Sono circa le diciotto del 9 settembre 1943 e Mannorino Mannori, con un gruppo spontaneo di giovani, attacca una camionetta di tedeschi a Savona

Savona. Fonte: liguria.info

Non vi furono altri episodi di resistenza militare degni di nota. Nel volgere di due – tre giorni l’Esercito italiano di stanza nel Savonese venne frantumato e disperso come polvere nel vento. I tedeschi erano i nuovi padroni e lo fecero capire subito. Quando a Savona, la mattina del 9, il portuale Mannorino Mannori lanciò contro un’autovettura tedesca una bomba a mano che non esplose, i militari gli corsero dietro e lo catturarono. Il suo cadavere crivellato di proiettili fu ritrovato giorni dopo a Montemoro, sulla strada per Cadibona <18. Mannori e il soldato Boemio Bertoletti ucciso da una fucilata in Corso Mazzini <19 sono da considerarsi i primi caduti della Resistenza savonese. Frattanto già nella mattinata del 9 si riuniva febbrilmente nella sede dell’Associazione Combattenti di Savona (da poco presieduta dall’avv. Cristoforo Astengo) il Comitato d’Azione Antifascista. Vi presero parte una ventina di rappresentanti di tutti i partiti e quattro ufficiali (tre colonnelli e un capitano dei Carabinieri). Questi erano latori di una singolare proposta del comando germanico, che sarebbe stato disposto ad affidare la tutela dell’ordine pubblico in Savona a 100 cittadini scelti dal Comitato stesso e armati dai tedeschi. Si trattava evidentemente di un’abile manovra volta a compromettere le forze politiche democratiche con gli occupanti e al tempo stesso a tenere sotto controllo cento antifascisti della città che certo sarebbero stati scelti fra i più noti ed influenti. Inizialmente, per quanto possa sembrare incredibile, il Comitato parve ben disposto verso la proposta tedesca, tanto da affidare al PCI, in quanto forza meglio organizzata (o più sacrificabile?), il compito di scegliere i 100 nominativi. Grosse perplessità vennero comunque espresse da più di un membro del Comitato. I comunisti si consultarono allora riunendo il proprio Comitato Federale; in tale sede Giancarlo Pajetta, in quei giorni a Savona, dichiarò tutta la sua contrarietà all’accordo con i nazisti e lanciò la parola d’ordine della lotta armata e della ribellione. Confortati dalle parole dell’esponente comunista, i membri del Comitato d’Azione Antifascista respinsero l’ambigua offerta tedesca <20. Il clima si era fatto pesante. Con il passare dei giorni la Wehrmacht consolidò il suo potere sulla regione con la consueta serie di manifesti bilingui e di volantini aerodiffusi che minacciavano la pena di morte per qualunque minima violazione. In città la vita era blindata: il coprifuoco era rigoroso, i cinema chiusi, le banche non potevano versare più di mille lire ai clienti <21. Il mese di settembre 1943 vide i tedeschi impegnati nelle seguenti attività: 1) caccia agli sbandati del disciolto Regio Esercito e agli ex prigionieri di guerra fuggiti; 2) battaglia propagandistica con gli Alleati; 3) rigenerazione delle autorità fasciste e coordinamento con le medesime. Procediamo con ordine. L’aiuto dato dalle popolazioni dell’entroterra e della Riviera ai soldati fuggiti dai loro reparti per non farsi catturare dai tedeschi fu qualcosa di commovente. Migliaia di uomini riuscirono a sfuggire alle strette maglie della sorveglianza nazista con gli espedienti più vari. Il più semplice consisteva nel procurarsi abiti civili presso qualche famiglia generosa e saltare sul primo treno per casa, sperando di non incappare nei minuziosi controlli dei tedeschi, che fermavano chiunque mostrasse giovane età, sana costituzione e si trovasse lontano dal proprio domicilio. In più, i fuggitivi erano spesso traditi dagli scarponi militari <22. Accadeva anche, durante queste ispezioni, che giovani donne prendessero a braccetto i militari in abiti civili per distogliere da essi l’attenzione dei soldati tedeschi. Alcuni, più furbi o più fortunati, si organizzavano con criterio. Rocambolesco fu, per esempio, il ritorno a casa di Enrico De Vincenzi (poi l’ufficiale alle operazioni “Kid” nel distaccamento “Torcello”) dalla Slovenia a Mestre e da lì a Milano con un falso tesserino da ferroviere <23. C’erano poi coloro che, lontani da casa, preferivano cercarsi un rifugio sicuro per far passare la buriana e tornare poi dai propri cari alla chetichella. Riuniti in piccoli gruppi, quasi sempre poco o punto armati, potevano contare sulla solidarietà di contadini e montanari che, in zone isolate, si prestavano ad ospitarli temporaneamente a proprio rischio e pericolo. Lo stesso discorso vale a proposito dei prigionieri di guerra fuggiti l’8 settembre dai campi di concentramento (a Cairo ne esisteva uno da cui riuscirono ad evadere alcuni jugoslavi). Si ritiravano in zone impervie dove sopravvivevano con l’aiuto dei contadini locali. Alcuni fortunati – ufficiali britannici, di solito – riuscivano a farsi condurre fino in Svizzera o in Corsica per il tramite di organizzazioni legate ai servizi segreti alleati, come la OTTO <24. La maggior parte si aggregò invece con gli sbandati italiani e i “ribelli” politicizzati per formare le prime bande partigiane, anche se tale dinamica nel Savonese propriamente detto fu scarsa e tardiva. In ogni caso, dato il numero complessivo degli sbandati, la loro cattura fu un fenomeno che si protrasse per mesi, e se il grosso degli arresti avvenne nelle prime settimane dopo l’8 settembre la condizione dei superstiti alla macchia si aggravò con il bando Graziani, che ne fece dei disertori e quindi dei “banditi”. Si può dire che nei primi mesi dell’occupazione tedesca in Liguria, dopo gli ebrei, i militari sbandati, italiani e non, siano stati oggetto della caccia più metodica e affannosa.Quanto alla battaglia propagandistica con gli Alleati, essa fu combattuta per lo più a base di manifesti e volantini aerodiffusi che invitavano gli sbandati a presentarsi, i fascisti a rialzare la testa e i sovversivi a non osare nulla contro il potere nazista se volevano salva la vita. “Il Duce è con noi!” titolavano i volantini lanciati il 15 settembre sulla costa ligure e sull’entroterra <25. Ancora il 17 e 18 settembre la Luftwaffe inondò Varazze, Finale, Alassio e Savona di volantini con minacce agli sbandati, a chi aiutava i soldati alleati evasi, a chi osasse sabotare la macchina bellica tedesca <26. Dopo il bastone, la carota: i volantini lanciati il 21 settembre invitavano ufficiali e soldati italiani ad entrare nella Wehrmacht <27. Il giorno seguente i volantini nazisti deprecavano il “biasimevole comportamento della Flotta italiana” <28. In sostanza i testi avevano il duplice scopo di blandire e intimidire una popolazione ancora oscillante e “recuperabile”. Gli obiettivi fondamentali restavano quelli di tener buoni con le minacce i civili e di rintracciare e neutralizzare gli sbandati, possibili nuclei di germinazione di unità “ribelli” <29. Quanto alla propaganda alleata, fino alla fine del mese essa fu molto intensa. Migliaia di volantini furono lanciati dagli aerei britannici e statunitensi. I più interessanti invitavano civili e militari ad unirsi per cacciare i tedeschi “eterno nemico” degli italiani, riportavano incoraggiamenti del Presidente F. D. Roosevelt ai democratici italiani, chiedevano alla popolazione di aiutare i militari alleati fuggiti dai campi di prigionia arrivando addirittura a promettere ricompense in denaro <30. Se nella propaganda tedesca prevale la componente… “pedagogica” (richiami, bacchettate, ammonizioni, blandizie) in quella alleata si nota un superficiale ottimismo che lo scrivente ritiene legato alla gran fretta di sfruttare l’emozione del momento e le “leggende” diffuse tra la popolazione (imminente crollo della Germania, e altre che citerò in seguito).Infine, il reinsediamento delle autorità fasciste, voluto da Hitler per opportunità politica ma anche per amicizia personale verso Mussolini, fu messo in pratica dai tedeschi con molta calma, perché ormai essi diffidavano di qualsiasi italiano che non fosse alle loro dirette dipendenze. Il 15 settembre Mussolini aveva annunciato la nascita del Partito Fascista Repubblicano, con Alessandro Pavolini per segretario. I compiti del nuovo partito consistevano essenzialmente nell’appoggiare i tedeschi e nel dare la caccia “ai vili e ai traditori” del 25 luglio. E’ sottinteso che per gli antifascisti i giorni “felici” del carcere e del confino erano finiti; ora, con le SS e la Gestapo in casa, c’erano il lager e la fucilazione. Mentre i fascisti si riorganizzavano in squadre punitive per far rimangiare a qualcuno l’esultanza del 25 luglio, approfittando delle identificazioni operate in tale circostanza dalla Questura <31, i tedeschi concessero alle Forze Armate italiane di tornare ad esistere, se non altro almeno per neutralizzare tutti quei militari che non erano riusciti a catturare. Gli ufficiali e i soldati che l’8 settembre si erano trovati in servizio nel Savonese dovevano presentarsi entro il 27 dello stesso mese alla caserma dell’11° G. A. F. a Savona o alla caserma – deposito del 29° Artiglieria ad Albenga <32. Prima che la macchina dell’oppressione nazifascista si chiudesse come una morsa sulla società savonese si ebbe un ultimo episodio di democrazia “badogliana”. Con la città già in mani tedesche il Prefetto di Savona Defendente Meda, che aveva sostituito Enrico Avalle il 6 settembre, invitò i rappresentanti degli operai dell’ILVA e di altre fabbriche ad un colloquio con il nuovo Commissario ai sindacati, Berio. Parteciparono alla riunione anche il direttore dell’ILVA, Grosso, il suo vice, Gigli, e il Presidente dell’Unione degli Industriali <33. A nome delle maestranze Giuseppe Ghiso e Agostino Siccardi dichiararono che i lavoratori non intendevano accettare supinamente l’occupazione nazista ed erano contrari a qualunque intromissione tedesca nella vita delle aziende; essi inoltre avrebbero lottato per la pace e la libertà con ogni mezzo. Il Prefetto espresse il suo apprezzamento, ma di lì a poco perse a sua volta il posto. A metà settembre il lavoro, rimasto a lungo sospeso, riprese regolarmente in tutte le fabbriche. Gli operai sciolsero le Commissioni interne e serrarono i ranghi. La lunga notte era appena all’inizio.

[NOTE ] 18. Badarello – De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, 1973, pp. 56-57;19. De Marco – Aiolfi, Bombe su Savona. La demolizione dei cassari, Savona, Comune di Savona, 1995; 20. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, pp. 71 – 72; Badarello – De Vincenzi, op. cit., p. 57; 21. De Marco – Aiolfi, op. cit., p. 79.22. E. De Vincenzi, O bella ciao. Distaccamento Torcello, Milano, La Pietra, 1975, p. 11; 23. Ibidem, p. 11; 24. G. Gimelli, op. cit., vol. I, pp. 101 e segg.; 25. Ibidem, vol. I, pp. 47-48; 26. Ibidem, vol. I, p. 48.27. Ibidem, vol. I, p. 49; 28. Ibidem, vol. I, p. 49; 29. Ibidem, vol. I, pp. 50-51; 30. Ibidem, vol.I, pp. 49-50; 31. 8 settembre 1943: … cit., p. 145; 32. G. Gimelli, op. cit., vol. I, pp. 56-57; 33. Badarello – De Vincenzi, op. cit., pp. 58-59.

Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Mannorino Mannori. Fonte: Quaderni Savonesi art. cit. infra

Frattanto, nella sede della Federazione Combattenti, si è riunito il Comitato d’Azione antifascista, costituito dai rappresentanti di tutti i partiti.
Sono pure presenti quattro ufficiali (tre colonnelli e un capitano dei Carabinieri) i quali riferiscono che “il comando tedesco sarebbe propenso ad una collaborazione con il Comitato, al quale richiederebbe un contingente di cento cittadini da armare e adibire esclusivamente a servizi di ordine pubblico”.
Di fronte all’evidente manovra di sottomettere, mediante quella forma di collaborazione, la cittadinanza ai tedeschi, in attesa dell’eventuale ritorno dei fascisti fuggiti dopo il 25 luglio, il Comitato respinge la proposta e pensa, invece, a come organizzare concretamente la resistenza armata.
Anche se precise direttive di lotta antitedesca non possono ancora essere emanate, il fermento nella popolazione, durante la giornata, si fa sempre più vivo, mentre continua, da parte dei giovani e dei lavoratori, la ricerca e l’occultamento delle armi. Mannorino Mannori, 33 anni, nato a Pistoia, secondo di nove figli, operaio portuale, sin dal mattino del 9 settembre è instancabile nel trasporto delle armi.
È un antifascista che non ha mai nascosto i suoi sentimenti di opposizione al regime.
Probabilmente la previsione di un ritorno della dittatura fascista, favorito dall’occupazione tedesca, lo induce ad operare disperatamente perché l’evento non si verifichi.
Sono circa le diciotto del 9 settembre e Mannori Mannorino, con un gruppo spontaneo di giovani, attacca una camionetta di tedeschi tra via Pietro Giuria e l’allora Piazza del Re (sulla cui area si erge oggi l’edificio della scuola elementare “C. Colombo” e della scuola media “P. Boselli”).
Viene lanciata una bomba. I tedeschi reagiscono ed inseguono i giovani. Mannori è circondato e fatto prigioniero. È trascinato prima in un edificio del porto e poi in una caserma, che già fu della milizia fascista, in Corso Ricci. La sera stessa, portato in località Maschio, è fucilato dai tedeschi. Il suo corpo, impietosamente abbandonato sul terreno, viene ritrovato, casualmente, soltanto la domenica successiva.
I suoi due fratelli Sestilio e Cino verranno in seguito deportati in Germania. Il primo di 28 anni non farà più ritorno, mentre il secondo riuscirà a sopravvivere.
Savona paga così il suo primo tributo di sangue alla Resistenza.
È ormai l’imbrunire e per le vie della città scorrazzano le camionette tedesche che, con gli altoparlanti, ordinano alla popolazione di ritirarsi nelle proprie abitazioni: il coprifuoco sta per avere inizio. Non sarà tuttavia questa misura restrittiva, come altre ancor più repressive, ad impedire ai savonesi di organizzarsi per combattere militarmente i nazifascisti, fino alla loro definitiva sconfitta.
Il Comitato di Liberazione Nazionale, in cui confluiscono tutti i partiti, costituirà l’elemento unificatore e propulsore della lotta senza quartiere condotta contro il nemico che varrà a Savona, quale riconoscimento delle sue battaglie e dei suoi sacrifi ci, il conferimento della Medaglia d’Oro al Valore Militare per la Resistenza.
Rodolfo Badarello ed Enrico De Vincenzi, L’8 settembre 1943 a Savona inizia una lotta senza quartiere contro il nazifascismo, Quaderni Savonesi, Isrec, n. 13 – giugno 2009