Paradossale e tragico il destino di Paul Nizan

Il grande interesse per le questioni artistiche e letterarie nell’ambito dei rapporti internazionali non riguardava soltanto i regimi fascisti. A partire dagli anni tra le due guerre, infatti, anche i governi dei Paesi democratici mostrarono una sempre più limpida consapevolezza che cultura e potere politico erano «mutually dependent, not mutually antagonistic». <148 Tutto ciò poneva questioni di fondo di grande rilevanza: nel reciproco rinvigorimento di cultura e politica, non sarebbe stata proprio la cultura a soccombere, perdendo la necessaria indipendenza? Come sarebbe stato possibile per le democrazie distinguersi dai regimi totalitari, nel momento in cui ricorrevano a mezzi simili per indirizzare lo sviluppo delle attività culturali?
Tra i primi a lanciare un grido d’allarme, e certamente colui che più di altri viene ad oggi ricordato quale inflessibile critico del ruolo dell’intellettuale, fu lo scrittore Julien Benda (1867-1956), che aveva colto fin dal 1927, nella sua opera capitale “La trahison des clercs”, <149 il cedimento dell’uomo di cultura alle passioni politiche. Nel suo pamphlet Benda metteva in evidenza come, a partire dalla fine del XIX secolo, al posto della difesa di valori eterni e universali quali giustizia, verità e ragione gli intellettuali avessero dato spazio nelle loro opere alla difesa degli interessi di parte della loro nazione, della loro classe, della loro razza, perdendo il senso della trascendenza. Il tradimento sarebbe consistito nel fare di fenomeni immanenti un obiettivo morale. <150
[…] Una prima risposta a “La trahison des clercs” giunse da parte dello scrittore radicale Emmanuel Berl (1892-1976), che in “Mort de la pensée bourgeoise” <158 si schierava a favore di una letteratura impegnata e, invertendo i termini dell’analisi di Benda, reputava che il tradimento consistesse tout court nella rinuncia all’impegno politico. <159 Fu però principalmente il giovane Paul Nizan <160 (1905-1940) a porsi come contraltare all’anziano vate Benda, anticipando di circa quindici anni gran parte delle dichiarazioni di Jean-Paul Sartre sulla responsabilità dell’intellettuale. Nel 1932, anno della pubblicazione del suo “Les chiens de garde”, <161 Nizan si presentò come candidato per il PCF alle elezioni amministrative, e il suo embrigadement (ovvero la militanza all’interno di un partito che guidi le decisioni e la condotta dei singoli attivisti) <162 è la dimostrazione di come egli considerasse il rapporto tra cultura e politica in termini ancora più massimalisti rispetto a Berl.
I lineamenti della concezione dell’intellettuale proposta da Nizan sono tutti rinvenibili proprio in “Les chiens de garde”, in cui l’autore sosteneva espressamente che l’intellettuale (o meglio, nel caso specifico, il filosofo) non potesse mantenersi puro ed estraneo alle vicende politiche, e che la partigianeria – proprio come avrebbe affermato Sartre – si sarebbe rivelata anche nella scelta di astenersi. “I cani da guardia”, secondo tale visione, sarebbero dunque stati, nella Francia dell’epoca, i professori che rincorrevano la carriera accademica e gli intellettuali che si definivano liberali ma che rimanevano sottoposti al giogo della borghesia. <163
Pur ponendo Benda quale primo bersaglio della sua critica, Nizan gli era in realtà molto più vicino di quanto fosse disposto ad ammettere. Entrambi, infatti, sebbene all’insegna di diverse tonalità, si erano fatti promotori dell’impegno dell’intellettuale. È pertanto possibile ipotizzare che il contrasto tra i due non fosse da rintracciare in un dissenso di principio a livello filosofico, bensì nella diversa posizione occupata all’interno del campo letterario. Secondo una prospettiva à la Bourdieu legata al potere simbolico dell’autore, infatti, nell’ideale scala del posizionamento in cui si riconoscono quattro tipi di scrittori – gli “arrivati”, gli “esteti”, gli “scrittori popolari” e gli “avanguardisti” – Julien Benda sarebbe rientrato nel gruppo degli “esteti”, mentre Nizan, con la sua energica passione politica, sarebbe stato da classificare tra gli “avanguardisti”. Tali osservazioni inducono a vagliare con attenzione il problema della responsabilità degli intellettuali attraverso la lente dell’analisi sociale. Rappresentante per eccellenza, secondo Nizan, della categoria professorale, pur avendo svolto per tutta la vita attività giornalistica senza essere neppure eletto all’Académie française, Benda finiva per essere il principale capro espiatorio per l’autore di “Les chiens de garde”, il cui messaggio era chiaro: i veri filosofi, per fornire un senso alla propria ricerca, dovevano necessariamente operare il tradimento della propria classe sociale piuttosto che quello di certi valori ritenuti universali.
Profondamente influenzato dall’analisi marxista, Paul Nizan emerge come simbolo perfetto dell’intellettualità – non solo francese – degli anni Trenta, così come Julien Benda, anche se per motivi differenti. Nel dies irae bellico che si stava preparando all’orizzonte, anticipato dalla crisi del 1929 e dallo sfaldamento della Società delle Nazioni, molti intellettuali, economicamente impoveriti e dunque anche più combattivi, andavano alla ricerca di un patronum al quale rendere i propri servigi. In tale contesto, Benda e Nizan, appartenenti a generazioni e famiglie sociali diverse, erano entrambi emblema di quanto essere engagé non portasse al ristabilimento di un’accomodante armonia interiore, ma a tortuose e irrisolvibili aporie. Come altrimenti interpretare i continui salti mortali di Benda per giustificare il proprio curriculum politico di compagnon de route? Come giudicare il sofferto allontanamento di Nizan dal PCF nel 1939? Caduto nel maggio 1940 nei pressi di Dunkerque <164 – «Les parfums du printemps le sable les ignore / Voici mourir le Mai dans les dunes du Nord» <165 – Nizan avrebbe perfino subito la vergognosa damnatio memoriae riservata a chi volgeva le spalle alla causa comunista, dando prova di come spesso per l’intellettuale engagé non vi sia pace neppure dopo la morte.
I fermenti artistici e filosofici dei primi anni Trenta attestano come l’impegno politico e sociale dell’uomo di cultura fosse una delle questioni più discusse. Al di là delle trattazioni riservate alla responsabilità dell’intellettuale da parte di attenti osservatori della vita politica (quali Benda, Berl, Nizan), è necessario considerare che, al principio del decennio, tutti i nodi della filosofia antipositivista vennero al pettine, anche sulla scorta di alcune scoperte scientifiche come il principio di indeterminazione di Heisenberg, che assegnava al caso un ruolo predominante all’interno della teoria quantistica. <166
[NOTE]
148 IRIYE, Cultural Internationalism and World Order, cit., p. 127.
149 JULIEN BENDA, La trahison des clercs, Grasset, Paris 1927 (edizione più recente Grasset, Paris 2003; prima edizione italiana sotto il titolo Il tradimento dei chierici, Gentile, Milano [1946], ma si veda ADRIANO TILGHER, Julien Benda e il problema del tradimento dei chierici, Libreria di scienze e lettere, Roma 1930 e, soprattutto, DAVIDE CADEDDU, L’autonomia della cultura di Julien Benda, in JULIEN BENDA, Il tradimento dei chierici, Einaudi, Torino 2012).
150 Cfr. in particolare GIPPER, Der Intellektuelle, cit., pp. 155 sgg.
158 EMMANUEL BERL, Mort de la pensée bourgeoise. Premier pamphlet: la Littérature, Grasset, Paris 1929.
159 GIPPER, Der Intellektuelle, cit., pp. 166-167.
160 ANNIE COHEN-SOLAL, Paul Nizan, communiste impossible, Grasset, Paris 1980; YOUSSEF ISHAGHPOUR, Paul Nizan. L’intellectuel et la politique entre les deux guerres, la Différence, Paris 1990; PASCAL ORY, Nizan: destin d’un révolté, Complexe, Bruxelles 2005 [1980]; CLAUDE HERZFELD, Paul Nizan: écrivain en liberté surveillée, L’Harmattan, Paris 2010.
161 PAUL NIZAN, Les chiens de garde, Rieder, Paris 1932.
162 Cfr. SCHALK, The Spectrum of Political Engagement, cit., p. 23. Schalk fa riferimento a PAUL-LOUIS LANDSBERG (in realtà Paul Ludwig Landsberg, uno dei profeti misconosciuti dell’engagement), Réflexions sur l’engagement personnel, in “Esprit”, n°62, 1° novembre 1937.
163 Ivi, pp. 59 sgg.
164 JEAN-MARC ALCALAY, La plume et le fusil. Des écrivains dans la tourmente de Dunkerque, Ysec, Louviers 2008.
165 LOUIS ARAGON, La nuit de Dunkerque, in Les Yeux d’Elsa (1942).
166 Cfr. DAVID C. CASSIDY, Un’estrema solitudine. La vita e l’opera di Werner Heisenberg, Bollati Boringhieri, Torino 1996 e soprattutto WERNER HEISENBERG, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, a cura di GIUSEPPE GEMBILLO, ENRICO ANTONIO GIANNETTO, Sellerio, Palermo 1999 e ANNA LUDOVICO (a cura di), Effetto Heisenberg. La rivoluzione scientifica che ha cambiato la storia, Armando, Roma 2001.
Fabio Guidali, Uomini di cultura e associazioni intellettuali nel dopoguerra tra Francia, Italia e Germania occidentale (1945-1956), Tesi di dottorato, Freien Universitàt Berlin ed Università degli Studi di Milano, Berlino, 2013

Non deposero il fucile altri scrittori, generalmente comunisti rimasti fedeli al partito e al movimento internazionale, non solo italiani, che collaboravano al foglio del PCdI sempre edito a Parigi, “Lo Stato Operaio” o alla testata, in lingua francese, “Correspondance Internationale” (1926-1939), dove troviamo fra gli altri un esempio vivente di cosmopolitismo quale Leo Weiczen, più noto col nome italianizzato di Leo Valiani, anch’egli passato attraverso la dura esperienza del carcere fascista e la militanza nel Partito comunista (nel caso, quello italiano) e poi, affetto anch’egli dal virus anticomunista, attestatosi su posizioni non troppo lontane politicamente da quelle terzaforziste, anche se diverse da quelle specificamente assunte da Camus, il quale, tra il ’37 e il ’38, avviava una fase nuova, rompendo col comunismo (staliniano), e cominciando a riflettere, mentre si avvicinava al mondo anarco-libertario, sulla natura del potere: c’è un nesso evidente con l’esperienza politica conclusa, e l’inizio di quella nuova. Il dramma “Caligula”, a cui si dedica dopo aver letto i “Dodici Cesari” di Svetonio. Il campo comunista, e più in generale della sinistra intellettuale, era attraversato da turbamenti profondi, con le notizie che giungevano, pur attutite, da Mosca; e nel ’39, poco prima che la guerra divampasse, una nuova guerra mondiale, il Patto Ribbentrop-Molotov fu l’occasione di dolorose lacerazioni. In Francia l’esempio più clamoroso è quello di Paul Nizan, nato qualche anno prima di Camus (nel 1905), e giunto alla fama già nel ’31, con “Aden Arabie”. Nel ’38 Nizan pubblicava un altro testo squisitamente politico, ma con la freschezza di un bildungroman scritto con mano leggera, “La cospiration”; dopo aver collaborato alla stampa comunista ufficiale, e aver partecipato al I Congresso degli Scrittori sovietici, a Mosca, Nizan, a seguito del patto nazi-staliniano, ruppe col PCF, e subì, dopo la precocissima morte nell’attacco di Dunkerque, nel maggio del ’40, una “damnatio memoriae”, che neppure Jean-Paul Sartre negli anni Cinquanta riuscì a spezzare.
Angelo d’Orsi, Tra penne e fucili. Albert Camus e gli ambienti intellettuali nell’Europa fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, Cahiers de la Méditerranée, n° 94 – 2017

Paradossale e tragico il destino di Paul Nizan, il gemello inquieto di Sartre con il quale condivideva persino un leggero strabismo.
Singolare e affascinante il suo destino se basta evocarne il nome perché la galassia di sinistra – di diversa epoca, generazione ed ispirazione – tenda a spaccarsi in mille schegge, in un tentativo di avvicinamento condannato a rovesciarsi in lontananza. “Perché abbiamo dimenticato Nizan?”, un ritornello che scandirà i sessant’anni che ci separano dalla sua morte (a Dunkerque, il 23 maggio del 1940, combattendo contro i tedeschi). A lungo icona tragica del militante tradito – accadde nel 1939, quando lo scrittore in polemica con il patto tra Stalin e Hitler si dimise dal Partito comunista francese ricevendone in cambio l’epiteto di “spia della polizia e provocatore” – oggi Nizan diventa un caso editoriale. La Baldini & Castoldi decide di dare alle stampe “La cospirazione”, il terzo e ultimo dei suoi romanzi
[…] Le critiche non hanno impedito a Marco Revelli, autore del repechage e “regista” della Biblioteca della Sinistra (la collana di Baldini & Castoldi), di difendere fino in fondo la scelta di pubblicare “La cospirazione”, colorandola d’una venatura polemica contro “la sinistra conciliata di oggi”. “Nizan”, spiega, “incarna a tutto tondo la figura tragica del traditore tradito – traditore della sua classe sociale che poi viene tradito dal suo partito – figura fastidiosa per una sinistra che ha rimosso totalmente da questo secolo la dimensione del tragico, ossia la durezza delle scelte, l’ineluttabilità di soluzioni dolorose, il continuo rovesciamento del bene in male”. Nizan simbolo del tragico contro “una rappresentazione plastificata della storia” […]
Simonetta Fiori, Paul Nizan. La sinistra lo rigetta, la Repubblica, 12 novembre 1997

Uno dei primi a recensire “La Nausée” fu un amico di Sartre, quel Paul Nizan autore de “La Cospiration”, romanzo che sarà oggetto dell’analisi di Camus l’11 novembre sempre su «Alger républicain». Su «Ce soir», il 16 maggio 1938, il normalien comunista consacra a “La Nausée” una recensione positiva. A quel tempo, nonostante una pregressa amicizia, esistevano manifeste divergenze tra Sartre e Nizan sul piano concreto dell’azione e della partecipazione politica; Nizan è impegnato nel Partito Comunista, Sartre è profondamente indifferente alla politica. Nizan nella recensione legge “La Nausée” con più benevolenza rispetto al ritratto del suo autore delineato ne “Le Cheval de Troie”, romanzo in cui Sartre, sotto il nome di Lange, veniva dipinto come un filosofo solitario, affascinato dal nichilismo. La ragione di questa positiva adesione risiede tutta nel fatto che Nizan, nel diario di Roquentin, riscontri ed esalti la critica alla società borghese della provincia francese, elemento di non poco interesse per un intellettuale comunista. Ad ogni modo, in questa breve nota Nizan testimonia una certa perspicacia nel prevedere alcuni spunti dell’evoluzione futura della filosofia sartriana […]  <8
[…] Nizan finge evidentemente di non conoscere Sartre. Questo escamotage consente al recensore di accedere al romanzo con chiavi di lettura appropriate e di cogliere dettagli di notevole interesse, anche in un testo di circostanza così breve. Il Kafka francese invece di interrogarsi sul senso della vita, come l’originale praghese, si interroga sul fatto dell’esistenza. L’esistenza è colta da Sartre nella sua dimensione ontologica più profonda (Nizan non parla di contingenza) e non nella sua dimensione sociale. Per questa ragione “La Nausée” è un romanzo della solitudine esistenziale, dell’esistenza vissuta nella sua fatticità, in solitudine. La Nausée tratta dell’uomo solo al cospetto della sua esistenza. Il tema dominante dell’opera, filosoficamente fondato e strutturato, è sviluppato da Sartre con estremo rigore intellettuale ed espressivo tanto da poter risultare indigesto per molti lettori. Sartre è pertanto considerato da Nizan un romancier philosophe, ma non nel senso frivolo in cui lo fu Voltaire; ne “La Nausée” si consuma quel connubio tra letteratura e filosofia esistenziale finora solo abbozzato in forma d’idea. “La Nausée” celebra le nozze tra le due discipline, così a lungo tenute separate dall’accademia e dalla tradizione filosofica occidentale.
8 La recensione di Nizan, pubblicata su «Ce soir» il 16 maggio 1938, è ripresa in: Les critiques de notre temps e Sartre, présentation par Jacques Lecarme, Garnier, Paris, 1973, pp. 35-36.
Andrea Trabaccone, Esperienza e Rivolta. Implicazioni storico-filosofiche dell’esperienza dell’assurdo e della Resistenza in Albert Camus (1939-1947), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2011/2012