Il caso Eni-Petronim

Nell’autunno del 1979 il governo Cossiga, nato in agosto, sopravvive grazie all’astensione del Psi ma tutti gli attori politici sono consapevoli del fatto che esso non costituisce una soluzione di lungo periodo. Si tratta quindi di vedere quale delle due soluzioni prevarrà tra quelle per cui lavorano i gruppi trasversali ai partiti: una riproposizione della solidarietà nazionale, l’ipotesi preferita da Andreotti, Zaccagnini, De Mita, Signorile e da tutto il Pci; oppure una nuova stagione di centro-sinistra propugnata da Craxi e da una parte significativa della Democrazia cristiana. Il Parlamento è chiamato a prendere decisioni che hanno grandi implicazioni circa le alleanze tra i partiti, come quella sull’installazione in Italia di missili Usa per controbilanciare l’aumentata capacità offensiva dell’Unione Sovietica. Ma sembra che possa avere un peso ancora maggiore sui futuri equilibri politici una vicenda legata ad un caso di sospetta corruzione, il caso noto come Eni-Petronim <55.
Nel corso del primo semestre del 1979 il governo Andreotti aveva negoziato e concluso un accordo tra l’Eni, guidato da Giorgio Mazzanti (arrivato alla presidenza della grande azienda di Stato a febbraio grazie al Psi <56, e considerato molto vicino, in particolare, alla corrente di Signorile) e l’ente petrolifero dell’Arabia Saudita per l’acquisto di grandi quantità di greggio ad un prezzo, a quanto pare, favorevole. Nel mese di giugno però Craxi e Rino Formica, segretario amministrativo del Psi, erano intervenuti presso Andreotti e Bisaglia, ministro per le partecipazioni statali, in quanto avevano saputo che alla fornitura di petrolio sarebbero legate forti commissioni destinate, si sosteneva, anche a finanziare partiti italiani; in seguito all’intervento si era tenuta una riunione tra Mazzanti, Andreotti e Bisaglia, alla fine di luglio, in cui si era deciso di costituire una commissione riservata al fine di esaminare i dettagli dell’operazione e tranquillizzare i socialisti. In ottobre l’affaire diviene di dominio pubblico, e comincia una serie di accuse incrociate tra esponenti di partito e personaggi legati al mondo della finanza e dell’editoria. In seguito al ritrovamento della documentazione della loggia P2 nel marzo del 1981 <57, emergerà anche il ruolo di quest’organizzazione, a cui risulteranno iscritti molti dei protagonisti del caso: Umberto Ortolani, Gaetano Stammati, Lorenzo Davoli, Leonardo Di Donna, lo stesso Mazzanti <58. Nel frattempo giunge ai giornali un documento anonimo in cui si afferma che una parte della commissione, oltre la metà, è stata intascata da «uomini di Andreotti e di Signorile» <59.
Ad ottobre del 1979 il Pci rivolge un’interrogazione al presidente del consiglio circa le voci che circolano ma non è soddisfatto dalla risposta, definita «laconica» <60. A metà novembre è Sarti, ministro per i rapporti col Parlamento a rispondere a diverse interrogazioni <61 circa i possibili beneficiari delle “tangenti”, mentre i giornali dedicano sempre più spazio alla questione e Signorile pubblica una dichiarazione sull’organo del suo partito <62 in cui afferma che «…è rimasto aperto l’interrogativo assai grave sui motivi che hanno portato a montare la vicenda» e suggerisce un’inchiesta del Parlamento. Poco dopo anche i comunisti propongono un’indagine conoscitiva, che, dopo l’assenso della Dc, viene affidata alla commissione bilancio e partecipazioni statali, la quale provvede ad acquisire la testimonianza di diversi personaggi.
Ciò che emerge, pur tra le diverse versioni, talvolta contrastanti, è che prima dell’estate alcuni personaggi vicini al Psi e al collaboratore di Craxi Ferdinando Mach di Palmstein, avevano proposto a Mazzanti una loro opera di intermediazione per l’affare con Petronim: la proposta però era stata rifiutata. Poco dopo erano cominciati gli interventi di Formica e di Craxi sul governo, su Bisaglia in particolare, per impedire l’accordo o almeno manifestare le loro preoccupazioni per la possibilità che i destinatari della tangente fossero, almeno in parte, politici italiani. Inoltre Formica desiderava ottenere da Bisaglia l’impegno di sostituire Mazzanti al vertice dell’Eni. Lo stesso Formica afferma poi in commissione che il direttore generale dell’ufficio cambi, Pietro Battaglia, gli aveva spiegato che Stammati aveva fatto approvare le necessarie operazioni valutarie richieste dall’Eni per il pagamento della commissione su pressioni di Andreotti, come era già avvenuto a suo tempo con il piano di salvataggio di Sindona <63. Stammati nega tutto, così come Battaglia. Come avevano saputo della tangente i dirigenti socialisti? Formica afferma di averlo saputo da «ambienti finanziari internazionali», mentre Craxi spiega di essere stato avvisato «dagli uffici» e si riserva di fare i nomi al magistrato. Molti pensano a Leonardo Di Donna quale fonte delle informazioni: l’alto dirigente Eni aveva partecipato direttamente a diverse fasi dei negoziati nei mesi precedenti ed è ritenuto vicino a Craxi. Tra l’altro emerge anche che il funzionario che ha autorizzato materialmente l’operazione valutaria per conto del ministro è Davoli, che oltre a ricoprire quell’incarico al ministero del Commercio estero è anche, curiosamente, un funzionario della casa editrice Rizzoli, proprietaria del Corriere della Sera. Per quanto riguarda l’esistenza di tangenti, sembra difficile dimostrarla, ma il contratto prevede il pagamento di una commissione del sette percento pagata ad una società di Panama gestita da fiduciari, ciò che permette l’anonimato di chi riceve effettivamente il denaro.
Intanto a causa della polemica sorta in Italia il governo Saudita annuncia, all’inizio di dicembre, di aver sospeso la fornitura prevista dal contratto, mentre Mazzanti viene sospeso dalla sua carica di presidente dell’Eni e viene avviata un’inchiesta amministrativa per appurare le eventuali responsabilità della dirigenza in fatti illeciti. Craxi non si presenta dal magistrato nonostante la convocazione attirandosi le critiche dell’Unità: «nelle sedute della commissione bilancio…il segretario e l’ex amministratore del Psi avevano annunciato di poter fare nomi e cognomi (almeno quelli a loro noti) dell’affare Eni proprio davanti al magistrato. Ma per ben due volte, quando si è trattato di deporre davanti al giudice, hanno fatto marcia indietro» <64. Anche Formica non si presenta al magistrato titolare, il sostituto Orazio Savia, e preferisce discorrere con il procuratore capo De Matteo, mentre il segretario del Psi si deciderà a deporre solo alla fine di gennaio. Della questione si occupa anche l’inquirente: prima a causa di una denuncia da parte del partito radicale (ma la commissione, nell’agosto 1980, dichiarerà la propria incompetenza inviando tutto alla magistratura ordinaria) e poi, in seguito al rinvenimento del diario di Stammati attraverso la procura di Milano nel maggio 1981. I lavori dell’inquirente si trascineranno fino al 1985 quando verrà accolta la relazione di Vitalone che non rileverà irregolarità degne di nota <65.
Il timore di Craxi, ciò che lo spinge a ostacolare e denunciare l’affare, sembra essere quello di un rafforzamento della componente del partito a lui ostile, ovvero la sinistra di Signorile, con la quale è imminente uno scontro per il controllo del partito; dichiarerà infatti in un’aula di tribunale che “…questi soldi erano di una tale portata, di una tale dimensione che aveva tutto il sapore di qualcosa che serviva a correggere un equilibrio politico […] il mio timore era che quella tangente […] il suo destino finale era quello di sostenere l’equilibrio politico che avevo accettato di malavoglia. Fatto sta che nei miei confronti venne operato un tentativo di rovesciarmi da segretario del partito socialista italiano proprio a ridosso della fine del 1979 e dell’inizio del 1980. La cosa non avviene proprio per un voto…”. <66
Il ruolo dell’informazione è un altro aspetto significativo della vicenda; secondo Formica la destinazione delle tangenti è quella di determinare nuovi equilibri nell’informazione nazionale e indica il regista dell’operazione in Umberto Ortolani (il quale invece sostiene che Formica l’aveva contattato per chiedergli contributi per il partito ed un atteggiamento benevolo verso il Psi da parte del Corriere della Sera). Il quotidiano milanese sostiene una linea almeno curiosa e che ha un senso solo alla luce di ciò che oggi sappiamo, cioè che in quel momento era ampiamente influenzato dalla P2. Il Corriere ad esempio si guarda bene dal diffondere la notizia relativa al ruolo di Davoli, a differenza degli altri giornali, mentre il 9 novembre 79, con l’editoriale “Il greggio e l’Italia” invita sostanzialmente i politici a non parlare della questione <67.
L’atteggiamento equivoco del Corriere viene indicato da Craveri come indizio del fatto che «tanto denaro avrebbe dovuto servire al sostegno di una posizione politica: quella che puntava alla ripresa a breve della collaborazione con i comunisti» <68, un’idea piuttosto in linea con la deposizione di Craxi riportata. Un secondo indizio viene individuato dallo storico nella volontà attribuita a Repubblica (il quotidiano romano è un convinto sostenitore dell’accordo tra Dc e Pci) di sostenere Mazzanti. Eppure a giudicare dai suoi interventi, Scalfari risulta più interessato a far emergere alla luce del sole le intenzioni di Craxi e di Formica, i quali sembrano operare in maniera obliqua <69. Inoltre rimane da spiegare il ruolo di Bisaglia, il quale sarà tra i firmatari del “preambolo” di Donat Cattin pochi mesi più tardi, e che difficilmente può essere considerato favorevole al disegno di Signorile, come rileva anche Cesqui <70. Ma, cosa forse ancor più importante, è difficile immaginare che la P2 e Gelli fossero inclini a favorire la collaborazione tra Dc e Pci, dato l’indirizzo generale di quell’associazione. In realtà l’ipotesi che appare più plausibile è che, se una tangente per politici italiani c’è stata, com’è probabile, essa fosse pensata per finanziare alcune correnti della Democrazia Cristiana, a prescindere da strategie politiche generali. Mentre l’azione di Craxi e Formica ha un chiaro intento politico e riguarda gli equilibri interni del Psi, che infatti vengono determinati proprio nel gennaio del 1980, mentre la commissione bilancio raccoglie le deposizioni degli attori interessati.
Questa sembra essere anche l’ipotesi di Colarizi e Gervasoni che, dopo aver cautamente ricordato la genesi dello scandalo: «si sussurra che gli autori della denuncia vadano cercati proprio dentro il Psi; si dice che Leonardo di Donna, vice di Mazzanti, avrebbe fatto la soffiata a Rino Formica…», concludono che «quali che siano i registi occulti di questa sgradevole vicenda, il vicesegretario socialista ne esce un po’ azzoppato…». Non ha dubbi di sorta, invece, Fabrizio Cicchitto, il quale in quei giorni, oltre ad essere uno dei maggiori dirigenti della sinistra Psi con Signorile e De Michelis, è anche un membro della loggia P2, e con queste due credenziali probabilmente una delle persone maggiormente informate sui fatti. Quando racconta delle dinamiche interne del partito nella seconda metà del 1979 spiega che “…attraverso Formica […] Craxi aprì contemporaneamente un fronte completamente diverso, rappresentato dalla situazione interna del Psi: Infatti all’improvviso Formica fece esplodere il caso Eni-Petronim. Craxi, dopo essersi liberato del condizionamento di Mancini e di Manca, ora puntava ad assumere il pieno controllo del Psi emarginando anche la sinistra socialista”. <71
Se quindi tutti gli attori, a parte il Pci, che assiste con un certo smarrimento all’evoluzione degli eventi, hanno qualcosa da nascondere si spiega ulteriormente anche quel carattere di «psicodramma politico» del caso Eni-Petronim di cui parla Cesqui, facendo riferimento a quella «rappresentazione simbolica e traslata dei conflitti in atto e mentre tutti sanno qual è lo scontro effettivamente in corso, la rilettura dei documenti dell’epoca, degli atti dei processi e delle commissioni parlamentari, ci restituisce una rappresentazione di quegli eventi mai diretta, costantemente obliqua». <72
Non sembra particolarmente utile per avere delucidazioni sul caso il diario di Andreotti, che, secondo Craveri, scrive questa pagina «con lo scopo di sviare l’attenzione dalla verità dei fatti e comunque di allontanarla da sé (come molte altre pagine del resto, si potrebbe anzi dire che l’intero diario ha questo scopo preminente)» <73. Secondo Giorgio Galli, che cita la sentenza sulla bancarotta del Banco Ambrosiano, Cossiga aveva potuto godere del sostegno del proprio governo da parte dei socialisti grazie al suo impegno a bloccare l’affare Eni-Petronim <74.
Il dibattito sulla stampa ed in Parlamento sul caso Eni-Petronim si interseca quindi con la definizione della linea, ancora incerta, di socialisti e democristiani. Nel Psi il contrasto del segretario con la sinistra di Signorile è ormai aperto. Non solo per l’emergere dello scandalo Eni, ma anche per il voto sugli euromissili; come scrivono Colarizi e Gervasoni «Fino al 1979 la posizione del segretario del Psi non si è distaccata dalla linea “terzaforzista” della tradizione socialista italiana» <75, ma a fine 1979 decide di orientarsi per l’approvazione all’installazione dei missili. Cosa che se da una parte sembra il Psi alla formula di centrosinistra <76, dall’altra accentua il solco con Signorile e registra l’opposizione di Achilli e di Lombardi, il quale già in estate aveva accusato Craxi di guidare il partito secondo il Fuhrerprinzip <77.
La resa dei conti comincia il 20 dicembre; in occasione della Direzione del partito ha la meglio Signorile, che prevale per alcuni voti sul segretario, ma a metà gennaio, in occasione del Comitato centrale, il passaggio di Gianni de Michelis dalla sinistra alla corrente di Craxi sposta la bilancia a favore di quest’ultimo. Secondo alcuni fonti però la condotta di de Michelis non è così decisiva come potrebbe sembrare, ma è piuttosto la decisione da parte di Signorile di contrattare la gestione del partito invece di spingere a fondo l’attacco, che permette a Craxi di mantenere la propria posizione. Colarizi e Gervasoni spiegano ad esempio che la lettura degli interventi non indica una vittoria netta da parte di Craxi ed anche Cicchitto, nel suo libro di memorie, sostiene che la sinistra disponeva comunque di più voti del segretario, ma che Signorile decide di non arrivare alla conta per non spaccare il partito e perché convinto che nella Dc avrebbe prevalso la linea della solidarietà nazionale <78.
Se quella era la previsione di Signorile, il mese successivo viene completamente smentito: nel suo XIV congresso, la Democrazia Cristiana vede la vittoria delle correnti che sottoscrivono la proposta di Donat Cattin, ovvero quella di anteporre alla loro mozione un preambolo comune nel quale si sottolineano le «contrastanti posizioni tuttora esistenti» con il Pci. Esso viene sottoscritto da Fanfani, dai dorotei, da Forze nuove e da Forlani che sommano il 58% e si contrappongono ad Andreotti e all’area del segretario uscente (rispettivamente 13% e 29%) <79. I tempi sono ormai maturi per un nuovo equilibrio di governo che tenga conto degli orientamenti emersi nel Psi e nella Dc: il governo Cossiga si dimette e poco dopo, agli inizi di aprile, verrà varato il suo secondo governo, questa volta con la partecipazione a pieno titolo dei socialisti, che si vedranno attribuiti ben nove ministeri.
La definizione dell’equilibrio nella Dc sarà di notevole impulso anche per il prevalere, nei mesi successivi, di Craxi nel Psi dopo il fallimento dell’attacco da parte della sinistra del partito; si rafforzano quindi gli elementi che permetteranno il radicarsi dell’alleanza di governo che reggerà il Paese fino a tangentopoli, quella che verrà definita “pentapartito”.
[NOTE]
55 Il caso viene descritto nei dettagli (pur con qualche omissione, a cominciare da gran parte del contenuto dei diari di Stammati ritrovati a Castiglion Fibocchi nel marzo 1981 dalla procura di Milano) nella relazione della commissione per i procedimenti d’accusa (più nota come commissione inquirente) presentata al Parlamento in seduta comune il 23 giugno 1983. Atti parlamentari. A questo scandalo inoltre, è dedicato il volume di D. Speroni, L’intrigo saudita, Banda Larga Editore, 2009.
56 “Sospeso Mazzanti, inchiesta amministrativa”, Unità del 8 dicembre 79, in cui si afferma, «Era stato designato a quel posto 10 mesi fa dal Psi nel quadro della lottizzazione (con Dc e Psdi) dei vertici dei tre enti di gestione delle partecipazioni statali».
57 Fra cui una copia del contratto tra Agip e Petronim e del diario di Stammati riguardante l’operazione (riconosciuto come conforme all’originale dall’autore)
58 Mazzanti peraltro si iscrive alla P2 dopo un incontro con Gelli (organizzato dal deputato Emo Danesi, vicino a Bisaglia) nel corso del quale il “maestro” gli mostra copia della documentazione relativa all’accordo con Petronim. Vedi D. Speroni, L’intrigo Saudita. Cit.
59 E. Scalfari, “Uno scandalo a testa multipla”, Repubblica del 24 novembre 79
60 “Petrolio: il magistrato si reca dal presidente dell’Eni”, Unità del 1 novembre 79
61 “Per le forniture di petrolio questi i contatti dell’Eni”, Il Popolo del 21 novembre 79
62 “Signorile: Sul caso Eni inchiesta parlamentare”, Avanti del 22 novembre 79
63 In occasione del quale effettivamente Stammati aveva avuto un ruolo nel presentare il piano alla Banca d’Italia, prima dell’incriminazione di Baffi e l’arresto di Sarcinelli da parte del giudice Alibrandi.
64 “ENI: Craxi e Formica anche ieri attesi (invano) dal giudice”, Unità del 22 gennaio 80
65 Donato Speroni, L’intrigo saudita. Cit.
66 Citato in E. Cesqui, “La P2, 1979: un servizio d’informazione nella gestione della transizione”, Studi Storici, 1998, N. 4. pag. 1017.
67 “Andreotti Stammati e Bisaglia non chiariscono il mistero”, Avanti del 12 gennaio 1980
68 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992. Cit. Pag. 817. La stessa interpretazione dello scandalo Eni-Petronim viene data da F. Barbagallo in “Il Pci dal sequestro di Moro alla morte di Berlinguer”, in AA.VV. L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta; Cit. Pag. 91. Eppure la tesi non appare sufficientemente argomentata.
69 Vedi, ad esempio, E. Scalfari, “Le tangenti Eni in Parlamento”, Repubblica del 22 novembre 1979
70 E. Cesqui, “La P2”. Cit.
71 F. Cicchitto, Il Psi e la lotta politica in Italia. Cit. Pag. 67
72 E. Cesqui, “La P2”. Cit. pag. 1014.
73 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992. Cit. Pag. 816
74 G. Galli, Storia del socialismo italiano. Cit. Pag. 474.
75 S. Colarizi e M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Cit. Pag. 102
76 E’ ciò che sembra suggerire L. Lagorio, “Su questa linea un’ampia maggioranza”, Avanti del 6 dicembre 79
77 Antonio Giolitti da parte sua afferma che «Perfino in un clima aspro come quello degli anni Cinquanta e in un partito come quello comunista di allora, un dissenso dignitoso spinto fino alla rottura veniva trattato in modo ben altrimenti civile (posso farne testimonianza)», citato in L. Cecchini, Il palazzo dei veleni. Cronaca litigiosa del pentapartito (1981-1987), Rubettino, Cosenza, 1987. Pag. 44
78 Fabrizio Cicchitto, Il Psi e la lotta politica in Italia , Cit. pag. 70
79 Le percentuali sono quelle riportate da G. Galli, Mezzo secolo di Dc. Cit. Pag. 329
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013