La memoria traumatica della guerra civile spagnola

Fonte: Enrico Acciai, art. cit. infra

Lo scoppio delle ostilità in Spagna colse l’antifascismo italiano in un momento particolare della propria storia: la svolta seguita al VII congresso del Comintern e l’avvento della stagione dei Fronti Popolari avevano modificato i rapporti tra gli esuli italiani. I comunisti, in particolare, erano passati nel volgere di pochi mesi dal “social fascismo” degli anni precedenti ad un dialogo con le altre forze antifasciste, tanto che nell’estate del 1934 si era arrivati alla stipula di un patto d’unità tra PCd’I e PSI. Anche la nascita di GL, fondata nel 1929 subito dopo la rocambolesca fuga di Carlo Rosselli dalla colonia di confino di Lipari, aveva portato un’aria nuova nel mondo dell’esilio antifascista: quest’ultimo aveva sin da subito lavorato per trovare un elemento comune tra tutte la «migliori energie» di quell’universo così variegato. Perfino gli anarchici, tradizionalmente i più restii a collaborazioni con altre forze politiche, avevano accolto con interesse la nascita di questo nuovo movimento. Luigi Fabbri, uno dei grandi vecchi del movimento libertario italiano, aveva definito l’evento come un “fatto rivoluzionario” e aveva scritto che GL avrebbe potuto essere «un fattore di primo ordine per la rivoluzione italiana» <3. In sintesi, si potrebbe dire che all’interno dell’antifascismo in esilio (l’ambiente dal quale sarebbe provenuta la maggior parte dei volontari) nei primi anni trenta si può segnalare, quanto meno, un serio dialogo tra le diverse famiglie politiche. Un dato del genere emerge se si analizza la socialità degli esuli italiani. In questo periodo le relazioni dei confidenti fascisti rilevarono spesso la compresenza di militanti di diverse tendenze politiche alle iniziative più disparate: nel novembre del 1935, ad esempio, ad una riunione settimanale di GL vennero segnalati «diversi anarchici, repubblicani e massimalisti», mentre il mese successivo ad una conferenza pubblica molto partecipata, anch’essa giellista, sarebbero stati presenti molti anarchici che avrebbero animato «con entusiasmo» il dibattito <4.
Nel giugno del 1936, poche settimane prima dello scoppio della guerra civile spagnola, Carlo Rosselli ribadì per l’ennesima volta la propria volontà di perseguire una qualche forma di unità tra le diverse famiglie politiche dell’antifascismo: «Reagire con centuplicata energia. Ricercare l’interesse e la capacità d’interesse attraverso interessi fortissimi. Ridestare passioni affettive», scrisse in quell’occasione, «condizione prima del riscatto non è la guerra, il terremoto generale che troppi ancora oggi si augurano. È la capacità dell’antifascismo di farsi esso una cosa sempre più viva e ricca, tale da interessare e appassionare i propri membri innanzitutto e da vivere di vita propria. L’autonomia: riprova di ogni ideale autentico. Quindi meno politica in senso angusto e burocratico e più cultura e umanità, soprattutto in esilio» <5.
Pur esistendo quindi i presupposti per un intervento unitario dell’antifascismo italiano nella guerra civile, questo si produsse? La risposta è negativa. In Spagna, infatti, i volontari italiani non s’integrarono solamente alle Brigate Internazionali, ed in particolare al celebre battaglione Garibaldi, ma diedero vita almeno ad un’altra esperienza significativa: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso <6. Camillo Berneri e Carlo Rosselli fondarono questo gruppo a cavallo tra il luglio e l’agosto del 1936 a Barcellona; la Sezione avrebbe visto passare tra le sua fila più di 600 antifascisti italiani e si sarebbe sciolta nell’aprile dell’anno successivo. La maggior parte dei suoi integranti, circa il 60%, furono anarchici, mentre un 14% fu comunista; tanto i socialisti quanto i giellisti si attestarono invece attorno al 6%; come emerge da questi dati, il gruppo si determinò necessariamente come colonna libertaria. La Sezione Italiana combatté sul fronte aragonese, al lato delle milizie anarco-sindacaliste catalane ed ebbe il proprio battesimo del fuoco il 28 di agosto, quando le posizioni degli italiani furono attaccate dalle truppe nazionaliste; secondo il giornalista giellista Umberto Calosso, presente quel giorno sul fronte, si sarebbe trattato del «primo fatto d’armi partigiano degli italiani nella guerra europea» <7. La colonna si sarebbe sciolta nell’aprile dell’anno successivo quando i suoi componenti, nella quasi totalità anarchici (i giellisti ed i socialisti avevano abbandonato il gruppo durante i primi giorni di gennaio), si rifiutarono di accettare la militarizzazione imposta dal governo repubblicano.
Alcuni mesi dopo rispetto al gruppo di Rosselli e di Berneri, tra l’ottobre ed il novembre del 1936, si organizzarono le Brigate Internazionali e al loro interno vide la luce il battaglione (in un secondo momento brigata) Garibaldi <8. Questa fu l’altra grande esperienza dell’antifascismo italiano in Spagna, un’esperienza che avrebbe avuto una vita più lunga rispetto alla Sezione Italiana e che sarebbe sopravvissuta fino all’autunno del 1938 quando il governo repubblicano decise di ritirare i volontari stranieri. I garibaldini di Spagna furono sicuramente almeno 4.000 (ancora non esiste un dato certo ma siamo d’accordo con Gianni Isola che questa stima andrà rivista al rialzo) <9. In questo caso, secondo quanto emerge dai dati da noi raccolti negli ultimi anni, i comunisti rappresentarono ben il 71% dei volontari, seguiti da un 10% di socialisti, da un 4,5% di anarchici e da uno 0,5% di giellisti. Per questo secondo gruppo non è quindi sbagliato parlare di una formazione spiccatamente comunista.
Quindi, l’intervento antifascista italiano in Spagna non riuscì ad essere unitario. Nonostante il 29 luglio del 1936 Carlo Rosselli avesse scritto al repubblicano (e futuro comandante del battaglione Garibaldi) Randolfo Pacciardi come «in tutti i movimenti e naturalmente in vivissima forma nel nostro» vi fosse «il desiderio di arrivare possibilmente ad un intervento collettivo seriamente organizzato e selezionato dell’antifascismo italiano», questo appello rimase inascoltato: questo non fu possibile <10. Il leader giellista fu uno dei più attivi sostenitori della necessità dell’unità antifascista tra i volontari italiani; pochi giorni prima della sua partenza per Barcellona, ad esempio, aveva inviato un ultimo accorato appello a comunisti e socialisti affinché partecipassero alla colonna che stava organizzando con Berneri: «sarebbe bene riunirsi e riunire le forze», scrisse in quell’occasione, «perché il contributo italiano sia il più largo ed efficace possibile» <11. Ma i comunisti, e sulla loro scia i socialisti, preferendo aspettare il via libera da Mosca, rifiutarono quella proposta; il Comintern avrebbe deciso per un sostegno attivo alla causa repubblicana («tra i lavoratori di tutti i paesi», avrebbe recitato una nota, «si dovrà favorire un arruolamento di volontari da inviare in Spagna che conoscano la disciplina militare») soltanto durante la riunione del Presidium del 16 settembre, quindi un mese e mezzo dopo la partenza di Carlo Rosselli per la Spagna <12.
[NOTE]
3 Citato in: FEDELE, Santi, Luigi Fabbri, un libertario contro il bolscevismo e il fascismo, Pisa, BFS, 2006, p. 72.
4 Archivio Centrale dello Stato (ACS), Divisione Polizia Politica (DPP), Fondo per Materia (FM) pacco 127, fascicolo 1, sottofascicolo D. Relazione informatore K7/53, 25/11/1935 e ACS, Casellario Politico Centrale (CPC), busta 537, fascicolo 737478 Berneri Camillo. Appunto Direzione Generale PS, 28/12/1935.
5 ROSSELLI, Carlo, Scritti dall’Esilio, Volume II, dallo scioglimento della concentrazione antifascista alla Guerra di Spagna (1934-1937), Torino, Einaudi, 1992, p. 378.
6 Al riguardo mi permetto di segnalare i miei due recenti saggi: ACCIAI, Enrico, «Berneri e Rosselli in Spagna, l’esperienza della “Sezione Italiana della Colonna Ascaso”», Spagna Contemporanea, 2010, n. 38) e ACCIAI, Enrico, «Una scelta di vita. Il primo volontariato italiano nella guerra civile spagnola», Storia e problemi contemporanei, 2010, n. 55).
7 CALOSSO, Umberto, «La battaglia di Monte Pelato», in ROSSI, Ernesto (a cura di), No al fascismo, Torino, Einaudi, 1957, p. 252. Si veda anche la mia tesi di dottorato: ACCIAI, Enrico, Viaggio attraverso l’antifascismo. Volontariato internazionale e guerra civile spagnola: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso, Dottorato di Ricerca – XXII Ciclo, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, 2010.
8 Al riguardo si veda: DELPERRIE DE BAYACA, Jaques, Les Brigades internacionales, Parigi, Fayard, 1968 ed il più recente SKOUTELSKY, Remi, op. cit.
9 ISOLA, Gianni, «La contribution du Parti communiste d’Italie aux Brigades internationales», in PREZIOSO, Stefanie, BATOU, Jean, RAPIN, Jaques (a cura di), Tant pis si la lutte est cruelle – Volontaires internationaux contre Franco, Parigi, Editions Syllepse, 2008, pp. 78-79.
10 Istituto Storico della Resistenza in Toscana (ISRT), Archivi di Giustizia e Libertà (AGL), Fondo Carlo Rosselli, busta 1, fascicolo 86. Lettera di Carlo Rosselli a Randolfo Pacciardi, 29/07/1936.
11 Archivio Fondazione Gramsci (AFG), Fondo Partito Comunista d’Italia (FPCdI), fascicolo 1397 – Corrispondenza della dirigenza del PCI con “Giustizia e Libertà”, folio 15. Lettera di Carlo Rosselli alla dirigenza del PCd’I e del PSI, 01/08/1936.
12 SCHAUFF, Frank, La victoria frustrada: la Unión Soviética, la Internacional Comunista y la guerra civil española, Barcellona, Debate, 2008, p. 178.
Enrico Acciai, «Memorie difficili». Antifascismo italiano, volontariato internazionale e guerra civile spagnola, Diacronie – «Spagna Anno Zero»: la guerra come soluzione – IV. La presenza italiana in Spagna -, N° 7, 3 / 2011, documento 19

Qualsiasi studio che si occupi, seppur trasversalmente, della guerra civile spagnola non può prescindere da una disamina delle principali questioni storico-culturali a essa collegate, in particolar modo riguardo alla memoria histórica <1. Le ripercussioni del conflitto sulla società civile, infatti, sono state di enorme portata e hanno causato la frattura del paese in due fazioni contrapposte che, dal 1939 a oggi, sembrano non essere ancora giunte alla riconciliazione. I crimini franchisti, inoltre, sono attualmente oggetto di un’indagine condotta dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e il governo spagnolo è stato sollecitato in varie occasioni ad applicare e a rendere effettiva la tanto discussa Ley de Memoria Histórica <2 a favore delle vittime repubblicane.
[…] Gli avvenimenti che culminarono nell’insurrezione dei vertici militari dell’esercito spagnolo nell’estate del 1936 affondavano le loro radici in un clima di profonda conflittualità sociale che piegava il paese fin dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Il fallimento della prima Repubblica (1873-1874), la perdita delle ultime colonie (1898), la guerra in Marocco (1911-1927) e, infine, la dittatura di Miguel Primo de Rivera (1923-1930), furono i fattori scatenanti di quel lento processo di polarizzazione della società e dei rispettivi schieramenti politici che culminò nell’opposizione tra estrema destra antidemocratica e sinistra repubblicana, le protagoniste del più cruento scontro armato che la Spagna contemporanea abbia affrontato sinora <3.
La guerra civile spagnola <4 catturò presto l’attenzione delle grandi potenze mondiali, a quell’epoca già contrapposte in fascismi e antifascismi. Se l’Italia e la Germania, alla vigilia della seconda guerra mondiale, riconobbero in Francisco Franco l’alleato perfetto col quale consolidare l’asse nazionalsocialista su scala europea, l’Unione Sovietica aderì alla lotta dell’esercito repubblicano schieratosi in difesa della democrazia sostenendo i combattenti del governo legalmente eletto con i battaglioni delle Brigate Internazionali <5, legate al Comintern. La Francia e l’Inghilterra, invece, scelsero di sottoscrivere un patto di non belligeranza che portò, nel 1938, alla smobilitazione delle Brigate <6. La Spagna diventò, in questo modo, il campo di battaglia di una guerra intestina che ne avrebbe segnato le sorti e in cui anche le grandi potenze combattevano la loro personale lotta in aiuto degli schieramenti coinvolti, seppur sempre interessate ai propri affari interni.
L’impatto internazionale del conflitto fu notevole e i maggiori esponenti del giornalismo dell’epoca decisero di stabilirsi a Madrid durante l’intera durata degli scontri per offrire al mondo la loro testimonianza di quella che fu definita all’unanimità The Last Great Cause <7.
Il golpe dei militari ribelli <8, estesosi dalle isole Baleari alla penisola fra il 17 e il 18 luglio del 1936, aveva l’obiettivo di far crollare la Repubblica, proclamata a seguito delle elezioni del febbraio precedente. La rivolta colse di sorpresa il governo, con sede a Madrid, ma nella capitale il tentativo insurrezionale fu prontamente soffocato nel sangue e la Repubblica riuscì a sopravvivere fino al 1939, durante tre lunghi anni che segnarono il più lungo ed eroico assedio del conflitto <9. Neppure Barcellona si arrese agli insorti e le due personalità di spicco della rivolta, i generali Emilio Mola e Francisco Franco, si resero conto che solo un’azione di conquista avrebbe potuto cambiare l’evoluzione della guerra. Prese, così, avvio un cruento conflitto interno in cui la violenza esercitata nei confronti del rispettivo nemico segnò quella che, col tempo, è stata definita la memoria traumatica della guerra civile spagnola <10, caratterizzata da una violenza senza precedenti che condusse le due parti coinvolte a compiere mattanze, esecuzioni di massa, paseos e qualsiasi altro tipo di atto repressivo <11. La soppressione del nemico comportò la distruzione dei legami familiari e nazionali nell’ottica di una spietata guerra totale <12: Cosa indica dunque, cosa anticipa la guerra di Spagna? Indica in primo luogo che se la sola logica militare, il puro obiettivo di prevalere sul nemico – indipendentemente da ogni considerazione sulla sua nocività e indegnità – già conduceva la guerra del secolo XX a trasformarsi in un’immorale guerra contro i civili, questa pratica immorale ha trovato stimolo e viatico dal fatto che la ‘guerra totale’ ha incontrato il ’nemico totale’, un nemico connotato più da caratteri politico-ideologici che nazionali, contraddistinto cioè da una radicale differenza di concezione del mondo e di finalità politico-sociali.
Talché la linea di fronte che divide l’amico dal nemico non coincide più con le frontiere dei paesi ma passa al loro interno. <13
I crimini commessi da entrambe le fazioni furono efferati, sebbene lo scarto tra lo schieramento repubblicano e l’esercito franchista sia individuabile nella dettagliata pianificazione delle azioni repressive condotte contro il “nemico rosso” <14, portate avanti durante e dopo il conflitto. In piena dittatura, infatti, le vittime nazionaliste ricevettero degna sepoltura e onori, laddove le vittime repubblicane furono cancellate dalla storia e la loro memoria venne negata e infangata. Da questa disparità di elaborazione del lutto e dalla sua controversa gestione storico-politica deriva, appunto, il trauma della guerra civile, cui è legata una memoria violata e non riappacificata.
La dittatura del generalísimo basò l’azione di controllo della nuova Spagna sulla violenza e sulla repressione. L’annullamento dei repubblicani, fisico e intellettuale, portò a una vera e propria pratica di mnemonicidio: l’onnipresente censura, il terrore della delazione e la violenza fisica (attraverso la tortura o i lavori forzati <15) confinarono i vencidos nel silenzio o, nei casi più estremi, nell’esilio e nella resistenza clandestina da condursi nei centri urbani ma soprattutto nelle montagne. Nel riassetto dello stato, un ruolo centrale era ricoperto dalla storiografia: i dati storici furono manipolati e censurati attraverso una sapiente operazione di propaganda con l’obiettivo di elaborare una nuova memoria collettiva in linea con il discorso ufficiale. La guerra civile era il mito di fondazione primigenio del regime, il primo di tante costruzioni ideologiche volte a mascherarne l’illegittimità. L’operazione storiografica, «azione sociale nella sua capacità di produrre il legame sociale e le identità» <16, condannò i vinti a un oblio comparabile alla damnatio memoriae degli antichi <17.
[NOTE]
1 Con il termine memoria histórica ci si riferisce al riconoscimento e alla riabilitazione delle vittime della guerra civile e del franchismo. Durante la dittatura, i caduti di parte repubblicana non ricevettero mai una sepoltura pubblica e non fu loro accordata pari dignità con gli insorti dalla storiografia ufficiale della nuova Spagna franchista. I fedeli alla Repubblica, i vinti della guerra, dovettero patire in patria ogni tipo di violenza, sia fisica sia intellettuale, e la loro memoria fu infangata e violata. La repressione non diminuì con la fine del conflitto ma, al contrario, fu una pratica vigente fino almeno agli anni Sessanta del secolo scorso, quando i lavori forzati o il carcere erano ancora largamente diffusi in Spagna. Da circa tre lustri, è in corso un acceso dibattito pubblico riguardante la localizzazione e l’apertura delle migliaia di fosse comuni dislocate nell’intera penisola iberica, un dibattito che si è esteso all’intera sfera socio-politica del paese come si avrà modo di esporre nelle pagine che seguiranno.
2 La legge condanna i crimini del franchismo e sancisce, fra le varie misure, l’aiuto alle vittime e alle loro famiglie, la collaborazione nel processo di localizzazione e riesumazione dei cadaveri, la soppressione delle effigi franchiste, la riqualifica del Valle de los Caídos e la concessione della nazionalità spagnola per i Brigatisti Internazionali. Il testo completo è consultabile presso la pagina web dell’Agencia Estatal Boletín Oficial del Estado http://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2007-22296 (Ley 52/2007, de 26 de diciembre, por la que se reconocen y amplían derechos y se establecen medidas en favor de quienes padecieron persecución o violencia durante la guerra civil y la dictadura) e sul sito dedicato del Governo spagnolo http://www.memoriahistorica.gob.es/LaLey/index.htm.
3 Per approfondimenti sull’epoca prebellica, cfr. Ranzato, Gabriele, “El peso de la violencia en los orígenes de la guerra civil de 1936-1939”, Espacio, Tiempo y Forma, Serie V, Historia Contemporánea, t. 20 (2008), pp. 159-182.
4 Per approfondimenti, Casanova, Juliá – Preston, Paul (coords.), La Guerra Civil española, Madrid, Editorial Pablo Iglesias, 2008.
5 La bibliografia riguardante l’intervento armato delle Brigate Internazionali a favore della Repubblica è copiosa e indaga svariate questioni non solo di natura politica, ma anche storica, culturale e antropologica. Si ricordi che le Brigate presero parte alle principali battaglie del conflitto (Jarama, Guadalajara, Brunete, Teruel e la difesa di Madrid) e, dopo la loro dissoluzione, molti volontari parteciparono poi alla seconda guerra mondiale. Per approfondimenti sull’interpretazione mitica della guerra civile, una delle più diffuse tra l’opinione pubblica del tempo e strettamente legata all’intervento internazionale, cfr. Ranzato, Gabriele, “Ripensare la guerra di Spagna”, Storia e memoria, num. 1 (1998), pp. 69-78. Nel saggio, lo storico spiega come il conflitto assunse, sin da principio, una connotazione mitico-romantica in cui lo spirito d’avventura e lo scontro tra il bene (antifascismo) e il male (fascismo) delinearono l’aura leggendaria attorno alle Brigate, presenti a Madrid dal novembre del 1936. L’esercito volontario, nato come organizzazione politica combattente, era animato, invece, da un forte fattore ideologico di stampo sovietico, nonostante che in Spagna i sostenitori della Repubblica fossero anarchici, socialisti, operai e affiliati al Frente Popular. Per informazioni sull’organizzazione dei battaglioni, si consulti Capponi, Nicolò, I legionari rossi. Le Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola (1936-1939), Roma, Città Nuova, 2000, volume in cui è presa in esame la composizione delle brigate, tenendo a mente l’elevata percentuale degli affiliati al comunismo, i più organizzati ed esperti riguardo alle mobilitazioni sociali e grazie anche ai quali l’ideale di lotta antifascista conquistò una grossa fetta dell’opinione pubblica, tra cui intellettuali, giornalisti e artisti che sostennero attivamente l’intervento in Spagna. Furono all’incirca trentacinquemila gli stranieri che combatterono con la Repubblica (francesi, italiani, tedeschi, americani, ebrei e delle più svariate estrazioni sociali) distribuiti in numerosi battaglioni, fra cui spiccarono, per fama, il Lincoln, il Garibaldi, il Thälmann e l’André Marty.
6 Per appofondimenti, cfr. Ranzato, Gabriele, “La democrazia indifesa: la Spagna repubblicana tra rivoluzione e «non intervento» (1936-1939)”, Ricerche di Storia Politica, 3(2007), pp. 281-300.
7 Preston, Paul, Idealistas bajo las balas. Corresponsales extranjeros en la guerra de España, 2a ed., Barcelona, Debolsillo, 2011, volume dedicato al ruolo dei corrispondenti internazionali che lavorarono, in particolare, a Madrid e in cui lo studioso indaga i rapporti, spesso conflittuali, che essi intrattennero con gli esponenti del governo repubblicano, gli addetti alla censura e allo spionaggio.
8 I capi dell’esercito insorto iniziarono a tramare contro la Repubblica già dai primi mesi del 1936 dopo essersi sentiti minacciati dalle riforme di Manuel Azaña, i cui piani prevedevano una ridistribuzione all’interno dei vertici militari a partire dall’abolizione della Guardia Civil e la sua sostituzione con la Guardia de Asalto, destinata al controllo urbano. Azaña cercò di limitare il potere dei generali dislocandoli in precise regioni militari lontane dal centro del potere: Francisco Franco fu destinato alle Canarie, Emilio Mola a Pamplona e Manuel Goded alle Baleari. Per Franco il trasferimento fu un vero e proprio esilio e torto nei suoi confronti da parte di Azaña.
9 La conquista di Madrid era il principale obiettivo di Franco, consapevole che la vittoria avrebbe ribaltato le sorti del conflitto e sancito la fine della resistenza repubblicana. La battaglia nella capitale, però, fu la più lunga di tutto il conflitto a causa della resistenza condotta dalla popolazione, la quale trasformò la città nella roccaforte dell’antifascismo: nonostante gli attacchi dell’aviazione tedesca (che si servì dei ripetuti bombardamenti aerei a cadenza giornaliera per sperimentarne gli effetti psicologici sui civili), la fame e il clima particolarmente rigido, i madrileni difesero la città sostenendo l’esercito repubblicano e i volontari internazionali. I quartieri più popolosi furono rasi al suolo (Argüelles, Tetuán, Chamberí), mentre i più abbienti (Salamanca) in cui si rifugiavano i quintacolumnistas e i sostenitori dell’esercito nazionalista furono preservati. Per approfondimenti sulla Madrid assediata e sui luoghi della memoria del conflitto (il Cuartel de la Montaña, la Cárcel Modelo, la Prisión de Mujeres de las Ventas, etc.), cfr. Romero García, Eladi, Lugares de la memoria e itinerarios de la Guerra Civil española. Guía del viajero curioso, 3ª ed., Barcelona, Laertes, 2009 e Reverte, Jorge M., La batalla de Madrid, Barcelona, Crítica, 2004.
10 Cfr. Moreno-Nuño, Carmen, Las huellas de la guerra civil. Mito y trauma en la narrativa de la España democrática, Madrid, Libertarias, 2006. Come punto di partenza per la successiva indagine sulla memoria del conflitto, si consideri che non essendosi mai prodotta una riconciliazione tra le due parti coinvolte, la memoria delle vittime repubblicane è stata ricostruita a partire un trauma sempre vivo perché non superato.
11 Sulle azioni repressive contro il nemico nella capitale assediata, cfr. Cervera, Gil, Madrid en guerra: la ciudad clandestina, 1936-1939, 2a ed., Madrid, Alianza Editorial, 2006. L’escalation di violenza che seguì al golpe dei militari ribelli vide protagonisti di numerosi crimini sia i ribelli insorti, sia i repubblicani. A Madrid, le armi requisite dopo l’assalto al Cuartel de la Montaña furono distribuite fra i cittadini e il governo repubblicano dovette affrontare la problematica questione della justicia por consenso, per la quale la popolazione appoggiava qualsiasi tipo di giudizio sommario esercitando la propria giustizia e, perciò, opponendola alla legge. La repressione contro gli insorti raggiunse l’apice fra il luglio e il dicembre del 1936 e la pratica più diffusa fu quella dei processi farsa nelle checas e i successivi paseos. Le checas avvenivano in serata, in modo che poi i paseos potessero essere portati a termine nelle prime ore dell’alba successiva; erano queste vere e proprie passeggiate della morte, del tutto incontrollate e, spesso, organizzate dagli anarchici. Nelle carceri, invece, i detenuti erano spesso vittime delle sacas de presos, detenzioni di massa come nel caso di Paracuellos del Jarama. La risposta degli insorti portò a una violenza senza fine e la mappa delle fosse comuni in cui giacciono i resti delle vittime repubblicane è fitta e lungi dal dirsi completa.
12 Per approfondimenti, cfr. Ranzato, Gabriele, “El «descubrimiento» de la guerra civil”, Ayer, 22 (1996), p. 25: «No es, pues, el fratricidio aquello que manche con la “guerra civil” todos los conflictos intrasociales que revisten estos caracteres. […] Es, en cambio, esa violencia indomable e insaciable, esa violencia que en tiempo de paz va trampeando en las microguerras civiles cotidianas».
13 Ranzato, Gabriele, “Guerra civile e guerra totale: dalla guerra di Spagna al secondo conflitto mondiale”, Storia e memoria, num. 1 (2000), p. 111.
14 Cfr. Blake, John, La guerra de los idealistas, Battleground for idealists, documentario nel quale si ripercorrono le tappe principali del conflitto grazie a numerose testimonianze di personalità più o meno note che ne presero parte. Francisco Poyatos López, riguardo ai crimini commessi durante il triennio, pone l’accento sui fattori stimolanti di tale violenza e spiega che alla pasión popular dei repubblicani i nazionalisti risposero con una autoridad fría per condurre la loro santa crociata in nome di Dio e legalizzare ciò che, in realtà, legale non era.
15 Riguardo ai lavori forzati, alla redenzione e all’espiazione della colpa, cfr. Agudo, Mariano, Disciplina y resistencia. Trabajos forzados en la España de Franco (2011), documentario in quattro capitoli in cui sono mostrate le misure repressive nei confronti degli ex-repubblicani e delle loro famiglie, inaspritesi, in particolare, nell’immediato dopoguerra. Lo stato fascista, sotto l’egida della Chiesa, condannò i nemici della Spagna ma, allo stesso tempo, ne cercò la redenzione destinandoli, di frequente, ai lavori di ricostruzione del paese: i lavori forzati divennero, per il regime, un’immensa fonte di mano d’opera da impiegarsi nell’edificazione di opere urbanistiche e architettoniche (come il complesso del Valle de los Caídos). I morti a causa delle condizioni estreme di lavoro, maltrattamenti e violenze fisiche furono migliaia. Nel documentario, s’indagano i casi di quattro comunità autonome: l’Andalusia e le opere del Canal del Bajo Guadalquivir dal 1939 al 1962; la Navarra e la costruzione della rete stradale regionale nei Pirenei; Fabrero del Bierzo (León) e i lavori nelle mine; le isole Canarie, infine, e l’apertura di strade nelle montagne. María Villa Cuadrado, figlia di un detenuto, afferma: «El no hablar de algo va borrando huella y la va sustituyendo por otra cosa», frase che ben riassume lo stato della questione a oggi riguardo alla memoria storica del conflitto e la questione dei lavori forzati. A proposito, si ricordi che la Spagna è spesso stata contrapposta alla Germania per la disparità di politiche del ricordo adottate dai due paesi: se, infatti, le cancellerie tedesche hanno promosso negli anni la commemorazione pubblica delle vittime della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto e la conservazione dei luoghi della memoria (campi di concentramento e di lavoro), contribuendo alla sensibilizzazione della popolazione, in Spagna, al contrario, la tendenza generale dei governi è stata non appoggiare una politica attiva del ricordo, con conseguenze gravi in quanto a memoria storica del conflitto, conservazione dei luoghi della memoria e commemorazione delle vittime.
16 Ricoeur, Paul, La memoria, la storia, l’oblio, edizione italiana a cura di Daniella Iannotta, Milano, Raffaello Cortina, 2003, p. 550.
17 Per il concetto di damnatio memoriae, cfr. Weinrich, Harald, Lete. Arte e critica dell’oblio, traduzione di Francesca Rigotti, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 48-49.
Carla Maria Cogotti, Rete simbolica e dinamiche della memoria nella trilogia della guerra civile di Juan Eduardo Zúñiga, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno accademico 2013-2014

Fin dal primo momento l’insurrezione dei generali aveva frammentato la nazione in una serie di guerre civili localizzate; la ragione del crollo dello Stato repubblicano fu però la disastrosa reazione alla crisi da parte del governo centrale, che non riuscì a gestire il meccanismo dello Stato, quando la maggioranza dei suoi funzionari, congiuntamente alle forze armate, appoggiarono i nazionalisti <34.
I cospiratori non avevano previsto che l’insurrezione sarebbe sfociata in una lunga guerra civile; avevano ipotizzato un rapido alzamiento, seguito da un direttorio militare simile a quello del 1923, ma avevano sottovalutato anche la tenacia della resistenza operaia <35.
Se si esaminano le vicende del primo periodo emergono sia un inizio dell’insurrezione non coordinata, sia una sua sottovalutazione da parte del governo repubblicano.
Nella notte tra il 16 e 17 luglio nel Marocco spagnolo alcuni regulares marocchini comandati dal maggiore Rios Capapé, senza aver ricevuto alcun ordine ufficiale, si misero in marcia verso Melilla. Nel pomeriggio del 17 si sollevarono le guarnigioni di Melilla, Tetuan e Ceuta.
Di fronte e a questi fatti, confidando di poter circoscrivere il movimento al Marocco, il primo ministro Casares Quiroga, prima di dimettersi, ordinò ad alcune navi da guerra di partire da El Ferrol e da Cartagena alla volta delle coste africane e continuò a rifiutarsi per tutto la giornata del 17 di consegnare le armi al popolo.
Dall’alba del giorno dopo le truppe cominciarono ad insorgere ovunque anche sul territorio nazionale, generalmente appoggiate dalle sezioni locali della Falange e spesso anche dalla Guardia Civil. Il generale Mola, uno dei principali cospiratori, non ebbe difficoltà ad imporsi a Pamplona ed in tutta la Navarra: fondamentale, in quel caso, fu l’apporto delle milizie carliste, i requetés. A Saragozza, storica roccaforte anarcosindacalista, il comandante della guarnigione, Cabanellas, il 17 luglio diffuse un proclama di fedeltà alla Repubblica, convincendo così il governatore civile a non distribuire armi al popolo; il giorno seguente occupò militarmente tutta la città. La reazione popolare arrivò solo il 19 sotto forma di uno sciopero generale, ma era troppo tardi: la città e buona parte dell’Aragona erano ormai saldamente nelle mani degli insorti. Anche a La Coruña e a Vigo, attraverso stratagemmi simili a quelli di Cabanellas, i rivoltosi ebbero la meglio.
Il nuovo primo ministro, José Giral, aveva nel frattempo deciso di consegnare le armi ai partiti e alle organizzazioni sindacali rimasti fedeli alla repubblica.
Con una rivolta militare che ottenne un discreto successo in parte del territorio nazionale, anche se non in grado di imporsi ovunque, si assistette quindi all’implosione dello stato repubblicano <36.
Julián Casanova ha recentemente ricordato come il golpe sia stato scatenato con l’obiettivo principale di frenare un ipotetico processo rivoluzionario, ma che al contrario finì paradossalmente per scatenarlo. Scorrendo rapidamente la lista delle città cadute in mano ai militari insorti non si può non notare l’assenza tanto di Madrid, quanto di Barcellona: i due centri sarebbero rimasti sotto il controllo repubblicano per buona parte del conflitto <37.
Enrique Moradiellos rileva come la guerra civile sia iniziata con entrambe le parti in conflitto che realizzarono nello stesso momento che «no existían ni estaban disponibles los medios materiales y el equipo militar necesarios para sostener un esfuerzo bélico de envergadura y prolongado» <38. Per tale motivo il 19 luglio il generale Franco e il capo del governo repubblicano José Giral chiesero aiuto alle potenze europee dalle quali pensavano di poter avere ausilio.
Se Franco mandò i suoi emissari a Roma e Berlino, Giral si rivolse alla Francia di Leon Blum nella speranza di ottenere una quantità di aerei sufficiente a fermare il golpe.
[NOTE]
34 Cfr. E. Moradiellos, El reñidero de Europa, op. cit. p. 124.
35 Cfr. P. Preston, La guerra civile spagnola (1936-1939), op. cit., p. 81.
36 Come ha scritto Angel Viñas «en España el golpe de Estado indujo el colapso del aparato gubernamental y abrió las compuertas a un proceso revolucionario» Cfr. A. Viñas, La soledad de la Republica, El abandono de las democracia y el viraje hacia la Unión Sovietica, Crítica, Barcelona, 2006, p. 17.
37 Cfr. J. Casanova, Historia de España. Repùblica y guerra civil, Op. cit., p. 75.
38 Ivi, p. 77.
Giulia Medas, ¿Quiénes fuerón los voluntarios? Identità, motivazioni, linguaggi e vissuto quotidiano dei volontari italiani nella guerra civile spagnola, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari in collaborazione con Universitat de València, 2014

Dinanzi alla tragedia che la Spagna si trovò a vivere, l’Europa adottò la politica del non intervento «una forma di ipocrisia istituzionalizzata», indicata in origine dalla Francia. Il primo ministro Léon Blum, che in un primo momento si dimostrò favorevole all’invio di soccorsi alla Repubblica «si era sentito rispondere da Londra di non contare sull’aiuto britannico se, con il suo intervento, avesse provocato una guerra, presumibilmente con la Germania o con l’Italia. […] Londra, come del resto Parigi, era impegnata a evitare con qualsiasi mezzo il rischio di una conflagrazione europea». <66
Se una Spagna nazionalista sarebbe stata potenzialmente ostile alla Francia, non altrettanto poteva dirsi per la Gran Bretagna, quando il suo governo puntava alla distensione con i paesi fascisti, e in primo luogo con l’Italia, che non mancò di aderire formalmente alle decisioni dei governi europei, anche se provvide con discreta rapidità, a rispondere all’appello di Franco, inviando uomini e mezzi. La Germania aderì alle richieste di aiuto con molti meno uomini rispetto all’Italia, privilegiando la spedizione di materiali (aerei, carri armati, artiglieria) allo scopo di sperimentare le armi in dotazione al proprio esercito. <67
A determinare il corso e l’esito della guerra fu quindi «in larga misura – si legge ancora in Paul Preston – la reazione delle potenze straniere, cosa nient’affatto sorprendente dal momento che il conflitto fu soltanto l’ultima e la più feroce battaglia di una guerra civile che da vent’anni infuriava a intermittenza in Europa»; <68 dalla rivoluzione russa alla repressione della rivoluzione in Germania e in Ungheria, dallo smantellamento della sinistra italiana e all’instaurazione della dittatura, all’annientamento della sinistra tedesca e austriaca. La borghesia occidentale che aveva combattuto e arginato gli “assalti” del movimento operaio europeo, non comprese che il legittimo governo spagnolo mirava a ben altro che alla rivoluzione; non comprese «che le cause e le radici della stessa ondata anticlericale erano un fatto nazionale spagnolo, che la fiammata anarco-sindacalista in Catalogna e nel Levante aveva radici paradossalmente ottocentesche, e non poteva confondersi con il bolscevismo». <69
Durante tutto il conflitto i governi europei in apparenza mediarono, provvedendo alla costituzione del Comitato di Londra, incaricato di vigilare sugli accordi di non intervento, mentre la Società delle Nazioni si limitò a invocare, nella riunione del settembre 1937, il ritiro dei volontari, assicurando di seguire attentamente lo sviluppo della situazione. <70 Era un non-intervento unilaterale in virtù del quale – scriveva Nenni poco prima della caduta della Repubblica, esemplificando una condizione che aveva accompagnato tutta la guerra civile – «carri d’assalto, cannoni, batterie antiaree, comprate dal governo repubblicano oltre Atlantico» rimanevano per mesi bloccate nei porti francesi, «mentre dall’Italia o dalla Germania il generale Franco riceveva per la battaglia di Catalogna il più moderno e il più micidiale materiale offensivo». <71
La decisione da parte dell’Unione Sovietica di seguire da vicino gli avvenimenti spagnoli non fu presa immediatamente, ma in seguito alla regolarizzazione dei rapporti diplomatici, con l’insediamento dell’ambasciatore Marcel Rosenberg, il 29 agosto 1936. <72 Il contributo sovietico, anche se limitato, oltre a risultare essenziale sul piano militare, assicurò al Partido comunista de España, il PCd’E, un maggior peso politico nell’area repubblicana e un’influenza sempre più grande, che permise ai comunisti di assumere il controllo delle forze combattenti, della polizia e del governo.
Il 20 luglio 1936 il Politburo aveva approvato la proposta di Genrih Jogoda, presidente dell’NKVD, di nominare a Madrid, come capo della sede locale, il maggiore della Sicurezza di Stato, Alexander Orlov, che figurava come addetto dell’ambasciata in Spagna. Diligentemente Orlov riorganizzò il SIM, il Servicio de Inteligencia Militar, che, subordinato formalmente al Ministero della Difesa spagnolo, dipendeva, in realtà, così riformato, dai dirigenti del Partito comunista, e quindi dal Comintern (la Terza Internazionale comunista, ovvero l’organo internazionale dei partiti comunisti diretto da Mosca dal 1919-1943), e dall’NKVD. Il servizio risultò prezioso per un’attiva azione di controspionaggio, per la difesa dei leader comunisti, per operazioni di sabotaggio nelle retrovie del nemico e per il controllo del governo repubblicano.
[NOTE]
66 P. Preston, La guerra civile spagnola. 1936-1939, Milano, Mondadori, 2000, p. 108-109. Le pressioni venivano non solo dall’Inghilterra, ma anche dai governi polacco e belga. Quattro mesi dopo che Hitler era entrato senza contrasti in Renania, Blum, che non poteva permettersi l’isolamento dinanzi al riarmo della Germania, chiuse, l’8 agosto, la frontiera al traffico militare (Cfr. G. Jackson, op. cit., 256-257).
67 Alla fine di agosto 1936 il capo del SIM, Servizio Informazioni Militari, Mario Roatta «fu informato da Ciano che erano stati presi accordi con il Reich per l’invio presso il generale Franco di una missione italiana e di una tedesca, che avrebbero dovuto esaminare la possibilità per i ribelli di ricevere un appoggio, in forniture belliche e in personale, da parte delle forze armate italiane e tedesche. Oltre a questo, esse avrebbero dovuto svolgere anche il compito di consigliare il comando supremo nazionalista spagnolo sull’eventuale sviluppo delle operazioni militari e di garantire gli interessi delle rispettive nazioni nel campo politico, militare ed economico». (R. Canosa, I servizi segreti del duce. I persecutori e le vittime, Milano, Mondadori, 2000, p. 301).
68 P. Preston, op. cit, p. 107.
69 E. Santarelli, Storia del fascismo, V. III, La guerra e la sconfitta, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 22.
70 Cfr. P. Nenni, Spagna, Milano, SugarCo edizioni, 1976, p. 83-84.
71 P. Nenni, Siamo passati e passeremo, “Nuovo Avanti”, 4 febbraio 1939.
72 «Tra il 4 ottobre e la fine di novembre – scrive Lucio Ceva -, una quindicina di vapori sovietici sbarcarono in porti spagnoli mediterranei, e altresì a Bilbao isolata a nord, questi materiali: 69 carri armati T 26; 60 autoblindo; 30 bombardieri bimotori Tupolev; 81 caccia (50 I-15 Chato e 31 I-16 Mosca); 31 aerei R-5 da ricognizione e cooperazione […] si trattava di materiali moderni, in parte superiori ai loro omologhi tedeschi e italiani.» (L. Ceva, op. cit., p. 203).
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia