Sulle intenzioni dei tedeschi non potevano esserci dubbi sin dai primissimi giorni dell’occupazione

In uno dei più recenti saggi sulla fine del ventennale regime mussoliniano e sul periodo immediatamente precedente alla destituzione del “duce d’Italia”, Mario Fincardi ha significativamente titolato il proprio intervento “Brusio e grida”, così da indicare le voci ed i mugugni sempre meno sommessi in relazione alla tenuta del fronte interno italiano <47. Nel corso del 1943, i piani del governo fascista per disinnescare la propaganda alleata e l’effetto dei terribili bombardamenti sulla penisola si ridussero a prese di posizione bellicose, in riferimento all’impossibilità per le forze alleate di incidere la prima crepa nell’intoccabile “Fortezza Europa” <48.
Gli appelli alla tenuta del fronte interno tuttavia poterono poco rispetto alle sempre meno filtrate notizie dei disastri militari sul fronte sovietico e ad una situazione di razionamento dei beni primari che sin dai primi mesi di guerra aveva prodotto diseguaglianze e traffici poco trasparenti <49. Il crollo del consenso che investì il regime sin dalla prima fase di belligeranza italiana è spesso stato al centro di studi storici inerenti allo snodo, più o meno fondamentale, del 1943 <50.
Il crescente distacco di gran parte della popolazione rispetto al regime, tuttavia, se da una parte dipese da cause la cui genesi risiedeva nel periodo prebellico, in particolar modo in riferimento del ciclo economico del periodo 1936-1941 <51, dall’altra deve essere posto in relazione diretta con le contingenze belliche del periodo successivo; una fase nella quale la strategia – militare, economica e propagandistica – del regime dimostrò di essere radicalmente più debole rispetto ai nemici che andava ad affrontare, oltre che agli alleati che avrebbe dovuto seguire.
Tradizionalmente tale processo viene fatto concludere proprio nei primi mesi mesi del ’43 con l’esaurimento pressoché totale dell’autonomia strategica italiana italiana rispetto all’alleato tedesco. In tal senso, De Felice in apertura al suo penultimo volume <52 polemizza con la teoria di Federico Chabod su di un automatico e rapidissimo crollo del consenso verso il regime, in parallelo con lo lo scoppio della guerra in Europa e la dichiarazione di guerra italiana.
[NOTE]
47 M. Fincardi, Brusio e grida. Lo sgretolamento del regime, in L. Alessandrini, M. Pasetti, 1943, guerra e società, Viella, Roma, 2015, pp. 35-48. L’autore fa riferimento agli studi di J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 1971 e di A. Hirschman, Lealtà defezione, protesta, Mondadori, Milano, 1982.
48 Ivi, pp. 45-47.
49 G. Beccantini, N. Bellanca, Economia di guerra e Mercato nero, note e riflessioni sulla Toscana, in ‹‹Italia Contemporanea››, n°165, 1986, pp. 8, 9.
50 Dobbiamo in tal senso premettere l’uso degli studi di Paul Corner, sia nel gi{ citato Italia fascista, sia in articoli meno recenti, tendenti sin dal titolo a far prevalere sul concetto di “consenso”, quello di “controllo sociale”, eg. Id, Fascismo e controllo sociale, in ‹‹Italia Contemporanea››, n° 228, 2002, pp. 381-405 ed id. Italia fascista, op. cit. p. 24.
51 M. Legnani, Società in guerra, op. cit. pp. 769-771. Lo stesso indirizzo viene accettato in G. Bertolo, E. Brunetta et alii (tra cui lo stesso Legnani), Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-1944, INSMLI, Feltrinelli, Milano, 1974. CI riferiamo particolarmente all’intervento di N. Gallerano, L. Ganapini, M. Legnani, M. Salvati, Crisi di regime sociale, pp. 3-78.
52 R. De Felice, Mussolini l’alleato, 1940-1945. L’Italia in guerra. Crisi ed agonia del regime, vol. I, T. II, Einaudi, Torino, 1990, pp. 671-675.
Jacopo Calussi, Fascismo Repubblicano e Violenza. Le federazioni provinciali del PFR e la strategia di repressione dell’antifascismo (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2018

Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo (riunitosi per l’ultima volta nel dicembre 1939) approvò l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi che, di fatto, sfiduciava il capo del governo <60. All’indomani Mussolini si recava a colloquio dal re che, dopo l’incontro, lo faceva arrestare dai carabinieri: il maresciallo Pietro Badoglio veniva nominato capo del governo e, come primo provvedimento, dichiarava sciolto il Partito nazionale fascista. La notizia dell’arresto del duce non determinò rilevanti reazioni da parte dei massimi esponenti del fascismo né, tanto meno, da parte della maggioranza dei militanti. Si ebbero invece numerose manifestazioni popolari in cui si intrecciavano l’esultanza per la caduta del regime e le speranze per una rapida pace, nonostante l’annuncio da parte del nuovo governo che la guerra sarebbe continuata a fianco dell’alleato tedesco, speranza questa che i fatti successivi alla stipula dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, provvederanno drammaticamente a smentire.
Nonostante le assicurazioni offerte dai vertici politici e militari italiani sul mantenimento dell’alleanza con la Germania, sintetizzate nella frase “la guerra continua”, le diffidenze di Hitler e dei suoi consiglieri, sulla precaria situazione italiana e sul fatto che la destituzione di Mussolini avrebbe significato la defezione italiana, rimasero. Così già all’indomani del 25 luglio i comandi tedeschi in Italia attivarono le disposizioni previste dal “Piano Alarich” (divenuto in seguito “Achse”), elaborato nella primavera del 1943, e quattro Comandi di Corpo d’armata e otto divisioni entrarono in Italia, occupando i principali valichi alpini e appenninici e giungendo sino al sud <61.
Alla notizia della stipula dell’armistizio, l’8 settembre 1943, iniziò l’occupazione vera e propria dell’Italia, con l’eccezione della parte meridionale a sud di Napoli raggiunta dalle forze angloamericane dopo lo sbarco avvenuto in Calabria il 3 settembre 1943 <62. Con una prima disposizione di Hitler del 10 settembre, il territorio italiano venne diviso in una “zona di operazione” (l’arco alpino, una fascia profonda mediamente trenta chilometri lungo le aree costiere liguri, tirreniche e adriatiche, da Ventimiglia all’Istria, la zona a sud dell’Appennino tosco-emiliano immediatamente adiacente al fronte e le immediate retrovie), affidata al controllo diretto della Wehrmacht <63, e in un “territorio occupato rimanente”, assegnato a prefetti italiani e consiglieri amministrativi tedeschi.
Nelle settimane successive si venne definendo la struttura del sistema di occupazione, finalizzato al controllo del territorio italiano e al suo completo sfruttamento <64, secondo quella che era un’articolazione adottata negli altri territori occupati dalla Germania nell’Europa occidentale. A fianco del comandante della Wehrmacht, il feldmaresciallo Albert Kesselring <65, si possono individuare almeno altri tre ordini di autorità: dal punto di vista politico, il Bevollmächtigter des Grossen Reiches Rudolph Rahn, plenipotenziario del Reich, dipendente del ministero degli Esteri tedesco e riferimento del ministro von Ribbentropp, rappresentante accreditato presso la Rsi, a partire dal novembre 1943 investito di pieni poteri, rappresentava il cervello politico dell’occupazione tedesca, garante di una politica di collaborazione con la Rsi ma anche della completa subordinazione di quest’ultima alla potenza occupante; dal punto di vista militare il Bevollmächtigter General, generale plenipotenziario Rudolf Toussaint, comandante territoriale e plenipotenziario presso il governo della Rsi <66; infine, per quanto concerne il controllo delle forze di polizia, consigliere speciale per le questioni di sicurezza dello stesso Mussolini, il comandante delle SS e della polizia colonnello generale di polizia Karl Wolff <67. I rapporti che si instaurano tra tali autorità furono contrassegnati da una rilevante conflittualità, non sempre attenuata dagli interventi delle autorità centrali, improntati a quel carattere “policratico”, messo bene in evidenza dagli studi di Klinkhammer <68, come elemento caratterizzante i rapporti tra i diversi centri del sistema di potere nazista non soltanto in ambito italiano. A garantire la concreta attuazione di quanto previsto dalla politica di occupazione nazista per l’Italia, c’era la Militärverwaltung, l’Amministrazione militare, sottoposta alle dirette dipendenze del generale Toussaint, in quanto comandante territoriale per l’Italia, e guidata dal sottosegretario di stato all’Economia del Reich Landfried <69, sottolineando così chiaramente il carattere preminente riconosciuto allo sfruttamento economico del nuovo territorio occupato. Con l’eccezione delle due zone di occupazione, dei territori immediatamente prospicienti ai fronti di combattimento, delle zone costiere e della città di Roma <70, le strutture periferiche dell’Amministrazione militare erano rappresentate da presidi militari, le Militärkommandanturen <71, che nell’Italia occupata erano diciannove (definite utilizzando l’articolazione per province e la consolidata rete prefettizia), e le Platzkommandanturen, presenti in ogni centro urbano di rilievo. In tal modo le autorità tedesche si erano assicurate il completo controllo territoriale e amministrativo del territorio italiano, giungendo però inevitabilmente a sovrapporsi alle stesse ricostituite autorità fasciste, a tal punto da condizionarne e limitarne fortemente l’autonomia.
Accanto alla presenza dell’occupante tedesco e sostenuto da questo, già all’indomani della proclamazione dell’armistizio si era venuto costituendo un governo fascista provvisorio <72.
[NOTE]
60 La successive sconfitte militari subite dall’esercito italiano, culminanti con lo sbarco angloamericano in Sicilia, unita alla crescente ostilità dimostrata dal re nei confronti del fascismo, trovarono uno sbocco naturale nel Gran consiglio fascista del 24 luglio. Dopo una lunga discussione, alle 3 del mattino del 25 luglio, venne approvato l’ordine del giorno Grandi (con 19 voti su 28). La proposta Grandi richiedeva: «l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali», invitando il capo del governo a trasmettere al re: «affinché egli voglia, per l’onore e la salvezza della patria, assumere con l’effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quelle supreme iniziative di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono». Nonostante il contorto linguaggio politico, appariva evidente che fra le supreme iniziative del re, se c’era stata quella della guerra, poteva esserci anche quella della pace. In realtà, sin dal gennaio 1943 negli ambienti della casa reale erano iniziate una serie di consultazioni del sovrano, di cui fu messa al corrente solo una piccola cerchia di fedelissimi (anzitutto, il ministro della Real Casa duca Acquarone, il capo di Stato maggiore, generale Ambrosio, il generale Castellano, futuro plenipotenziario italiano nelle trattative con gli alleati), che trovarono in alcuni gerarchi, particolarmente Grandi e lo stesso genero di Mussolini, conte Ciano, gli alleati all’interno delle gerarchie del Pnf di cui era necessario avere il sostegno. Così Vittorio Emanuele III che, un ventennio prima aveva accettato Mussolini come primo ministro, decise a questo punto che, per salvare la monarchia, era giunto il momento di sacrificarlo. Cfr. in particolare, Gian Franco Bianchi, Perché e come cadde il fascismo, Mursia, Milano 1982; Dino Grandi, 25 luglio. Quarant’anni dopo, in Renzo De Felice (a cura di), Il Mulino, Bologna 1983; Paolo Nello, Un fedele disubbidiente. Dino Grandi da Palazzo Chigi al 25 luglio, Il Mulino, Bologna 1993; Renzo De Felice, Mussolini l’alleato. I L’Italia in guerra 1940-1943. Tomo secondo, Crisi e agonia del regime, cit.; Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943, Il Mulino, Bologna 2003; Giuseppe Bastianini, Volevo fermare Mussolini. Memorie di un diplomatico fascista, Rizzoli, Milano 2005.
61 Nonostante fosse duramente impegnata in Russia la Germania era in grado di concentrare in Italia forze sufficienti per provvedere alla sua occupazione, anche confidando nel caos e confusione che seguiranno nei giorni successivi alla proclamazione dell’armistizio, soprattutto per quanto concerne il nord Italia, area di importanza strategica per la difesa della Germania stessa e per gli impianti industriali presenti. Nell’estate 1943 la forza di occupazione tedesca era costituita da 195.000 uomini, formata per la maggior parte da truppe scelte (truppe corazzate, granatieri, paracadutisti) che vennero progressivamente rinforzate. All’inizio del 1944 erano presenti in Italia 266.000 uomini, divenuti, nel maggio 1944, 412.000 e, quasi alla vigilia della resa, all’inizio dell’aprile 1945, 440.000, accanto a cui operavano circa 50.000 appartenenti alle SS e alle forze di polizia, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni civili. Per la Germania era infatti considerato essenziale, per ragioni militari, economiche e di prestigio, spingere più a sud possibile l’occupazione della penisola italiana, per poter contare su una linea di difesa solida a partire dagli Appennini, con l’obiettivo di tenere il nemico quanto più lontano dal confine meridionale della Germania, secondo quello che era il piano elaborato dal feldmaresciallo Kesselring e fatto proprio dal Comando supremo tedesco. Cfr. Giorgio Rochat, L’armistizio dell’8 settembre 1943, in Enzo Collotti – Renato Sandri – Frediano Sessi, Dizionario della Resistenza, vol. I, cit., pp. 32-42; Luca Baldissara (a cura di), Atlante storico della Resistenza italiana, Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia – Bruno Monadori, Milano 2000.
62 Il gruppo di armate B (Heeresgruppe B), al comando del Feldmaresciallo Erwin Rommel, nel giro di pochi giorni occupò l’Italia settentrionale e parte di quella centrale.
63 I territori definiti “zone di operazioni”, estrapolati dal regime generale di occupazione, erano retti da alti commissari direttamente dipendenti dal Hitler ed erano sottoposti ad amministrazioni civili tedesche e non all’Amministrazione militare come accadeva solitamente negli altri paesi occupati. Si trattava di una lunga fascia territoriale compresa tra il confine con la Svizzera e il litorale Adriatico, divisa in, Zona delle Prealpi (Alpenvorland), comprendente le province di Bolzano, Trento e Belluno, amministrata dal Gauleiter del Tirolo, Franz Hofer, e la Zona d’operazione Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Künsteland),
comprendente le province di Trieste, Udine, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, amministrate dal Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer. Tali territori, confinanti a nord e nordest della frontiera italiana con il Reich, abitate da popolazioni di lingua tedesca e slava (Alto Adige e Venezia Giulia), in cui nel ventennio fascista si erano verificati conflitti nazionali, erano destinate presumibilmente (come già avvenuto per l’Alsazia-Lorena e il Lussemburgo) ad essere annesse alla Germania. I territori a ridosso del fronte e alcune zone costiere in cui era previsto un possibile sbarco alleato, erano direttamente ed esclusivamente sottoposte al controllo dei rispettivi comandanti militari in quanto zone operative. Tale struttura era particolarmente soggetta ai mutamenti determinati dall’andamento della guerra. Nell’autunno del 1943 la zona di operazione della 10a armata (AOK 10) comprendeva un’area a sud dei confini settentrionali delle province di Pescara, L’Aquila, Frosinone e Littoria (Latina). La 14a armata (AOK 14) era invece responsabile della difesa dell’Italia settentrionale, con una serie di funzioni che comprendevano, tra l’altro, la difesa delle coste, la costruzione di fortificazioni e la repressione antipartigiana. A partire dal 22 gennaio 1944, con lo sbarco degli alleati ad Anzio, la 14a armata veniva trasferita nel Lazio per contrastare lo sbarco alleato ed estese la sua influenza su un territorio che comprendeva le province di Littoria, Roma, Rieti, Perugia, Terni e parte di quella di Grosseto. La 10a armata assunse invece il controllo delle province di Teramo, Ascoli Piceno e Macerata. Nell’Italia settentrionale il controllo dei territori delle zone d’operazione veniva invece assunto dal Raggruppamento di armata (Armeeabteilung von Zangen), comandato dal generale Gustav-Adolf von Zangen. Questa strutturazione rimase invariata sino al maggio 1944, quando con lo scattare dell’offensiva alleata che portò alla liberazione di Roma, le due armate furono costrette progressivamente a ripiegare sino a raggiungere la riva meridionale del Po: la 10a armata assunse allora il controllo del settore occidentale, mentre la 14a armata di quello orientale. A partire dal luglio 1944 l’Armeeabteilung von Zangen, divenuto LXXXVII corpo d’armata, assunse il controllo della costa ligure; da tale raggruppamento fu costituito l’Armata Liguria (AOK Ligurien), al comando del maresciallo Rodolfo Graziani, a cui fu affidata la difesa dell’intero confine occidentale italiano, dalla Svizzera alla Liguria. Tale assetto rimarrà sostanzialmente invariato sino alla fine del conflitto. Sull’occupazione militare tedesca dell’Italia cfr. ad esempio, Enzo Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945, Lerici, Milano 1963; Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia (1943-1945), cit.; Friedrich Andrae, La Wehrmacht in Italia, cit.; Enzo Collotti, L’occupazione tedesca in Italia, in Id. – Renato Sandri – Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, cit., pp. 32-42; Luca Baldissara (a cura di), Atlante storico della Resistenza italiana, cit.
64 A garantire il massimo sfruttamento delle risorse umane e materiali dell’Italia occupata c’erano i rappresentanti di uffici e dicasteri del Reich che, oltre alla Wehrmacht, sovente in concorrenza tra loro, erano interessati alla gestione e sfruttamento di tali risorse. I più importanti e attivi in tal senso erano i rappresentanti incaricati da Hitler di effettuare razzie di lavoratori per l’economia di guerra tedesca nell’Europa occupata; i funzionari del generale Hans Leyers, operante a Milano e inviato del ministro per gli Armamenti e la produzione bellica Albert Speer per stabilire rapporti con gli industriali italiani; i rappresentanti dell’incaricato generale per l’impiego della manodopera, guidati in Italia dal Generalarbeitsführer Kretzschmann di stanza a Lecco, che rispondeva direttamente al plenipotenziario del Reich, Gauleiter Fritz Sauckel, incaricato del rastrellamento di lavoratori da inviare in Germania; i funzionari dell’organizzazione del generale Fritz Todt, plenipotenziario per le costruzioni edili incaricato di provvedere alla realizzazione di opere militari e civili. In particolare, l’organizzazione Todt, struttura autonoma promossa dalle autorità militari e insediatasi in tutti i territori occupati dalla Germania, in Italia venne presentata come una vera e propria impresa edile in cui operai italiani vi potevano lavorare (in tal modo evitando, ad esempio, la leva militare) a condizioni relativamente buone, seppur sotto stretta sorveglianza tedesca, alla costruzione e riparazione di opere e apprestamenti militari, oltre che a tutte quelle infrastrutture civili necessarie allo sforzo bellico tedesco. Le varie organizzazioni presenti in Italia sollecitavano in genere piena autonomia, rifiutando l’inserimento nella struttura amministrativa militare di occupazione e un’articolazione adottata negli altri territori occupati dalla Germania nell’Europa occidentale.
65 Il generale della Luftwaffe Albert Kesselring riuscì ad ottenere il comando supremo delle truppe tedesche stanziate in Italia. Inizialmente il Comando supremo tedesco prevedeva per l’Italia la presenza di due gruppi d’armate. In gruppo d’armate sud, con comandante in capo il feldmaresciallo Kesselring, il gruppo d’armate B, guidato dal feldmaresciallo Rommel, il quale inizialmente doveva essere in posizione superiore rispetto a Kesselring. Dopo una serie di ordini diversi emanati da Hitler che non scioglievano i conflitti di competenza determinatisi, a seguito di ripetute richieste di Kesselring, con le disposizioni emanate il 6 novembre 1943, al comandante in capo del fronte sud, il quale assumeva la nuova denominazione di comandante in capo del fronte sud-ovest, veniva riconosciuto il potere superiore di comando sull’Italia intera. Rommel, invece, avrebbe dovuto costituire per compiti speciali unità dell’esercito caratterizzate da estrema mobilità, elaborando inoltre studi strategici in difesa delle coste; tuttavia il trasferimento in Francia del gruppo d’armate B, comandato per l’appunto dallo stesso Rommel, lasciò definitivamente a Kesselring la piena responsabilità della difesa militare della penisola italiana.
66 Il generale Toussaint rimase in carica sino all’agosto 1944, quando fu trasferito a Praga e venne sostituito dal generale Wolff.
67 SS-Obergruppenführer Wolff, a lungo aiutante del capo delle SS Heinrich Himmler, rappresentava la longa manus di quest’ultimo in Italia. Responsabile della sicurezza e del mantenimento dell’occupazione tedesca in Italia e incaricato speciale per le questioni di ordine pubblico di Mussolini, partire dal luglio 1944 e sino alla liberazione accentrò le cariche di capo della polizia, delle SS e di comandante territoriale e, dall’agosto 1944, anche di plenipotenziario generale presso la Rsi. Alle dirette dipendenze di Wolff c’erano i comandi delle SS e della polizia nell’Italia centrale, settentrionale e occidentale, di Bolzano e della zona di operazioni “Costiera adriatica”, inoltre, anche la Sicherheitspolizei (polizia di sicurezza), responsabile della sicurezza dei territori occupati, che aveva distaccamenti (Aussenkommandos) in ogni capoluogo di regione ed il cui responsabile era il generale delle SS Wilhelm Harster, con sede a Verona. Il generale Wolff mise in piedi una complessa struttura organizzativa, articolata in un comando centrale presso Verona e in comandi regionali, gli SS-und Polizeiführer (SSPF), cui fanno capo tutte le formazioni tedesche e italiane addette alla lotta antipartigiane (polizia tedesca, SS, Wehrmacht, Gnr, Brigate Nere, X° Mas, le varie polizia ausiliarie della Rsi) con compiti di coordinamento e pianificazione delle azioni di controllo del territorio. Già all’indomani dell’8 settembre furono creati i comandi di Trieste (HSSPF, al comando del generale delle SS Odilo Globocnik) e di Bolzano (SSPF, al comando di Karl Brunner). Nel gennaio 1944 si costituirono i comandi dell’SSPF di Monza, con competenza in Piemonte, Lombardia e Liguria e al comando del generale SS Willi Tensfeld. Nell’aprile fu costituito l’SSPF Mittelitalien, con competenza per Toscana, Umbria e Marche, al comando del colonnello delle SS Karl-Heinz Bürger e l’SSPF Oberitalien-Mitte, con competenza per l’Emilia-Romagna e il Veneto, al comando del colonnello delle SS Ernst Hildebrandt. Tra i compiti del comandante delle SS in Italia c’era anche quello legato all’attuazione delle misure antiebraiche pianificate e realizzate da Eichmann in un dipartimento dell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich. Cfr. in particolare, sulla struttura organizzativa tedesca d’occupazione in Italia, dal punto di vista delle forze militari e di polizia, Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, cit.; Carlo Gentile (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-1945. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, cit.; Cfr. Luca Baldissara (a cura di), Atlante storico della Resistenza italiana, cit., p. 117; Friedrich Andrae, La Wehrmacht in Italia, cit.
68 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, cit..
69 Il capo dell’Amministrazione militare tedesca in Italia, Landfried, rimase in carica sino alla fine di luglio del 1944 quando, a seguito del ricambio ai vertici della struttura militare e amministrativa decisa da Hitler all’indomani dell’attentato da lui subito il 20 luglio 1944, al fine di giungere ad un accentramento di poteri nelle mani delle SS, fu sostituito da un alto ufficiale delle SS, lo SS-Gruppenführer Otto Wächter, proveniente dal Governatorato generale della Polonia dove si era distinto nella persecuzione degli ebrei.
70 Probabilmente per ragioni strategiche e politiche, la vicinanza della città al fronte meridionale, la presenza del Vaticano e del pontefice, la capitale italiana fu sottoposta ad un regime di occupazione particolare. Dopo la fine dello status di “città aperta”, il 23 settembre 1943, Roma fu sottratta dalla sfera di controllo della Militärverwaltung e, a fianco del comando di presidio, fu insediato un gruppo esterno (Außenstelle) dell’Amministrazione militare alle dirette dipendenze del feldmaresciallo Kesselring. Cfr. Enzo Collotti, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 49.
71 Presenti in ogni centro urbano di una certa importanza, in genere nei capoluoghi di provincia. Le Militärkommandanturen erano formate da un “gruppo amministrativo” e da un ”gruppo comando”. Il personale dei comandi territoriali appariva numericamente assai limitato. Per ciò che riguardava il “gruppo amministrativo” essa era composta da funzionari e specialisti provenienti da vari settori dell’amministrazione civile del Reich e dell’economia, “militarizzati” per la durata del conflitto. I militari veri e propri che facevano invece parte del “gruppo comando” erano, generalmente, ufficiali anziani richiamati, spesso gravemente menomati nel fisico e non più adatti alla vita al fronte. Le funzioni amministrative erano, in genere, esercitate utilizzando le autorità italiane. I funzionari tedeschi rimanevano spesso in secondo piano, limitandosi a intervenire presso i prefetti nei casi in cui questi ultimi non fossero stati in grado di operare o avessero emanato direttive in contrasto con gli interessi germanici. Cfr., Carlo Gentile (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-1945. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, cit., p. 42.
72 Già il 9 settembre 1943 la radio tedesca dava notizia della costituzione di un governo provvisorio in Italia.
Angelo Bitti, La Guerra ai Civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, 2007

«Finché il duce era fuori scena – scriveva Goebbels il 13 settembre 1943, all’indomani della liberazione di Mussolini – potevamo avere le mani libere in Italia. Senza alcuna restrizione, e basando la nostra azione sull’enorme tradimento del regime di Badoglio, potevamo imporre una soluzione di tutti i nostri problemi concernenti l’Italia. Ma Hitler aveva bisogno di Mussolini, e non soltanto per una esigenza di prestigio, ma perchè era consapevole che soltanto facendo leva sulla sua persona – e non certo per il tramite degli altri meno qualificati esponenti del fascismo, i Farinacci o i Preziosi che erano da tempo in Germania per preparare la rivincita e la vendetta del fascismo – avrebbe potuto ricreare un minimo di consensi intorno ad una struttura politica che potesse realmente fungere da organo esecutore della volontà tedesca in Italia. Poiché non c’è dubbio che soltanto una simile funzione strumentale poteva giustificare per i tedeschi l’esistenza della Repubblica di Salò, come ha confermato ampiamente di recente la ricostruzione della «brutale amicizia» tra i due alleati dell’Asse effettuata dal prof. Deakin. Se in un primissimo tempo Hitler potè sperare di utilizzare una restaurazione fascista in Italia per avere il contributo di una forza armata italiana (all’indomani del 25 luglio aveva auspicato una «armata fascista della libertà»), successivamente gli sforzi dei tedeschi conversero tutti verso una soluzione che restringesse al massimo l’autonomia di una autorità italiana. Questa cioè era necessaria, ma soltanto nella misura in cui agevolasse il compito dei tedeschi. Non per nulla la stessa formazione di un esercito della Repubblica sociale non incontrò affatto il favore dei tedeschi, ma dovette essere imposta contro la loro volontà.
Rispetto agli altri territori occupati, la posizione dell’Italia, formalmente governata dal nuovo ministero Mussolini, fu piuttosto singolare. Soltanto in Francia (Pétain) e in Norvegia (Quisling) sussistevano esperienze in qualche modo analoghe e compatibili con quella italiana. Ciò non toglie che di fatto il regime vigente in Italia dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 fu sotto ogni punto di vista un regime d’occupazione. Del resto, sulle intenzioni dei tedeschi non potevano esserci dubbi sin dai primissimi giorni dell’occupazione: ridurre l’Italia a puro oggetto di sfruttamento e di conquista a favore del Terzo Reich, reprimendo nel modo più spietato ogni tentativo del popolo italiano di sottrarsi a questa incondizionata soggezione. Un’ordinanza del maresciallo Kesselring, comandante in capo del settore sud, e più tardi comandante supremo di tutto il teatro di guerra italiano, diffusa sin dal 12 settembre 1943, dichiarò il territorio italiano «territorio di guerra» soggetto alle leggi di guerra tedesche, affermando la responsabilità degli organi italiani nei confronti delle forze occupanti ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico. Non meno significativo, anche per l’ostilità che manifestamente ispirava, era l’ordine del marescallo Keitel del 16 settembre 1943 che prescriveva il trasferimento forzato della popolazione lavoratrice maschile dall’Italia centro-meridionale all’Italia settentrionale, lasciando a Kesselring la «libertà di impiegare tutte le misure adeguate», coercizione compresa, per arrivare allo scopo perseguito, che era quello di porre il contingente più largo possibile di manodopera a disposizione dei tedeschi.
Possiamo concludere che l’obiettivo dei tedeschi di controllare ogni aspetto della vita italiana, in una parola di asservire il paese esclusivamente in funzione delle loro esigenze belliche, è fuori di ogni discussione. Più lento e controverso fu invece il processo di formazione degli organismi destinati al controllo o alla gestione dell’Italia occupata. Nei primi mesi il principale elemento di incertezza fu determinato dalla fluidità della situazione militare. I contorni defl’amministrazione tedesca in Italia rimasero incerti fin quando non risultò evidente quale doveva essere l’area di occupazione della Wehrmacht. Infatti, contrariamente alle stesse previsioni del Comando supremo tedesco e del maresciallo Rommel in particolare, la prospettiva limitata di circoscrivere l’occupazione alle sole regioni settentrionali del paese fu ben presto superata dallo sviluppo delle vicende militari. La imprevista resistenza del fronte tedesco a sud di Roma dilatò automaticamente la sfera d’occupazione tedesca sino alla tarda primavera del 1944, quando riprese l’avanzata delle armate alleate verso il nord. Così, alla fine di ottobre, del 1943, allorché la linea del fronte si assestò tra Napoli e Roma, fu risolto anche il duello tra Kesselring e Rommel per il comando in Italia. Kesselring rimase padrone della situazione e in tutto il territorio dell’Italia centro-settentrionale tenuto dalla Wehrmacht fu introdotto il regime d’occupazione.
Enzo Collotti, Struttura e obiettivi del regime d’occupazione tedesca in Italia in Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973), n° 73, 1963, Rete Parri