Tito raggiunge celermente le montagne della valle Trompia

Lumezzane in Val Trompia – Fonte: Wikipedia

San Gallo [Frazione di Botticino (BS)] non è dunque un paese capitato per caso nella storia della Resistenza e la Resistenza bresciana sarebbe stata diversa senza il fondamentale contributo evolutosi sull’asse San Gallo-Sant’Eufemia, dove sono nati da una parte (proprio qui, nell’eremo della valle del Fò) Casimiro Lonati, nome di battaglia Spartaco, fondatore della resistenza armata e gappista bresciana e dall’altra, ai confini con Brescia, Luigi Guitti, nome di battaglia Tito, ultimo comandante della 122ª brigata Garibaldi.
In modo diverso ma egualmente intenso, attorno a questi due personaggi primari – precursori della svolta partigiana – si sono raccolte molte altre persone (giovani e meno giovani, donne e ragazze) che hanno testimoniato con il loro coraggio e con il dono della propria vita principi etici e politici che sono stati il fondamento, la base dell’attuale democrazia, fonte della nostra vita sociale, offrendo un contributo fondamentale allo sviluppo della resistenza anche in Val Trompia.
Si può senz’altro affermare che quest’asse geografica, che parte da Sant’Eufemia, attraversa Botticino e termina sulle alture di San Gallo, costituisca una specie di linea resistenziale parallela a quella della Valtrompia: le è stata di supporto, l’ha alimentata fornendo uomini e staffette, armi e mezzi logistici, tanto che la Valtrompia non avrebbe potuto proseguire fino alla fine della lotta di liberazione senza il determinante contributo di questa comunità, straordinariamente resistente.
Si può dunque affermare che San Gallo sia stato uno dei cuori della resistenza bresciana.
Isaia Mensi, Appunti su San Gallo nella Resistenza, ANPI Sezione di Botticino, 28 novembre 2015

[…] Tito [Luigi Guitti] raggiunge celermente le montagne della valle Trompia dando vita e forza, insieme agli altri compagni, al nucleo di quella formazione che ai primi di ottobre sarà riconosciuta ufficialmente come 122ª brigata Garibaldi. E’ Marcheno il primo epicentro della rinascita, grazie all’aiuto di Cecco Bertussi, di particolare capacità nel fronteggiare qualsiasi evenienza; il secondo sarà la terra di Bovegno, dove l’infaticabile Silvio Giacomelli porterà in dono il suo segreto arsenale d’armi. Primo breve spazio d’incontro è un’altura sopra Marcheno, al «Roccolo dei tre piani», lungo la mulattiera che collega Cesovo a Cimmo. Qui sostano fin verso la fine del mese. Il 28 luglio [1944] questo nuovo gruppo combattente è composto da una dozzina di persone (una quarantina secondo Marino Ruzzenenti, la 122ª brigata, p. 42). Capo della nuova aggregazione partigiana è Giuseppe Gheda, che assume quale nome di battaglia Bruno, per cui il gruppo in valle viene identificato con il nome “Gruppo Bruno” oppure “Gruppo Bruno-Speziale”. Militarmente è un distaccamento della 54ª brigata Garibaldi operante in Valcamonica. Quale sia il ruolo specifico di Tito in questo periodo di transizione viene spiegato nella biografia partigiana che lo riguarda: “Dopo l’evasione ritorna in montagna nei pressi di Cesovo (Val Trompia) come capo gruppo, diverse volte parte per la città e la pianura rientrando con i viveri”. “La fuga dal carcere che ci restituì alla lotta – ricorderà lo stesso Tito nell’articolo pubblicato su «l’Unità» del ’47, commemorando il compagno Antonio (Pascà) Modena – vide in «Pascà» uno dei suoi più fervidi organizzatori. La nostra strada era una, quella della montagna, ed a quella ritornammo. «Pascà» riprese il suo posto, coordinò, assicurò alla Brigata una amministrazione solida, garibaldino, ardito, perfetto intendente. Centinaia di azioni, decine di scontri, migliaia di pericoli, videro sempre alla testa «Pascà»”.
Il carcere ha inasprito Tito, ma dopo l’evasione si trova proiettato in un’altra dimensione organizzativa e combattentistica nella quale può interpretare un ruolo non più indipendente – comunque originale – all‟interno della nascente struttura del comando partigiano, nella quale i suoi compagni della prima possono fornirgli un apporto determinante. Così ben sintetizza il suo ruolo la “relazione sul fatto d’arme che ha dato origine alla proposta e ricompensa al valor Militare al Comandante di Brigata Guitti Luigi (Tito)”, conservata presso l’archivio della Fondazione Micheletti: “Dopo l’evasione raggiunse Speziale in Val Trompia e formano un primo gruppo di uomini che rinforzandosi diventa la 122ª Brigata Garibaldi”.
Nel contempo qui, tra i cascinali sparsi sui versanti boscosi e la malga «Stalletti alti» del Guglielmo, sta operando il gruppo dei russi guidati dal ventiduenne Nicola Pankov – un militare dell’esercito russo piuttosto alto e robusto, da non guardare tanto negli occhi – nel quale sono inseriti alcuni triumplini di rilievo, quali Angelo Belleri e Mario Zoli, che dopo la soppressione del capo migreranno nella nuova struttura combattentistica comunista
[…] Mentre diversi giovani triumplini chiamati invano alle armi si erano aggregati attorno alla figura del 18enne antifascista milanese Gimmj, il gruppo Gheda-Speziale, seguendo le direttive impartite dal Bertussi, per riorganizzarsi e rafforzarsi militarmente arretra strategicamente verso la zona libera compresa tra Irma e Bovegno, dove i Giacomelli possono offrire l‟assistenza materiale e logistica necessaria a compiere il gran salto di qualità che il partito s’aspetta.
Così ben sintetizza il mutamento di scenario e l‟evoluzione strutturale avvenuta tra la fine di luglio e le prime due settimane di agosto il garibaldino Cecco Pellacini, componente attivo quel valente pugno d’audaci: “Montati su di un furgone – siamo una decina – ci dirigiamo verso Bovegno, fermandoci alla trattoria dell‟albergo Brentana, dove consumiamo un pasto abbondante. Qui, dopo circa due ore, veniamo raggiunti da Silvio e Libero Giacomelli. Il successivo appuntamento è fissato in località Vezzale di Irma, a circa tre ore di distanza, che raggiungiamo in fila indiana salendo da Ludizzo. Dopo pochi giorni siano una quindicina e in questa località Leonardo Speziale si rivolge a noi dicendo: «Si è costituito un nuovo gruppo che si chiamerà brigata Garibaldi». Eravamo tutti di Brescia, poi è arrivato Silvio Ruggeri di Gardone” […] Quegli storici avvenimenti sono arricchiti dalle notizie forniteci da Libero Giacomelli in merito agli incontri svoltisi a Bovegno tra i capi partigiani e il locale Cln, finalizzati a dirimere conflitti e disciplinare comportamenti verso i civili prima della devastante strage nazifascista del 15 e 16 agosto, incontri che non si svolsero mai all’albergo Brentana: “Noi nel Cln eravamo rappresentati da Giuseppe (Bruno) Gheda e da Leonardo (Carlo) Speziale, dirigenti del nuovo gruppo di 23 partigiani, tra i quali alcuni fuggiti il 13 luglio 1944 dalle carceri di Canton Mombello, giunti alcuni giorni dopo la fuga a Bovegno e che si erano accampati in una cascina in località Vezzale. La sera del loro arrivo, il gruppo di comando composto da Carlo, Bruno, Tito e Pascà, si era incontrato in casa mia con alcuni componenti del Cln (Natale Abati, Silvio Poli ed altri) per esaminare la situazione a Bovegno e per discutere sulla costituzione di una effettiva formazione partigiana che avesse quale fine quello di partecipare alla guerra contro i tedeschi e i fascisti . E’ stato Carlo che ha esposto il progetto”. Questi 23 uomini – è l’esatta quantità indicata da Libero – costituiscono il nucleo fondativo della futura 122ª brigata Garibaldi, ma solo 19 sono armati. “Per questo motivo mio padre prese la decisione di rimettere loro le armi che il partito comunista teneva nascoste dal tempo della strage di Sarezzo (27.06.1920): diversi fucili Mauser, 12 bombe a mano, una mitragliatrice della prima guerra mondiale. Esse erano state conservate con cura in tutti quegli anni dal compagno Silvio Poli, nella certezza che sarebbe venuto il giorno di usarle”
[…] È proprio qui, percorrendo la mulattiera che nascosta nel buio della pineta scende dalla Pezzeda, che un giorno arriva il partigiano Faro proveniente dalla Corna Blacca, inviato in missione da Tita Secchi presso il comando delle Fiamme verdi di Brescia. S’imbatte nel gruppo di Tito e lo vede veramente malmesso, con poche armi e scarsissime munizioni, tanto che gli regala due caricatori. Aggiunge Faro, senza esitazione, che “Tito era un compagno generoso, veramente di cuore. Se aveva del pane te lo dava senza pensarci due volte”. “Tito – conferma Cecco Pellacini – era coscienzioso e veramente deciso nello svolgimento del proprio dovere, tenuto conto del nuovo contesto partigiano, del quale si era immediatamente sentito parte, come a casa, grazie all‟affiatamento con Leonardo Speziale. Lui e Carlo erano per noi, più giovani, sicuri punti di riferimento militare, da non intendersi come gerarchicamente superiori, ma come colonne portanti di un‟unica grande famiglia, di cui ci sentivamo parte”.
Ulteriori notizie relativamente a questo straordinario periodo evolutivo vengono fornite dalla relazione post insurrezionale firmata dal partigiano Angelo Moreni, che rende manifesti alcuni dati identificativi e numerici nonché le preoccupazioni in merito al territorio operativo condiviso con altri gruppi combattenti: “Arturo è nominato Commissario di Brigata, con il nuovo nome di battaglia (Carlo). Giuseppe Gheda assume il comando, Sandro Ragazzoni il vice comando. Il Gruppo in formazione contava allora 45 uomini. In questa zona operavano pure altri gruppi, uno di Russi capitaneggiato da Nicola (Russo). Venti uomini da Gimmi e altri dai fratelli di Bovegno Cecco e Arturo. Vivevano rapinando i contadini locali, le loro azioni banditesche terrorizzavano gli abitanti dei paesi. Il nostro comando e il delegato militare socialista Lorandi radunano i vari comandanti dei gruppi. La seduta fu inconclusa, i gruppi rimasero autonomi e illegali, il nostro comando rifiutò nettamente la collaborazione con queste forze”.
Il rapporto evidenzia le tensioni esistenti a livello locale tra le varie forze antifasciste combattenti rispetto a problemi legati al contesto civile (“nessuno deve circolare armato per il paese”) e d’ordine militare più generale (“comando unico”). Ne tratta ampiamente Leonardo Speziale nella sua autobiografia, alle pagine 124-132, a cui si rimanda per una più approfondita visione generale.
Si trattava anche in Val Trompia di mettere ordine e governare nel migliore dei modi possibili lo spazio globale di quella terra strappata al regime, cercando di porre freno agli interessi particolari di piccoli gruppi che continuavano a muoversi secondo logiche indipendenti dalle direttive generali, creando ripetuti problemi con la popolazione civile e le altre formazioni maggiori. Proprio il 13 agosto a Bovegno si era svolta la riunione del Cln per discutere – ricorda Libero Giacomelli – della “richiesta di un unico gruppo partigiano. Mi aveva riferito Carlo di aver invitato Nicola, comandante del gruppo russo, ad aderire alla proposta”.
Fino al 14 agosto – data dell’ultimo incontro tra i protagonisti – il clima non sembrava così deteriorato, considerato per di più che il gruppo Bruno aveva la sua sede centrale in Vezzale di Irma mentre quello dei russi aveva base temporanea in un casinetto sopra Ludizzo di Bovegno, nei pressi della malga «Garotta».
Evidentemente le relazioni degenerano dopo l’intervento stragista a Bovegno operato dal criminale
nazifascista Ferruccio Sorlini e dai suoi robot-killer i quali, appoggiati da blindati tedeschi, avevano messo a ferro e a fuoco Bovegno la sera del 15 agosto e il pomeriggio del 16, provocando 15 vittime tra la popolazione, la distruzione di abitazioni, negozi privati e circoli cooperativistici, scatenando un terrore mai visto in Valtrompia, con strascico d’ingiuste accuse di corresponsabilità addossate ai partigiani. La sera della strage le forze partigiane purtroppo erano state prese alla sprovvista, nonostante nel pomeriggio la giovanissima staffetta Pippo Apicella fosse giunta in bicicletta da Sarezzo per recare a Nicola Pankov la notizia d’un imminente rastrellamento, ignorando il giorno e l’ora in cui questo sarebbe stato effettuato. E’ questa orrenda strage che obbligherà la giovane formazione comunista di Gheda e Speziale ad allontanarsi da Bovegno per far ritorno – verso la fine del mese – al «Roccolo dei tre piani», mentre in alta valle il giorno 26 prenderà avvio una serie infinita di rastrellamenti proprio là, verso la Corna Blacca, dove si erano riposizionati i russi e dove c’era il gruppo di Tita Secchi, di cui faceva parte Bruno Paiardi, amico di Tito. “Sono stato fortunato – racconta Faro – perché proprio il 26 agosto ero sceso a Bagolino con Davide Pelizzari, di Gardone Valtrompia e uno che guidava un mulo bianco. Il paese era pieno di tedeschi giunti per il rastrellamento. Vista la situazione, incarichiamo il conducente del mulo di ritornare indietro per
avvisare il nostro gruppo dei rastrellamenti, ma ormai era tardi. Noi ci siamo salvati nascondendoci per due giorni in un buco mentre quelli lassù li hanno presi tutti”.
Isaia Mensi, Memoria di Tito – Luigi Guitti, ANPI Sezione di Botticino