I piani dell’esercito italiano nel 1945 contro la Jugoslavia

AUSSME, Fondo Sim, I° Divisione b.561. Fonte: Junio Valerio Tirone, Op. cit. infra

Dagli accordi che sancirono l’uscita dell’Esercito slavo da Trieste e la creazione delle prime due Zone (A e B) in poi, gli eventi si sarebbero costantemente svolti lungo due diverse direttrici, quella politica e quella militare, fortemente intrecciate tra di loro; per questo motivo i reparti informativi dell’Esercito italiano furono impegnati in una doppia azione di monitoraggio, della situazione politica nella Zona A e degli sviluppi internazionali riguardanti il definitivo assetto che si sarebbe avuto dopo la dichiarazione delle direttive del Tratto di Pace, e dei pericoli militari provenienti da oltre confine, oltre che relativamente all’attività spionistica e di sabotaggio interni.
Questa premessa risulta doverosa poiché le lunghe tappe che portarono alla ratifica del Trattato di Pace furono relative soprattutto all’ambito politico ma ebbero un chiaro riflesso anche sulla situazione militare; per questo motivo spesso troviamo documenti nei quali risulta il tentativo di costruire la situazione di un partito o movimento politico e allo stesso tempo, in parallelo, riflessioni sulla dislocazione e i movimenti delle truppe straniere oltreconfine.
Nell’estate del 1945, e per tutto il resto dell’anno, fino alla Conferenza di Parigi, l’Ufficio I fu molto impegnato proprio nel tentativo di iniziare ad orientarsi sui vari fronti tematici suddetti e per questo motivo monitorò e redasse periodicamente numerose relazioni circa l’evolversi della situazione politico-militare soprattutto nella Venezia Giulia; inoltre sino alla ratifica del Trattato i vari uffici furono impegnati anche nel tentativo di approntare delle prime direttive difensive sulla base delle possibili linee di confine che sarebbero state imposte. Le risorse sfruttate furono immense, le fonti innumerevoli e di diversa natura e provenienza. Ciò comportò inevitabilmente, oltre a una produzione documentaria immensa, la presenza fra alcuni di questi anche di notizie alquanto fantasiose, come quella, segnalata addirittura come affidabile, che vorrebbe Tito sostituito da un somigliante funzionario sovietico.
“[…] Da fonte slava anonima si apprende che il maresciallo Tito attuale non sarebbe lo stesso Tito del 1941. Il Tito del 1941 sarebbe nato nei dintorni di Zagabria presso Klnaec […] il nuovo Tito sarebbe il generale russo Lebedev il quale, in seguito al ripristino delle relazioni diplomatiche tra Jugoslavia ed Urss nel 1939 fu nominato membro dell’ambasciata sovietica a Belgrado ed ambasciatore commerciale del soviet. Sembrerebbe che coloro i quali hanno avuto occasione di vederlo e dirlo affermino che il titolo del 1941 non è più quello di oggi; avrebbe una strana rassomiglianza con lui, ma non lo sarebbe in quanto che Joseph Broz parlava correttamente il croato, oggi invece la sua pronuncia sarebbe spiccatamente russa; inoltre anche altri numerosi particolari confermerebbero questa versione” <179.
Situazione del Partito Comunista slavo nella Venezia Giulia (prima decade di luglio 1945) a) – Caratteri generali – il Partito Comunista slavo e sempre ufficialmente legato all’OF (Osvobodilna Fronta-Fronte della Libertà) ed appoggia in pieno le mire imperialistiche, sulla Venezia Giulia, della Jugoslavia di Tito. Fedele alle direttive ed agli incitamenti dei commissari politici dell’Urss, i quali, non solo svolgono la loro attività panslava nel territorio della Venezia Giulia, ma si infiltrano nella piana friulana e nel Veneto, ove sono giunti con i loro metodi totalitari, sino a Motta di Livenza ed Oderzo, affacciandosi anche a Venezia, per lavorare a favore della loro politica, i numerosi profughi Giuliani e Dalmati qui rifugiati. Per questi caratteri, il Partito Comunista è decisamente antitaliano ed avverso anche agli Alleati. […] b) Situazione a Trieste – Il Partito Comunista slavo è sorretto da tutta la stampa locale, che grazie all’occupazione slava, e sorta indisturbata aiutata anche da Tito finanziariamente e svolge in pieno la propaganda delle idee provenienti dall’oriente sovietico. – Il giorno 8 luglio 1945 alla riunione, tenutasi nelle sale cinematografiche della casa del lavoratore portuale hanno partecipato circa 2000 persone. Il compagno presidente, fra l’altro, ha sottolineato che il numero complessivo degli iscritti al partito comunista slavo a Trieste, poco più di 4000, in raffronto alla popolazione della città è troppo esiguo. Ha dato quindi direttive per fare aderire anche i simpatizzanti intensificando la propaganda. […] – I recenti provvedimenti con i quali l’AMG va prendendo gradatamente possesso delle varie branche amministrative, privando un po’ alla volta dell’autorità pubblica le amministrazioni comuniste slave, le quali avevano usurpato il potere con la nota illegalità, e con esclusione di tutti gli altri partiti pure esistenti, hanno dato origine per reazione, sotto la direzione di elementi direttivi comunisti slavi, a forme di sciopero sabotatore all’opera di ricostruzione alleata iniziata nella zona. La polizia alleata, venuta a conoscenza di uno sciopero di tre giorni, in progetto di organizzazione, il giorno 11 luglio 1945 ha eseguito il fermo di 150 elementi comunisti slavi, tra cui anche elementi e membri del CEAIS. […] – I dirigenti comunisti di Gorizia non sono goriziani, ma elementi importati dalla Jugoslavia. – Anche a Gorizia alcuni comunisti italiani avrebbero manifestato la loro avversione a Tito che li avrebbe ingannati. c) Situazione in Istria – Il Partito Comunista slavo domina quasi esclusivamente e combatte di reazionario e fascista e con minacce di deportazione per i suoi esponenti, il Partito Democratico-Sociale che si presenta tuttavia abbastanza forte. – In seno al Partito Comunista esiste una corrente italiana, ma essa è soffocata dal nazionalismo slavo e momentaneamente è completamente assente dalla vita politica. […]” <180
Una importante e approfondita relazione riguardante la possibile difesa del confine orientale qualora questo fosse stato confermato lungo la linea Wilson, considerata molto sfavorevole, dimostra l’attenzione particolare che veniva posta nella pianificazione strategica della difesa del confine orientale, considerato il più a rischio. Il tutto, sottolineiamo ancora, mentre contemporaneamente si era impegnati, come visto poco fa, nel monitoraggio dei movimenti politici ostili operanti sul territorio nazionale.
Frontiera orientale
La linea Wilson dal punto di vista militare
Il presente studio è compilato su richiesta del ministero affari esteri, e precisamente della commissione per lo studio tecnico dei confini italiani. In esso sono esaminate le conseguenze di uno spostamento del confine alla linea Wilson.
Si ritiene però è necessario dire subito che se l’Italia deve avere un confine orientale militarmente efficiente, esso non può essere che il confine stabilito dal trattato di Rapallo. È opportuno non dimenticare in proposito quanto scrisse anni orsono il generale Perrucchetti “un avversario padrone del Carso e sull’Isonzo, e chi sull’Isonzo è nella nostra pianura.” Frase vera allora, verissima oggi. Il Carso conquistato a prezzo di tanto purissimo sangue deve rimanere italiano a difesa della nazione. Militarmente qualsiasi linea di confine ad Occidente di quella di Rapallo può essere accettata solo come imposizione unilaterale, in virtù di una situazione politica a noi assolutamente sfavorevole, non come base di trattative per la delimitazione di un confine orientale che dia almeno un minimo di garanzia di sicurezza.
[…] Irrazionalità della linea Wilson dal punto di vista geografico, etnico-economico.
1) Fattore geografico.

La regione nota sotto il nome di Venezia Giulia comprende i territori compresi tra le Alpi Carniche orientali, le Alpi giulie ed il mare Adriatico. Comprende cioè i bacini dei fiumi tributari dell’Adriatico settentrionale sino alla zona Dinarica o Dalmazia, che costituisce regione avente propria caratteristiche. In breve, essa comprende il bacino dell’Isonzo, l’Istria e la Liburnia. Due linee di ostacolo montano aventi andamento grossolanamente dinarico attraversano la regione. Sulla più orientale di esse, che ha funzione di displuviale fra il bacino Adriatico e quello del Mar Nero, corre attualmente il confine politico Italo jugoslavo. La regione appartiene indiscutibilmente alla regione italiana; geologia, orografia, idrografia, clima, vegetazione concordano con i loro dati in questa affermazione. Essa degrada verso la pianura veneta orientale e verso l’alto Adriatico ed è nettamente separata, dalla linea orografica delle Alpi Giulie, dai bacini della Sava e della Kulpa che appartengono a quello del Mar Nero, mentre ad Occidente si stendono i bacini dell’Isonzo e del Timavo e dei fiumi istriani appartenenti a quello dell’alto Adriatico. Nella determinazione del confine geografico della regione si può quindi seguire, come generalmente usato, il criterio della displuviale. Esso consente di determinare con facilità il confine nella parte nord sino ad Hotedersica. Le Alpi Giulie settentrionali ed il rilievo di Nauporto presentano una displuviale marcata fra gli opposti bacini dell’Isonzo e della Sava. Difficile è invece questo criterio nella zona meridionale per la complessità della orografia e perché l’idrografia diviene parte superficiale e parte sotterranea, dando luogo ai noti fenomeni del carsicismo. Qui pertanto, oltre il puro criterio della displuviale, sembra opportuno seguire anche le indicazioni orografiche più evidenti. L’esistenza dei bacini chiusi della Piuca e dell’Unec nonché l’imprecisione dell’antica cartografia della regione, hanno diviso i geografi in due scuole:
a) quella che, attribuendo entrambi i bacini chiusi e le acque che scendono dal Quarnaro al versante italiano, fa passare il confine geografico, dal passo di Idria alla displuviale del Carso Carniolino occidentale, riallacciandosi attraverso la sbarra di Babino Poje al M. Nevoso, indi segue lo spartiacque del Nevoso, raggiungendo la costa presso Buccari.
b) Quella che attribuendo i due bacini chiusi e le acque che scendono dal Quarnaro al versante jugoslavo fa passare il confine geografico per la Selva di Piro, il Nanos, l’Auremiano, la displuviale fra il bacino del Timavo e quelli della Piuca e della regina di Fiume, attraversando il Carso liburnico per raggiungere M. Maggiore e la catena dei Caldiera.

Si può ritenere che questa seconda ipotesi sia meno esatta in quanto non è possibile prescindere dalla realtà geografica del Nevoso su cui indiscutibilmente passa il confine geografico italiano. Sembra anche arbitraria l’attribuzione al versante Jugoslavia delle acque scendenti al Golfo di Fiume. Anche volendo ammettere che i bacini chiusi della Piuca e dell’Unec appartengano al versante jugoslavo il confine geografico dovrebbe in tal caso dall’Auremiano riallacciarsi attraverso le dorsali Milensi-Ossoinizza e Milanca-Milonia al M. Nevoso e di qui scendere al mare tra il Recina di Fiume e Castua.
Lunga può essere la discussione fra le due tesi, comunque è certo che la linea Wilson staccandosi dall’attuale confine al Porsenna e tagliando arbitrariamente le Valli dell’Idria e del Timavo non risponde ad alcun criterio geografico. In effetti essa non è linea di confine naturale, in quanto non ha alcuna funzione di ostacolo separatore e pertanto non si presta con la sua delimitazione a facilitare il compito degli uomini di governo per armonizzare gli interessi dei rispettivi stati.
1) Fattore etnico

Sotto l’aspetto etnico la linea Wilson non rappresenta una vera separazione fra le due razze, in quanto lascia notevoli nuclei slavi ad Occidente, e forti nuclei italiani ad oriente. Si deve prenotare che non è assolutamente possibile tracciare una linea di separazione fra le due masse etniche che si sovrappongono in maniera inestricabile.
2) fattore economico
Anche sotto l’aspetto economico la linea Wilson non ha un vero fondamento. Essa mirava ad assegnare alla Jugoslavia la linea ferroviaria Fiume-Lubiana ma per contro spezza l’unità economica della regione […]
In sintesi, la linea Wilson divide innaturalmente una regione costituente un individuo geografico a sé stante ben delimitata ad Occidente dalla pianura friulana e verso Oriente dall’alta Sava e dall’alta Kupa.
La linea Wilson nel quadro strategico generale.
1) Prima di addentrarci in un esame minuto dell’efficienza militare della linea Wilson è indispensabile un esame generale che collochi detta linea al suo esatto posto nel quadro più vasto dell’intero problema strategico nel teatro d’operazioni giuliano. Esso è necessario per dar ragione di molte affermazioni che verranno fatte nel corso dell’esame e dettagliato della linea per consentire una visione completa del problema.

2) Deve essere tenuto presente che il valore strategico di una frontiera è in funzione di molteplici fatture che determinano l’atteggiamento iniziale delle forze belligeranti che attualmente non possono essere noti. Il valore strategico che le si può attribuire può pertanto essere oggi riferito al solo fattore terreno.
3) Il presente studio esamina solo le possibilità difensive in quanto uno sguardo anche sommare alla linea Wilson porta a concludere che essa ha deciso orientamento offensivo verso il nostro paese.
Il teatro di operazioni Italia Jugoslavia comprende tutta la zona montuosa compresa fra la pianura veneta e le conche di Zagabria e Karlovac.
[…] i grandi obiettivi strategici possono essere rispettivamente: Per l’Italia le conche di Zagabria e di Karlovac; Per la Jugoslavia la pianura friulana ed il Golfo di Trieste.
Obiettivi di grande valore morale sono rappresentati da Trieste, Fiume e Gorizia per gli jugoslavi, da Lubiana per noi. L’esame delle distanze rileva che gli obiettivi di una offensiva jugoslava sono all’incirca alle seguenti distanze dal confine: – Udine chilometri 55; – Gorizia chilometri 40; – Trieste chilometri 40.
Gli obiettivi per una nostra offensiva sono invece alle seguenti distanze dal confine: – Passo Radece-Zagabria chilometri 200; – Nauporto-Zagabria chilometri 140; – Nauporto-Karlovac chilometri 120.

[…] Gli obiettivi più sensibili, quali Gorizia e la pianura friulana, Trieste e Pola sarebbero così vicinissimi alla linea di confine. Appare subito evidente la diversa situazione strategica dei due Stati che, mentre non consente a noi nessuna possibilità offensiva, consente invece ampie possibilità alla Jugoslavia. Possibilità operative da est verso il territorio nazionale (fasci operativi) operazioni belliche che dalla zona arretrata jugoslava (Celje, Zagabria, Karlovac) tendessero alla pianura friulana possono sfruttare quattro grandi fasci operativi tra loro indipendenti che si possono così indicare da nord a sud: a) fascio operativo Valli Sava-Tagliamento: dalla zona di Celje porta alla pianura friulana ad ovest di Udine in zona particolarmente delicata. Per le caratteristiche del terreno nel quale si svolge presenta difficoltà di penetrazione tattica e quindi, pur avendo grande portata logistica, si può considerarlo poco conveniente per l’attaccante. Non interessa comunque il tratto di confine dove si svolge la linea Wilson e perciò non viene esaminato più particolarmente. Azioni lungo questo fascio potrebbero però verificarsi come sussidiarie di quelle sui fasci più meridionali. b) Fascio operativo di Chirchina: dalla zona di Zagabria e dalle conche di Kranj e Lubiana porta alla valle dell’Isonzo e di qui per il solco del Natisone alla pianura friulana, presso Udine. Attraverso il confine attuale, con diverse rotabili, nel tratto tra Piedicolle e Hotedersica, in una zona che rappresenta il punto più praticabile dell’intero confine. Le condizioni del terreno e della viabilità consentono di impiegare su questo fascio, almeno 8 divisioni, in parte anche corazzate, massa che potrebbe essere facilmente radunate in prossimità della frontiera con tutta segretezza, per presenza nelle zone di estese foreste che impediscono l’osservazione. Particolare importanza ha la conca di Tolmino alla quale confluiscono le varie rotabili e che rappresenta il fondamentale perno di manovra, di questo fascio. Portando il confine alla linea Wilson la Jugoslavia avrebbe ottime possibilità di occupare la conca con un’azione di sorpresa. In effetti la prossimità della linea di frontiera (7- 10 km) e la copertura della zona consentono lo schieramento delle artiglierie e di raccogliere le truppe necessarie all’azione, senza che il difensore possa avvedersene. Se avrebbe cioè la possibilità che il perno di manovra della zona cada in mani nemiche prima ancora dell’inizio delle ostilità. c) Fascio operativo di Nauporto da Zagabria e Lubiana, Kocevie porta a Gorizia e alla pianura friulana, oppure su Trieste consentendo di raggiungere rapidamente obiettivi di grande importanza. Attraversa il confine nella zona di Nauporto e in quella di Planina. le buone condizioni di viabilità consentono di impiegare su questa direttrice circa 10- 12 divisioni, che possono essere in parte notevole, corazzate o motorizzate. Preminente importanza ha il perno di manovra di Gorizia per le vaste possibilità di manovra che consente. Ad esso convergono, e da esso si dominano, tutte le vie di accesso alla pianura friulana. Ma arretrando il confine alla linea Wilson si aggraverebbe notevolmente la nostra situazione in quanto: – si lascia l’avversario il possesso della conca di Postumia, che diventerebbe una importantissima base avanzata di grande capacità logistica e che consente la dislocazione di forze notevoli; – la Jugoslavia avrebbe buone possibilità di occupare la conca di Gorizia con azioni di sorpresa, sia per la vicinanza delle linee di frontiera sia per la possibilità di occultare nella selva di Piro le forze che dovrebbero agire, sfuggendo completamente alla nostra osservazione. d) Fascio operativo del Vrata dalla zona di Karlovac e Ogulin e da quella di Cabar, Delnice e Castua porta a Fiume a Trieste ed alla penisola istriana (Pola). Raggiungere obiettivi di importanza militare non decisivi, ma di grande importanza morale. La rete delle comunicazioni consente su questo fascio un impiego di 12- 13 divisioni che potrebbero essere tutte o in parte corazzate e motorizzate. Qualora si portasse il confine sulla linea Wilson la nostra situazione militare si aggraverebbe notevolmente perché la Jugoslavia: – avrebbe il possesso delle conche di San Pietro del Carso, Villa del Nevoso e Sappiane, e che diventerebbero importanti basi avanzate situate oltre la stretta logistica imposta dall’attuale confine. Ciò consentirebbe all’avversario di aumentare notevolmente le proprie possibilità operative in questo settore, concentrando nelle conche suddette forze, e soprattutto materiali, nel periodo precedente all’inizio delle ostilità; – potrebbe sfruttare la via mare percorrendo con tutta sicurezza i canali interni tra la costa di Veglia e le isole di Cherso; – disporrebbe di ottime possibilità per un’azione di sorpresa su Trieste, per la relativa vicinanza dell’obiettivo alla linea di frontiera, per la convergenza di varie comunicazioni su di esso e per la larga possibilità di impiego di forze corazzate e motorizzate, data la mancanza di ostacoli naturali; – avrebbe buone possibilità di occupare di sorpresa Pisino è ottima ed interrompere la ferrovia istriana che a Castel Lampugnano disterebbe solo 3 km dalla frontiera; – col possesso delle isole di Cerso e Lussino potrebbe agevolmente svolgere operazioni di sbarco sulla costa orientale dell’Istria.
In sintesi: pericolosità dei vari fasci operativi: a) riferita al confine attuale: i fasci operativi di Chirchina e di Nauporto sono i più pericolosi perché: – da queste direttrici si tende ad obiettivi di importanza politico- strategica decisiva; – la distanza fra il confine e l’obiettivo strategico è minore in questo tratto che negli altri; – le basi avanzate di Krani e Lubiana sono vicine al confine, hanno ampia possibilità di raccolta e di manovra dei mezzi e sono ottimamente collegate con le Regioni interne della Jugoslavia; sono quindi in grado di alimentare uno sforzo anche prolungato e massiccio; – la zona di confine consente nel tratto interessato, ampia possibilità di manovra; – un’azione che riuscisse a sbloccare oltre Tolmino e Gorizia porterebbe alla caduta dell’intero fronte italiano con conseguenze particolarmente gravi per le forze schierate a sud. Ne consegue che è necessario assicurare in modo particolare la difesa contro dette provenienze. b) riferita alla linea Wilson. Si avrebbero: – basi avanzate molto prossime agli obiettivi che per la copertura arborea della zona, consentono di ammassare mezzi e forze sfuggendo ad ogni osservazione; reti delle comunicazioni notevolmente sviluppate, tali da consentire maggiori possibilità operative ed un più intenso sforzo logistico, nonché l’impiego di notevoli forze corazzate e motorizzate; – notevolissime possibilità di azioni di sorpresa contro obiettivi di particolare importanza strategica e morale prima della dichiarazione di guerra o contemporaneamente ad essa.
Linee naturali di difesa ed elementi relativi alla difesa della frontiera orientale.

Quale linea naturale di difesa si intende un complesso orografico che, per i suoi appoggi d’ala e per la sua costituzione rappresenti effettivamente un ostacolo all’azione bellica nemica. Non si tiene conto perciò nel presente studio, di eventuali opere di fortificazione per sopperire alle deficienze del terreno naturale, perché ciò esorbita dalle finalità del lavoro ed anche perché, presumibilmente, i criteri fortificato ori odierni dovranno probabilmente essere riveduti per adeguarli alle nuove esperienze belliche. Nel valutare il grado di efficienza di una linea occorre tener presente, soprattutto, la possibilità dei mezzi corazzati e dell’aviazione. Contro questi due mezzi, che hanno modificato la tecnica bellica, due soli ostacoli hanno conservato, almeno in gran parte, il loro valore: l’ostacolo orografico, rappresentato da catene di montagne o quantomeno da terreno molto accidentato; il bosco, sia come copertura, sia quale vero ostacolo, quando si è integrato da sottobosco e da un terreno trarotto quale ad esempio, il terreno carsico.
I fiumi invece non rappresentano più, oggi, un vero ostacolo; e ciò tanto più nel settore giulio, dove anche quelli che per il loro andamento potrebbero costituire un ostacolo hanno caratteristiche, ampiezza e portata assolutamente insufficienti.
I principali requisiti a cui deve rispondere una linea difensiva si possono così riassumere: semplicità e brevità di sviluppo; profondità ed efficienza della fascia retrostante, che assicuri possibilità di difesa su linee successive, specie in relazione alla maggiore celerità di penetrazione dei mezzi corazzati; buon dominio alla vista e al tiro sul terreno antistante; ostacolo contro carro, inteso quale impedimento al facile movimento di questi mezzi; copertura sul rovescio delle posizioni in modo da proteggere la raccolta lo spostamento delle riserve ed il funzionamento dei servizi; ricca rete stradale e ferroviaria, in senso normale alla linea difensiva e parallela ad essa.

È essenziale che, affinché un ostacolo sia tale, esso deve essere tutto dalla parte da proteggere, poiché se su di esso cadesse il confine, sparirebbe per entrambi i contendenti la caratteristica di ostacolo dato che essendovi essi già sopra hanno, ciascuno dalla propria parte, superata la difficoltà maggiore e pertanto il vero ostacolo devono cercarlo e trovarlo più a dietro.
È opportuno infine un chiarimento circa il valore difensivo degli altipiani calcarei, specie di quelli di tipo carsico. I vari altipiani di questo tipo esistente in questo teatro d’operazione, quali ad esempio la Selva di Ternova, gli altopiani di Sebreglie, della Bainsizza, di M. Nanos, ecc., hanno caratteristiche comuni e acquistano effettivo valore di ostacolo solo nel caso che siano interamente nelle mani del difensore. Basta esaminarne la forma per rendersi conto della verità di questo asserto. Essi sono tavolati caratterizzati da fianchi che cadono con scarpate ripidissime e scoperte, sovente verticali, sulle Valli che li circondano. Generalmente i margini presentano le quote più elevate del massiccio mentre l’interno è in genere più o meno pianeggiante e ricoperto, nella maggior parte dei casi, da fitte foreste di specie varie.
Agli effetti dell’impiego dell’artiglieria ciò determina: notevoli difficoltà di schieramento delle bocche da fuoco, specie a tiro teso, sull’alto del tavolato per la presenza del bosco, e, anche maggiore nei solchi per la presenza di elevati ostacoli antistanti; difficoltà di osservazione per il bosco e per la natura pressoché pianeggiante degli altipiani.
In genere, possibilità di schieramento delle batterie e degli osservatori si trovano soltanto sul margine del tavolato fronteggiante l’avversario. È pertanto evidente che una linea difensiva si può avere soltanto al margine del tavolato e non all’interno per l’assenza di qualsiasi vero ostacolo e di posizioni idonee allo schieramento delle artiglierie degli osservatori.
[…]” <181
In allegato a questa lunghissima e dettagliatissima relazione, nella quale vengono analizzate le principali implicazioni dal punto di vista militare nel caso di una cristallizzazione del confine secondo previsione, si trovano una serie di appunti e promemoria della Delegazione Confini destinati al Presidente del Consiglio dei Ministri nei quali viene ulteriormente approfondita la situazione andando a prendere in considerazione anche altre tematiche.
È noto alla S.V. che, all’atto stesso della liberazione dell’Italia settentrionale sono state avanzate numerose rivendicazioni territoriali ai nostri danni che vanno dalla materiale occupazione di estese zone entro i nostri confini, con l’arbitrario esercizio di poteri sovrani, perpetrate da Jugoslavia e Francia alle frontiere est ed ovest, alle manovre a nessuno e separatiste in Val d’Aosta, in valle Roja e nell’alto Adige, e i desideri ed appetiti sulle nostre colonie. Tali azioni sono integrate da una insistente ben organizzata propaganda che tende, da un lato ad accattivarsi l’adesione delle popolazioni delle zone agognate e dall’altro ha perso a dire del buon diritto e dell’equità delle rivendicazioni le nazioni che saranno chiamate a decidere al tavolo della pace del loro eventuale accoglimento. Non ho mancato di rappresentare alla Commissione per lo studio tecnico dei confini, costituita presso il Ministero Affari Esteri, quali conseguenze avrebbe nel campo militare un’eventuale arretramento dei nostri confini nelle zone nella misura che le notizie finora avute sulle singole rivendicazioni consentono di determinare; così come ho segnalato al Ministero predetto ed a codesta Presidenza il mio parere sulla necessità ed opportunità di una nostra azione di contropropaganda atta essenzialmente a neutralizzare gli effetti di quella avversaria sulle popolazioni delle zone contese ed ha fornire a chi sarà chiamato a decidere del destino di quelle terre quanto occorre perché il giudizio riesca sereno obiettivo ma, soprattutto, emesso con completa ed esatta conoscenza di situazioni e dati di fatto chi la propaganda avversaria non esita a nascondere o, addirittura ad alterare. Poiché detta azioni di propagande implica la responsabilità del governo è ovvio che solo da esso possa essere decisa, orientata e potenziata, ma ritengo mio dovere prospettarne ancora una volta l’urgenza la necessità. Essa può essere svolto in più modi, il ritengo che la stessa Commissione Confini, sulla base dell’indirizzo politico del governo, potrebbe esserne il centro animatore e coordinatore. Molto utile a questo scopo potrebbe essere, ad esempio, a mezzo delle nostre rappresentanze diplomatiche all’estero, della stampa e di associazioni patriottiche; dei dati e delle notizie che da tempo la predetta Commissione sta raccogliendo e riordinando. Ma soprattutto ritengo indispensabile ed urgente, per controbattere gli effetti della propaganda avversaria sulle popolazioni delle nostre zone di confine, la diramazione di una dichiarazione che afferma in modo esplicito e tassativo alla firma decisione del governo di assicurare a tutti i cittadini, senza distinzione di lingua o di razza ogni libertà democratica ed in particolare quelle relative alla lingua, alla scuola, le religioni, la stampa, ecc. nonché il rispetto degli usi e costumi regionali tradizionali. […]” <182
Accompagna questo lungo promemoria un allegato dedicato specificatamente alla frontiera orientale.
La propaganda jugoslava assume due forme distinte, una all’estero ed una svolta con ampi mezzi nelle zone in contestazione. a) Propaganda all’estero – situazione etnica: sostiene che l’assoluta maggioranza della popolazione Giuliana e sloveno- croata, dato erroneo in quanto le due popolazioni si equivalgono ed anzi vi è una certa predominanza dell’elemento italiano. Purtroppo, la mancanza di una decisa dichiarazione italiana in merito e della pubblicazione di dati inconfutabili ha accreditato all’estero l’inesatta affermazione jugoslava. Appare molto urgente ristabilire la verità. – situazione economica: sostiene la tesi che i porti di Trieste e Fiume sono decaduti durante il dominio italiano perché appartengono al retroterra jugoslavo e che solo passando a questo stato potrebbero rifiorire. È facile confutare questa affermazione, in quanto il decadimento dell’attività dei porti di Trieste e Fiume è fatto naturale, essendo artificioso lo sviluppo di essi voluto o forzato dall’impero austriaco per motivi politici. Quanto al retroterra jugoslavo bastano le cifre relative al movimento dei porti per dimostrare l’assurdità di tale affermazione. In effetti il traffico in arrivo e in partenza che faceva capo a Trieste proveniva dall’Italia per il 55%, dai paesi centro europei per il 45%, e solo il 4% dalla Jugoslavia, mentre per Fiume la cifra del traffico jugoslavo saliva al 14%. In entrambi i casi un’infima percentuale. È evidente che tutta l’economia della Venezia Giulia è complementare dell’economia italiana più che di quella jugoslava. In effetti le maggiori produzioni della regione sono quelle del carbone e della bauxite mentre gli stessi minerali sono molto abbondanti in Jugoslavia che li esporta per la massima parte. Lo sviluppo industriale della regione è avvenuto nel periodo di dominazione italiana anche per sopperire alla diminuita attività dei porti è chiaramente collegato all’industria nazionale. Nel complesso la regione Giuliana costituisce un’unità economica gravitante sui centri economici e commerciali di Trieste e Fiume e particolarmente sul primo di essi. – La violenta snazionalizzazione tentata dal fascismo, l’aggressione perpetrata dall’Italia ai danni della Jugoslavia e le atrocità commesse dai fascisti in tutte le terre occupate. Pur ammettendo in parte quest’accusa si deve prenotare: che l’azione italiana non ha mai avuto i criteri di estrema violenza e crudeltà dipinta dalla propaganda jugoslava; che l’azione snazionalizatrice del governo jugoslavo verso le minoranze italiane in Dalmazia, e quella recentissima delle forze di Tito in tutta la Venezia Giulia sono ben altrimenti notevoli ed hanno dato luogo tra l’altro gli orrori delle foibe istriane, alla deportazione di moltissimi italiani, al furto e dalla espropriazione di ogni bene di proprietà di italiani; […] b) propaganda nelle zone in contestazione: – la dichiarazione che a Yalta è stato già deciso che tutta la Venezia Giulia si è assegnata alla Jugoslavia e che pertanto il governo di Tito terrà conto delle manifestazioni della popolazione di dedizione alla causa alla jugoslava, formula chiaramente minacciosa nei riguardi delle popolazioni italiane, che non possono che esserne scosse. E’ urgente quindi sfatare questa affermazione inesatta. – Afflusso nelle zone in contestazione di cittadini jugoslavi dell’Interno e deportazioni di italiani. – Invito, intimidazione rivolto ai cittadini italiani perché si allontanino dalla Venezia Giulia allo scopo evidente di alterare la realtà etnica del paese“. <183
Parallelamente agli studi e alle analisi di carattere militare che tentavano in ogni modo di dimostrare come un confine come quello che si stava prospettando fosse non solo difficilmente difendibile ma anche irrazionale sotto molteplici punti di vista, la politica iniziò a muoversi freneticamente alla ricerca di una soluzione per il confine orientale, sia Togliatti che De Gasperi si misero in moto nel tentativo di far prevalere i propri interessi in vista delle consultazioni per il Trattato di Pace. Circa un anno dopo l’esperienza dei 40 giorni di Trieste si tenne a Parigi una sessione del Consiglio dei Ministri degli Esteri in vista della realizzazione del Trattato. Dal momento che le notizie che filtrarono non furono particolarmente positive, né per l’Italia né per la Jugoslavia, Togliatti decise di prendere in mano la situazione presentando all’ambasciatore sovietico a Roma Kostylev un progetto piuttosto ambizioso relativo ad una possibilità di condominio jugoslavo italiano per la città di Trieste, in questo modo ci sarebbe stata l’introduzione della presenza politica sovietica in una zona molto ad Occidente della sfera europea, ben al di qua della linea Morgan, e soprattutto sarebbe stato raggiunto il grande obiettivo di Stalin, evitare la presenza di truppe angloamericane al confine tra Italia e Jugoslavia proiettate verso l’oriente.
[NOTE]
179 AUSSME, Fondo I-3, Ufficio I, Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, ufficio situazione e collegamenti, 16 novembre 1945.
180 Ibid., Fondo I-3, Ufficio I, Situazione del Partito Comunista slavo nella Venezia Giulia, 4 luglio 1945.
181 In AUSSME, Fondo I-3, b.199, Ufficio del Generale Delegato presso la Commissione per lo studio tecnico dei confini italiani, frontiera orientale, la linea Wilson dal punto di vista militare.
182 Ibid., I-3, b.199, Promemoria per il Presidente del Consiglio dei Ministri a firma del Capo di Stato Maggiore Generale C. Trezzani. 30 giugno 1945.
183 Ibid., I-3, b.199, Allegato al Promemoria per il Presidente del Consiglio dei Ministri a firma del Capo di Stato Maggiore Generale C. Trezzani. 30 giugno 1946.
Junio Valerio Tirone, Il ruolo dell’Esercito nella gestione dell’ordine pubblico ai confini d’Italia nel secondo dopoguerra (1945-1954), Tesi di dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2021-2022