Una tragica esplosione, durante l’ultima guerra, ai Tre Ponti di Santa Maria di Sala

Fonte: art. Esde cit. infra

26 ottobre 1944 ore 18.26: un terribile boato e una vampata di fuoco, in pochi istanti, distrussero un intero borgo: ventitré fabbricati sventrati, ventinove persone dilaniate. Urla di feriti, invocazioni di aiuto, polvere biancastra dall’odore acre che si mescolava alla pioggia autunnale che cadeva sui fuochi che in modo spettrale spuntavano dal terreno.
Cos’era accaduto?
Un convoglio di tre camion tedeschi (qualcuno sostiene quattro), carichi di dinamite, era partito dalla zona est della Pedemontana diretto al deposito militare tedesco di Padova.
Il convoglio, durante il suo tragitto, secondo alcune testimonianze orali, effettuò alcune soste alla trattoria “al Gallo”, prima, alla trattoria di Primo Calzavara a Stigliano [n.d.r.: del comune di Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia], poi, verso le 18, trovando sempre chiuso. Di quest’ultima tappa è stata raccolta la testimonianza di Dirce Montagna che allora si trovava all’osteria.
Alle 18.26 il penultimo camion del convoglio si trovava a Tre Ponti di fronte alla Villa Zanon, quando improvvisamente l’esplosione del camion fu così devastante da provocare anche lo scoppio delle bombe che i tedeschi avevano depositato all’interno della villa (1).
I camion viaggiavano a una distanza di 200/300 metri l’uno dall’altro. Al momento dell’esplosione l’ultimo si trovava all’altezza della casa Tonon e quello che precedeva il camion esploso si trovava vicino a Gaffarello.
I due autisti del camion che si arrestò vicino al Gaffarello scesero, pila in mano, per rendersi conto della tragedia e poi ripartire. Nessuno udì le invocazioni di aiuto dell’anziana madre di Stocco Linda.
10/15 minuti prima dell’esplosione erano transitati per Tre Ponti i carri che trasportavano gli operai di Mira, Oriago e Marano, addetti alla costruzione delle trincee tedesche e che si stavano dirigendo alla stazione di Noale per far rientro a casa.
Nella confusione generale generata dall’esplosione la gente che accorreva si divideva in due categorie: la prima era costituita da veri e propri sciacalli che depredavano le vittime di anelli portati al dito, di orologi e altro; nella bottega del meccanico Vecchiato, dentro una stanzetta segreta costruita sotto il pavimento dell’officina, trafugavano delle verghe in bronzo, un materiale allora considerato preziosissimo.
La seconda categoria era costituita da persone che fino a notte inoltrata si prodigava per estrarre dalle macerie i feriti, per adagiarli in ricoveri di fortuna in attesa delle ambulanze che li trasportassero negli ospedali di Noale, Mirano, Camposampiero. Tra queste persone si distingueva il medico condotto Giacinto De Luca, detto Churchill.
Le cause dell’esplosione
Chi aveva perpetrato l’attentato? Nessuna rivendicazione, tante ipotesi, tante indiscrezioni.
Due sole versioni sembrano attendibili: la prima, considerata come quella ufficiale, attribuisce il disastro ai partigiani che operavano nei pressi del Montello; la seconda, basata soprattutto su testimonianze orali di “chi sapeva”, propende per un sabotaggio tutto “casalingo”.
Prima versione
Secondo la prima versione, al momento della partenza del convoglio, qualche partigiano infilò dentro a un camion un detonatore a tempo, programmato per scoppiare nel deposito di Padova, per provocarne la distruzione. Il deposito si
trovava nell’ex convento benedettino, posto a ovest del centro storico, subito fuori delle vecchie mura di cinta, sul luogo di quello costruito dal Beato G. Forzaté nel XIII secolo. Purtroppo il ritardo sulla tabella di marcia fece esplodere l’ordigno a Tre Ponti. Bruno Ballan, capo partigiano della zona (2), più volte interpellato sull’accaduto, non riuscì mai a fornire precisi dettagli sull’attentato (forse nemmeno lui ne era a conoscenza). Comunque, un attentato del genere avrebbe comportato una preparazione nei tempi, nelle modalità, sarebbero stati considerati anche degli imprevisti. Tuttavia, non sembra che ci sia stata una vera programmazione, se gli effetti dell’esplosione non sono stati circoscritti all’obiettivo militare, ma hanno coinvolto una villa intera e un borgo di un centinaio di persone.
Seconda versione
Già da qualche tempo i depositi della villa Zanon erano presi di mira sia dai partigiani che rubavano generi di prima necessità per rifornire i loro distaccamenti in montagna, sia dagli stiglianesi che nascondevano la loro refurtiva nel cimitero paesano, in una cappellina privata. E per evitare rappresaglie da parte dei Tedeschi, gli stiglianesi progettarono di far saltare in aria la villa. Come? Sotto la Via Noalese passava una condotta che si riforniva d’acqua grazie a una fontanella posta vicino alla trattoria dei Favaro per condurla all’interno della villa. Fu deciso di imbottire di esplosivo la condotta d’acqua al fine di distruggere la villa e con essa il materiale bellico in essa stoccato.
Quella sera, un gruppetto di persone si nascose dietro ai magazzini Spolaore, posti vicini al consorzio agrario (dove poi sorse la macelleria Esperia), attendendo il passaggio di qualche veicolo per camuffare la vera origine dell’attentato. Caso volle che transitassero i camion tedeschi carichi di dinamite e fu il disastro. La buca profonda che si creò nel terreno si giustificava con lo scoppio di esplosivo posto nel sottosuolo.
Su tutta questa terribile vicenda fu calato un velo di omertà soprattutto da parte dei responsabili, che non avevano immaginato il tragico risvolto della loro tragica azione e verso cui si sarebbero scatenati sentimenti di vendetta.
Col passare del tempo la verità si allontana sempre più ed essa stessa sarà seppellita con la scomparsa dei responsabili e dei testimoni che magari sapevano ma che hanno preferito tacere.
I funerali
La cerimonia funebre, a spese del Comune, ebbe luogo sia nel centro parrocchiale della chiesa di Santa Maria di Sala, sia nella chiesa di Stigliano, giacché le vittime appartenevano a entrambi i paesi. Nel momento in cui il corteo funebre si stava dirigendo verso Stigliano, quattro, cinque aerei anglo-americani apparvero in cielo e iniziarono a compiere dei voli circolari a bassa quota; la gente spaventata si precipitò lungo la scarpata della strada per paura dei mitragliamenti. Bruno Ballan, partigiano, presente alla cerimonia, che ben conosceva i comandi alleati, si mise in contatto con loro e fece allontanare gli aerei.
Testimonianze
Alcuni superstiti e alcune persone, accorse subito dopo il disastro, conservano memoria di quanto hanno visto. In una delle poche abitazioni che non crollarono in Via Desman abitavano le sorelle Gemma e Edda Barizza. Gemma era al piano superiore, quando una forte deflagrazione mandò in frantumi porte e finestre, provocò il crollo del tetto e delle scale ed ella si ritrovò in mezzo alle macerie bagnata dalla pioggia. In suo soccorso giunge lo zio Ludovico il quale usò la sua giacca come copertura dalla pioggia e accese una candela per dar modo ai soccorritori di estrarla dalle macerie. Il raccolto di frumento conservato nel granaio si mescolò alle macerie e si bagnò a causa della pioggia. Il frumento fu trasportato nel granaio della canonica di Santa Maria di Sala perché si asciugasse. Gemma fu trasportata in ospedale.
Al momento dell’esplosione Edda era in casa del nonno Federico Favaro da cui si era recata per accudire un bambino. Fu scaraventata per terra e si riparò sotto una grossa trave. Ferita alla testa e alle gambe, fu estratta dalle macerie verso le ore 22 e trasportata in ospedale a Mirano. In ospedale, essendo sotto choc, Edda non riconosceva nessuno, nemmeno il vescovo che andò a trovarla; la sua vista era molto annebbiata. Quando fu dimessa, la portarono a vedere Tre Ponti: macerie ovunque, la buca prodotta dall’esplosione era piena d’acqua, gli alberi sradicati, la linea elettrica a terra e pezzi di cadavere che emanavano un nauseante odore di marcio. Fu ospite di sua zia a Santa Maria di Sala, assistita da un’infermiera che l’aiutò a guarire.
Francesco Beggiora abitava con la sua famiglia nella vecchia casa a ridosso dell’argine del Muson; stavano cenando quando un assordante boato mandò in frantumi le finestre e spense il lume a petrolio. Il padre preferì che si rimanesse a casa, rimandando all’indomani l’uscita di casa. L’indomani Francesco e la famiglia si recarono in bicicletta verso la villa Zanon rasa la suolo. Le scorte di magazzino erano in parte ancora lì; ne approfittarono per prendersi due coperte di lana, da cui una sarta ricavò un cappotto. Quell’inverno, racconta Francesco, tutti i ragazzi di Stigliano indossavano un ugual cappotto di lana color nocciola. Ma altri non si accontentarono di poco; giungevano con carretti, carriole, carri, frugavano freneticamente tra detriti, anche incuranti delle persone sepolte tra le macerie.
Otello Bortolato, noalese, oggi residente a Maerne, allora era un ragazzo. Sentì il tremendo boato, vide una improvvisa luce che penetrò in casa attraverso le finestre. Non riuscì a chiudere occhio tutta la notte per lo spavento. La mattina dopo sentì vari commenti sull’accaduto. Chi parlava di un camion pieno di tritolo, chi di una bomba a mano lanciata su un camion pieno di esplosivo da un partigiano. Una donna gli disse che Tre Ponti non esisteva più. Otello vide la buca larga quanto la strada che interrompeva il traffico, le case accatastate l’una sull’altra, una gran ruota era impigliata sui rami di un platano. La gente inebetita vagava tra le macerie. Poi vide giungere delle camionette della Guardia Nazionale Repubblicana che, con le armi in pugno, intimava alla gente di andar via. Otello scoppiò in lacrime e tornò a casa.
Vi è anche la testimonianza di un signore, che vuole conservare l’anonimato, che quella sera era un cliente dell’osteria “da Collie” situata a 300 metri da Tre Ponti. Racconta che a un certo punto venne a mancare la luce e dopo qualche secondo si sentì una deflagrazione che mandò in frantumi i vetri. Superato lo shock si avviò verso il bagliore. Il buio era illuminato da piccoli fuochi che spuntavano dal suolo; là dove prima c’erano delle case scorgeva ora delle macerie fumanti. Sentì dei lamenti e si mise a scavare assieme ad altri. Dopo qualche ora, ritornò all’osteria che nel frattempo si era riempita di feriti distesi sul pavimento. Morirono quella sera 29 persone, più di un terzo degli abitanti di Tre Ponti.
Pietro Ancillotto, quella sera, voleva recarsi all’osteria dei Favaro dove era certo di trovare suo zio Riccardo. Per fare prima e per non bagnarsi, poiché pioveva, si aggrappò sul retro del terzo dei quattro camion, proprio quello che saltò in aria. All’improvviso, racconta Pietro, cambiò idea, saltò e si diresse verso la canonica per far visita a Don Pio. Sentì la deflagrazione quando fu giunto all’altezza della chiesa. Gli autisti dell’ultimo camion fermarono tutte le persone che passavano, intimavano loro di ripararsi lungo la scarpata per il timore di altre esplosioni. Pietro si recò a Tre Ponti e, mentre camminava sulle macerie, calpestò un soldato tedesco, che poco prima montava di guardia alla Villa Zanon e che invocò aiuto per qualche tempo prima di spirare. Vide la cabina elettrica attorcigliata su se stessa, un platano reciso alla base dal motore del camion, alcuni si affannavano a prestare soccorso, altri intenti a rubare tra le macerie.
Una signora di Murelle abitava vicino al Lusore. Era con la famiglia in cucina quando sentì il boato. Mentre lei e la sua famiglia stavano commentando l’accaduto, verso le ore 21.30 alcuni individui arrivarono a casa, per chiedere se volevano comprare dello zucchero che era stato prelevato da una delle case crollate. Suo padre intuì che si trattava di sciacallaggio e li allontanò bruscamente […]

Fonte: art. Esde cit. infra

[NOTE]
1 Villa Zanon era un edificio di pregio dall’architettura che richiamava gli ultimi anni dell’800 – i primi del ‘900 tinto di un bel rosa salmone. Essa sorgeva di fronte all’officina di Vecchiato Giuseppe, in posizione un po’ arretrata rispetto alla strada. Ad essa si accedeva tramite un ponte con elegante cancello in ferro battuto, posto sul lato sud della facciata, vicino a uno dei magazzini che si scorgono sul retro. Il primo proprietario fu Spolaore Umberto che la tenne fino agli anni ’30, poi la vendette a Zanon da Venezia, che possedeva un negozio d’ortofrutta a Rialto e commerciava con le colonie italiane in Africa da dove importava i prodotti tropicali. Di fianco e dietro la villa c’erano dei magazzini utilizzati per la lavorazione dei prodotti ortofrutticoli e dove, per un breve periodo, era stata organizzata la raccolta del frumento. In un secondo momento, i locali furono affittati al Lloyd Triestino che li utilizzò quale deposito per gli arredi delle navi (coperte, lenzuola, asciugamani, posaterie e argenterie, tutti contrassegnati con lo stemma reale). All’interno della villa, Spolaore aveva riservato una stanza per la moglie, Miolo Amalia, che aveva continuato ad abitarci fino alla sera fatale. Assieme a lei, da qualche tempo, abitava suo nipote Spolaore Bruno, un bambino di sei anni, che Amalia accudiva, perché la sua famiglia, abitando lungo la ferrovia in località Barbariga, era preoccupata per i continui bombardamenti alla linea ferroviaria da parte degli aerei anglo-americani e aveva deciso di affidarlo alla zia, ritenendo il luogo di Tre Ponti più sicuro. Quella sera morirono entrambi. Nell’ultimo periodo, secondo quanto riferito da Santo De Franceschi, vi abitava anche un signore proveniente da Martellago con la moglie e un figlio; questi ultimi due deceduti quella tragica sera. L’esplosione ridusse la villa a un cumulo di macerie e non fu più ricostruita. La luce dell’alba che sorgeva metteva in mostra l’immane tragedia. Un ammasso di macerie, una buca profonda 10 metri, larga 14 e lunga 29, che ostacolava l’attraversamento della Noalese, corpi dilaniati, brandelli dei quali saranno rinvenuti nella zona agricola anche molto tempo dopo […]
2 Bruno Eugenio Ballan è nato a Santa Maria di Sala il 4 marzo 1922 ed è scomparso il 25 agosto 2004. Ha partecipato alla Resistenza fondando una compagnia garibaldina, la compagnia “Bis”, che comincia le azioni dal marzo 1944, è vicecomandante e successivamente comandante del VI battaglione “Sparviero”. Svolge attività a Mirano, nel Miranese, a Noale e Trebaseleghe, viene arrestato due volte. Il suo nome di battaglia era “Barba”. (da un’intervista di Maria Luciana Granzotto del 1993).
Egle Caon e Cosimo Moretti, La tragedia a Borgo di Tre Ponti di Santa Maria di Sala giovedì 26 ottobre 1944 ore 18.26 in Esde, 2015