Nel suo ampio “reportage” sulla poesia contemporanea Fortini individua il ’45 come (unica) data spartiacque

Lettore e scrittore onnivoro, Pasolini ha scritto molto sulla poesia del secondo Novecento italiano, i suoi autori, le sue tendenze, le sue date. Sceglierò quindi un singolo testo rappresentativo: “Dove va la poesia?” pubblicato sul numero 6 del 1959 dell’«Approdo letterario». <213 Mi sembra che in queste poche pagine organizzi gli anni a lui prossimi in tre tempi: un “prima della guerra” in cui la poesia era una «nozione ontologica, quasi che le sue leggi interne vigessero in assoluto» e in cui l’ideale fondativo era «belletristico e misticheggiante»; un “dopo ‘45” in cui la guerra aveva sconvolto nozioni e ideali precedenti e in cui si afferma la spinta all’impegno, moralistico e politico; infine un “ora” non meglio precisato, circoscritto dall’etichetta “neo-sperimentalismo”: una concrezione formale che in un testo omonimo, comparso sul numero 5 di «Officina» del 1956, costituisce una formula-consuntivo per la «produzione, mettiamo quinquennale». <214 Il terzo tempo data dunque dai primi anni Cinquanta, ma nel testo su cui stiamo riflettendo Pasolini sembra parlare della più stretta contemporaneità (proprio il 1959). Ma qual è la filosofia di base di questa tripartizione? Qual è lo sguardo che compone questo panorama? È lo sguardo di chi pone sullo stesso piano produzione estetica e sistema sociale nella sua astratta generalità: un rapporto – «spesso drammatico» – inconsapevole o regolato da spinte volontaristiche ma sempre, nei fatti, paritario e in cui fenomeni a caratura nazionale (come il regime fascista) e dinamiche sovranazionali dai contorni piuttosto sfumati come il neo-capitalismo, convivono senza creare grossi problemi di metodo.
Nel suo ampio “reportage” sulla poesia contemporanea Fortini individua il ’45 come (unica) data spartiacque: a seguito di mutazioni sul piano sociologico (solo abbozzate e sulle quali torneremo), di una rinnovata influenza delle letterature straniere e di una riconfigurazione complessiva della percezione del genere lirico (rifluito nel più vasto campo “culturale” e perdendo dunque la sua aura sacrale), la poesia sembra aprirsi, ancora una volta alla prosa e a ambiti impropri (la meditazione morale, ad esempio). A partire da questa ampia disamina Fortini individua tre costanti tematico-formali: transito, contraddizione e avvento, che corrispondono «a tendenze sociali profonde». <215 Mi sembra opportuno riportare qui il passo in cui Fortini interpreta questi fenomeni: “La prima figura [transito] sembra incarnare, nell’umile e orgoglioso distacco dalla contingenza, le esigenze compensatorie di quel settore dell’intelligenza borghese che è stato travolto dagli svolgimenti del «minor male» fascista, pauperizzato dalla guerra, umiliato da contraddizioni perentorie, inadattabile alle forme brutali dell’industria culturale; esso difende il mènein, il consistere, «la fiamma che il suo ardore rigenera» (Luzi), nei termini di un umanesimo stoico o spiritualistico-cristiano. La seconda [contraddizione] è coscienza dei conflitti in quel settore dell’intelligenza borghese che ha vissuto o sperimentato l’«altro» da sé e cioè – a seconda del proprio grado di maturità – il «popolo», il «proletariato», il «partito» e al tempo stesso tutte le nuove forme di vita e di morte germinate dall’industria contemporanea, che non vuol rinunciare a nulla e vuol essere «absolument moderne», «col sentimento / al punto in cui il mondo si rinnova» (Pasolini). La terza è finalmente l’espressione esemplare della «coscienza infelice» di quelle minoranze che, ai margini della cultura borghese nazionale ma ai confini di quella delle grandi unità culturali mondiali, sebbene prive di potere politico o culturale non sanno rinunciare ad un ideale di totalità e di integrazione, a carattere rivoluzionario; e quindi rifiutano sia la «morte» del transito sia la «vita» della contraddizione”. <216
Raboni riflette sulle forme assunte dalla poesia coeva in articolo del 1961, “La provocazione centrista”, inserito nella raccolta “Poesia degli anni sessanta”. Comincia delimitando, in modo piuttosto anodino invero, il campo d’indagine: “Credo che negli ultimi anni, dopo la confusione in qualche modo feconda dell’immediato dopoguerra e la vera e propria crisi aperta subito dopo quel periodo, anzi ancora all’interno di esso, e poi rimasta sola a testimoniare di sé e del bisogno della poesia sino al ’56, al ’57 (è difficile precisare), credo, dicevo, che si stia delineando ormai un movimento di polarizzazione, di divisione del campo in due settori fluidi ma abbastanza caratterizzati”. <217
Provando a sciogliere i nodi di un giro sintattico denso, credo che qui tripartisca il periodo che va dal 1945 al 1961 in una prima fase (non quantificata) profondamente caotica, coincidente con i primi (due? tre?) anni del dopoguerra; una seconda parentesi in parte coincidente in parte no con la prima («poi rimasta sola a testimoniare di sé e del bisogno di poesia sino al ’56, al ‘57»: cosa intende?); e infine un terzo e ultimo periodo che daterebbe dal ’56 al ‘61. È certamente l’ultimo segmento che interessa Raboni ed è qui che il critico individua una riconfigurazione importante del quadro poetico: la data di soglia è il 1956. Le tendenze che vi coglie articolano il campo in tre macroaree: 1) il settore di «destra», composto dai “restaurativi”, da coloro cioè che continuano a operare mantenendo inalterato il circuito degli “oggetti poetici” ereditati dalla stagione degli anni Trenta; 2) il campo di «sinistra», «il cui lavoro è stato condizionato e qualificato proprio dalla rottura, dalla crisi di quel numero di oggetti al quale i poeti del primo gruppo sono invece rimasti fedeli: rottura e crisi che si pongono, evidentemente, come momento iniziale di una ricerca il cui scopo e il cui senso finale consistono in un allargamento infinito di quell’elenco, in una infinita “dimostrazione” concreta del significato poetico della non-poesia» <218. In questo campo rientrano le prove di Sereni, Luzi, Fortini, Pasolini: la corrente che riflette la crisi pur non coincidendo con essa, che produce poesia-poesia estendendo il proprio dominio alla situazione contemporanea non rinunciando al suo sguardo e ai suoi mezzi; infine 3) il settore di «centro» composto dai Novissimi: la «poesia che vuole essere la crisi», che stabilisce cioè una relazione asimmetrica tra crisi della società e crisi del linguaggio.
Solo tre anni dopo Montale interviene nel dibattito sulla nuova poesia in un breve scritto del giugno del 1964. <219 Ragiona a partire da una categoria onnicomprensiva, rifiutando l’articolazione di Raboni. Di Raboni però accetta l’impostazione di base: la nuova poesia si fonda sull’allargamento del “dicibile” in versi, sullo sfondamento degli steccati di genere; invade letteralmente lo spazio che era di tradizionale pertinenza della prosa. Ma vi è anche una secondo elemento: l’irriducibilità biografica dell’uomo privato, dell’uomo visto «in situazione». Per usare le sue parole: «tutti si distinguono per la straordinaria privatezza (privacy) dei loro contenuti. Esprimono l’aspetto fenomenologico del loro esser uomini “in situazione” (anagrafica, temporale e strettamente individuale)». <220 Di questo testo andranno registrati due aspetti: 1) la nuova espressione è il frutto di una relazione non mediata tra espressione estetica e “realtà percepita”; 2) è il prodotto dell’«oscurissima mutazione», industrial-aziendale di cui il mondo è preda. <221 La cesura cadrà in una zona grigia, che Montale non si arrischia a specificare, alludendo ad un processo in corso da almeno vent’anni: «Fino a una ventina d’anni or sono la poesia si distingueva dalla prosa».
Insomma la svolta data dal dopoguerra e si concreta nella perdita dei connotati rigidi della poesia («Inclusivi di tutto, [i poeti] escludono la trascendenza di quella che fu chiamata tradizionalmente la poesia e l’alta retorica») <222 e nell’accentuazione dei caratteri dell’individualità.
Con la sua classica chiarezza e il suo proverbiale acume Mengaldo delinea un Novecento tripartito: 1) la fase avanguardista primonovecentesca (1903-1918 ca.); 2) la stagione tra le due guerre e 3) la finestra che si apre col secondo dopoguerra. Quest’ultimo però sembra cominciare per Mengaldo «in ritardo»: la vera data di svolta sarà allora il ’56. Una soglia definita a partire da tre parametri: l’apertura di una stagione che guarda organicamente al superamento della lunga stagione simbolista (nella triade “officinesca”, neoavanguardista e post-ermetica) con la pubblicazione di testi importanti; il XX Congresso del Pcus e la nascita di «un “nuovo capitalismo”». <223
In parte vicino alle posizioni metodologiche di Mengaldo, più di recente interviene Daniele Piccini a tratteggiare il panorama della poesia del secondo Novecento. Nell’introduzione alla sua antologia <224 pone la frattura epocale all’altezza degli anni Sessanta: una soglia resa particolarmente vistosa dalla produzione dei Novissimi, epifenomeno “estremistico” di una più profonda metamorfosi della lirica coeva, già oltre le esperienze ermetico-simboliste e soprattutto «favorevole alla discesa nel magma della realtà, alla forzatura della chiusa stanza della poesia, alla sua fuoriuscita nel mondo». <225
Insomma i caratteri della poesia rinnovata sarebbero da individuare nell’«impronta narrativo-rappresentativa», nella drammaticità, nell’apertura al reale già espressa nei libri prodotti negli anni Sessanta da autori già maturi: Luzi, Sereni, Pasolini, Bertolucci, Betocchi.
Un’impostazione questa condivisa nei suoi tratti di fondo anche da Enrico Testa, che pone ancora la frattura negli anni Sessanta e a spiegarla come apertura alla lingua della prosa e al parlato e all’innesto di giochi linguistici extra-lirici come la narrazione e il dramma. <226
Insomma, una lunga sequenza di interpreti riflette da un cinquantennio sul peso che due date (il 1945 e il 1956) hanno avuto sulla storia del genere lirico in Italia. Concordano però sugli esiti e sugli assunti di base: la poesia che ne esce rompe il suo perimetro tradizionale, conquista lo spazio di pertinenza di altre forme (prosa, teatro) e di altri linguaggi e tende al biografismo; le ragioni dell’evoluzione o sono interne al genere oppure sono ricercate in una metamorfosi complessiva del piano di realtà: produzione estetica e totalità o sono scisse o sono essenzialmente poste sullo stesso livello.
Vorrei provare anch’io a dare una risposta assieme storiografica e critica, posizionandomi al centro di questa progressione ideale che va dal punto (il genere lirico) alla sfera (la totalità). Non mi sembra di usare una provocazione nel sostenere che le splendide interpretazioni di Fortini sulla poesia degli anni Cinquanta non sono più sufficienti per un lettore moderno. Mi permetterei perciò di riflettere più da vicino sulle dinamiche che presiedono alla regolamentazione del campo letterario, non solo nella sua autonomia ma nella sua specificità di fase.
[NOTE]
213 PIER PAOLO PASOLINI, Dove va la poesia?, ora in ID., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a c. di Walter Siti e Silvia De Laude, 2 tomi, Milano, Mondadori, 1999, pp. 2734-2739.
214 ID., Il neo-sperimentalismo, poi in ID., Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 2009, pp. 514-529.
215 FRANCO FORTINI, La poesia di questi anni, in ID, Saggi italiani, ora in Saggi ed epigrammi, a c. di Luca Lenzini, Milano, Mondadori, pp. 548-606: 563.
216 Ivi, pp. 563-564.
217 GIOVANNI RABONI, La provocazione centrista, in ID., L’opera poetica, a c. di Rodolfo Zucco, Milano Mondadori, 2006, pp. 238-246:239.
218 Ivi, p. 241.
219 EUGENIO MONTALE, Poesia inclusiva, in ID., Il secondo mestiere, Prose 1920-1979, a c. di Giorgio Zampa, Milano,
Mondadori, 1996, pp, 2631-2633.
220 Ivi, p. 2632.
221 Ibid.
222 Ivi, p. 2632.
223 P. V. MENGALDO, Introduzione a Poeti italiani del Novecento, a c. di P. V. Mengaldo, Milano, Mondadori, 1981, pp. XIII-LXXVIII: LVII-LXI.
224 DANIELE PICCINI, Introduzione, in La poesia italiana dal 1960 a oggi, a c. di D. Piccini, Milano, BUR, 2005, pp. 9-52.
225 Ivi., p. 18.
226 E. TESTA, Introduzione a Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, a c. di E Testa, Torino, Einaudi, 2005, pp. V-XXX.
Enrico Fantini, Stili personali. Uno studio della poesia italiana dal 1930 al 1956, Tesi di pefezionamento, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2017