Già nell’ottobre del ’44 giravano voci sullo scioglimento della divisione alpina Monterosa

Mussolini, ancora una volta, evitò di prendere una posizione netta nella lotta tra i vari gerarchi. Il groviglio istituzionale rimase così impossibile da sciogliere. Dei risultati tuttavia vennero ottenuti. Le unità italiane, combattendo fianco a fianco con i tedeschi, raddoppiarono le loro rappresaglie contro i Partigiani. Nei primi mesi del 1944 Wolff si era adoperato per la creazione di un’organizzazione territoriale su base regionale delle SS in funzione prevalentemente antipartigiana <1178. Ciò, unito all’ordine di Kesselring dell’aprile 1944, nel quale ai soldati della Wehrmacht fu data carta bianca per reprimere i “fuorilegge” <1179, e all’ordine del 17 giugno, dove si autorizzava i comandi tedeschi a ritenere la popolazione direttamente responsabile di ogni atto offensivo da parte partigiana <1180, radicalizzò ulteriormente il fascismo repubblicano attraverso una miscela pericolosa di passione e violenza che sarebbe stata indirizzata contro altri italiani <1181. All’inizio dell’autunno, 11.627 volontari erano stati arruolati nelle Brigate <1182, uomini a cui non erano di fatto stati dati dei limiti nell’esercizio delle proprie prerogative. Il culmine delle rappresaglie nel cuore di Salò ebbe il suo simbolo nell’eccidio di Piazzale Loreto il 21 agosto. Persino il federale di Milano Vincenzo Costa, nelle sue “fascistissime” memorie, condannò gli eccessi che avevano avuto luogo, giudicati unicamente come utili per assegnare un importante vittoria propagandistica alla Resistenza <1183.
Mentre la crescita del dissenso verso la Rsi veniva imputata, soprattutto dai membri della vecchia milizia, alla inefficienza organizzativa delle varie organizzazioni, il movimento partigiano poté crescere senza che le autorità repubblicane potessero porvi efficacemente rimedio. L’escalation di violenza lasciava la situazione fuori controllo. In preda alla frustrazione Mussolini si accorse che le Brigate Nere erano state un grande passo nella direzione sbagliata: i loro uomini si erano rivelati incontrollabili, guadagnandosi rapidamente una reputazione di brutalità e di fanatismo che incendiò la guerra civile in Italia Settentrionale. Per intimidire la popolazione civile e recidere tutti i legami con i partigiani e i loro simpatizzanti le truppe di Pavolini avevano impiegato ogni mezzo, torturando e uccidendo molte vittime innocenti, ignorando volontariamente qualsiasi connessione razionale tra le risposte punitive calcolate e le risposte effettive agli atti compiuti dalla Resistenza <1184. Il vicecapo della polizia Eugenio Cerruti sottolineava come i rastrellamenti che stavano terrorizzando la popolazione avevano creato un clima di «odio e rancore» <1185. Il morale cadde ulteriormente quando anche i soldati si ritrovarono a inseguire partigiani italiani invece di riscattare l’onore della nazione prendendo parte all’azione militare contro gli Alleati.
Non bisogna tuttavia fraintendere: alle rappresaglie, alle sevizie e al crescendo di violenza contro il movimento partigiano e la popolazione parteciparono attivamente non solo i membri dei corpi più ideologizzati della Repubblica di Salò, ma anche molti militari di tutte le forze armate <1186. Tra le fila del fascismo repubblicano l’incomprensione per la loro scelta nella popolazione si tramutava sempre più spesso in odio verso quegli italiani che ormai avevano perso il diritto di definirsi tali poiché avevano perduto irrimediabilmente «il senso dell’onore, diventando pari o peggio dei selvaggi» <1187.
Il processo di disumanizzazione del nemico, attorno al quale si concretizzava la paura dell’ignoto e della degenerazione razziale, colpì internamente la stessa Italia <1188.
Nonostante Graziani, già il 28 giugno, prendesse atto del fallimento del progetto dell’Enr <1189, il segretario del Pfr Pavolini, annunciando alla radio la militarizzazione del Partito fascista repubblicano il 25 luglio 1944, esprimeva tutto il suo entusiasmo per il rientro delle Divisioni italiane dal loro addestramento in Germania: «[…] non è solo un normale rimpatrio di individui, è un ritorno dell’Italia all’onore delle armi» <1190.
Da un rapporto delle SS dell’aprile del ’45 emerge la consistenza delle forze armate a disposizione del fascismo repubblicano: 35mila soldati regolari suddivisi in quattro diverse divisioni, Italia, Littorio, Monterosa e San Marco <1191. Nella tarda estate del ’44 tornarono in Italia i primi reparti addestrati nel Reich, la divisione di fanteria San Marco e la divisione alpina Monterosa. Entrambe, assieme a tre divisioni tedesche, finirono per formare l’armata Liguria, la quale, raggruppata tra Imperia e La Spezia, aveva il compito di impedire uno sbarco alleato sulla costa nord-occidentale del Paese <1192: in realtà la sua funzione si orientò principalmente alla lotta partigiana, dato che i tedeschi non avevano alcuna intenzione di adoperare truppe italiane al fronte. Solo verso la fine di ottobre sarà la volta del rientro della divisione granatieri Littorio e, in dicembre, della divisione bersaglieri Italia, ma ormai all’iniziale entusiasmo per il rientro in patria si erano sostituite la disillusione e lo sconforto <1193. Già nell’ottobre del ’44 giravano voci sullo scioglimento della divisione alpina Monterosa e sull’invio dei reparti in Germania <1194. La prospettiva di dover combattere contro altri italiani in una sanguinosa guerra civile rispetto alla prospettiva di riscattare l’onore della nazione scontrandosi con gli angloamericani generò sentimenti contrastanti tra gli uomini delle nuove divisioni, favorendo la diffusione di un malcontento che presto si trasformò in diserzioni <1195.
Forte era la disillusione: già nel mese di giugno, dai rapporti del Notiziario Z emergevano nei reparti «Incitamenti alla renitenza […] Disfattismo» ma soprattutto «Desiderio di pace» <1196. Dinamica che non coinvolgeva unicamente i militari, come emerge dal comando della Gnr della Spezia già nel gennaio 45: la fine sembrava inevitabile, si aspettava solo l’arrivo degli americani. I compiti della polizia fascista erano diventati «contrastare e tenere a bada quelle poche belve assetate di sangue che incalzano e strepitano per attuare vendette appena noi lasceremo il terreno» <1197. Il distaccamento Gnr di Borghetto Vara prese contatto con i partigiani: nella lettera del comandante di distaccamento Mario Biglino si legge come, nella sua concezione ancora in qualche modo ottimistica sull’andamento del conflitto, i fascisti, dopo aver cacciato «gli Inglesi», avrebbero cacciato, «in forma benigna», pure i tedeschi <1198. Questo alleato poco gradito causava spesso numerose defezioni, creando situazioni peculiari. Il personale delle divisioni Monterosa, San Marco, Littorio e di unità repubblicane coscritte, volendo passare tra le file partigiane, chiese di mantenere il grado che deteneva precedentemente e, in caso di defezione dell’intero reparto, la conservazione del reparto stesso <1199. D’altra parte, le diserzioni che decimarono queste divisioni non fecero che accentuarne il carattere fascista: alla fine rimasero unicamente i più accesi fascisti. Nella divisione alpina Monterosa, secondo un rapporto garibaldino, i fascisti sarebbero stati circa il 40 per cento fra le truppe, la totalità fra gli ufficiali <1200. La controversia sull’apoliticità dell’esercito sembrava così risolversi autonomamente a favore di Pavolini. Ormai era esaurito il tempo degli accordi ed era arrivato il tempo di sfogare «l’odio più radicato e inestinguibile» <1201.
[NOTE]
1178 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, pp. 91-92
1179 Ivi, p. 333
1180 Ivi, p. 350
1181 C. Pavone, Una guerra civile. p. 288
1182 G. Bocca, La Repubblica di Mussolini, p. 270
1183 H.J. Burgwyn, Mussolini and the Salò Republic, cit. p. 188
1184 D. Gagliani, Brigate nere, p. 87
1185 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Segreteria particolare del duce, Repubblica sociale italiana, Carteggio riservato, b. 79
1186 Alcune esperienze vissute in prima persona vengono riportate da Angelo Del Boca nel suo La scelta, (N. Pozza, 2006)
1187 M. Avagliano, M. Palmieri, L’ Italia di Salò, op. cit. p. 365
1188 L. Baldissara, Culture Della Violenza e Invenzione Del Nemico, in “Contemporanea”, vol. 9, no. 3, 2006, pp. 509-17. Consultato il 5 aprile 2020, www.jstor.org/stable/24653219.
1189 M. Avagliano, M. Palmieri, L’ Italia di Salò, p. 355
1190 R. D’Angeli, Storia del Partito fascista repubblicano, cit. p. 210
1191 Venne costituito anche un corpo ausiliario femminile che venne affidato al comando del generale Piera Gatteschi Fondelli, in M. Viganò, Donne in grigioverde: il Comando generale del Servizio ausiliario femminile della Repubblica
sociale italiana, Settimo Sigillo, 1995, p. 41
1192 F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, pp. 707-708
1193 M. Avagliano, M. Palmieri, L’Italia di Salò, pp. 218-220
1194 ISTITUTO PIEMONTESE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA GIORGIO AGOSTI, Torino – Grosa Nicola, B FG 15
1195 G. Oliva, La Repubblica di Salò, Giunti, 1998
1196 M. Avagliano, M. Palmieri, L’ Italia di Salò, cit. p. 355
1197 ISTITUTO SPEZZINO PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA, La Spezia – Fondo IV. Attività politica bis, «Partito nazionale fascista (PNF)» e «Partito fascista repubblicano (PFR)»
1198 ISTITUTO SPEZZINO PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA, La Spezia – Fondo IV. Attività politica bis, «Partito nazionale fascista (PNF)» e «Partito fascista repubblicano (PFR)»
1199 ISTITUTO PIEMONTESE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA GIORGIO AGOSTI, Torino, Piemonte – Mautino Felice e Nicodano Giorgio, busta B M 3
1200 C. Pavone, Una guerra civile, p. 226
1201 ISTITUTO PIEMONTESE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA GIORGIO AGOSTI, Torino – Grosa Nicola, B FG 15; Questura repubblicana di Torino, 20 aprile 1945.
Jacopo Bernardini, “Un confuso fermento di idee”: politica, amministrazione e costituzione nell’ultimo fascismo (1943-1946), Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2019/2020