La politica della RSI opera per l’annientamento totale e l’espulsione dal corpo sociale della comunità ebraica

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L’istituzione della Repubblica Sociale Italiana porta in tempi brevi all’inasprimento della politica persecutoria fascista, in un’accelerazione drammatica verso l’annientamento totale degli ebrei. Per comprendere appieno le cause di questo mutamento bisogna soffermarsi brevemente sulle caratteristiche della RSI, sulla sua azione di governo e sugli ideali che la sostengono. La successione degli eventi è nota: con la caduta di Mussolini <50 il 25 luglio del 1943 cessa di esistere il regime fascista conosciuto nel ventennio precedente. Il volgere rovinoso della guerra e l’avversione dell’opinione pubblica nei confronti del governo, considerato dalla popolazione il responsabile di una guerra avventata e della sofferenza che attanaglia il paese, portano alcuni gerarchi fascisti e il re a voler porre fine alla dittatura del duce, per concordare un’uscita dal conflitto. Nelle settimane di luglio che precedono la caduta di Mussolini ci sono i primi contatti tra Vittorio Emanuele III e Dino Grandi, il presidente del Senato, uno dei gerarchi più critici nei confronti del dittatore. Il re prende accordi con il maresciallo Pietro Badoglio, designato come capo del governo; tutto ciò che attende è un pretesto formale per destituire Mussolini. L’occasione per rovesciare il duce gli sarà fornita con la convocazione di un Gran Consiglio del fascismo per il 24 luglio: l’insistenza di alcuni gerarchi nel richiedere un cambiamento nella linea politico-militare, insieme a un maggiore dibattito in fase decisionale, spinge Mussolini a convocare l’assemblea consultiva, in disuso ormai da quattro anni. Pur non essendoci resoconti ufficiali della seduta, i memoriali dei partecipanti consentono di conoscerne lo svolgimento: essi riportano lo scontro tra i gerarchi che vogliono esautorare Mussolini, tra i quali Grandi, Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano (che assieme al primo redigono l’ordine del giorno che verrà poi approvato) e coloro che lo sostengono, come Farinacci e Carlo Scorza, che presenteranno altri due ordini del giorno, a suo favore. I gerarchi si scontrano con il rifiuto del duce di assumersi le responsabilità del fallimento e con la sua fede in un prossimo rovesciamento delle sorti della guerra, grazie all’azione tedesca. Tuttavia, al momento della votazione degli ordini del giorno, sono i critici di Mussolini a risultare vincitori: passa l’ordine del giorno di Grandi, Ciano e Bottai, con 19 voti su 28 votanti.
Nonostante questo voltafaccia il capo del governo è certo, erroneamente, di godere della fiducia del re, e il 25 luglio si reca a Villa Savoia per conferire in merito al Gran Consiglio: qui Mussolini viene destituito e arrestato. Nel giro di un paio di giorni hanno inizio i suoi trasferimenti in varie località; si teme un tentativo da parte dei tedeschi di liberarlo. Dopo i primi due giorni di prigionia in una caserma romana, seguono Ponza, la Maddalena, e infine il rifugio di Campo Imperatore sul Gran Sasso, considerato inaccessibile.
All’annuncio della caduta di Mussolini gli italiani esultano: è venuta meno la dittatura ed è verso i suoi simboli fisici, i suoi monumenti e le sue sedi istituzionali che si scaglia la rabbia contro il regime. Tra la gente è forte la convinzione che sia arrivata la fine della guerra, almeno fino alla dichiarazione di Badoglio che conferma il proseguimento dell’impegno bellico al fianco dell’alleato tedesco. Probabilmente <51 è per il mantenimento di questa alleanza di facciata che il governo badogliano non abroga la legislazione antiebraica (e lo farà solo nel 1944, mesi dopo aver dichiarato guerra alla Germania): si limita a invalidarla, ad esempio sospendendo i sequestri e la vendita dei beni ebraici, allentando così la morsa della persecuzione <52. L’unica disposizione ufficiale è la circolare del capo della Polizia Carmine Senise, che revoca la misura dell’internamento nei campi di concentramento per tutti coloro che non sono reputati responsabili di reati (o politicamente pericolosi), liberando così molti ebrei italiani <53. A causa della guerra ancora in corso, per gli internati stranieri la misura sarà revocata solo a seguito dell’armistizio <54.
I fascisti dal canto loro non hanno la forza e la prontezza di opporsi alla caduta del regime; inoltre devono fare i conti con la reazione popolare che ne è seguita. Essa crea in loro una frattura insanabile nei confronti del resto degli italiani, e ciò avrà le sue ripercussioni nei rapporti con i civili durante i mesi della RSI . Molti fascisti <55 scelgono di mantenere un basso profilo, chi ne ha la possibilità cerca di rifugiarsi altrove. Alcuni gerarchi riparano in Germania: Alessandro Pavolini, Farinacci, Rolandi Ricci e Vittorio Mussolini; anche Ciano compie questa scelta, confidando di poter ripartire per la Spagna, ma presto il suo soggiorno si trasformerà in prigionia a causa del tradimento verso Mussolini nel Gran Consiglio del fascismo.
La situazione precipita inesorabilmente l’8 settembre 1943, con la dichiarazione dell’armistizio e la fuga della famiglia reale e del governo Badoglio a Brindisi. La stipulazione della resa non stupisce le gerarchie tedesche: è dall’aprile del 1943, con la sconfitta italiana nei territori nordafricani, che sospettano un tentativo dell’alleato di rendersi uno stato neutrale, per non diventare la nuova linea del fronte di guerra. In Germania si pianifica l’occupazione della parte settentrionale della penisola; allo stesso tempo hanno inizio i trasferimenti di truppe in Italia, anche su richiesta dei comandi italiani, per contenere l’eventuale avanzata dell’esercito nemico. Più che l’armistizio, fu la congiura contro Mussolini a cogliere l’alleato di sorpresa: gli ambasciatori a Roma sottovalutarono i segnali di crisi all’interno della gerarchia fascista. Arenato il progetto iniziale di una liberazione immediata di Mussolini, l’alleato tedesco dà inizio a una graduale occupazione de facto del territorio italiano. Non si trattava dell’unica opzione percorribile: all’interno della gerarchia nazista si scontrarono visioni differenti sulla gestione dell’Italia, riflesso di uno scontro di potere tra i vari comandi tedeschi <56. La prima posizione richiedeva un’occupazione diretta, per avere un controllo totale in ogni ambito; la seconda alternativa sosteneva la convenienza della creazione di un governo italiano sottomesso, che svolgesse i compiti più gravosi dell’amministrazione del territorio e quelli di repressione invisi alla popolazione, così da poter concentrare le forze naziste sugli interessi del Reich. Enzo Collotti sottolinea come, al fine del perseguimento degli obiettivi nazisti, un governo italiano non avrebbe costituito un ostacolo; infatti in entrambi i casi “[…] la sostanza dell’operazione per l’occupazione del paese ex-alleato non poteva cambiare qualitativamente, poiché un’autorità che avesse prestato il suo assenso alla realizzazione degli obiettivi fissati dai tedeschi sarebbe incontestabilmente venuta meno a ogni possibilità di mantenere il controllo della situazione e degli strumenti di difesa del paese, avrebbe abdicato a ogni funzione sovrana, ossia non avrebbe fatto altro che rendersi corresponsabile della consegna dell’Italia a un esercito di invasione. Il motivo dominante del piano tedesco non era infatti il semplice consolidamento delle posizioni tedesche ma l’effettivo possesso delle posizioni strategiche in Italia e dei punti chiave della sua economia e della rete dei trasporti”. <57
Prevalsa la linea del sostegno a un governo fascista, l’occupazione tedesca non si traduce quindi in un’annessione ufficiale. I sostenitori delle spinte annessionistiche ottengono la creazione di due zone di operazioni ai confini: quella delle Prealpi, che include le provincie di Trento, Bolzano e Belluno (Operationszone Alpenvorland) e quella del Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Kunstenland), che dalle province di Udine e Gorizia arriva fino a Fiume e Lubiana; entrambe sono controllate direttamente dalle autorità tedesche con due Gauleiter, Franz Hofer e Friedrich Reiner, i cui poteri includono anche gli ambiti amministrativi e civili.
I nazisti sono quindi i primi ad adoperarsi per la nascita di un nuovo organismo statale fascista, da considerare come l’unico legittimo governo italiano in contrapposizione al governo di Badoglio, disconosciuto dalla Germania. I tedeschi in questo modo “evitarono di attribuirsi ufficialmente la veste di occupanti secondo quanto previsto dal diritto internazionale, e in particolare dalla sez. III del regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907: una decisione in questo senso avrebbe infatti comportato il riconoscimento del governo del sud e contraddetto quindi la scelta del governo tedesco di contestarne la legittimità, riconoscendo invece il nuovo Stato repubblicano guidato da Mussolini. <58 Questa situazione pregressa consente alle truppe tedesche di prendere il controllo di gran parte del territorio della penisola subito dopo la dichiarazione dell’armistizio, tra il 9 e il 10 settembre, e di disarmare l’esercito italiano, annichilito (con poche eccezioni) dalla mancanza di ordini dai superiori e dalla fuga degli ufficiali. La maggior parte dei soldati italiani all’annuncio della resa cessa di combattere e tenta di tornare a casa: i
militari tedeschi hanno gioco facile a disarmare, imprigionare e deportare migliaia di soldati <59.
Con l’armistizio è necessario completare celermente il processo di creazione del nuovo organismo statale, per non lasciare al governo monarchico nessun margine di consolidamento. Radio Monaco trasmette il primo messaggio di un governo nazionale fascista nella notte tra l’8 e il 9 settembre: Rolandi Ricci, Pavolini e Vittorio Mussolini diffondono il proclama del “Governo Nazionale Fascista Provvisorio <60”, che chiede a civili e militari italiani di schierarsi dalla parte dell’alleato, condannando il tradimento della monarchia. Occorre però individuare una figura in grado di guidare questo nuovo governo: le rivalità interne tra i fascisti a disposizione dei nazisti, accompagnata alla scarsa stima dei tedeschi nei loro confronti, non consentono la selezione di un valido capo di stato tra questi. Subentra anche l’ipotesi di un governo tecnico con l’ex Ministro dell’Agricoltura Giuseppe Tassinari, che tramonta con il ritorno di Mussolini: è del 12 settembre 1943 la liberazione del duce dalla prigionia a Campo Imperatore, con un’azione aerea inattesa e rocambolesca a cui i carabinieri non oppongono resistenza. <61
È a questo punto che la parabola della Repubblica Sociale Italiana ha inizio, nei giorni che seguono la liberazione di Mussolini: portato in salvo in Germania, incontra Hitler e accetta di prendere la guida del nuovo governo, pur trovandosi di fronte un progetto già definito da altri e con pochi margini di autonomia. La chiave interpretativa defeliciana vede il duce accettare tale incarico dietro la minaccia di Hitler di rendere l’Italia una nuova Polonia; questa teoria però non tiene conto delle <62 forti motivazioni di Mussolini nel voler colpire i traditori del regime e dar vita a un fascismo scevro dalla loro influenza negativa, reputata causa del fallimento.
Il 15 settembre 1943 l’emittente Radio Monaco trasmette un primo ordine programmatico a nome del duce, che annuncia il suo ritorno al comando e ordina agli organi del partito e alle strutture dello stato di riassumere i loro incarichi, abbandonati a causa della capitolazione del re; inoltre dichiara nullo il giuramento delle Forze Armate nei confronti del sovrano. Comunica le prime nomine del nuovo governo: Alessandro Pavolini è il segretario provvisorio del nuovo Partito Fascista Repubblicano e Vittorio Rolandi Ricci assume il comando della Milizia. Ribadisce agli italiani di prestare il massimo appoggio all’alleato tedesco nella lotta contro il nemico comune. Fin da questo proclama si consuma la separazione dalla monarchia: il nuovo stato assume la forma repubblicana, e si pone di fronte alla popolazione come l’unico governo legittimo. Sulla stampa si diffondono delle incertezze riguardo alla veridicità della liberazione del capo del fascismo, fino al 18 settembre del 1943, quando Mussolini parla in prima persona attraverso Radio Monaco. Riprende un dialogo diretto con la nazione, narrando le vicissitudini affrontate nelle settimane di prigionia; dopodiché annuncia la formazione dello Stato Fascista Repubblicano, che riprende il suo posto nella lotta accanto all’alleato tedesco, e riorganizza a tale scopo le forze armate. Vittorio Emanuele III e Badoglio sono accusati di aver mirato a distruggere quanto costruito nel ventennio fascista e di aver trascinato la nazione alla rovina e infangato l’onore italiano, da riconquistare sul campo di battaglia.
Malgrado gli esaltanti proclami radiofonici, Mussolini si scontra con la difficoltà di impostare le basi del nuovo stato, a partire dalla creazione della squadra di governo. Se molti fascisti si sono messi a disposizione di Badoglio nel corso dei quarantacinque giorni, e sono quindi equiparati ai traditori, altri preferiscono semplicemente non prendere parte al nuovo tentativo di governo fascista. Il duce e Pavolini lavorano alla ricerca dei ministri, ed è solo con il proclama radiofonico del 23 settembre che si ufficializzano i componenti del nuovo governo. È un esempio di questo faticoso processo la nomina del maresciallo Rodolfo Graziani a Ministro delle Forze armate: nonostante le forti divergenze, Mussolini non ha nomi alternativi per questa carica; inoltre è tenuta in considerazione la stima di cui il maresciallo gode ancora tra i combattenti, nonostante il fallimento delle campagne militari africane nel 1940 <63.
Riconquistare il consenso degli italiani è al centro degli interessi di Mussolini ed è volto a questo scopo il fondamento ideologico e propagandistico della piccola repubblica: il recupero di un fascismo delle origini, dei lavoratori, epurato dai grandi capitali, collusi con la monarchia. La socializzazione delle imprese, leit motiv fin dai primi discorsi di Radio Monaco, è l’arma con cui il fascismo si oppone alla fantomatica plutocrazia, responsabile dell’inizio della guerra e dei suoi rovesci, ma anche del soffocamento della spinta rivoluzionaria del primo fascismo. Sul piano materiale la socializzazione avrà nell’alleato tedesco un oppositore scettico; e nonostante una prolifica opera normativa sulla materia, i risultati della RSI non saranno quelli millantati dalla propaganda. Resta il fatto che l’aspirazione alla socializzazione ha una parte fondamentale nel sistema di valori della repubblica e parla ai fascisti, ma anche a tutti gli italiani delusi dalla fellonia del re. Non sono pochi coloro che scelgono di aderire a questo fascismo redivivo, confidando nella volontà di rinnovamento: emerge un quadro di fermento propositivo che coinvolge i fascismi locali, caratterizzato nei primi mesi della RSI da un ampio spettro di posizioni in merito alla gestione del partito e dell’economia, ma anche da proposte di collaborazione con gli antifascisti per mantenere l’unità del paese, presto piegate al prevalere della linea autoritaria del governo. Prevarrà comunque la tendenza squadrista: l’ostilità manifestata della popolazione nei confronti del regime nei quarantacinque giorni precedenti l’armistizio ha polarizzato nei fascisti la demarcazione dei ruoli tra i traditori e i traditi, e ciò che muove molti fascisti della RSI è la volontà di rivalsa, in aggiunta al sentimento di rappresentare l’unica parte onorevole della nazione.
Nel contesto del tradimento da parte della monarchia e del popolo, di perdita dell’onore agli occhi dell’alleato e della storia, nell’onta lavabile solo con il sacrificio sui campi di battaglia, Luigi Ganapini coglie lo scarto di immaginario dell’ultimo fascismo, che esprime in un’estetica funerea la smania violenta di vendetta dei traditori <64. Se in una prima fase la RSI tenta di ricreare un sostegno popolare attraverso una vasta opera propagandistica, la freddezza dei civili nei confronti del regime e l’ingrossarsi delle fila della Resistenza porta a una guerra totale dei repubblichini contro gli stessi connazionali, reputati pavidi e immeritevoli del fascismo. L’odio feroce per il nemico interno, che emerge con crudezza nella repressione degli antifascisti, ha il suo ruolo nella svolta politica fascista verso un inasprimento della politica antiebraica.
La politica opera per l’annientamento totale e l’espulsione dal corpo sociale della comunità ebraica, in quanto sul piano ideologico l’ebreo è diventato il nemico per antonomasia. Gli atti di persecuzione del governo saloino hanno anche motivazioni squisitamente politiche: rappresentano il costante tentativo di conquistare spazi di autonomia dall’alleato-invasore. Le truppe tedesche all’indomani dell’8 settembre hanno iniziato la loro personale caccia all’ebreo sul territorio italiano: stragi tristemente note come quella presso l’hotel Meina, sul Lago Maggiore, o la deportazione degli ebrei di Merano, hanno luogo entro la metà di settembre, quando il governo repubblichino è ancora da venire. Queste azioni sono caratterizzate da un’estrema efferatezza; per i soldati che le mettono in atto, «tornati dal fronte orientale e condizionati da più di un decennio di propaganda antisemita, si trattava di azioni banali; per loro la caccia agli ebrei e i saccheggi erano pratiche ordinarie di conquista del territorio. Nel corso dei due anni di occupazione più di 320 ebrei morirono in occasione di massacri del genere <65».
Il governo della RSI non è interessato a una tutela degli ebrei, nemmeno di quelli di cittadinanza italiana (cosa che accade invece nel regime di Vichy per gli ebrei francesi): tenta meramente di mantenere la politica antiebraica nella sua area di competenza. Esautorata da un vero potere sovrano, umiliata dall’alleato con la creazione delle zone di operazione e dalla richiesta di esorbitanti spese di occupazione, la Repubblica sociale cerca di ritagliarsi margini di manovra anche in un ambito come quello razziale, in cui non può che assecondare i piani di deportazione decisi dall’alleato. Nel periodo che precede l’occupazione e il governo saloino, alla popolazione ebraica già presente sul territorio si sono aggiunti profughi dai Balcani, dalla Grecia e dalla Libia. Liliana Picciotto ha calcolato che nel settembre 1943 gli ebrei italiani e stranieri sul territorio nazionale sono 38.857: tra questi, circa seimila persone riusciranno a fuggire in Svizzera nel corso dei mesi successivi. Saranno quindi in 32 mila a subire l’azione <66 persecutoria italiana e tedesca.
[NOTE]
50 Per una panoramica completa sulla storia della RSI mi limito a citare il fondamentale L. Ganapini, La Repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano 1999.
51 Per una panoramica sugli eventi e gli stati d’animo che seguono alla caduta di Mussolini cfr. Pavone, Una guerra civile, cit., p. 25 e seguenti.
52 M. Stefanori, Ordinaria amministrazione. Gli ebrei e la Repubblica sociale italiana, Bari-Roma 2017, p.47.
53 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 248.
54 Telegramma del capo della Polizia Senise del 10.9.1943: cfr. C. Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), p. 171.
55 Ganapini, La Repubblica delle camicie nere, cit.
56 Una disamina accurata delle diverse correnti all’interno della gerarchia tedesca in L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943- 1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 24 e seguenti; E. Collotti, L’amministrazione tedesca in Italia 1943-1945: studio e documenti, Lerici, Milano 1963, p. 130.
57 E. Collotti, L’amministrazione tedesca in Italia, cit., p. 55.
58 F. R. Scardaccione, La repubblica sociale italiana: aspetti istituzionali e archivistici, in Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma 2002, p. XVIII.
59 In merito allo sfascio totale che interessò l’esercito cfr. Pavone, Una guerra civile, cit., pp. 35-40.
60 R. Bonini, La Repubblica Sociale Italiana e la socializzazione delle imprese. Dopo il Codice civile del 1942, Giappichelli, Torino 1993, p. 84.
61 M. Borghi, Tra fascio littorio e senso dello stato, CLEUP, Padova 2001, pp. 46-47.
62 R. De Felice, Mussolini l’alleato. 1940-45, Einaudi, Torino 1997, p. 56.
63 A. Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana, Carocci, Roma 2012, p.66.
64 A tal proposito è interessante l’analisi dei simboli identitari funerei che uniscono i combattenti della RSI in Ganapini, La Repubblica delle camicie nere, cit., p. 112-128.
65 M.A. Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2008, p. 354.
66 L. Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 857.
Sara Garbarino, La Repubblica sociale italiana e la persecuzione degli ebrei, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2016-2017