Lanciarsi l’un l’altro semi di lino come coriandoli

Linum narbonense

Linum è una nomenclatura derivata da una parola celtica usata per riconoscere un uccello molto ghiotto dei semi di queste piante”.
Così almeno afferma l’etimologo ottocentesco Alessandro De Theis, mentre altri autori, più coerentemente, la rapportano al termine greco “linòn” (filo), non dimenticando, infatti, l’importanza del Lino quale fibra tessile al servizio dell’umanità.
La più antica testimonianza, in questa direzione, è offerta dai frammenti di tessuto portati alla luce durante gli scavi nei villaggi lacustri preistorici della Svizzera.
E’ certo infatti che da almeno 5000 anni in tutto il mondo il Lino è stato apprezzato ed ha avuto enorme importanza, non solo economica, vestendo quasi tutte le civiltà finché non venne in gran parte sostituito dal cotone nel diciannovesimo secolo.

Linum suffruticosum

Gli Assiri lo coltivavano e gli Egiziani, che ne fasciavano le mummie, ci hanno lasciato pregevoli stoffe, leggere e soffici, a testimonianza delle loro eccezionali abilità artigiane, ampiamente raffigurate fra l’altro, in molte pitture sepolcrali illustranti le tecniche di macerazione dei Lino.
Si sosteneva allora che la scoperta della pianta fosse opera di Iside, figura di eccellenza nel Pantheon egiziano, tantoché le era stato dedicato uno specifico ordine sacerdotale, i cui ministri vestivano esclusivamente paramenti tessuti con fibre ricavate dal Linum usitatissimum.

Linum bienne

Nell’antica Roma, dove gran parte delle religioni e dei riti collegati furono d’importazione, le vestali indossavano pepli di Lino per dimostrare la loro trentennale illibatezza.
Anche nelle leggende nate presso i più diversi popoli, la scoperta del Lino è stata di volta in volta attribuita a molti celebri personaggi. Secondo i Greci fu Minerva a donarlo agli uomini.
I Peruviani indicarono nella sposa del loro antico Re Manco Capoe, l’ideatrice delle tecniche di macerazione e di tessitura ed infine, i Cinesi, attribuirono il merito di averne intuito le diverse possibilità di sfruttamento alla moglie dell’imperatore Tao.
Per la religione induista è tuttora il simbolo della Luce perché l’Aurora tesse ogni giorno una camicia nuziale per il Sole, suo legittimo consorte, usando esclusivamente fibre di Lino; perciò la pianta è considerato anche emblema della Fertilità.
La mitologia greca assegnò il merito di aver scoperto la preziosa fibra ad una ragazza nativa della Lidia; Aracne, figlia d’arte perché il padre, Idmone da Colofone, esercitava il mestiere di tintore.
Aracne, era divenuta celebre in tutta la Grecia per produzione di magnifici arazzi ed aveva il suo atelier sempre invaso da visitatori di ogni parte del mondo.
Tanta bravura indusse i soliti maligni a spargere il dubbio che fosse Pallade Atena, alias Minerva, la vera autrice delle opere d’arte in questione.
Aracne seccata per il sospetto sfidò pubblicamente la Dea per dimostrare di esser la vera autrice. Sotto le sembianze di una mendicante Pallade si presentò alla tessitrice consigliandola di calmarsi e di desistere, ma senza risultato.
La Dea, irritata per il rifiuto, gettò il travestimento e la gara ebbe inizio. Pallade realizzò allora un arazzo agiografico nel quale erano rappresentati maestosamente tutti gli Dei e, come ammonimento ulteriore, aggiunse episodi attestanti la sconfitta di uomini mortali che avevano osato sfidare le divinità.
Aracne eseguì invece un’opera demitizzante, nella quale i personaggi dell’Olimpo erano rappresentati realisticamente; un arazzo perfetto, talmente esplicito, da indurre Pallade a distruggerlo ed a passare a vie di fatto malmenando la povera Aracne.
L’artista incompresa ed offesa si impiccò di li a poco, ma la Dea, forse per salvare la faccia, la rese immortale trasformandola in un ragno destinato a tessere per sempre una tela.
Il fatto più sorprendente rispetto alla straordinaria e capillare diffusione dei Lino in tutti gli angoli della terra ed in tutte le epoche è che ancora oggi nessuno ha potuto scoprire da quale specie selvatica sia derivato il Lino annuale.

Linum usitatissimum

Secondo recenti ipotesi quella pianta coltivata sotto diverse forme varietali, chiamata da Linneo Linum usitatissimum, proverrebbe dal Linum angustifolium, una specie presente nel Mediterraneo, ma originaria della Crimea e del Caucaso.
Questa è infatti una delle 100 specie comprese nel Genere omonimo, rappresentato nella nostra regione da una dozzina di unità specifiche, quasi tutte pregevolmente decorative; diffuse nei diversi livelli altitudinari, ma trascurate dai dialetti locali liguri nonostante la fibra fosse diffusamente coltivata e lavorato anche nelle nostre valli.

Lo testimonia una nota di Erbe de cà nostra di Bruna Bianco Accame dove viene raccontata l’antica tecnica di trattamento: “I fusti dopo la raccolta, si facevano seccare, poi si riunivano in mazzi e si portavano nelle acque del torrente Maremola [ndr: che scorre da Tovo San Giacomo al mare sino a Pietra Ligure in provincia di Savona]; là si lasciavano otto o dieci giorni affinché marcissero e se ne potesse ricavare la fibra. Poi, venivano percossi con uno strumento detto batuéa. Questo consisteva in tre strati di legno: quello centrale serviva per spianare i filamenti ed i due laterali per tenerli fermi. Dopo questa operazione, venivano pettinati e se ne ricavava una fibra molto simile alla stoppa, che un tempo era usata dai calafati. Essa s’intrecciava e si filava; poi col ghindo si avvolgeva in matasse. Era questo uno strumento in legno girevole munito di denti: se ne trovava uno piuttosto grande, nell’antico quartiere dell’Aietta. L’ultima fase della lavorazione, avveniva nel laboratorio di Teresa Testori – detta a Tudesca che sorgeva nelle vicinanze dell’antico ospedale. Colà, mediante il telaio, le fibre venivano ordite dando un tessuto resistentissimo: ho visto lenzuola di Lino così ottenute, conservarsi inalterate dopo anni di uso continuo“.
Tornando al Lino da tessuti, diremo che il suo sfruttamento attuale nella nostra nazione è ormai sporadico, mentre la sua coltivazione continua intensivamente in molti paesi europei climaticamente più adatti.
In passato invece, soprattutto al tempo dei Romani, l’industria basata sullo sfruttamento dei Lino era proporzionalmente più diffusa perché i Latini ne facevano grande uso per l’abbigliamento.
In molti testi si riporta come esempio della sua importanza, la descrizione della monumentale tela costruita per riparare dai raggi dei sole gli spettatori che affollavano il Colosseo. Questa tenda doveva possedere senza dubbio eccezionali dimensioni e resistenza, se la si rapporta alle modeste tecniche tessili dell’epoca.
Il cronista dei fasti romani riguardanti il Lino è il solito Plinio che ce ne fornisce un saggio eccezionale: “Anche il Lino si e tentato di tingere, per fargli subire la follia che caratterizza le vesti in uso fra gli uomini: accadde per la prima volta con le flotte di Alessandro Magno in navigazione sull’Indo, quando i suoi ammiragli e i suoi comandanti avevano quasi fatto a gara nel distinguersi per il colore delle insegne delle navi, e le rive restarono stupefatte mentre il vento spingeva vele variopinte. Con una vela purpurea Cleopatra giunse ad Azio insieme ad Antonio, e con quella stessa vela prese la fuga: era, questa, l’insegna della nave ammiraglia”.
Píù avanti le tele di Lino servirono a fare ombra soltanto nei teatri, e quest’uso fu Quinto Catulo che per primo lo escogitò, quando fu consacrato il Campidoglio. In seguito, secondo la tradizione, fu Lentulo Spintere il primo che fece stendere vele di carbaso in un teatro, quando si tennero i giochi in onore di Apollo.
Subito dopo, Cesare, quando era dittatore, fece coprire tutto il Foro romano, la Via Sacra a partire dalla sua casa, e il Clivo fino al Campidoglio: tutto questo, si racconta, offriva uno spettacolo più stupefacente ancora delle gare fra gladiatori.
In seguito, indipendentemente dall’occasione offerta dai giochi, Marcello, figlio di Ottavia, la sorella di Augusto, quando ricopriva la carica di edile, cioè durante il consolato dello zio, ombreggiò il Foro con teli, a partire dalle calende d’agosto, perché i ricorrenti in giudizio potessero stare a discutere in un ambiente più giovevole alla salute: quale mutamento nei costumi rispetto ai tempi di Catone il Censore, che aveva decretato di far pavimentare anche il Foro con pietre aguzze.
A proposito degli usi terapeuti legati al Lino si può affermare che fu utilizzato in tutte le antiche civiltà, in Caldea, in Egitto, in Palestina, in Grecia. Infatti, Teofrasto nella sua Storia delle piante vanta le virtù medicinali della mucillagine ottenuta dal seme quale rimedio contro la tosse. Per Ippocrate ed altri medici classici come Dioscoride era un toccasana per calmare i dolori in genere a quelli di sciatica e gotta in particolare; bastava: “mettere il fuoco sull’articolazione dolorante insieme a Lino crudo quando il dolore persiste”.

Linum catharticum

Nel Medioevo, secondo Mattioli, l’olio di Lino rimpiazzò in gran parte l’uso dei semi, seguito dall’Acqua di Lino, un prodotto di grande fama all’epoca grazie all’uso che ne facevano i potenti come Colbert o la celebre Marchesa de Sévigné, la quale scriveva testualmente: “Con questo rimedio non avrò mai nefriti”.
Le virtù diuretiche e la sua azione di contrasto alla renella, così come le virtù emollienti si consolidarono negli anni seguenti con un succedersi di prodotti lanciati dalla nascente industria farmaceutica, come un cataplasma, pubblicizzato quale rimedio specifico della gotta, e chiamato “Rimedio Pradier”, la cui formula fu pagata 24.000 franchi di allora.
Tutti gli impieghi terapeutici sono limitati al Linum usitatissimum e più sporadicamente al Linum cathartícum; quest’ultimo, ritenuto discreto purgante, contiene una sostanza amara, la linina, resina, un colorante e linarina. Per secoli il Lino era stato quasi esclusivamente colorato di rosso e su questa usanza si ricollega l’abitudine odierna di cifrare con lettere vermiglie i tessuti.
Presso molte comunità Celtiche, il Lino era eletto a simbolo di una estesa serie di valori: denaro bellezza, potere psichico e salute ed inoltre era dedicato ad Aine, la Venere dei Celti ed alla Dea degli artigiani Etain. Le due divinità, oggetto di continue preci salmodiate che con un calembour legato alla pianta potremmo definire “linanie”, passavano molto del loro tempo ad esaudire le richieste più disparate; persino quella rivolta in particolare a Etain, di far apparire il questuante di bell’aspetto a tutti gli altri.
Meritano menzione anche alcuni cerimoniali magici legati ai semi di Lino. Se ne introducevano alcuni nella tasca, nel portafoglio e nella borsa, oppure si lasciavano cadere mescolati a monete in due vasi sovrapposti. L’operazione andava ripetuta ogni giorno con la certezza che sarebbero presto arrivate molte monete. La stessa semina miracolosa, in scala più ridotta si poteva ottenere infilando alcuni semi di Lino nelle scarpe con la certezza di eliminare ogni pericolo di povertà.
Anche i fiori di Lino portati sulle vesti offrivano protezione; persino durante il sonno. L’effetto di salvaguardia era maggiormente attivo se accanto al giaciglio si fosse posta una mistura di semi di Senape e di Lino in egual misura. Per ulteriore tranquillità, i Druidi addetti alla Security consigliavano di piazzare sull’altro lato del letto anche un tegame colmo d’acqua fredda. Un altro invalicabile presidio per dare sicurezza all’intera abitazione era costituito da una scatola contenente semi di Lino mescolati a granuli di Pepe.
Per essere certi che i figli crescessero sani e di bell’aspetto, bisognava, al compimento dei sette anni, permetter loro di danzare a lungo in un campo di Lino, senza preoccuparsi del danno. Durante i rituali per ottenere la salute era prescritto ai partecipanti di lanciarsi l’un l’altro semi di Lino come coriandoli. La cura delle lombaggini si praticava allacciandosi lungo i fianchi una sacca contenente una mistura di erbe in cui semi e fiori di Lino erano preponderanti. Per eliminare gli attacchi di vertigini il rimedio era quello di correre nudi, dopo il tramonto, attraversando per tre volte un campo di Lino. La convinzione era quella di riuscire immediatamente a trasferire i giramenti di testa ai delicati steli.
Il Linum usitatissimum racchiude nei suoi semi una forte quantità di olio grasso (30%), zuccheri, amido, mucillagine, resine, tannino, aleurone, leicitina e linamarina, un glucoside che si scinde per idrolisi in acetone e acido cianidrico.
I semi sono emollienti ed aperitivi, utilizzati per curare l’enterocolite, gli imbarazzi intestinali, le infestazioni di ossiuri, per attenuare le scottature, per calmare la tosse.

Linum campanulatum

Oltre alla fibra tessile, dal Linum , o per essere esatti dal suoi semi, si ricava l’olio che trova ancor oggi larghissimo impiego nell’industria. Serve per la preparazione dei colori a olio, per vernici e inchiostri, per la fabbricazione del linoleum e quella di saponi. Tuttavia anche questi impieghi devono aver subito negli ultimi anni notevoli flessioni: quasi tutti i solventi di vernici sono oggi chimici e sintetici, e il linoleum e stato sostituito dalla plastica. Ma se in genere questi impieghi industriali sono noti a tutti, pochi sanno delle antiche credenze che affidavano alla nostra pianta facoltà e poteri sovrannaturali.
Secondo Democrito l’uomo poteva predeterminare il sesso dei cavalli nascituri con questa semplicissima operazione: se desiderava una cavallina doveva legare al testicolo destro dello stallone un mazzo di Lino, se occorreva un maschio, la stessa decorazione si doveva spostare a sinistra.
Con il Lino e la Ruta si metteva in pratica una singolare fattura destinata ad impedire i tradimenti e gli adulteri dei mariti: a tale scopo la moglie infilava nei calzari del consorte i semi di queste due piante e ve li lasciava una settimana, sicura che l’uomo ne sarebbe stato reso impotente al di fuori delle mura casalinghe.
Presso le popolazioni contadine della Germania le grandi colture di Lino erano sotto la perenne minaccia dei parassiti sotterranei e perciò, nel periodo della semina, si celebrava una singolare cerimonia propiziatoria.
Alle prime luci dell’alba, una giovane ragazza doveva correre completamente nuda attorno al campo di Lino gridando a più riprese: “Pulce, pulce, levati, è una vergine pura che te lo ordina!”.
L’emblematica floreale, ha destinato al Lino lo strano significato di presunzione; il motivo può forse essere spiegato con la tradizionale caducità dei coloratissimi petali di queste delicate Linacee che non resistono a lungo sui flessibili steli.

Linum strictum

Da segnalare, infine alcuni sporadici utilizzi nella cosmesi: “Al seme di Lino non è solamente in uso dei medici, ma dei muratori, dei pittori, degli scultori, dei legnaioli e dei fabbri – scriveva nel suo Herbario Novo Castore Durante – la polpa che ne resta, cavatone l’olio, macerata in acqua piovana, leva le macchie della pelle e lavandosene le mani le fa morbide e pulite; la morca dell’olio, aggiuntovi gomma arabica, mastice e un poco di canfora, leva le crepe della fronte ed indurisce le mammelle”.

Linum corymbulosum

I Linum sono piante erbacee, talvolta subarbustive, annuali, bienni o perenni, con foglie strette, lanceolate o lineari, sparse od opposte che sono caratterizzate dalla posizione di riposo (durante le ore notturne) quando appaiono aderenti ai fusti, e da quella cosiddetta di veglia (durante il giorno) quando le lamine si distendono. I fiori sono portati in racemo o corimbo ed hanno il calice e la corolla a cinque divisioni libere, il primo in genere persistente nel frutto (una capsula secca a diverse logge) mentre la seconda è caduca; gli stami sono cinque, alterni ai petali.

Linum collinum

Linum collinum Guss: (Sin Linum austriacum V- VI. Nasce nei luoghi sassosi ed aridi sino ai 1000 m). Ha fusti robusti ascendenti alti sino a 40 cm. Le foglie in basso sono più addensate, sono strette, lanceolate, talvolta quasi filiformi, ad una nervatura. I fiori, portati in racemo quasi corimboso, hanno i sepali ovato acuti o più o meno ottusi, lunghi un terzo dei petali che sono azzurri; i peduncoli dopo la fioritura e nel frutto sono arcuato riflessi.
Linum maritimum L. (VI- IX. Nasce nei luoghi umidi vicino al litorale sino ai 200 m). E’ pianta cespugliosa, talora legnosa alla base, con fusti ramosi e corimbosi, alti sino a 90 cm muniti di foglie oblunghe, ottuse, a forma di spatola, le inferiori opposte o quasi. I fiori sono giallo-zolfini, hanno i petali lunghi da 4 a 5 volte il calice che ha i margini con glandule pedicellate: gli stimmi sono clavati. Nella var. Ligusticum gli stimmi sono allungati, filiformi ed i petali sono più lunghi, sino a 6 volte i sepali.
Linum narbonense L. (VI- VII. Nasce nei luoghi aridi e sassosi sino ai 1200 m). Ha fusti semplici o ramosi eretti legnosi alla base, alti sino a 60cm. Le foglie sono lanceolato lineari ed acute. I fiori, azzurro violetti, hanno l’unghia dei petali lunga tre volte il calice che ha sepali ad un nervo, lanceolato acuminati.

Linum nodiflorum

Linum nodiflorum L. (Annuale. V- VI. Nasce nei luoghi erbosi incolti sino ai 600 m). Ha fusti semplici strettamente alati, poco ramosi eretti alti sino a 50cm. Le foglie sono oblanceolato spatolate a 3-5 nervature, le superiori lineari con una nervatura. I fiori, gialli, in racemo, hanno i petali lunghi quasi due volte il calice che ha sepali acuminati a bordo dentellato.

Linum tenuifolium
Linum tenuifolium

Linum tenuifolium L. ( V- VI. Nasce nei luoghi erbosi incolti sino ai 1500 m). E’ un piccolo cespuglio con fusti a base legnosa, lisci e ascendenti, se sterili densamente fogliosi alti sino a 40cm. Le foglie sono patenti, aghiformi e molli. I fiori, rosei, in corimbi poveri, hanno petali spatolati (a volte bifidi), lunghi quasi tre volte il calice che ha sepali lanceolati con resta apicale e margine ghiandoloso. Simile è:
– Linum suffruticosum L. che differisce per avere i fusti più densi alla base e ruvidi in sommità, petali con la base più scura lunghi 3-4 volte i sepali a 3 nervi.

Linum trigynum

Linum trigynum L. (Annuale. III- V. Nasce nella gariga e negli incolti sino ai 1000 m). Ha aspetto cespugliante, fusti ramosi, eretti alti sino a 50cm. Le foglie sono lineari acute, a tre nervature, revolute ed a bordo liscio. I fiori, gialli hanno petali con tre nervature verdastre, lunghi due volte il calice che ha sepali ad un nervo acuminati e bordati di ghiandole. Simile è:
– Linum strictum L. che differisce per avere le foglie a bordo denticolato e mucronate, il calice a sepali dentellati e cigliati sul bordo.

Linum viscosum

 

Linum viscosum

Linum viscosum L. (VI- VII. Nasce negli aridi sassosi collinari, montani dai 100 sino ai 1800 m). La pianta ha un rizoma legnoso con fusti irsuti, con peli patenti semplici o ramosi, alti sino a 60cm. Le foglie a 3-5 nervi, sono da ovali a lanceolate, quasi sempre cigliate e ghiandolose. I fiori, rosei (nel secco talvolta sono azzurri) appaiono venati di violetto, sono portati in cima bifida o trifida; hanno i sepali ovato acuminati 2-3 volte più corti dei petali.

Linum alpinum

Come raccoglierli e coltivarli
L’unica possibilità di sfruttamento offerta dai nostri Linum è quella di un loro utilizzo nell’ambito dei giardinaggio. Usualmente si moltiplicano per seme, ma è egualmente possibile trapiantarli per talea, prelevandoli nella stagione autunnale dai loro abituali luoghi di crescita spontanea.
La caratteristica di piante vivaci, in grado di supplire alla caducità dei fiori con una abbondante e prolungata rifiorenza, rende i nostri Linum particolarmente adattabili al giardino roccioso o alla coltivazione nei vasi.
I Linum perenni sono in genere specie alpine la cui collocazione ideale è il rock garden e possono esser direttamente seminate a dimora o piantate se si sono prelevate piantine non in fiore.
Nella nostra regione di Liguria si possono seminare le annuali direttamente nel posto definitivo alla fine dell’inverno diradando se occorre tentando una seconda risemina estiva per ottenere una fioritura autunnale. Il terreno deve essere leggero, ricco di sabbia, secco e fresco con ricambio d’aria. Le specie spontanee liguri sono abbondanti e particolarmente prolifiche di semi che possono esser raccolti senza tema.

Linum bienne

Alfredo Moreschi