Gli attentati che dal 1969 al 1980 hanno scandito gli anni della Repubblica hanno alimentato una vera e propria narrazione nazionale

L’interesse per la narrazione pubblica delle stragi degli anni Settanta, realizzata attraverso il filtro della carta stampata di ieri e di oggi, nasce dalla percezione di un vuoto.
Più esattamente, il “non discusso” che ha affascinato chi scrive è quello relativo all’“impressione di realtà”, quindi all’immaginario, che quotidiani e periodici hanno costruito nel corso dei decenni rispetto al fenomeno stragista.
In relazione agli anni Settanta, l’immaginario collettivo in cui le stragi trovano tristemente spazio è comunemente e diffusamente associato agli “anni di piombo”, tanto da far scrivere allo storico Giovanni De Luna che «tutto è stato appiattito su quella definizione, tutto è precipitato nel vortice del terrorismo». <1
Ma il decennio è stato ben altro. Anche, altro.
È in questa decade che alla violenza diffusa, allo stragismo neofascista, al terrorismo rosso, ai torbidi intrecci fra apparati dello Stato, organizzazioni eversive e criminalità comune, si affiancano l’inedita vivacità della partecipazione alla cosa pubblica, le importanti conquiste sociali, l’emergere di nuove identità protagoniste di una vera e propria rivoluzione culturale e sociale.
La ricerca storica, che ama le distinzioni, analizza gli scarti ed è nemica di ogni “reductio ad unum”, ha quindi l’onere di studiare, comprendere e raccontare gli anni Settanta e le loro stragi emancipandosi da tutte quelle posizioni che finiscono per sclerotizzare l’immaginario del decennio nella grigia e opprimente rappresentazione degli anni di piombo, nella trappola degli enigmi insolubili e degli eventi incomprensibili o, ancora, nell’edulcorata convinzione che non ci sia più nulla da dire e da indagare.
Di fronte a tanta complessità il decennio è stato oggetto di numerosi e notevoli studi di cui si renderà conto, producendo rispetto alla violenza politica e al terrorismo una vasta bibliografia.
L’importante mole di studi scientifici e l’altrettanto copiosa produzione pubblicistica realizzata in misura preponderante da giornalisti, magistrati e giudici, risultano, però, maggiormente orientate verso il terrorismo di sinistra e quello che è divenuto il cosiddetto “caso Moro”, mentre l’eversione di destra – come si vedrà oggetto di preziosi studi – è stata comunque meno analizzata rispetto alle sue manifestazioni e caratterizzazioni precipue, perché sovente stigmatizzata come subalterna allo Stato e quindi priva di una sua dimensione particolare <2.
È in questo spazio che la presente ricerca vuole inserirsi, guardando alla storia d’Italia attraverso il racconto pubblico dello stragismo offerto dalla carta stampata.
Ciò che rileva per questo studio è quindi la ricostruzione degli immaginari che la stampa ha edificato, consolidato o magari decostruito rispetto alla stagione delle stragi <3.
Gli attentati che dal 1969 al 1980 hanno scandito gli anni della Repubblica – nello specifico di questo studio quelli di Milano nel ‘69, di Brescia nel ’74 e di Bologna nell’agosto ’80 – hanno alimentato una vera e propria narrazione nazionale.
L’informazione nell’immediatezza delle stragi e in concomitanza con le svolte giudiziarie, così come gli articoli di cronaca e di commento negli anniversari e nelle commemorazioni degli attentati, sono specchio di differenti modi di concepire e raccontare all’opinione pubblica il ruolo dello Stato nella difesa dei diritti, della libertà e della democrazia; la sua vicinanza o meno rispetto ai cittadini; l’efficienza o l’incapacità delle Istituzioni di far fronte al conflitto e alle emergenze; il buono o il cattivo funzionamento della macchina giudiziaria; il grado di coesione nazionale e di fiducia nello Stato; l’identità nazionale e l’appartenenza politica come categorie esistenziali.
Gli editoriali di commento e gli articoli di cronaca, che ben si prestano alla drammatizzazione, agiscono efficacemente sulle rappresentazioni collettive, «delimitando il territorio del proprio e dell’altrui, del vicino e del lontano, del bene e del male, attraverso l’utilizzo di suggestioni e parole d’ordine; attraverso lo slittamento dei significati in direzioni evocative più che descrittive; pittoriche più che indicative.” <4
L’analisi nel tempo del racconto dello stragismo diviene così anche un’indagine sul discorso pubblico relativo ai caratteri propri degli italiani e dello Stato, un discorso che si presenta quale «complesso di idee e di narrazioni ricorrenti» <5 costitutive dell’immagine di Sé e utile a produrre e riprodurre la dimensione nazionale formando un senso e un sentire comuni <6.
L’autorevolezza di alcune delle penne che hanno descritto e commentato l’orrore delle bombe interrogandosi sullo Stato e sugli italiani, è tale che se «gli anni settanta del secolo passato furono un periodo decisivo della storia mondiale da cui scaturirono i problemi più acuti dei nostri giorni, la storia della cultura italiana di quel decennio appare essenziale per risalire alle narrazioni egemoniche che condizionano la nostra esperienza attuale». <7
Nella narrazione delle stragi trovano spazio rappresentazioni che, con andamenti temporali irregolari, fra rielaborazioni e trasposizioni concettuali, riemergono come fiumi carsici dal passato più o meno recente del Paese, raccontando la storia di uno Stato che appare alternativamente – e talvolta contemporaneamente – in pericolo, opaco, compromesso, distante, nemico.
Rispetto allo stragismo si rileva un giudizio spesso negativo dell’operato statale, facilitato da una diffidenza degli italiani nei confronti di chi è preposto al governo e al controllo della cosa pubblica, e suffragato dalle risultanze processuali che indicano inequivocabilmente, con sentenze passate in giudicato, il coinvolgimento diretto e indiretto di alte cariche dello Stato, dei corpi armati o dei servizi segreti, nella buia parentesi della stagione stragista firmata dai gruppi neofascisti.
Nella complessità degli intrecci fra Politica, eversione nera, Forze armate e strutture statali, le coperture istituzionali e le deviazioni alle indagini della Magistratura hanno intralciato i percorsi della Giustizia in maniera così incisiva da tracciare un impietoso ritratto della stessa.
Processi osteggiati, rinviati, sentenze di condanna che si alternano ad assoluzioni, verità mancate e soprattutto l’impunità per i mandanti che in nessuna delle tre stragi in oggetto sono stati identificati, hanno disegnato un impietoso profilo pubblico di decenni di indagini e giudizi.
A dispetto quindi delle ricostruzioni giudiziarie – che pongano chiaramente in evidenza le responsabilità dei gruppi ordinovisti per l’eccidio di piazza Fontana e piazza della Loggia, e dei Nar per la bomba alla stazione di Bologna – prevale una narrazione che insiste su un paradigma divenuto nel tempo predominante e difficile da decostruire: quello dei cosiddetti “misteri d’Italia”.
Nonostante i meritevoli frutti della ricerca storica, il magistrale lavoro di memoria pubblica portato avanti dalle associazioni e l’impegno dello Stato italiano che nel 2007 ha istituzionalizzato il ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi, restano ancora radicate quelle fuorvianti narrazioni in cui le stragi non hanno colpevoli e il mistero regna indiscusso sugli anni Settanta.
Intento di questo lavoro non è confutare le tesi del complotto permanente o quelle dei “misteri insolubili” della Repubblica, ma si vogliono accogliere nel proprio oggetto di indagine le modalità di costruzione di una narrazione, quella appunto del “mistero” e degli arcana imperii <8 dello Stato, che e’ divenuta categoria interpretativa di un decennio controverso e complesso.
Peraltro, non solo i media raccontano, ma ricordano, commemorano, e nel farlo definiscono il “passato pubblico” e il “passato per il pubblico”. Definendo ciò che è degno di essere ricordato, i media costruiscono una sorta di “passato rilevante” alimentato da memorie comuni ai membri di una stessa comunità sottoposti agli stessi messaggi e alle stesse rappresentazioni.
In questo percorso l’attenzione è specificatamente rivolta alla riproposizione su carta delle versioni ufficiali delle forze dell’ordine, della magistratura e della politica; delle memorie dei protagonisti degli eventi e dell’analisi offerta dagli opinion makers (giornalisti, politici, magistrati, storici, studiosi) che di volta in volta hanno raccontato le stragi dell’Italia repubblicana.
Ricostruiremo quindi il racconto e il pubblico dibattito sviluppati “a caldo” – sulla scia della suggestiva definizione del giornalista come “storico dell’istante” offerta da Albert Camus – ed “ex post”, nella consapevolezza che l’informazione è fondamentale per la storicizzazione del passato e che nello iato fra l’attesa di Verità e Giustizia da un lato, e la percezione di opacità e inaffidabilità dello Stato dall’altro, la dimensione pubblica della storia delle stragi assume rilevanza per il nostro lavoro.
[NOTE]
1 G. De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli, Milano 2009, p. 8.
2 Interessanti riflessioni a riguardo sono elaborate da G. M. Ceci, Il terrorismo italiano. Storia di un dibattito, Carocci, Roma, 2014
3 Nel definire la categoria di “strage” il legislatore italiano non ha previsto un numero minimo di vittime per la configurazione del delitto che ha invece ricondotto agli «atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità» compiuti «al fine di uccidere» (art.422. C.p.) e agli atti compiuti «allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato» (art. 285 c.p.). Fra il 1969 e il 1974 sono state compiute in Italia sei stragi (Piazza Fontana, 1969; treno Freccia del Sud, 1970; Peteano, 1972; Questura di Milano, 1973; piazza della Loggia, 1974; treno Italicus, 4 agosto 1974), costate la vita a 50 persone (346 rimangono ferite) Del 1980 è invece la strage alla stazione di Bologna (80 morti e 200 feriti).
4 F. Sgaggio, Il paese dei buoni e dei cattivi. Perché il giornalismo, invece di informarci, ci dice da che parte stare, Minimum fax, Roma, 2011, cit. p. 26, corsivo dell’autrice.
5 S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Editori Laterza, Bari, 2011, cit. p. XIV.
6 Il discorso sul carattere nazionale italiano si configura come strumento del nation building e dello state building, quindi dei processi di costruzione identitaria rispetto al senso della Nazione e dello Stato, funzionale ad una definizione politico-sociale della comunità. Sul tema, cfr. C. Duggan, La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 ad oggi, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2008 (ed. or. 2007); S. Patriarca, Italianità, op.cit.
Rispetto ai miti d’Italia e agli immaginari collettivi, a titolo esemplificativo: G. Berardelli, L. Cafagna, E. Galli della Loggia, G. Sabbatucci, Miti e storia dell’Italia unita, il Mulino, Bologna, 1999; M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 1998; G. Bollati, L’Italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Einaudi, Torino, 1983; E. Gentile, La grande Italia, Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Mondadori, Milano, 1997; E. Galli della Loggia, L’identità italiana, Il Mulino, Bologna, 1998; G. Aliberti, La resa di Cavour. Il carattere nazionale italiano tra mito e cronaca (1820-1976), Le Monnier, Firenze, 2000; L. Sciolla, Italiani. Stereotipi di casa nostra, Il Mulino, Bologna, 1997; P. Ottone, L’Italia è un paese civile?, Mondadori, Milano, 1995; M. Nacci, Storia culturale della Repubblica, Mondadori, Milano, 2009
7 E. Taviani; G. Vacca, Gli intellettuali nella crisi della Repubblica. 1968-1980, Viella, Roma, 2016, cit. p. 8.
8 L’espressione arcana imperii si riferisce ai “segreti del potere” o dello Stato ed è stata concettualizzata già da Tacito al fine di evidenziare la necessità di proteggere alcuni interessi superiori dello Stato. Nel corso dei secoli il concetto è stato ripreso e adattato alle caratteristiche proprie dei tempi e del tipo di potere statuale . La riflessione di Bobbio tiene in considerazione che l’odierna democrazia presenta peculiarità profondamente differenti rispetto alla democrazia antica e quindi anche il principio degli arcani imperii va rivisto alla luce di un nuovo quadro: non più strumenti di potere assoluto ma di democrazia per tutelare l’interesse supremo dei cittadini. Scriverà Bobbio che “in linea generale si può dire che il segreto è ammissibile quando esso garantisce un interesse protetto dalla Costituzione senza ledere altri interessi egualmente garantiti” (N. Bobbio, Democrazia e segreto, Einaudi, Torino, 2011, cit.p.44). Nelle riflessioni sviluppate negli anni Settanta Bobbio definisce gli arcana imperii incompatibili con la democrazia intesa come governo del potere visibile, in cui la segretezza dovrebbe costituire una necessaria eccezione e non già una regola.
Claudia Sbarbati, LE STRAGI E LO STATO. NARRAZIONI SU CARTA DELLO STRAGISMO ITALIANO: CRONACA, MEMORIA E STORIA, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2018