I ferrovieri avevano formato una loro brigata

7.1.1 Martedì 24 aprile
Fin dal mattino il CMRP [Comitato Militare Regionale Piemontese] era entrato in azione. Nelle zone partigiane i comandanti aspettavano l’ordine di rovesciarsi su Torino. La città era stata divisa da una perfetta organizzazione militare in cinque settori, a loro volta divisi in cinque rioni con un comando unificato. Nelle fabbriche, centro organizzativo del movimento e basi per gli attacchi ai fascisti, si contavano le armi e le munizioni. Alla stazione Dora il corpo di guardia delle brigate nere veniva preso da un gruppo di operai e portato nella vicina Fiat Ferriere. Gli alti comandi, in seguito alla sparizioni di sette dei loro uomini, mandarono una cinquantina di SS con due carri tigre ad occupare la stazione Dora. La battaglia per sloggiare le SS, avvenuta nella zona compresa tra la stazione Dora e il complesso delle officine Savigliano e Ferriere, durò tre giorni e fu tra le più lunghe e dure dell’insurrezione di Torino.
Alla sera il CLN dell’Alta Italia notificò che gli alleati avevano attraversato il Po a sud di Mantova e diramò alle formazioni partigiane e ai comandi di zona il tanto atteso ordine di insurrezione:
Aldo dice 26×1 STOP Nemico in crisi finale STOP Applicate piano E27 STOP Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga STOP Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo
persone sospetta STOP Comandi zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità Forze
alleate su strade Genova-Torino et Piacenza-Torino STOP il CMRP
” <46.
L’ordine era dunque quello di attaccare all’una del giorno 26. Il 26 era la data ideale: non troppo prematura per correre il rischio di vedere fallire l’insurrezione, non troppo tardiva da renderla impossibile per l’arrivo degli alleati.
7.1.2 Mercoledì 25 aprile
La mattina iniziò con una riunione del CLN regionale, che, nonostante il parere contrario del colonnello Stevens, confermava al comando militare l’ordine di attuare immediatamente il piano E27. Il CMRP trasmise così l’ordine al Comando Piazza, l’autorità militare cittadina.
Nelle prime ore del pomeriggio molte fabbriche erano già occupate dagli operai. I lavoratori si preparavano alla battaglia sbarrando i cancelli degli stabilimenti, ostruendo i passaggi con blocchi di ghisa, piazzando le mitragliatrici in punti cruciali e apprestandosi alle posizioni di difesa. Ai centri operativi confluivano i primi bollettini. Nel primo settore, Borgo San Paolo, l’insurrezione era in corso: la Lancia, L’Aeritalia e la Fiat Spa erano in mano alle Squadre di Azione Patriottica, le SAP. Alla Fiat Spa vi fu il primo degli oltre 300 caduti della Liberazione di Torino. Anche il secondo settore, Borgo Vittoria, era controllato dalle SAP. La Fiat Ferriere era stata occupata e in diverse sortite i sappiti avevano fatto molti prigionieri. Nel terzo settore, Barriera di Nizza, i sappisti avevano occupato la Grandi Motori e aumentato l’armamento con sortite che avevano fruttato anche molti prigionieri. Alle ore 16 quasi tutto il gruppo Fiat era presidiato dai lavoratori: la Ferriere, la Spa, la Grandi Motori, la Aeritalia, le Fonderie Ghisa, le Acciaierie. Anche la Lancia e la Incet furono occupate. Le fabbriche non vennero occupate in modo rigido, i sappisti che vi erano rifugiati uscivano per incursioni a piccoli gruppi.
Intanto nel secondo settore continuava lo scontro per il controllo della stazione Dora. I sappisti conquistarono un convoglio carico di alimenti ma subito dopo la situazione si fece critica. Dalla Grandi Motori giungevano richieste d’aiuto alla Ferriere. Baroni, il comandante dell VII brigata, mandò in aiuto i suoi uomini guidati da Baritono. Il distaccamento di Baritono, passando per corso Vigevano, riuscì a raggiungere la zona di combattimento e a forzare l’accerchiamento nemico. Nel frattempo lo scontro si faceva duro su via Bra, di fianco alla Grandi Motori, dove i sappisti vennero nuovamente accerchiati. Baroni corse in aiuto dei compagni, riuscendo ad aprire un varco nelle file dei nemici, i quali iniziarono la ritirata. Il distaccamento accerchiato, esaurite le munizioni, iniziò a sua volta il ripiegamento sotto la difesa del comandante Baroni che, nel tentativo di proteggere l’operazione con l’aiuto di armi automatiche, perse la vita insieme al comandante Baritono.
Dopo la morte dei due comandanti, gli uomini passarono al contrattacco e sbaragliarono i tedeschi. Alle porte della periferia, migliaia di partigiani stavano percorrendo le strade che portano a Torino, pronti a spalleggiare gli operai. Le forze non mancavano, ma arrivarono due contrordini. Il primo arrivò alla I Divisione Leo Lanfranco, alle 19:45 e partiva dal comandante Dodson, capo di stato maggiore per il Piemonte. Nel documento si faceva riferimento alla difficile situazione di Torino per la ritirata dei tedeschi dal cuneese e dalle Alpi Marittime e si ordinava ai partigiani di non iniziare alcun movimento senza l’autorizzazione del Comando Piazza, con il quale dovevano prendere contatto, di guardarsi le spalle dalla XXXIV divisione tedesca in ritirata e di non attaccare Torino in quanto l’opposizione nemica era ancora troppo forte. Il secondo contrordine, ispirato dal colonnello Stevens, arrivò alle unità del Monferrato verso le ore 21 con l’ordine di fermare ogni manovra offensiva fino a un successivo ordine del Comando Piazza. I due contrordini arrivarono perché gli alleati inglesi avevano paura di una rivoluzione comunista e volevano fermare l’insurrezione della città impedendovi l’ingresso delle unità partigiane.
7.1.3 Giovedì 26 aprile
Nonostante le difficoltà di collegamento già dalla prime ore della mattina nei luoghi di lavoro si svolsero assemblee, comizi e dibattiti. Nella periferia sventolavano le bandiere dell’insurrezione, mentre in centro la resistenza dei fascisti era ancora forte. Asserragliati nel perimetro che va dal Po alla ferrovia Torino-Milano fino al limite di corso Regina Margherita, a nord e del bivio ferroviario Vallino, nei pressi di corso Dante, a sud, e protetti dai carri tigre, i nazifascisti si apprestavano ad attaccare i fortilizi operai.
I centri operativi degli insorti erano situati tutti verso ovest, attorno a corso Francia. La zona era stata scelta per la sua collocazione strategica a metà tra borgo San Paolo, dove c’erano la Lancia e la maggior concentrazione di case operaie, e il gruppo Ferriere – Savigliano – Grandi Motori, uno dei centri principali della rivolta. Il comando militare, il CMRP, si piazzò a villa Pia in via Cibrario 114, mentre il Comando Piazza si insediò alla Lancia di via Monginevro. Il CLN, il vero organo politico che dirigeva l’insurrezione, decise di stabilirsi alla conceria Fiorio, in via Durandi angolo via San Donato, ma, sulla strada che portava dalla sede dell’Archivio di Stato alla conceria, precisamente in via San Donato, si imbatté in uno scontro tra un reparto tedesco e una squadra partigiana. I membri del CLN decisero allora di stanziarsi provvisoriamente nella casa di Aldo da Col, in via Peyron.
Da parte dei tedeschi iniziavano ad arrivare le prime proposte di tregua. Verso le 12 una staffetta mandata dal comando militare giunse in via Peyron e comunicò che i tedeschi avevano informato la curia che erano disposti a dichiarare Torino città aperta, lasciando la città, a condizione che fosse permesso per 48 ore il transito nelle vie cittadine della XXXIV corazzata e della V divisione di Alpenjäger in ritirata. Il CLN, d’accordo con il comando militare, respinse la proposta e chiese la resa senza condizioni. Allo stesso modo quando le autorità fasciste fecero sapere di essere disposte ad accettare la cessione dei poteri nei confronti del CLN, il comitato rispose, con un manifesto indirizzato alla popolazione, che il CLN non intendeva concordare alcun passaggio di poteri perché il potere se lo assumeva da sé.
In centro le vie erano deserte, lo sciopero aveva di nuovo paralizzato la città. Fra i piani del CMRP c’era anche l’occupazione degli edifici pubblici e dei servizi, per preservarli da ogni atto di sabotaggio. I ferrovieri avevano formato una loro brigata, la XXIV Lino Rissone, e avevano provveduto a piantonare i più importanti impianti di Torino. Già nella notte del 25 erano state occupate Torino Smistamento, Torino Vallino e le Officine materiale rotabile. Verso le 9 del 26 gli uomini della brigata Rissone entrarono in azione nella stazione di Porta Nuova, sebbene negli impianti sostassero importanti forze corazzate tedesche. Nel mattino alcuni sappisti fecero anche saltare due locomotive nel deposito, in modo che nessun altra motrice potesse muoversi. Nessun treno potrà più muoversi da Torino. I tedeschi continueranno comunque ad attaccare Porta Nuova con carri armati e bombe a mano.
Particolarmente importanti, oltre alla ferrovia, erano gli impianti per l’approvvigionamento elettrico della città in quanto l’elettricità era l’unica fonte di energia in funzione. Le SAP elettriche avevano però l’ordine di difendersi solo se attaccate. Il palazzo dell’azienda elettrica municipale si affacciava su via Bertola, vicino al quadrilatero nazifascista. Il viale era anche una delle direttrici di avvicinamento dei partigiani, ormai alle soglie della città. Lungo questo scorreva un carro Tigre protetto da due autoblindo, una minaccia per i garibaldini in avvicinamento. Una pattuglia raggiunse il palazzo armata di bazooka, ma l’unico punto da cui era possibile colpire era la terrazza della centrale di conversione, punto troppo visibile per i tedeschi del Tigre. Arrivò la sera e, con l’aiuto del buio, i garibaldini riuscirono a distruggere un autoblindo. La centrale elettrica venne così salvata e i sappisti della Sip riuscirono inoltre a creare uno dei centri di collegamento più importanti per la città insorta.
Il palazzo dello Stipel era stato occupato da un piccolo nucleo di lavoratori, all’insaputa dei tedeschi che ancora lo controllavano. Il servizio antisabotaggio aveva fatto però un bel lavoro. Minato dai tedeschi, che il 27 tenteranno di farlo saltare, il palazzo di via Confienza si salverà e con esso l’intera rete telefonica di Torino, perché i sappisti erano riusciti a sostituire le cariche.
Anche i giornali erano previsti nel piano E27. Dalle 10 del mattino l’edificio della Gazzetta del Popolo di corso Valdocco veniva occupato dai sappisti in modo da poter subito stampare i giornali dei partiti antifascisti. La reazione dei fascisti e dei tedeschi fu immediata. Verso le 14 un gruppo di nazifascisti, scortati da una camionetta con due mitragliatrici, intimò la resa ai sappisti che presidiavano il giornale e misero al muro dieci civili. Per evitare un sacrificio inutile, e constatato che l’intero edificio era stato circondato, i sappisti nascosero le armi e si ritirarono attraverso i rifugi e le soffitte. A quel punto i nazifascisti rastrellarono i pochi operai che non si erano messi in salvo e li portarono nella vicina caserma Valdocco.
Nonostante alcune momentanee sconfitte, come la cessione della Gazzetta del Popolo e del Palazzo di Città, il piano degli insorti procedeva comunque regolarmente. L’unico dato negativo era il ritardo dell’arrivo dei partigiani, che incominciava a pesare in quanto da lì a poco la rabbia fascista si sarebbe riversata sulle fabbriche. I primi attacchi violenti si ebbero all’Aeritalia, in fondo a corso Francia. La situazione si faceva critica in quanto le munizioni dovevano essere regolate con parsimonia. Dopo aver subito due attacchi, i sappisti e gli operai portarono le mitragliatrici sui tetti dello stabilimento. Erano maggiormente allo scoperto ma avevano la possibilità di colpire meglio il nemico che, falciato dalle armi automatiche, fu costretto a ritirarsi. Gli operai si misero subito al lavoro per riattivare la pista di atterraggio degli aerei. Col passare delle ore le puntate contro gli stabilimenti si fecero più frequenti. Nel pomeriggio vennero attaccate la Fiat Mirafiori, la Nebiolo di via Boggio, la Grandi Motori di via Cuneo, la Spa di corso Ferrucci, la Lancia di via Monginevro e il gruppo Ferriere-Savigliano. La Fiat Mirafiori fu attaccata verso le 18 con tre carri armati e una decina di autoblindo dai tedeschi che riuscirono a penetrare nella prima cintura di difesa, ma vennero presto ricacciati dai lavoratori. Questi rispondevano al fuoco con le mitragliatrici e con il lancio di granate e di Molotov; un carro armato tedesco venne immobilizzato e gli altri due furono costretti a ritirarsi, alcuni autoblindo erano in fiamme. I nazisti rinnovarono poco dopo l’attacco, ma dopo mezz’ora di battaglia il nemico venne nuovamente ricacciato. Alla Spa, dopo un primo scontro, il nemico attaccò in forze da corso Ferrucci e via Montenegro, esponendo lo stabilimento ai colpi di cannone. Tedeschi e fascisti avanzavano con due carri pesanti, un autoblindo e alcuni camion delle brigate nere. Il combattimento si fece duro ma bastò l’uscita di un carro armato semovente con le insegne del CLN per causarne la ritirata. Le prime divisioni partigiane iniziavano ad arrivare. Verso mezzogiorno il distaccamento Lupo della XIX brigata aveva attaccato il posto di blocco di Superga, sbaragliando il nemico. Altri distaccamenti scesero a Sassi e si attestarono a difesa dei ponti sul Po. I primi reparti partigiani entravano in città e si dirigevano verso corso Regina Margherita. Alle 14.30 unità garibaldine avanzavano da corso Casale verso il centro. Un nucleo della divisione GL era in azione in Borgo Vanchiglia. Sul ponte della Stura la brigata garibaldina Giambone catturò un carro armato. A Madonna di Campagna i patrioti conquistarono tre autocarri carichi di soldati e ufficiali nemici. La maggior parte delle divisioni partigiane, intanto, erano appostate sulle colline e nei comuni della cintura a causa del falso contrordine di sospendere l’azione diramato dal colonnello Stevens. Verso sera però l’equivoco venne chiarito e i partigiani si misero finalmente in marcia.
[NOTE]
46 G. Padovani op. cit.
Claudio Tosatto, Il passato nell’epoca della sua (ri)producibilità digitale. Torino 1943-45. Metodologia della ricerca con tecnologie informatiche. Sistema storico-territoriale di informazione multimediale, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2008