I primi incontri con il personale diplomatico statunitense di cui si trova traccia nell’archivio del PCI risale al 1973

Come si è accennato precedentemente, i primi contatti tra i membri della comunità accademica statunitense con gli esponenti del PCI avvennero ben prima degli anni Settanta.
Occasioni di confronto che sembrano, tuttavia, essere state organizzate a titolo personale e che lasciano il dubbio, più volte espresso in questa sede, che rientrassero in una normale attività di osservazione tra due mondi distanti, costantemente alimentati da sospetti reciproci. Simili considerazioni possono essere fatte, naturalmente, riguardo i contatti tra il personale dell’ambasciata di via Veneto ed i membri del PCI. Non solo questi ultimi cominciarono proprio in contemporanea ai primi ma, come si vedrà, fu proprio il personale diplomatico guidato dall’ambasciatore Graham Martin che provò ad intercedere, in un primo momento, presso l’amministrazione di Washington per favorire gli incontri tra studiosi del comunismo italiano e membri del PCI. Non si può escludere quindi, che anche in questo caso ci sia stato, almeno in un primo momento, un’unità di intenti tra mondo politico e mondo accademico e che in seguito le strade e gli interessi dei due si siano divisi.
I primi incontri con il personale diplomatico statunitense di cui si trova traccia nell’archivio del PCI risale al 1973. In quell’anno, Segre inviò una nota alla Segreteria in cui riportava una conversazione con il Consigliere d’ambasciata, Robert Boies, professore e membro dell’Intelligence. Boies avrebbe accennato ad un possibile giro di conferenze di Segre in vari centri di ricerca negli Stati Uniti, tra cui quello di Harvard, e si sarebbe offerto di fare da tramite con il Dipartimento di Stato per favorire la partecipazione del dirigente comunista <335.
La proposta di Boies rimase sospesa ma gli incontri tra il personale d’ambasciata e il responsabile della Sezione Esteri del PCI sarebbero andati avanti nel corso degli anni: Segre, infatti, continuò ad incontrare esponenti dei servizi statunitensi in servizio all’ambasciata anche quando Boies fu sostituito, dopo la riorganizzazione seguita all’insediamento della nuova presidenza guidata da Gerald Ford. Il successore di Boies, Martin Arthur Wenick, sarebbe stato assegnato, come il predecessore, «a seguire il PCI e il movimento comunista».
Congedandosi da Segre, Boies gli disse che era intenzione dell’ambasciata stabilire un «dialogo fruttuoso» con il PCI e «superare le barriere di questi anni». Aggiunse che erano in molti a pensarla così a via Veneto e gli fece il nome del Ministro consigliere per gli affari economici, dell’addetto stampa, dell’addetto culturale e dello stesso Wenick. A fine incontro, disse che «con la nuova amministrazione Ford ci sarà probabilmente la esigenza di taluni aggiustamenti della politica estera, e che andando a lavorare a Washington al Dipartimento di Stato cercherà di influenzare i funzionari addetti all’Italia nel senso di una comprensione della effettiva realtà italiana e della funzione positiva dei comunisti» <336. È difficile stabilire se nelle parole di Boies ci fosse un obiettivo strategico-diplomatico, magari concordato con i suoi superiori. Alla prova dei fatti, tuttavia, appare più probabile che lui fosse personalmente propenso a rivedere alcune delle rigidità politiche nei confronti dei comunisti italiani ma che si trattasse di una opinione non abbastanza diffusa all’interno dell’ambasciata.
Mentre cominciava a circolare il nome di Segre negli ambienti intellettuali statunitensi, un altro comunista, Eugenio Peggio, andò negli Stati Uniti nel 1974 e prese contatto con l’economista Franco Modigliani, esule antifascista da anni negli Stati Uniti, docente del M.I.T. e vicino alla Fondazione Olivetti <337. Peggio era il direttore del Centro Studi di Economia e Politica (CESPE), un istituto autonomo nato per studiare esplicitamente i problemi dell’economia durante il Congresso del 1966, in una strategia di allargamento degli spazi per l’elaborazione politica che aveva visto nascere anche altri centri di ricerca <338. Purtroppo non ci sono tracce d’archivio del suo viaggio negli Stati Uniti: con buone probabilità gli era stato concesso un visto di ingresso per svolgere l’attività di giornalista, un permesso che dava diritto a incontri limitati e ad una limitata circolazione nel paese.
Nella primavera del 1975, come si è accennato, scoppia la questione dei visti. Fu allora che due dirigenti comunisti ricevettero l’invito ad andare negli Stati Uniti per un giro di conferenze in alcune prestigiose università: il primo, Segre, fu contattato da Nagorski per un incontro che si sarebbe dovuto tenere presso il CFR nel mese di novembre. <339 Pur non prevedendo incontri con esponenti dell’amministrazione, l’eventuale viaggio di Segre oltreoceano pose un problema politico. Il nocciolo della questione riguardava l’opportunità di concedere il visto d’ingresso sul suolo statunitense ad un esponente di spicco di un partito comunista. In base al McCarran Act infatti, il rilascio del visto d’ingresso negli Stati Uniti era subordinato ad alcune regole, tra cui quella di non far parte dichiaratamente di partiti non democratici, sia di ispirazione fascista che di ispirazione comunista. Era stato emanato nel 1952, in pieno clima maccartista e serviva per il controllo delle attività eversive negli Stati Uniti. Proprio per la contingenza della legge, il Dipartimento di Stato era già intervenuto in precedenza per approvare deroghe: per esempio, l’intellettuale comunista francese Roger Garaudy poté effettuare un viaggio oltreoceano per un giro di conferenze tra le università di Harvard e Saint Louis già nel 1967 <340. Inoltre, gli incontri ormai ripetuti delle più alte cariche dello stato con esponenti sovietici e della Cina comunista mettevano in risalto l’ambiguità della regola. Nel caso di Segre, tuttavia, i toni della discussione furono molto netti. Infatti, sebbene nello stesso anno alcuni rappresentanti del PCI alla Camera avessero effettuato un viaggio negli Stati Uniti con una delegazione parlamentare guidata al primo ministro Giulio Andreotti, per scongiurare la concessione del visto a Segre intervennero persino Kissinger ed il suo consigliere Sonnenfeldt, che riuscirono a dilatare i tempi della discussione e a far annullare la conferenza presso il CFR <341. L’invito di Nargoski al responsabile della Sezione Esteri del PCI ebbe comunque una certa risonanza sulla stampa statunitense, che in alcuni casi adottò toni polemici nei confronti dell’atteggiamento dell’amministrazione nel caso italiano <342. Il “New York Times”, ad esempio, ospitò un articolo di Nagorski intitolato ‘For a positive U.S. Policy Toward Italy’s Reds’, in cui il presidente del CFR invitava l’amministrazione degli Stati Uniti ad instaurare un dialogo positivo con il PCI, per scongiurare il rischio di trovarsi impreparata di fronte alla nascita di un nuovo esperimento politico, capace di mettere a rischio gli equilibri geopolitici del mondo bipolare nell’indifferenza di Washington <343.
La discussione sulla concessione dei visti si spostò anche sulla stampa italiana. L’ambasciatore italoamericano John Volpe, che aveva sostituito Martin nel 1975, era tra i più fervidi oppositori del viaggio di Segre: al settimanale “Epoca” disse che sebbene spettasse «solo agli Italiani […] decidere degli affari interni dell’Italia, […] noi e i nostri alleati ovviamente favoriamo quelle forze che desiderano rimanere alleate con noi in un sistema progressista democratico che rifiuta gli estremismi sia di destra che di sinistra». Secondo Volpe, cioè, la concessione del visto poteva lasciar intravedere un incoraggiamento da parte statunitense ad un partito antidemocratico come il PCI. “L’Unità”, da parte sua, rispondeva a Volpe ribadendo l’adesione del PCI ai principi della democrazia e persino il quotidiano torinese “La Stampa” denunciò l’intervento dell’ambasciatore americano come una grave interferenza negli affari interni al Paese <344, anche se, privatamente, il proprietario del quotidiano e patron della FIAT Gianni Agnelli scrisse a Volpe per scusarsi della sua «mancanza di controllo editoriale» <345. Per la verità, Volpe non era nuovo a polemiche con la stampa italiana: solo un anno prima, l’esponente della sinistra democristiana Carlo Donat-Cattin aveva fatto trapelare la notizia che, in un incontro con l’ambasciatore statunitense, quest’ultimo gli avrebbe detto di essere disposto ad intervenire direttamente nella politica italiana ma solo in un momento in cui la DC si fosse trovata in una reale posizione di forza. Dichiarazioni che furono oggetto di polemica sui quotidiani italiani e che rimbalzarono anche sul “Washington Post”, che dedicò un articolo alla vicenda <346.
La querelle sul visto a Segre si concluse quando questi rinunciò a mettere in piedi le procedure per richiederlo all’ambasciata statunitense. Intervistato da Brancoli un anno dopo, l’intellettuale liberal Arthur Schlesinger jr., che fu tra i più stretti consiglieri dell’amministrazione Kennedy durante la fase dell’“apertura a sinistra” descrisse così la vicenda: “Dal momento che ormai da molto tempo abbiamo comunisti sovietici e dell’Europa orientale che vengono qui ogni giorno si può dire, perché i comunisti italiani dovrebbero essere esclusi? La vicenda di Segre è ridicola. Naturalmente essi sono esclusi perché i democristiani e il governo italiano ritengono che se i comunisti venissero qui questo apparirebbe come una benedizione americana alla loro partecipazione al governo. Ma far venire Almirante e poi respingere Segre è assurdo” <347. Come notò Schlesinger, gli eventi apparvero ancor più contraddittori alla luce del viaggio
negli Stati Uniti, durante il quale fu ricevuto da due membri del National Security Council, effettuato nell’ottobre del 1975 dal segretario del MSI, Giorgio Almirante <348. Nella stessa serie di interviste raccolte da Brancoli nel 1976, Nagorski aggiunse che le polemiche sulla concessione del visto a Segre furono volutamente ampliate per infuocare gli animi; esse erano «dovute ad una forzatura di chi mi intervistò in Italia e suggerì che io stavo parlando per conto dell’amministrazione, cosa che non avevo mai inteso fare» <349. Per Nagorski, comunque, i comunisti italiani erano ormai tali soltanto nel nome: stando a quello che dicevano, ribadiva, essi erano più vicini ad essere dei socialdemocratici, sul modello del Labor Party inglese.
Il secondo in ordine cronologico dei dirigenti comunisti invitati oltreoceano fu il deputato ed influente membro dell’ala moderata del partito Giorgio Napolitano, che com’è noto sarebbe stato il primo ad effettuare un viaggio oltreoceano in quanto comunista (e non come rappresentante delle istituzioni) nel 1978 <350. L’artefice dell’invito a Napolitano fu, secondo le fonti di archivio, il direttore del Center for European Studies, Stanley Hoffman, che nel frattempo aveva messo su una serie di seminari sulla politica dell’Europa occidentale rivolti ai graduate students. Anche nel caso di Napolitano, il visto d’ingresso negli Stati Uniti fu negato sulla base del McCarran Act. La notizia si diffuse nell’ateneo e sul giornale universitario “The Harvard Crimson” apparvero parole di condanna per una decisione di cui si riteneva responsabile il Dipartimento di Stato, colpevole di non aver tentato di aggirare la regola con
«a recommendation […] to the Department of Justice […] The State Department’s failure to give such a recommendation means that they decided Napolitano’s entry into this country, and his participation in academic seminars on Italian politics, as a leader of what is now Italy’s second most powerful political party, would be a danger to the national interest. Such a judgment deserves condemnation» <351. Sia Hoffmann che LaPalombara cercarono di intercedere presso Helmut Sonnenfeldt sul caso, ricevendo cortesi ma ferme risposte riguardo la non conformità della richiesta di Napolitano con le regole stabilite dal Dipartimento di Stato <352. Joseph LaPalombara inviò personalmente una lettera a Napolitano in cui espresse il «più sentito rammarico» per una decisione politica «che ha ben poco a che fare con le realità [sic] e le esigenze politiche attuali». Il politologo di Yale aggiunse di aver creduto sinceramente che nel clima di Distensione dei rapporti tra le due superpotenze, si dovesse incoraggiare un dialogo con il PCI in ogni settore politico, sociale e culturale <353.
[NOTE]
335 Archivio del Partito Comunista (d’ora in poi APC), Note alla Segreteria, 1973, Fondazione Istituto Gramsci (d’ora in poi FIG), Roma.
336 APC, Estero, MF 080, p. 401, IV bimestre 1974 Nota per Berlinguer, Novella, Segreteria. Da Sergio Segre. 14. 08. 1974.
337 Franco Modigliani Papers, Lettera di Eugenio Peggio a Franco Modigliani, 7 novembre 1974, Correspondence, David M. Rubenstein Rare Book & Manuscript Library, Duke University, Durham, North Carolina.
338 Cfr. Vittoria, Storia del PCI, cit., p. 109.
339 APC Estero, MF 204, P. 544, II BIM. 1975, Nota per Berlinguer, Pajetta, Segretaria, da Sergio Segre.
340 Brogi, Confronting America, cit., p. 290.
341 Per una ricostruzione cfr. Heurtebize, Le péril rouge, cit., pp. 126-127.
342 Alvin Shuster, Special to The New York Times. (1975, Sep 14). Italian Communist Invited to a Meeting in the U.S. Faces Entry Difficulty. New York Times (1923-Current File), Retrieved from http://search.proquest.com/docview/120623766?accountid=33949 (ultimo accesso 7 maggio 2014).
343 Zygmunt Nargoski Jr., (1975, Jul 25). For a Positive U.S. Policy Toward Italy’s Reds. New York Times (1923-Current File), Retrieved from http://search.proquest.com/docview/120317095?accountid=33949 (ultimo accesso 7 maggio 2014).
344 S.A, L’Italia di Volpe, in “La Stampa”, 11 settembre 1975, p. 2.
345 Call from Agnelli Regarding La Stampa Position on Epoca Interview, 12 Sep. 1975, Central Foreign Policy Files 1973-1979, Electronic Telegrams, https://aad.archives.gov/aad/createpdf?rid=324351&dt=2476&dl=1345 (ultimo accesso 5 marzo 2018); Cfr. anche Cfr Roberto De Mattei, I padrini dell’Italia rossa. Chi vuole i comunisti al governo, in “Cristianità”, n. 14, marzo-aprile 1975.
346 S. G., & Special to The W. P. (1975, Sep 14). Volpe Remark Angers Italy. The Washington Post (1974-Current File)m Retrieved from http://search.proquest.com/docview/146382643?accountid=33949 (ultimo 347 Brancoli, Gli Usa e il Pci, cit., p. 24.
348 Sari Gilbert, Special to The Washington Post. (1975, Oct 07). Italian Neo-Fascist’s Visit Embarases U.S. Embassy. The Washington Post (1974-Current File), Retrieved from http://search.proquest.com/docview/146386148?accountid=33949 (ultimo accesso 14 maggio 2014).
349 Brancoli, Gli Usa e il Pci, cit., pp. 29-31.
350 Giorgio Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo, cit., pp. 158-159.
351 New McCarthysm at the State Department, in The Harvard Crimson, October 1, 1975, http://www.thecrimson.com/article/1975/10/1/new-mccarthyism-at-the-state-department/ (ultimo accesso 28 febbraio 2018).
352 RG 59, Department of State, Office of the Counselor, Helmut Sonnenfeldt, Country and Subject Files, 1973-1976, A1 5339-A, Germany 1976 THRU Presidential Transition 1974, Box 4, Italy- Sensitive- July 1976, NARA.
353 APC Estero, MF 206, P. 329 X, III BIM. 1975, Lettera di Joseph LaPalombara a Giorgio Napolitano, 20 maggio 1975.
Alice Ciulla, Gli intellettuali statunitensi e la “questione comunista” in Italia, 1964-1980, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2019