La terra del vino e della nocciola diventa anche la terra dei martiri della liberazione, il luogo simbolo della guerra civile

Se prima della guerra, come scriveva “Mauri” nelle sue memorie, gli italiani e «moltissimi degli stessi Piemontesi non conoscono le Langhe che per la popolare citazione carducciana: … l’esultante di castelli e vigne suol d’Aleramo», <40 a partire dagli anni Sessanta l’immagine delle Langhe è ben presente nell’immaginario collettivo italiano. La terra del vino e della nocciola diventa anche la terra dei martiri della liberazione, il luogo simbolo della guerra civile italiana, dove hanno combattuto non solo piemontesi, ma anche soldati meridionali <41 e stranieri. <42
La narrativa ha quindi certamente contribuito a creare un’immagine delle Langhe, forse una raffigurazione ideale, ma che restituisce i caratteri di quel territorio specifico. La storiografia non da meno, ma in ritardo rispetto alla letteratura da questo punto di vista, concentra la propria attenzione sulla guerra di liberazione nelle Langhe a partire dagli studi, promossi e seguiti da Guido Quazza, di giovani studentesse piemontesi, Diana Masera, Marisa Diena e Diana Carminati Marengo. Questi studi rappresentano la specifica attenzione della storiografia resistenziale nei confronti di un territorio che per le sue caratteristiche offre molteplici spunti di riflessione sul significato della guerra partigiana. Le Langhe permettono di coprire la maggior parte dei temi toccati dalla storiografia: a cominciare dal contributo dei militari, dai rapporti tra formazioni di diverso orientamento politico, al ruolo delle missioni alleate, ai rapporti con la popolazione contadina fino alle problematiche più strettamente militari relative al territorio. Ogni studio, fino a quello di Mario Giovana “Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945” (1988), ha dato un contributo notevole alla comprensione dei molteplici aspetti che contraddistinguono la Resistenza nelle Langhe, puntando la propria lente d’ingrandimento su questa piuttosto che su un’altra tematica.
Le opere di Diena e di Masera hanno seguito una traccia cronologica, accennando agli aspetti che contraddistinguono i vari periodi della guerra in Langa e nel cuneese occidentale; altri studi si sono concentrati sulla disgregazione della IV armata e sui suoi effetti in territorio cuneese, <43 mentre alcuni lavori di Giovana sul cuneese hanno guardato più agli aspetti del rapporto tra partigiani e mondo contadino. <44
Nostro obiettivo è quello di offrire un quadro il più possibile dettagliato sui rapporti tra le formazioni partigiane nelle Langhe, non limitandoci a considerarle nella loro fase di maturazione, ma cominciando dai loro «primi passi».
Quando il maggiore Enrico Martini, futuro comandante “Mauri”, a capo dei gruppi di ex militari che avevano combattuto nelle valli alpine nel primo semestre di guerra partigiana, giunge nelle Langhe, la primavera è appena cominciata. Dopo aver patito il freddo e una guerra alla quale non era abituato, da ufficiale degli alpini qual era, “Mauri” non poteva che accogliere benevolmente un paesaggio che si stava lentamente risvegliando dal rigido inverno e che prometteva di essere il palcoscenico ideale della fase trionfale della guerra e della riscossa partigiana sul nemico nazifascista.
«Le Langhe divengono il nostro paese», <45 scrive “Mauri” nelle sue memorie del 1947, osservando inoltre come l’iniziale teatro operativo scelto dagli autonomi, e non solo, <46 fosse divenuto inospitale per la guerra partigiana. Le vallate cuneesi infatti, con i suoi inverni rigidi, accompagnati da abbondanti cadute di neve, si rivelano ostili ai partigiani e al tipo di guerra da loro condotta. Nella relazione sul rastrellamento nazista avvenuto in val Casotto nel marzo ’44, “Mauri” spiega con molta chiarezza le difficoltà che i comandanti devono fronteggiare durante l’inverno per evitare di essere scoperti dalle truppe tedesche: “La neve caduta abbondantemente nei primi giorni di marzo, tornò immediatamente più dannosa a noi che al nemico; con l’osservazione aerea questi poté agevolmente rilevare le nostre tracce ed i nostri movimenti nella neve fresca […] nonostante tutti gli accorgimenti e benché io facessi effettuare gli spostamenti esclusivamente di notte”. <47
Una constatazione che “Mauri” riaffermerà anche a guerra conclusa, quando il maggiore ricorda come «la montagna e le valli abbiano esaurito il loro compito. Esse offrono, è vero, delle posizioni dominanti estremamente favorevoli alla difesa, ma è ormai anche provato che di fronte alla strapotenza nemica non c’è posizione e valore individuale che possano tenere indefinitamente». <48
Con lo spostamento nelle Langhe, a cambiare non è solo lo scenario ma anche la modalità di guerra, abbandonando cioè quel «concetto di resistenza ad oltranza», che aveva nuociuto gravemente ai partigiani della val Casotto e Corsaglia nel marzo ’44. Con il labirinto «dei loro boschi e dei loro valloni, le Langhe rendono possibile una resistenza organizzata come una manovra organica». <49
Un nuovo contesto e una nuova guerriglia si implicano reciprocamente: la seconda, come conseguenza dell’esperienza negativa nelle vallate alpine, ha bisogno di un contesto più idoneo, mentre il primo, le Langhe, è in grado di offrirlo. Qui, alla presenza nemica nelle valli e nelle colline, i partigiani rispondono con movimenti continui, in un «terreno che consenta l’abbandono di una certa linea senza compromettere l’esistenza di tutto il dispositivo» e con «risorse locali che siano così diffuse da permettere al reparto di vettovagliarsi là dove si trova», <50 che consentono ai partigiani un veloce sganciamento e via di fuga in zona sicura in caso di difficoltà.
Simili considerazioni vengono fatte anche da Pompeo Colajanni, “Barbato”, comandante prima della IV brigata Garibaldi <51 e poi della I Divisione “Piemonte”, il quale dopo il rastrellamento subito nell’aprile ’44 dalle unità garibaldine dislocate tra la valle del Po e le propaggini delle valli del Pellice, «propose ai membri del suo comando di distaccare forze ‘colonizzatrici’ nelle Langhe». <52
“Le Langhe però presentano anche alcuni svantaggi. Infatti, mentre la valle consentiva di localizzare da un lato solo la pressione del nemico e la montagna, con la sua carenza di comunicazioni, si prestava più al movimento dei partigiani, appiedati e leggerissimi, che a quello delle pesanti colonne nemiche […]. Nelle Langhe, invece, il nemico può sopraggiungere da ogni parte ed avere a sua disposizione una tale rete di comunicazioni e di risorse da permettere movimenti più sciolti ai suoi reparti, mentre il terreno fuori strada consente un agevole transito ai carri armati”. <53
Nonostante alcuni aspetti negativi per la guerra partigiana, il contesto langarolo offre indiscutibili vantaggi non solo per morfologia del territorio, ma anche per la sua ricchezza agricola. Soprattutto nelle basse Langhe, cioè la piana antistante Alba, numerose sono le coltivazioni di vigneti e di frutteti, mentre in generale in tutto il territorio langarolo, dove prevalgono le piccole proprietà fondiarie, sono presenti piantagioni di nocciole e di cereali. <54
Altri prodotti agricoli della zona sono i formaggi e il grano, come testimoniano i documenti sulle requisizioni delle brigate partigiane che operavano su quelle colline. <55
[NOTE]
40 E. Martini, Con la libertà, cit., p. 65
41 Per il tema dell’apporto di partigiani meridionali alla guerra di liberazione in Piemonte si veda C. Dellavalle (a cura di), Meridionali e Resistenza. Il contributo del sud alla lotta di liberazione in Piemonte: 1943-1945, S.n., S.l., 2013
42 Si veda a titolo di esempio il distaccamento “Islafran” della 48ª brigata Garibaldi, composto da italiani, jugoslavi e francesi.
43 Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della IV armata, Book Store-ISRCP-ISRP, Torino, 1977
44 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, in Aspetti della Resistenza in Piemonte, Quaderni dell’INSMLI, n. 1, 1950, pp. 77-103
45 E. Martini, Con la libertà, cit., p. 68
46 Nella zona delle valli alpine si posizionano anche i gruppi GL e più a nord i garibaldini del battaglione “Carlo Pisacane”, nucleo originario della I divisione “Piemonte”.
47 “Relazione sui fatti d’arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Langhe, 9.4.44 – I della Liberazione, “Mauri”, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, Franco Angeli-INSMLI, Milano, 1996, doc. 2, p. 335
48 E. Martini, Con la libertà, cit., p. 68-9
49 Ivi, p. 69
50 Ivi, p. 69
51 Viene costituita verso la metà di marzo 1944, unendo i gruppi della val Luserna, della val Varaita, della val Po, Infernotto, Montoso, questi ultimi comandanti da Giovanni Latilla “Nanni”, in M. Diena, Guerriglia e autogoverno. Brigate Garibaldi nel Piemonte occidentale 1943-1945, Guanda, Parma, 1970, p. 63 e R. Belmondo et alii, “L’8 settembre e lo sfacelo della 4ª armata: riflessi nel Cuneese” in Aa. Vv., 8 settembre. Lo sfacelo della quarta armata, cit., p. 203
52 M. Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I Garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Cappelli editore, Bologna, 1988, p. 15
53 E. Martini, Con la libertà, cit., p. 69
54 La narrativa ha restituito immagini suggestive, ma tanto più reali del paesaggio e della società langarola. I romanzi di Fenoglio e di Pavese, ma anche le memorie di Pietro Chiodi e di Nuto Revelli danno un’idea delle piccole abitudini dei contadini e dei partigiani tra il Belbo, la Bormida e il Tanaro. A proposito delle nocciole, come cibo quotidianamente presente nella dieta dei partigiani, si veda B. Fenoglio, Una questione privata, Einaudi, Torino, 1963, pp. 9, 20, 40, 51. Si veda anche il saggio di G. Nisini, “Partigiani attorno al fuoco. Il cibo nella letteratura resistenziale”, in «Studi (e testi) italiani», n. 12, secondo semestre 2003, pp. 257-270
55 “Mietitura e trebbiatura del grano” Comunicazione della 16ª brigata Garibaldi “Gen. Perotti” a tutti i comandanti di distaccamento, 11.7.44 in AISRP C 14 a; e “Ammasso uova” Comunicazione del Comando 1° GDA a tutti gli uffici Affari civili, 4.4.45 in AISRP, B 45 g
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013