A Roma il CLN non riuscì a adempiere al compito di coordinamento delle azioni patriottiche

Roma: il Tevere. Foto: Gian-Maria Lojacono

Tracciato un breve quadro dei rapporti di forza tra i vari partiti del CLN, è bene tornare a trattare quello che è il centro di questo lavoro, ovvero la lotta di liberazione della Capitale d’Italia. Come detto in precedenza il CLN non riuscì a adempiere a quel compito di coordinamento delle azioni di lotta e di guerriglia che era invece riuscito ad assolvere sul versante politico. Il mancato funzionamento di questo organismo collegiale dal punto di vista militare era dovuto alle profonde divergenze che i partiti avevano in merito al modo in cui si sarebbe dovuta svolgere la lotta contro l’occupante; da un lato vi erano socialisti, azionisti e soprattutto i comunisti, favorevoli ad intraprendere una lotta armata che prevedesse anche atti di guerra estremi come gli attentati, dall’altro invece vi erano i moderati – democristiani, demolaburisti e liberali – sostenitori di una linea “attendista” che si limitasse ad azioni di sabotaggio e di propaganda non armata <110; essi erano contrari ad atti di lotta armata perché convinti che operando in tal modo non si facesse che il gioco dei tedeschi i quali non aspettavano altro che simili provocazioni per mettere in moto il loro apparato repressivo e scatenare violente rappresaglie contro la popolazione. Essi ritenevano più sensato limitarsi ad azioni di guerriglia non armata e di sabotaggio di modo da mantenere sempre alta l’ostilità della popolazione nei confronti dell’occupante e poi di tenere duro in attesa dell’arrivo degli Alleati che avrebbero liberato la città, sulla scia di ciò che stava accadendo nel resto del paese. Tali profonde divergenze riguardo alla condotta militare da adottare erano molto più profonde e insanabili di quelle emerse sul versante politico poiché queste – a differenza delle altre – riguardavano questioni di contingenza immediata, su cui non ci si poteva arrestare in attesa di trovare un compromesso.
Non trovando l’accordo, le varie anime del CLN convennero nel lasciare nelle mani dei partiti il controllo delle bande partigiane di propria competenza. Vediamo nel dettaglio il contributo fornito dalle principali forze resistenziali alla liberazione di Roma. Innanzitutto è bene precisare come nei primi 3 mesi dell’occupazione nazista – fino alla metà di dicembre quindi – nessuna forza fu in grado di effettuare azioni contro i tedeschi, data la limitata organizzazione e consistenza delle bande partigiane <111; fanno eccezione due azioni commesse agli inizi di ottobre. La prima riguarda un attacco commesso nella notte tra il 4 e il 5 ottobre ai danni di una colonna tedesca a Ponte Milvio da una banda di “Bandiera Rossa” (una formazione partigiana espressione di una forza politica esterna al CLN ), che fece saltare in aria quattro automezzi tedeschi dopo aver ucciso due sentinelle; la seconda riguarda il tentativo di asportare armi da un deposito tedesco presso l’aeroporto di Centocelle compiuto da due membri di una banda del Pd’A, Manlio Bordoni e Andrea De Gasperis, i quali, sorpresi da due militari tedeschi, li freddarono sul colpo prima di darsi alla fuga <112. Di tale attacco compiuto il 5 ottobre- il cui racconto si deve al rapporto presentato dal Partito d’Azione alla “Commissione laziale per le qualifiche partigiane” sull’attività svolta dalle bande partigiane di tale partito nell’ VIII zona urbana di Roma, quella compresa tra la Prenestina e l’Appia, nella periferia sud-est della Capitale – non si ha alcun riscontro nelle carte di polizia (tra le poche fonti primarie che possano aiutare a ricostruire il reale contributo delle bande armate alla liberazione della città) poiché il compito di registrare gli atti ostili e le azioni di guerriglia nelle zone periferiche era esercitato perlopiù dalle stesse forze tedesche, che non si vollero avvalere dell’aiuto degli organi di polizia italiani. Aldilà di queste due eccezioni, che comunque rappresentavano due casi di omicidio estemporanei e fortuiti, in questi primi mesi le bande partigiane concentrarono la loro violenza nei confronti dei fascisti repubblicani, sicuramente più vulnerabili dei tedeschi e probabilmente più oggetto di disprezzo da parte della popolazione. In tal senso si distinsero soprattutto i comunisti, i quali durante il ventennio avevano pagato il prezzo più alto in termini di arresti e perdite della loro attività dissidente e che adesso erano intenzionati a ripagare i fascisti con la stessa moneta. La prima vittima dell’odio partigiano risulta essere Armando Mingolini, un fascista che nei giorni precedenti aveva girato per i vicoli di Trastevere costringendo gli abitanti del rione a cancellare le scritte antifasciste che campeggiavano sui muri, esasperando così la popolazione trasteverina <113; egli fu ucciso sul Lungotevere Sanzio il 18 ottobre. Ancora più eco ebbe probabilmente l’attacco rivolto il 21 novembre da una squadra comunista a un gruppo di fascisti uscito da Palazzo Braschi (come già detto, sede del PRF a Roma); non appena esso giunse in piazza del Gesù dopo aver percorso l’attuale corso Vittorio Emanuele II, la squadra di partigiani guidata da Rosario Bentivegna e Mario Fiorentini gli scaricò alle spalle una scarica di proiettili, di cui uno prese e ferì gravemente Renato Cesaroni, la guardia armata di quella sede. Il 27 dello stesso mese viene eliminato il console della milizia fascista, Vincenzo Musso, da un partigiano comunista di nome Alfonso Lucci. Ma l’apice dell’attivismo comunista contro i repubblichini era stato raggiunto il 18 novembre quando, in occasione di un’adunata organizzata dalla Federazione Fascista romana all’interno del Teatro Adriano, il Comando delle Brigate Garibaldi aveva incaricato il gappista Danilo Nicli di collocare una bomba ad alto potenziale (occultata dentro un estintore) sotto al palco da dove i massimi esponenti del fascio locale avrebbero arringato i presenti; l’attentato tuttavia fallì a causa del mancato funzionamento del congegno che avrebbe dovuto provocare lo scoppio dell’ordigno. Aldilà del dibattito storiografico che montò riguardo l’eventuale partecipazione di Graziani all’adunata (secondo alcuni era questa l’eventualità che aveva spinto i comunisti ad organizzare un’azione a tal punto pericolosa), è indubbio che l’azione, se riuscita, avrebbe avuto un valore simbolico enorme in quanto avrebbe messo fuori gioco l’intero vertice del partito fascista capitolino <114. In dicembre le azioni contro i fascisti erano aumentate; il 7 in via Marcantonio Colonna (rione Prati) il sergente maggiore della GNR Giuseppe Pesci viene freddato da due colpi di pistola; l’azione fu rivendicata dalle Brigate Garibaldi della III zona. Il 16 dicembre la questura di Roma registrò un duplice omicidio ai danni di militi dei battaglioni ‘M’- tra i pochi battaglioni dell’esercito italiano arruolatisi volontariamente nell’esercito della RSI -; il primo si verificò alle 19 ai danni del milite degli ‘M’ Roberto Murganti, che mentre si trovava sulla banchina del tram 4 fu freddato in via Donizetti (quartiere Pinciano) da un partigiano in bicicletta appartenente alle Brigate Garibaldi III zona, mentre il secondo fu compiuto ai danni di un ufficiale degli ‘M’, Andrea Fumo, che fu colpito da una serie di colpi di pistola che poi si dimostrarono letali.
Vi è stato un evento in particolare che ha segnato il punto di svolta della lotta comunista nel processo di liberazione della Capitale; quell’evento è l’omicidio del sergente Georg Schmidt il 17 dicembre di quell’anno. Il raid fu pianificato dal Comando comunista nei minimi dettagli; si scelse un orario, le sei di pomeriggio, in cui era già buio ma in cui il coprifuoco era ancora lontano, di modo che non destasse troppo sospetto la presenza di civili italiani per strada; si scelse un luogo in cui Schmidt, essendo all’interno della cosiddetta “città tedesca – ovvero quell’area che comprendeva la parte nord del rione Campo Marzio, il rione Ludovisi e una parte del Pinciano, chiamata così poiché per tutti i nove mesi dell’occupazione tedesca ospitò il maggior numero di comandi militari germanici e vi presero residenza praticamente tutti i più importanti ufficiali nazisti -, si sarebbe sentito al sicuro e avrebbe perciò girato da solo. Il sergente Schmidt, uscito in tutta furia da un albergo in via Veneto e imboccata via Bissolati in direzione di largo S. Susanna, fu freddato all’altezza dell’incrocio con via San Nicola da Tolentino da una coppia di italiani che, insieme a un’altra coppia poco distante, lo stava pedinando sin dall’inizio del suo cammino e che dopo avergli sparato si diede a una veloce fuga in piazza Barberini <115; la coppia che gli inferse le due ferite da arma da fuoco-“ una alla mammella destra e una alla regione ipocondriaca destra”, come si apprende dal rapporto di polizia- poi rivelatesi letali era composta da Rosario Bentivegna ( “Paolo”) e Carla Capponi ( “Elena”), due delle figure più rappresentative della resistenza romana. Tuttavia nessuno scritto sull’argomento, e neppure i libri di memorie di quest’ultimi, i quali comunque arricchirono di molti particolari il racconto di questa azione, hanno reso giustizia e dato il giusto spazio a un episodio che, per la sua importanza, non è azzardato paragonare all’attentato commesso dal “colonnello Fabien” ai danni dell’ufficiale tedesco Alfons Moser su una banchina del metrò di Parigi il 21 agosto 1941 ed indicato dalla storiografia come l’inizio della resistenza parigina all’occupante <116. La straordinarietà di questo episodio sta nel suo valore simbolico; se infatti vi erano già stati altri omicidi nei confronti di soldati tedeschi prima del 17 dicembre – anche se come già detto erano stati omicidi sporadici e fortuiti -, esso fu il primo attentato perpetuato nel centro della città, o meglio nel cuore della “città tedesca”. Il fatto che esso fosse stato il frutto di un piano ben congeniato indica l’alto grado di preparazione militare che era stato raggiunto dai partigiani comunisti.
Passiamo adesso a un esame del contributo delle altre forze cielleniste alla Liberazione di Roma. In ordine di sostanza del contributo militare la seconda forza, dopo il PCI, che ha più collaborato a scacciare i nazisti è stata il Partito d’Azione. Ritengo sia utile fare una breve panoramica su tale partito, che tra le forze del CLN si presentava come l’unico partito nuovo o che non avesse raccolto l’eredità di qualche forza preesistente al fascismo. Il Pd’A era sorto a Roma nel 1942 come frutto della confluenza tra molte personalità dell’antifascismo rimaste in Italia (Ugo la Malfa, Piero Calamandrei, Norberto Bobbio ecc.) e alcuni esponenti di GL (il primo giellino ad aderire al partito fu Riccardo Bauer, poi si unirono Lussu, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Alberto Tarchiani e Alberto Cianca). Il documento fondativo era costituito da I Sette punti, redatti nei giorni precedenti alla formazione e consistenti in proposte di: 1) costituzione di una repubblica parlamentare con la tradizionale divisione dei poteri di dottrina montesquieuiana, 2) decentramento amministrativo, 3) nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, 4) riforma agraria, 5) libertà sindacale, 6) laicità dello stato e separazione tra Chiesa e Stato, 7) creazione di una federazione di Stati europei che condividano ideali di pace e democrazia <117. I Sette Punti rivelavano l’ispirazione del Pd’A al pensiero politico di Carlo Rosselli, che può essere sintetizzato nella formula – destinata ad avere grande fortuna – del “socialismo liberale”, e cioè di un’ideologia capace di unire le parti migliori delle due grandi culture politiche che avevano animato la vita politica europea prima che lo spettro autoritario – di cui, è bene ricordarlo, il fascismo mussoliniano fu l’infelice precursore – si abbattesse sul continente, ovvero il socialismo e il liberalismo; egli intendeva coniugare il modello di avanzata democrazia e di libertà politiche e civili proprio del liberalismo con la giustizia sociale cardine della dottrina socialista. Il Partito d’Azione si configurava così come un partito di centro-sinistra, che per il futuro del paese immaginava una repubblica democratica che fosse in grado di perseguire una vasta opera riformatrice in campo economico e sociale senza però mettere in discussione il concetto di proprietà privata. Nel dopoguerra il Pd’A espresse il primo Presidente del Consiglio dell’Italia liberata, ovvero Ferruccio Parri- considerato il più importante comandante partigiano che avesse operato nella penisola- il cui ministero era composto da svariati elementi azionisti e, pur essendo un governo di alleanza antifascista, tentò di perseguire in maniera coerente il suo programma, che partiva dall’intento di fare dell’organismo ciellenista il fulcro della ricostruzione del paese. Proprio questa sua coerenza ideologica allarmò il Partito Liberale (spaventato soprattutto dalle misure fiscali che il governo Parri intendeva perseguire) che, seguito a breve giro dai democristiani, si ritirò dal governo causandone la caduta il 24 novembre 1945; Parri non ebbe nemmeno l’appoggio di socialisti e comunisti <118. All’inizio del 1946 il partito raggiunse i 267.000 iscritti, tuttavia le elezioni dell’Assemblea costituente segnarono una sonora sconfitta per il Pd’A che ottenne 334748 voti (1,5%) e 7 seggi. Privo di una qualsiasi base elettorale e di un’organizzazione che potesse attrarre i consensi delle masse, refrattario per sua natura all’incoerenza politica e al compromesso – doti fondamentali in politica, ancor di più in una fase di ricostruzione come quella post-bellica -, dilaniato dalle divisioni interne tra l’ala radicale guidata da Emilio Lussu e quella liberal-democratica rappresentata da La Malfa e Parri, il “partito degli intellettuali” si sciolse nel 1947 <119. Aveva così fine l’interessante esperimento politico del Partito d’Azione, un partito composto da sole eminenti personalità dell’intelligencjia italiana che aveva deciso di scendere in politica nel momento di massima difficoltà del paese mettendo a disposizione di quest’ultimo una straordinaria forza ideologica.
[NOTE]
110 G. RANZATO, La liberazione, cit., p.81
111 G. RANZATO, La liberazione cit., p.116
112 Ivi p.113
113 Ivi p.117
114 G. RANZATO, La liberazione cit., p.117-119
115 G. RANZATO, La liberazione cit., pp.110-111
116 Ivi, p.112
117 GIOVANNI DE LUNA, Storia del Partito d’Azione, UTET, Torino 2006, p.32
118 M. SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p.321
119 G. DE LUNA, Storia Pd’A, cit., p.328
Guglielmo Salimei, Roma negli anni della liberazione: occupazione nazista e lotta partigiana, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2020-2021