Repubblichini infiltrati nel Regno del Sud

[…] Nel precipitare degli eventi occorre tenere presente che, tra il luglio e il settembre del 1943, nessuno dei fedeli di Mussolini aveva mai previsto, in maniera chiara e dettagliata, l’organizzazione di una “resistenza nera” in grado di far fronte a un’eventuale caduta del regime. Anche se, quando nei primi mesi di quell’anno c’erano state le prime serie avvisaglie di una possibile cacciata del Duce e dei suoi fedelissimi, il neosegretario del PNF, Carlo Sforza, decise di costituire la “Guardia ai Labari”, vale a dire il primo esempio di organizzazione fascista clandestina.
La Guardia ai Labari può essere considerata una sorta di organizzazione segreta votata al sabotaggio delle operazioni belliche angloamericane. Malgrado il nome altisonante, però, non riuscì a incidere più di tanto sulle sorti della guerra, tant’è che non si registrarono clamorosi episodi di contrasto all’avanzata delle truppe alleate che, sbarcate il 12 giugno 1943 sull’isola di Pantelleria, raggiungono la Sicilia il 10 luglio e, dopo l’otto settembre, si attestarono sulla cosiddetta linea Gustav, il sistema di difesa predisposto dai tedeschi tra Gaeta e la foce del Sangro.
Quando gli Alleati vengono bloccati nella zona di Cassino, non è certo grazie alla Guardia ai Labari ma grazie all’esercito tedesco che, nella cittadina laziale, aveva posto il suo comando generale. Lo stesso Mussolini, prigioniero prima sull’isola di Ponza e poi alla Maddalena, venne liberato dalla prigione di Campo Imperatore grazie a un’azione – nome in codice “Fall Eiche” (Operazione Quercia) – voluta fortemente da Adolf Hitler: un gesto grazie al quale Mussolini fu in grado di installarsi in Italia settentrionale per proclamare la nascita della Repubblica sociale italiana (RSI, 23 settembre 1943) e varare un programma di riforme sociali utili a riguadagnare il consenso perduto.
Il tutto avveniva nell’ambito di un curioso paradosso: anche nell’Italia meridionale occupata dagli Alleati e governata da Badoglio, gli uomini che avevano militato nelle camicie nere continuavano a sedere sulle stesse poltrone occupate durante il regime e mantenevano le stesse cariche ricoperte ai tempi del Duce.
Lo stesso Badoglio evitò accuratamente di epurare le istituzioni dalla presenza dei fascisti tant’è che tutti e quaranta i prefetti nominati precedentemente da Mussolini non fecero altro che giurare fedeltà al re e conservare il loro posto di comando. Al crollo del regime, dunque, si contrappone la continuità delle persone, specialmente per quanto riguarda il controllo dell’ordine pubblico. Una continuità di carattere ideale visto che la maggior parte degli storici contemporanei restano convinti del fatto che non sia mai esistito un piano organizzato per riportare il fascismo nel “Regno del Sud”. Eppure Giuliana de’ Medici <1, da destra, propone tre categorie all’interno delle quali catalogare i diversi aspetti del fascismo sopravvissuto alla caduta del regime. Aspetti da prendere in considerazione almeno fino alla definitiva caduta della RSI:
1) Le cosiddette attività isolate di ex aderenti al Fascismo che con una serie di attività dimostrative, dal volantinaggio al compimento di veri e propri attentati, provò senza alcun piano preciso a far ripristinare il regime nel nostro paese.
2) L’attività di gruppi più consistenti, soprattutto in Calabria e Puglia, ancor di più a Roma, che creando una vera e propria struttura clandestina ed elaborando anche una sorta di progettazione politico-terroristica, provò grazie soprattutto ai legami con la coincidente Repubblica Sociale a far tornare il fascismo nel regno del Sud.
Infine 3) una vera e propria attività di controspionaggio al Sud, creata proprio dai gerarchi che stavano vivendo le ultime ore della loro vita di Regime a Salò.
In nome della mia idea
Malgrado le apparenze, l’Italia fascista non poteva svanire nello spazio di una giornata. Sebbene nessuna resistenza ufficiale fosse stata organizzata e nonostante il regime di Salò non si spendesse più di tanto per il ritorno dell’effigie mussoliniana nel Centro-Sud, tra l’estate del 1943 e la primavera del 1944, tra il Lazio e la Toscana, ma anche in Sardegna e Sicilia, in Campania e in Abruzzo, le cronache del tempo ricordano delle sparute azioni dei fascisti rimasti. Si tratta chiaramente di uomini soli e di gruppi isolati.
A Palermo vengono fermati diciannove studenti capeggiati dall’ex federale del capoluogo Paternostro. Nei rapporti delle forze dell’ordine non ci sono notizie relative ad atti clamorosi ai danni degli angloamericani. Il gruppo passerà alla storia non certo per i volantini lasciati in varie città siciliane, inneggianti al Duce e al Führer, quanto piuttosto per il suo altisonante giuramento: «In nome di Dio e dei Martiri e della mia Idea, giuro che farò il possibile perché il Fascismo possa sopravvivere». Tra gli arrestati ci sono Nicola Denaro, Mario Gulì, Aristide Mettler, Franco Palmisano, Lorenzo Purpari. Tra loro, scrive Angelo Carioti, nel suo Sessantotto Nero, pare vi sia Angelo Nicosia, futuro segretario nazionale dei giovani missini, che però sfugge alla cattura. Non vengono mai presi neanche i neofascisti che il 24 novembre 1944, sempre a Palermo, hanno messo una bomba al cinema Olimpia durante la proiezione del film di Charlie Chaplin Il grande dittatore, ferendo gravemente un ufficiale dei carabinieri <2.
Per quanto riguarda gli equilibri politici e i rapporti di potere, neppure l’avvento degli Alleati, in Sicilia, riesce a dare una scossa ai tradizionali assetti isolani.
Come avrebbe raccontato Leonardo Sciascia su «L’Europeo», in Sicilia c’era poco da «resistere», considerando che i vecchi gerarchi continuavano a godere dei vecchi privilegi: “Dalla famosa AMGOT [Allied Military Government of Occupied Territory] sono venuti fuori le AM-lire, gli AM-professori e l’AM-mafia ed era il più bel fascismo che si potesse immaginare.
Non mancavano le spie delle federazioni fasciste e dell’OVRA, tutta un’orgia di spie, mafiosi, fascisti refoulés, lenoni, intrallazisti si accalcava intorno ai caporali dell’AMGOT”.
Sciascia lascia intendere che gli unici fascisti deportati fossero i meno facinorosi mentre i personaggi più compromessi restarono ben saldi nelle loro posizioni di potere.
Come ricorda anche Pier Giorgio Murgia, uno degli storici più importanti del neofascismo italiano: «Nel grande sfacelo le antiche cosche riescono ancora a tenere il bandolo della matassa, e ad ottenere deleghe per continuare il loro malgoverno» <3.
In questo contesto si genera una situazione particolarmente complessa. Uno dei primi segnali di resistenza fascista nell’isola arriva da Trapani, dove un Movimento di fedelissimi del fascismo viene stroncato già nell’ottobre del 1943, con l’arresto di otto giovanissimi – tra loro una ragazza, Maria D’Alì – condannati a pene particolarmente pesanti. Ma, in linea generale, non è facile incasellare politicamente le numerose sommosse che scoppiarono nei mesi seguenti l’occupazione contro le forze angloamericane, a Ragusa e Agrigento, ma anche in provincia di Caltanissetta e nella zona di Trapani dove, per protestare contro la leva imposta dai Savoia, scoppiano i violentissimi moti del “Non si parte”. Secondo Giuseppe Parlato, tali sommosse “non furono dichiaratamente fasciste, ma il contesto e la situazione consentirono che si sviluppasse una sorta di alleanza tattica tra le forze antagoniste… pertanto fascisti, comunisti e separatisti in diverse occasioni unirono le forze nell’attacco allo Stato…”
L’attacco alle istituzioni poteva avvenire in virtù del fatto che le medesime erano al servizio dello straniero <4.
A differenza di quanto accade in Sicilia, in Sardegna non si assiste a sommosse di dubbia origine ma al sorgere di piccoli movimenti neofascisti, tendenzialmente stroncati sul nascere. La resistenza nera sarda è più che altro fenomeno di élite a cui aderiscono ex militari, vecchi dirigenti del PNF e dei GUF o parà della divisione Nembo scottati dal tradimento di Stato. In particolare, il 3 dicembre 1943, vicino all’arcipelago della Maddalena (dove anni dopo arriveranno i sommergibili nucleari americani), un MAS che stava puntando verso la Toscana venne bloccato con a bordo il console generale della milizia, Giovanni Martini. In un documento che portava con sé venne rintracciato un vero e proprio «verbale della seduta del 18 settembre nel quale quindici persone avevano costituito il Partito fascista repubblicano sardo, una lettera del comitato direttivo del partito indirizzata a Pavolini [segretario del Duce a Salò, n.d.a.], nella quale si presentava Martini come rappresentante del PFR sardo, un cifrario segreto e appunti vari» <5.
La piccola colonna di resistenti venne processata nel novembre dell’anno dopo presso il tribunale militare di Oristano. Ai cospiratori vennero contestati una serie di reati d’opinione («cospirazione politica» e «abbandono del corpo per combattere contro lo Stato»), ma le condanne furono sostanzialmente miti, specialmente se si tiene conto del rischio di fucilazione alla schiena a cui andarono incontro gli ex militari presenti nel gruppo.
Altri fenomeni neofascisti vengono segnalati nel Nuorese, mentre il 21 marzo 1944, al largo della Gallura, gli inglesi bloccarono un’imbarcazione con undici persone attraverso le quali si risalì a un neocostituito “Comitato regionale fascista sardo” responsabile di aver stampato due numeri di un giornaletto clandestino («La voce dei giovani», nel quale si sbeffeggiava una signora bene del Sassarese per le sue frequentazioni con i giovani ufficiali alleati), di essere in possesso di un cifrario segreto nel quale si ipotizzava un contatto con il regime di Salò, e poco altro. Gli undici adepti furono condannati da un tribunale militare presieduto da Francesco Coco, il giudice ucciso dalle BR a Genova più di trent’anni dopo.
Altri fenomeni minori si verificano in continente […]
1 G. de’ Medici, Le origini del M.S.I., dal clandestinismo al primo Congresso (1943-1948), Roma, ISC, 1986, p. 3.
2 A. Carioti, Gli orfani di Salò, il “sessantotto nero” dei giovani neofascisti nel dopoguerra, 1945-1951, Milano, Mursia, 2008, p. 33.
3 P. G. Murgia, Ritorneremo! Storia e cronaca del Fascismo dopo la resistenza (1950-1953), Milano, SugarCo, 1976, p. 150.
4 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 45.
5 Ivi, p. 51.
Mario CapraraGianluca Semprini, Neri! La storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista, Newton Compton editori, 2009