Cominciava così a delinearsi, giorno dopo giorno, l’idea di un sindacato nuovo

Tre mesi dopo l’uscita degli undici rappresentanti della corrente cristiana dal direttivo della Cgil in seguito ai fatti del 14 luglio, vale a dire l’attentato al segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti, si svolse l’assemblea costitutiva della Libera Confederazione Generale dei Lavoratori (Libera Cgil). Era il 16 ottobre 1948 e i tre mesi di intervallo stavano a dimostrare l’incertezza sulla strada da percorrere. Il problema infatti non era più se uscire dalla Cgil ma come uscirne, in che direzione andare, con quali forze, quali programmi, con quali orientamenti di fondo. <1 Il dibattito fu centrato principalmente sull’impronta da dare alla nuova organizzazione: sindacato confessionale o aconfessionale doveva essere la “Libera Cgil”? La prima posizione, dare vita a un sindacato confessionale, era sostenuta dalla maggioranza dei componenti delle Acli la cui sorte tra l’altro si faceva molto incerta, poiché era venuta meno la loro ragion d’essere di espressione della corrente cristiana all’interno della Cgil. <2 La seconda posizione, creare un sindacato ideologicamente neutrale e “aconfessionale”, era sostenuta da molti sindacalisti democristiani, in primo luogo da Giulio Pastore che in seguito sarà nominato segretario della nuova organizzazione sindacale.
Il Congresso straordinario delle Acli riunitosi al Laterano il 15 settembre 1948 si pronunciò per l’aconfessionalità; solo il gruppo di Rapelli, del quale faceva parte Donat Cattin, nutriva forti riserve riguardo tale scelta, sostenendo la necessità di conferire alla nuova formazione sindacale una natura esplicitamente religiosa nell’intento di sottrarla alla tutela americana. (3
La relazione di Pastore al congresso non ebbe incertezze: “il nuovo sindacato” – sosteneva Pastore – “dovrà essere libero e organizzato per categoria perché quando l’azione è stata diretta dai cosiddetti organi di coordinamento, allora ha preso colorazione politica”. <4 E proseguiva: “il sindacato dovrà essere l’ente primario, mentre alle unioni e alla confederazione spetterà soltanto un compito di coordinamento”. <5
Cominciava così a delinearsi, giorno dopo giorno, l’idea di un sindacato nuovo. Una nuova confederazione prendeva forma e il suo leader Giulio Pastore ribadiva la ferma volontà che essa divenisse e si confermasse “come vero e proprio esempio di sindacalismo indipendente” <6. L’indipendenza della Libera Cgil dalle influenze politiche era l’aspetto principale che Pastore sosteneva con fermezza in tutti i suoi discorsi e interviste.
E non era il solo a condividere tale tesi. Lo stesso Alcide De Gasperi, allora Presidente del Consiglio, in un’intervista sul Corriere della Sera affermava “la necessità della libertà sindacale in confronto alla tendenza politica” e prendeva come esempio le Trades Unions inglesi in cui “militavano protestanti cattolici indipendenti che sapevano tenersi lontano da ogni estremismo politico e soprattutto dallo sfruttamento politico di organizzazioni rivoluzionarie straniere.” <7. Un altro sindacalista, Giuseppe Glisenti, che nel 1950 sarà a fianco di Pastore al momento della fondazione della Cisl, riguardo al ruolo del nuovo sindacato sosteneva: “il compito del sindacalismo moderno e più ancora del sindacalismo del futuro è di tendere più che all’ottenimento di rivendicazioni salariali o strettamente contrattuali, a imporre la propria visione dei rapporti sociali dello Stato sia pure in un finalistico contemperamento con gli interessi legittimi degli altri gruppi sociali, entro il bene comune.” E ancora: “una vera azione sindacale deve muoversi nella sfera perenne della politicità che però non è quella dei partiti ma quella del bene comune nazionale e universale.” <8 Secondo il pensiero di Glisenti dunque il sindacato doveva essere “libero” sì dai partiti ma non da una politica ordinatrice dello Stato. I nuovi sindacati dovevano infatti avere una dottrina dello Stato e agire democraticamente nell’orbita dello Stato e per il bene dello Stato abbandonando ogni istanza rivoluzionaria. “Non si deve pertanto equivocare”, sostenevano ancora gli esponenti della Libera Confederazione, “quando si parla di sindacati liberi; infatti la libertà dai partiti è la salvezza del sindacato ma l’indipendenza dallo Stato ne costituirebbe la condanna”. <9
Questi dunque i caratteri che i fondatori della Libera Cgil attribuirono alla nuova organizzazione sindacale. Ma ci si chiede: riuscirono veramente a dare vita a un sindacato libero e indipendente? E soprattutto: nel clima politico nazionale e internazionale di fine ’48, dove la logica della guerra fredda stava ormai prendendo il sopravvento, era davvero possibile scindere l’azione politica da quella sindacale? E’ vero che il processo di formazione del nuovo sindacato era avviato, ma è anche vero che i socialdemocratici e i repubblicani non vi presero parte, rimanendo, se pur per poco, all’interno della Cgil.
Alberto Simonini, segretario del Partito Socialdemocratico sosteneva che “la Libera Cgil non era né libera né indipendente, ragione per la quale non valeva la pena piantare in asso i comunisti per divenire i ‘sacrestani’ e i ‘campanari’ di Pastore”, ritenendo che “solo all’interno della Cgil si poteva tentare di strappare le masse ai comunisti e ricostruire un movimento politico e sindacale veramente e interamente libero”. <10
I dirigenti della Libera Cgil erano tuttavia fiduciosi che le minoranze laiche sarebbero prima o poi confluite nella loro organizzazione e Pastore si mostrava attento ad evitare ogni gesto che confermasse la diffusa opinione di una Libera Cgil suddita della Chiesa e del Governo. <11
Ma se le correnti laiche rimaste ancora all’interno della Cgil manifestavano ancora un certo scetticismo riguardo la reale indipendenza della nuova organizzazione sindacale dalle influenze del mondo politico e cattolico, quale fu la reazione della componente comunista di fronte alla scissione? Come è noto essa, insieme a quella socialista, rappresentava l’ossatura della Cgil e se andiamo a sfogliare la stampa di sinistra dell’epoca, si legge, come è lecito attendersi, una netta condanna nei confronti dell’azione degli scissionisti e un appello continuo verso tutti i lavoratori in difesa dell’unità sindacale. A questo proposito è significativo un articolo di Giuseppe Di Vittorio apparso nell’ottobre del ’48 su Vie Nuove, noto settimanale vicino al Pci, nel quale il segretario della Cgil scriveva che “l’unità sindacale è per ogni comunista una questione di principio perché l’unità sindacale non è fine a se stessa ma concepita come strumento insostituibile dei lavoratori per la difesa dei propri diritti”. <12 Nel medesimo articolo Di Vittorio sottolineava con soddisfazione che “la scissione si era limitata alla superficie esterna della Cgil, ad uno strato di dirigenti sindacali immessi dalla Dc negli organi confederali, i quali avevano sempre ubbidito al loro partito piuttosto che alle esigenze dei lavoratori”. <13
Sempre su Vie Nuove, il sindacalista della Cgil Agostino Novella ribadiva: “il consiglio nazionale della Cgil che si è svolto a Firenze nei giorni 2-3-4-5 ottobre è stato una grande manifestazione di unità e combattività sindacale. Che la Cgil fosse rimasta sostanzialmente unita anche dopo la scissione dei dirigenti democristiani era ormai notorio. Ma la solenne conferma che i lavori del consiglio nazionale confederale hanno dato a questo fatto sancisce un giudizio che finora poteva essere giudicato affrettato e mette nella sua piena luce il completo fallimento di tutte le manovre scissionistiche intraprese dal governo, dalle organizzazioni padronali e dai cosiddetti sindacati democristiani loro agenti. Nella Cgil”, continuava Novella, “è rimasta la quasi totalità dei lavoratori. Vi sono rimasti tutti i lavoratori comunisti, tutti i socialisti di ogni tendenza, i repubblicani e, fatto importante, la grande maggioranza dei lavoratori già seguaci della corrente sindacale cristiana, i quali a Firenze hanno dato vita ad una corrente cristiana unitaria in seno alla Cgil”. E concludeva: “la Cgil esce perciò da questo suo primo consiglio nazionale con tutta l’autorità che le deriva dal fatto di essersi affermata ancora una volta come la sola organizzazione sindacale del nostro Paese che sia unitaria e democratica, indipendente da tutti i partiti, fedele a tutte le tradizioni sindacali democratiche nazionali”. <14
L’indignazione dei comunisti era grande. La stampa di sinistra dell’epoca era solita usare parole dure e di condanna nei confronti della Libera Cgil e dei suoi ideatori. Teresa Noce, sindacalista della Cgil ed esponente del Pci, addirittura paragonava la nuova organizzazione sindacale alle organizzazioni sindacali corporative di stampo fascista. “Una caratteristica del sindacalismo fascista, corporazionista”, scriveva Teresa Noce, “era l’assoluta mancanza di democrazia sindacale. Dall’alto al basso i dirigenti sindacali venivano nominati e non eletti (….). Vi è qualcuno oggi che vorrebbe riportare nei sindacati i metodi fascisti. Vi è chi, sotto il pretesto di costituire dei liberi sindacati, comincia col costituirli dall’alto, per iniziativa e sotto il predominio di un solo partito (….). Evidentemente Pastore preferisce per i suoi liberi sindacati la tutela del governo, della Confindustria e, al predominio dei partiti, il predominio di un solo partito: quello democristiano.” E concludeva: “abbiamo chiamato fantomatica la Libera Cgil perché essa non è che un fantasma di organizzazione sindacale democratica. Essa esiste finora soltanto per volontà del governo, della Confindustria e del partito della Democrazia Cristiana, non per volontà dei lavoratori democristiani. I signori Pastore e soci non hanno osato consultare democraticamente i lavoratori, neanche quelli che hanno
ingannato. Perciò hanno creato dall’alto certe sedicenti organizzazioni sindacali. Ma si può parlare seriamente di organizzazioni sindacali senza nessuna consultazione democratica alla base”? <15
L’accusa rivolta agli scissionisti era evidente: avere creato una confederazione che solo in apparenza poteva considerarsi libera e indipendente. Gli esponenti democristiani dal canto loro riconoscevano alla Cgil il difetto di non essere mai diventata un’organizzazione sindacale poiché essa funzionava quasi esclusivamente nella sfera politica piuttosto che in quella sindacale. “La Cgil”, accusavano, “ha fatto di più per salvaguardare i diritti politici del lavoro che non per migliorare la sua posizione economica. Se l’opera della Cgil avesse riguardato in primo luogo i problemi sindacali non sarebbe stato così difficile creare un forte movimento unificato. La spaccatura della Cgil”, continuavano, “è stata causata dall’enfasi sull’azione politica. In questo campo comunisti e democristiani non possono camminare mano nella mano.” <16
La struttura centralizzata della Cgil e la sua origine prevalentemente politica, basata sull’unità dei partiti antifascisti al tempo del Patto di Roma, ne avevano determinato la divisione e una sostanziale impotenza nel momento in cui si era verificata la rottura politica tra la Democrazia Cristiana e la Sinistra. <17
[NOTE]
1 V. Saba, G. Pastore sindacalista, Roma EL, 1989, p. 95
2 ibidem
3 S.Turone, Storia del sindacato dal dopoguerra ad oggi, 1986, Bari, Laterza , p. 263
4 Bianco o neutro questo sindacato?, L’Avanti, 18 settembre 1948
5 V. Saba, G. Pastore sindacalista, cit. p. 41
6 Ibidem
7 La libertà sindacale in un discorso di De Gasperi, Corriere della Sera, 7 settembre 1948
8 Premessa politica dei nuovi sindacati, il Popolo, 12 aettembre 1948
9 Ibidem
10 F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo 1944-1951, Roma, EL, 1989, p. 244
11 Ibidem
12 Lotta per l’unità, Vie Nuove, 10 ottobre 1948
13 Ibidem
14 Unità e combattività, Vie Nuove, 10 ottobre 1948
15 Pastore l’infido, Vie Nuove, 21 novembre 1948
16 F.Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo cit., pp. 216-217
17 Ibidem, p. 241
Roberta Cortonesi, Dalla libera CGIL alla CISL (1948-1950), Tesi di laurea, Università degli Studi di Siena, Anno Accademico 1992-1993, qui ripresa da Archivio CGIL Toscana

La lacerazione che si era creata all’interno del sindacato italiano risultò ancor più evidente nella primavera dell’anno successivo con la convocazione della conferenza sindacale di Londra sul piano Marshall. Nonostante i tentativi di mediazione, che coinvolsero anche il segretario della FSM Louis Saillant, il quale si incontrò a Milano con Di Vittorio, Santi e Morelli (in rappresentanza di Pastore), anche in quel caso non fu possibile prendere una decisione all’unanimità. Così nel corso della riunione del Comitato Esecutivo confederale, che si tenne a Bologna il 2 marzo 1948, venne approvato, sempre a maggioranza, un documento in cui si manifestava la volontà della CGIL di non aderire alla conferenza di Londra. L’ordine del giorno presentato dalle minoranze e favorevole alla partecipazione del sindacato ai lavori della riunione internazionale, fu respinto <35. Nel contempo venne deciso di prendere contatti con il rappresentante del CIO Jim Carey, per discutere direttamente con lui delle questioni relative agli aiuti americani <36. Ciò non impedì però a Giulio Pastore, Enrico Parri e Giovanni Canini di prendere egualmente parte all’incontro, in rappresentanza delle minoranze all’interno del sindacato italiano <37. La loro partecipazione ai lavori risultò molto proficua. In particolare Pastore venne nominato membro del comitato consultivo sindacale dell’ERP in rappresentanza dell’Italia. Nel suo intervento, il leader sindacale, confermando la propria disponibilità a collaborare alla realizzazione del piano, auspicò che attraverso gli aiuti americani fosse possibile migliorare le condizioni economico-sociali non solo dei singoli paesi, ma dei lavoratori europei in generale, sottolineando la necessità di trovare una soluzione all’annoso problema dell’eccesso di manodopera che affliggeva l’Italia, che era fonte non solo di povertà, ma di debolezza per il sindacato <38.
[NOTE]
35 Cfr. La CGIL e La conferenza intersindacale di Londra, in “Informazioni sindacali”, anno II, n. 2, febbraio 1948, p. 36 dove sono riportati i testi dei due ordini del giorno, nonché le dichiarazioni di Di Vittorio, Santi e Morelli. In particolare quest’ultimo argomentò sul fatto che la partecipazione alla conferenza non fosse in contrasto con le linee della FSM e che non potesse essere considerato un atto di indisciplina sindacale.
36 L’incontro, che si tenne a Londra, a latere della conferenza sindacale sul Piano Marshall non dette però i risultati sperati. Carey ribadì, infatti, a Di Vittorio e a Santi, che il CIO auspicava un’accettazione in toto del piano, scevra dai distinguo con cui la CGIL cercava di costruire una posizione unitaria, accettata da tutte le componenti, anche se confermò l’intenzione del sindacato americano di battersi affinché i finanziamenti fossero erogati a tutti i paesi che ne avessero fatto richiesta, senza alcuna pregiudiziale nei confronti delle nazioni in cui vi era la presenza, al governo, di partiti comunisti. L’incontro CIO-CGIL per gli aiuti all’Italia, in “Notiziario CGIL”, anno II, n. 8-9, 30 marzo 1948, p. 201.
37 La CGIL e la Conferenza intersindacale di Londra, in “Informazioni sindacali”, anno II, n. 2, febbraio 1948, p. 37.
38 Pastore chiese che “la realizzazione del programma di ripresa europea comporti una rapida e concreta soluzione del problema della mano d’opera che, per l’Italia, è il problema centrale e permanente”. La conferenza intersindacale di Londra. La partecipazione delle minoranze confederali, “Informazioni sindacali”, anno II, n. 3, marzo 1948.
Angela Alberti, La CISL e l’integrazione europea (1948-1957), Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2000-200 in Archivio Cisl