. Enormi mascelle d’acciaio scavano di continuo il ventre della scogliera, girano su se stesse e vomitano in acqua il loro sovraccarico di pietrame. Man mano che la fronte del ciglione s’abbassa, la costa intera guadagna irresistibilmente terreno sul mare <27.»
[…] Stando al lavoro di Bourdieau, del 1956, in Algeria vi erano 22.037 proprietari agricoli di cui 13.017, il 59%, possedevano meno di 50 ettari; 2.635 dai 50 ai 100 ettari; 2.588 dai 100 ai 200; infine 3.797, ossia il 17%, più di 200 <31.
A questo bisogna aggiungere che nel 1954 solo il 3% dei francesi d’Algeria disponeva di un livello di vita superiore al livello medio della metropoli, 25% a un livello pressoché uguale e il 72% ad un livello inferiore.
Eppure con lo scoppio della guerra d’indipendenza furono caratterizzati da appellativi come «sales pieds-noirs», in base al preconcetto secondo il quale essi altro non erano che colonialisti arricchitisi grazie allo sfruttamento degli arabi, avevano fatto «suer le burnus»; furono quindi catalogati come razzisti che avevano rubato la terra agli indigeni per trasformarli in una figura paragonabile al servo della gleba medievale. Quando la loro principale colpa era stata quella di non ascoltare le richieste provenienti dai neonati partiti indigeni e concedere loro maggiori diritti riconoscendoli come cittadini algerini.
L’idea, tuttavia si radicò velocemente nell’immaginario metropolitano, tanto che: «Le persone, quarant’anni dopo, pensano ancora che fossimo dei coloni! Chi dice colonizzazione dice ricchezza, dice «fair suer le burnous», dice quindi «stronzo». Mentre al contrario, vivevamo a un livello inferiore del 20% rispetto ai francesi metropolitani. Bisogna assolutamente ristabilire questa verità, far conoscere com’era composto il popolo piedsnoirs <32.»
Quando la maggior parte della comunità si occupava dei lavori più umili: «i miei nonni facevano parte di coloro che venivano chiamati los braceros, coloro che vendevano le loro braccia nei campi. Hanno condotto una vita difficile da piccoli operai agricoli, non hanno mai fatto fortuna. Non sono mai stati dei coloni. Mio nonno era sempre piegato in due, sfruttato dalla terra <33.»
O era inserita all’interno del terziario: «Vivevo in una famiglia di funzionari: papà lavorava nelle poste. Noi avevamo una vita protetta da piccoli borghesi, nel quartiere della marina, primo quartiere d’Orano popolato da spagnoli, per la maggior parte piccole persone che non avevano nulla a che fare con l’idea presente nella metropoli che tutti erano dei coloni che avevano fatto «suer le burnous» <34.»
Questa comunità di grandi colonizzatori comprendeva poi anche famiglie povere: «nelle famiglie povere, come la mia, a nove anni si lavorava già. Mia sorella Catherine ha cominciato a lavorare a quest’età, da una sarta del quartiere, che le faceva fare le pulizie invece di insegnarle a cucire! le mie altre sorelle hanno cominciato a lavorare come me a 13 anni <35».
Alcuni di loro vivevano poi in situazioni miserabili: «su un milione di europei, 900.000 provenivano da ambienti modesti, come me. Avevo dei cugini più piccoli che mangiavano in scodelle in ferro, talmente erano poveri. Non eravamo ricchi, ma non eravamo ancora così poveri come loro. Mi viene voglia di piangere quando sento: «Voi pieds-noirs, voi siete stati dei colonialisti, approfittatori.» Io sono andato con mia madre a portare dei gioielli al monte di pietà, vendere un braccialetto che mio papà le aveva donato, per una miseria, perché non avevamo altra scelta <36.»
Una povertà che aveva segnato anche lo stesso scrittore Camus, vincitore nel 1957 del premio Nobel, di cui era assolutamente fiero: «Il merito di questa felice immunità non viene a me. La debbo prima di tutto ai miei, che mancavano quasi di tutto e non invidiavano quasi nulla. […] Vivevo in ristrettezze, ma anche in una specie di godimento. […] Nato povero, in un quartiere operaio, […] dormivamo senza tetto, su una spiaggia, mi nutrivo di frutta e passavo la metà delle mie giornate in un’acqua deserta <37.»
[…] I francesi d’Algeria erano dunque contrassegnati al loro interno da profonde disuguaglianze: «le distinzioni etniche, culturali e socio-economiche non opponevano solo i quartieri oppure le città e le zone circostanze, ma anche i dipartimenti: «Gli abitanti di Algeri criticavano sempre gli Oranesi, perché l’Oranese è molto più rumoroso, più espansivo» […] L’opposizione tra i dipartimenti riproduceva le distinzioni sociali, etniche e socioculturali tra i gruppi <39».
Apparivano tuttavia come una comunità compatta se paragonati agli indigénes, da cui si differenziavano per la possibilità di votare e di poter aver un peso nelle decisioni metropolitane, diritto che era invece negato ai musulmani: «non so se veramente avessimo la coscienza di essere un gruppo, ma sapevamo di far parte della Francia, che era da qualche parte, e che gli arabi non ne facevano parte, anche se vivevano con noi <40.»
La netta frattura tra le due società, che a un osservatore estraneo potevano sembrare coese e omogenee, era dunque creata dalla nazionalità, concessa all’intera comunità europea grazie allo ius solis; presupposto alla partecipazione alla sovranità popolare e unico elemento unificatore di una comunità che aveva le proprie origini in tutta l’Europa <41.
[…] Tuttavia anche i dipartimenti del centro furono caratterizzati da un flusso continuo di migranti, «i miei bisnonni materni erano giunti in Algeria per fare del commercio di cavalli. All’inizio non pensavano di rimanerci, ma la vita nella Franca-Contea non era così facile con tanti figli <76.»; in generale nessun dipartimento fu estraneo alla possibilità di migrare in quella terra e per un breve periodo si cercò di attuare anche una colonizzazione dipartimentale <77.
Questi sbarchi di immigrati in fuga dalla miseria costituirono i primi pieds-noirs, europei con ai piedi le scarpe nere, antenati dei pieds-noirs che divennero tali a causa dell’esilio in Francia. All’inizio questa comunità nacque con l’istallazione di piccoli artigiani, commercianti, contadini senza terra e militari esonerati dal servizio poiché trasformati in coloni volontari; ma furono gli immigrati provenienti dalle altre regioni a darle lo spessore che la caratterizza tutt’ora, mélange di diverse culture in cui le sfumature di ogni comunità emergono.
[…] Per spagnoli, francesi e italiani queste terre rappresentavano se non l’accesso alla ricchezza almeno la possibilità di avere una vita migliore: «Mio nonno è partito dalla provincia di Alicante, egli era povero, e non vi erano possibilità per lui di continuare a vivere là. Allora è partito, a piedi nudi, poiché era talmente povero che aveva un solo paio di sandali che metteva la domenica <81.»
Le difficoltà a ottenere un lotto di terra, concesso di norma solo ai francesi, spinsero la totalità degli immigrati stranieri a installarsi nelle città, abbandonando l’idea di entrare nell’entroterra e cercare di migliorare la propria posizione sociale. Gli spagnoli, la comunità di immigranti più numerosa, ricrearono così delle vere enclave, soprattutto nel dipartimento di Orano.
[NOTE]
19 J. Hureau, La mémoire des Pieds-noirs, p. 119-223.
20 Testimonianza in M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 169.
27 A. Camus, Il rovescio e il dritto, Bompiani, Milano, 1959 (ed. or. L’envers et le droit, Noces, L’été), p. 129-130.
31 P. Bourdieu, Sociologie d’Algérie, Presses Universitaires de France, Paris, 1961, p. 107.
32 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-noirs, Flammarion, 2008, p. 33-34.
33 Ibidem, p. 32-33.
34 Ibidem, p. 28-29.
35 Ibidem, p. 31.
36 Ibidem, p. 35.
37 A. Camus, Il Rovescio e il diritto, p. 9-10.
39 M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 139.
40 Testimonianza in M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 118.
41 R. Gallisot, M. Kilan, A. Rivera, L’imbroglio etnico in quattordici parole-chiave, edizione Dedalo, Bari, 2007, p. 37-64.
76 Testimonianza in D. Fargues, Mémoires de Pieds-noirs, p. 26-27.
77 E. Roblès (présenté par), Les Pieds-Noirs, p. 62-63.
81 Testimonianza in M. Baussant, Pieds-Noirs: Mémoires d’exils, p. 181-184.
Ilaria Sinico, Figli di una ex-patria: l’epopea dei pieds-noirs nella Francia contemporanea, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2011/2012