I lavoratori romani cominciarono a protestare contro le «provocazioni fasciste e le violenze della polizia» verificatisi a Genova

È certa una situazione di confusione all’interno della galassia neofascista. Se, infatti, il fermo di Delle Chiaie indica chiaramente che non furono solo i missini a contestare la kermesse teatrale di Squarzina, è anche vero che il foglio “Disposizioni del Raggruppamento giovanile del Msi” del 3 marzo 1959 citò all’ordine del giorno il gruppo giovanile romano per quella che veniva definita «la imponente e decisa manifestazione inscenata dai nostri giovani, in occasione della prima rappresentazione della Romagnola al Teatro Valle. Contro questa sconcia kermesse, fra l’altro andata in scena con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si è levata scanzonata e a suon di uova marcie la vibrata protesta della gioventù nazionale giustamente sdegnata dal suo contenuto disfattista e insultate per la memoria di tanti giovani volontari caduti eroicamente sul campo di battaglia» <189.
Del resto, i missini continuarono a impegnarsi nell’opposizione a questi eventi culturali: pochi mesi dopo, il 7 ottobre, al cinema Quatto fontane, durante la prima della pellicola “Il generale Della Rovere” di Roberto Rossellini, secondo quanto riportato dal foglio del Raggruppamento giovanile, i giovani missini inscenarono «una violenta dimostrazione contro il film» e lanciarono dei manifestini in cui si accusava la pellicola di riaprire «l’odio civile» e di «rinverdire gli orrori della guerra civile» al fine di «far soldi, per farsi lodare, osannare, applaudire dai critici comunisti e da quelli che, pur non essendolo, in realtà rendono ai comunisti servigi tanto utili quanto idioti» <190. Essi affermavano che «a Rossellini adulatore e servitore, di volta in volta, di Mussolini e dei partigiani, dei preti e dei comunisti, sempre schierato con chi vince, camaleonte e trasformista per vocazione, non riconosciamo il diritto di impartire lezioni di moralità» <191.
Il dibattito sulla Resistenza era, evidentemente, quello che scaldava ancora maggiormente gli animi. Ad esempio, nel giugno 1959, in occasione del quindicennale della liberazione di Roma, a Centocelle, tra via dei Castani e piazza dei Mirti, alcuni missini furono aggrediti da alcuni militanti comunisti, mentre affiggevano un manifesto provocatorio in cui si leggeva” Alle vedove inconsolabili dell’antifascismo rispondiamo: W Cioccetti”. Furono denunciati sette comunisti <192.
Nello stesso giugno 1959 si ebbero anche alcuni incidenti a via Leone IV, nel quartiere Prati. Presso il bar Miani, infatti, il militante di destra Arconvaldo Bonaccorsi fu aggredito da alcuni militanti comunisti di Valle Aurelia, giunti sul posto a bordo di un’auto e di alcune motociclette. Secondo la relazione di Marzano, “gli aggressori hanno lanciato contro gli altri sedie, bottiglie e stoviglie che si trovavano sopra i tavoli. […] L’aggressione è stata evidentemente preordinata. Infatti, i comunisti della sezione Valle Aurelia, che peraltro si trova abbastanza distante dal bar Miani, conoscono che il Bonaccorsi è un abituale frequentatore del locale insieme con alcuni amici della medesima professione politica. Inoltre, immediatamente prima dell’incidente è stato notato sul posto un vecchio, poi dileguatosi nella confusione del momento, il quale ad un certo punto ha cominciato a pronunciare ad alta voce frasi apologetiche del partito comunista e della Russia sovietica, concludendo con l’esclamazione ‘Viva Mussolini’, subito seguita da un suono scurrile. Non appena uno degli avventori ha chiesto al vecchio il perché del suo atteggiamento, sono sopraggiunti gli aggressori, scesi da un’automobile e da alcuni motomezzi, che evidentemente stazionavano nei pressi. <193
Si trattava, ormai, di poco più che scaramucce di quartiere. Ben più gravida di conseguenze per la storia italiana sarebbe stata, invece, la fondazione, il 25 aprile 1960, di Avanguardia nazionale giovanile (poi Avanguardia nazionale, An), con a capo Stefano Delle Chiaie, che nel 1959 era uscito da Ordine nuovo, preso atto che Rauti era restio a trasformare il gruppo da centro studi in movimento politico. Avanguardia nazionale, evoluzione dei Gar fondati nel 1958, si presentò, dunque, come un approdo per quanti avevano lasciato il Msi negli anni precedenti, con posizioni critiche verso il «traditore» Michelini. Con sede in via delle Muratte, vicino Fontana di Trevi, la nuova organizzazione si impegnò nelle questioni sociali, ignorate da On, e nell’attività nelle borgate. Negli anni successivi, An si sarebbe contraddistinta per numerose aggressioni contro militanti e organizzazioni di sinistra e sarebbe stata coinvolta, in modo più o meno consapevole, in alcune manovre golpiste, a tutt’oggi molto oscure, e nelle indagini per la strage di piazza Fontana del 1969 […]
Come abbiamo visto <194, nel maggio 1960 – mentre il governo Tambroni procedeva sulla strada di una crescente repressione -, il Msi decise di tenere a Genova il suo VI congresso, previsto per l’inizio di luglio. Questa scelta fu all’origine di quelli che sono passati alla storia come i fatti del «luglio ’60» che, come ha scritto lo storico Giovanni De Luna, hanno acquistato lo «spessore di un ‘rito di passaggio’ consumato in maniera totalmente dispiegata nelle piazze e nella febbre dell’attivismo politico ma realizzatosi nella profondità della struttura sociale ed economica del paese» <195.
Quando i missini scelsero di organizzare proprio a Genova, città medaglia d’oro per la resistenza, il loro congresso e, secondo quanto si diceva, di farlo presiedere all’ex prefetto repubblichino della città, Carlo Emanuele Basile, sapevano tanto che avrebbero suscitato le reazioni antifasciste, quanto di avere al loro fianco il governo che sostenevano <196. Effettivamente, il ministro dell’Interno Spataro, non vietando l’evento, innescò un processo perturbativo in una città – la terza per concentrazione industriale – in cui da sette anni non si verificavano incidenti per l’ordine pubblico: i moti si diffusero poi nel resto d’Italia e non rappresentarono più solo una rivolta contro l’alleanza tra Dc e Msi, quanto piuttosto contro tutto il sistema di potere, di cui essa era una variante estrema, che veniva presentato come una «democrazia autoritaria».
A partire da maggio, infatti, iniziò una mobilitazione antifascista per far vietare il congresso missino, considerando un’offesa la sua ospitalità in una città che tanto aveva sofferto per l’occupazione nazifascista. Protagonista di queste proteste fu il Consiglio federativo della Resistenza: nato tra il gennaio e il febbraio precedenti, esso era diventato un soggetto politico importante soprattutto dopo l’entrata in carica del governo Tambroni, quando aveva cominciato a lanciare appelli per la formazione di altri organismi omologhi a livello locale <197.
Nonostante questa mobilitazione, Spataro decise di non vietare il congresso, pensando di poter limitare eventuali turbamenti dell’ordine pubblico con la canonica repressione di piazza. Secondo il giornalista Paloscia, in quei giorni «il governo […] decise di mettere in campo anche mezzi che non erano stati impiegati mai in operazioni di ordine pubblico negli anni della Repubblica, come gli autoblindo e i reparti a cavallo della polizia e dei carabinieri. Gli autoblindo per spaventare Genova, la cavalleria per intimorire Roma» <198. Tra l’altro, secondo Paloscia, gli autoblindo “erano mezzi inaffidabili nelle operazioni di ordine pubblico, sia perché i guasti erano frequentissimi, sia perché erano mezzi che se non sparavano diventavano una trappola per gli equipaggi. Una giustificazione a sparare con le mitragliatrici poteva esserci solo se gli autoblindo fossero stati attaccati con armi da fuoco. I manifestanti li attaccarono a mani nude e li rovesciarono. E il questore di Genova preferì la disfatta piuttosto che ordinare il fuoco contro la folla”. <199
Il 30 giugno, infatti, a Genova fu organizzato dal Consiglio federativo della Resistenza e della Camera del lavoro locali un corteo di protesta contro il congresso missino, che vide la partecipazione di circa centomila persone. Nelle settimane precedenti, intanto, il ministero dell’Interno aveva fatto confluire in città tutti i reparti mobili disponibili: la loro presenza contribuì ad aumentare la tensione. Giunto il corteo in piazza De Ferrari, dal suo interno furono lanciati insulti verbali e qualche sasso contro la polizia, che caricò in profondità: ciò diede origine a scontri violentissimi, che durarono fino a tarda notte. Nonostante la repressione violenta, la resistenza dei manifestanti costrinse la polizia a ritirarsi <200: come ha ricostruito lo storico Giovanni De Luna, «quando le forze dell’ordine furono ritirate nelle caserme e Genova sprofondò in un vuoto di potere momentaneo ma drammatico, il Consiglio federativo ligure della Resistenza organizzò un comitato permanente con i caratteri e i poteri del Comitato di liberazione ‘pronto a prendere in mano il governo della città’. I partigiani ripresero i loro nomi di battaglia, si ricostituirono le vecchie brigate, i comandi di zona protagonisti della vittoriosa insurrezione contro i tedeschi del 25 aprile 1945» <201. Alla fine della giornata, dopo la decisione del teatro Margherita di ritirare l’ospitalità al congresso missino e il rifiuto dei missini di spostarlo a Nervi, fuori città, il prefetto Pianese lo annullò, non potendo garantire ai delegati l’incolumità: gli antifascisti avevano vinto la loro battaglia.
I fatti di Genova erano stati significativi, ma nessuno pensava che si fosse all’inizio di una escalation che avrebbe assunto esiti drammatici nei giorni successivi. Come ha scritto Fabrizio Loreto, il Pci, pur partecipando insieme agli altri partiti all’organizzazione delle manifestazioni, fu colto di sorpresa dagli eventi dei giorni successivi: «Nessuno nel PCI, neanche dopo la manifestazione di Genova, pensava ad un ulteriore aggravamento della crisi politica» <202. Anche la Cgil si mantenne cauta, non ritenendo possibile una caduta in tempi brevi del governo: dopo Genova, le circolari del sindacato non accennavano agli scontri avvenuti e la svolta avvenne solo dopo i fatti di Roma e di Reggio Emilia <203.
È emblematico il caso di Roma, dove, ad esempio, fino ad allora la Cdl non era sembrata troppo interessata al congresso missino: sui comunicati giornalieri dell’Ufficio stampa e propaganda non se ne fece cenno, se non per comunicare la solidarietà inviata dai lavoratori della Olivetti alla Cdl di Genova <204. Fu solo tra il 30 giugno e il 1° luglio che la Cdl espresse la sua vicinanza alla «Genova democratica e antifascista» <205. Il 1° luglio i lavoratori romani cominciarono a protestare contro le «provocazioni fasciste e le violenze della polizia» verificatisi a Genova, con spontanee e brevi sospensioni del lavoro e approvazioni di ordini del giorno di solidarietà, in particolare alla Fatme, alla Fiorentini, alla Stefer, al Poligrafico dello Stato <206. Nel comunicato del Consiglio generale dei Sindacati di Roma e provincia, riunitosi il 1° luglio, si leggeva che esso individuava “nelle gravi provocazioni fasciste e nelle violenze poliziesche gli elementi di una politica involutiva dei gruppi dominanti e del governo Tambroni che, contrastando i principi costituzionali, tende a respingere, in ogni campo, le profonde aspirazioni delle classi lavoratrici al progresso democratico, sociale ed economico. Dalla serrata delle fornaci, all’intransigenza dei costruttori edili a contrattare il cottimo, dalla pretesa degli industriali del gas di limitare l’iniziativa parlamentare nei loro confronti, subordinando a questo ricatto fascista le trattative per il contratto di lavoro, alla resistenza dell’ATAC e della STEFER contro le rivendicazioni sindacali; […] dalle violenze poliziesche contro i lavoratori di Palermo in sciopero generale unitario, al sostegno – con la forza e la violenza delle armi – dell’insulto fascista contro la città di Genova, emerge una unica linea padronale e governativa, contro la quale i lavoratori debbono intensificare la lotta”. <207
[NOTE]
189 Archivio Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, fondo Movimento sociale italiano, serie 2, b. 19, f. 54 ‘Attività del partito 1959’. Disposizioni del Raggruppamento Giovanile, anno IV, n. 1, 3 marzo 1959.
190 Ivi. Disposizioni del Raggruppamento Giovanile, anno IV, n. 4, 4 ottobre 1959.
191 Ibidem.
192 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 14, f. 11060/69 ‘Roma – Incidenti’. Relazione di Marzano del 7 giugno 1959.
193 Ivi. Relazione di Marzano del 21 giugno 1959.
194 Cfr. supra cap. 18.
195 De Luna, I fatti di luglio 1960, cit., p. 365.
196 Come ha fatto notare Fabrizio Loreto, non era la prima volta che il Msi svolgeva un suo congresso in una città medaglia d’oro per la Resistenza (ad esempio, nel 1956 lo tenne a Milano), ma il partito neofascista prese delle decisioni simbolicamente importanti – come, appunto, la scelta di Basile – che furono giudicate provocatorie dagli antifascisti della città, che avevano contato ben 1.863 partigiani uccisi dai nazifascisti solo un quindicennio prima. Cfr. Loreto, La rivolta democratica del 1960, cit., pp. 31-2.
197 Come ha scritto Fabrizio Loreto, già nella seconda metà del 1959 era emersa l’idea di costituire un’organizzazione nazionale, articolata sul territorio, che coordinasse le numerose sigle dell’associazionismo partigiano: essa si era poi concretizzata in un appello – firmato tra gli altri da Achille Battaglia, Ferruccio Parri, Arrigo Boldrini, Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi, Sandro Pertini, Umberto Terracini – Per un Consiglio Federativo della Resistenza, nel gennaio 1960 (Ivi, p. 67). La prima assemblea costituiva si tenne a Roma il mese successivo: aderirono, oltre all’Anpi, l’Anppia (Associazioni nazionale perseguitati politici italiani antifascisti), l’Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) e la Fiap (Federazione italiana delle associazioni partigiane), legata a Giustizia e libertà, mentre la cattolica Fivl (Federazione italiana volontari della libertà) e l’Ancr (Associazione nazionale combattenti e reduci) si mantennero defilate.
198 Paloscia, I segreti del Viminale, cit., pp. 186-7.
199 Ivi, pp. 187-8. Sull’ordine di non sparare, cfr. anche M. Grispigni, Figli della stessa rabbia. Lo scontro di piazza nell’Italia repubblicana, in ‘Zapruder’, 2003, 1, p. 62.
200 Per una ricostruzione, cfr. D. Della Porta, H. Reiter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global», Il Mulino, Bologna 2003, pp. 150 1, Bermani, Il nemico interno , cit., pp. 168 80 e, soprattutto, Cooke, Luglio
1960 , cit., pp. 37 49, 65 95.
201 De Luna, I fatti di luglio 1960, cit., p. 361. Per la più recente e completa ricostruzione dei fatti di Genova, cfr. Loreto, La rivolta democratica del 1960, cit., pp. 72-85.
202 Ivi, p. 106.
203 Ivi, pp. 119-20.
204 Archivio storico Cgil Lazio, Cdl Roma, Comunicati, 1960, I. Comunicato del 28 giugno 1960.
205 Archivio storico Cgil Lazio, Cdl Roma, Comunicati, 1960, II. Comunicato del 1° luglio 1960.
206 Archivio storico Cgil Lazio, Cdl Roma, Comunicati, 1960, II. Comunicato del 2 luglio 1960. Cfr. anche G. Sircana, Un giorno e una vita. Roma, 6 luglio 1960, Ediesse, Roma 2011, p. 15.
207 Archivio storico Cgil Lazio, Cdl Roma, Comunicati, 1960, II. Comunicato del 2 luglio 1960.
Ilenia Rossini, Conflittualità sociale, violenza politica e collettiva e gestione dell’ordine pubblico a Roma (luglio 1948-luglio 1960), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015