Si facevano raccolte di firme per la messa fuorilegge del Partito Comunista

La maggioranza silenziosa in Italia fu, o fu concepita, come costitutivamente anticomunista. Lo era innanzitutto perché prendeva consapevolezza di se stessa in reazione alla lotta rumorosa di una soggettività forte, come era quella del movimento operaio e del movimento studentesco, costruita sulla concezione di coscienza di classe rivoluzionaria marxista seppur con diverse gradazioni e modalità. Una lotta che diveniva insopportabile stato di disordine e spettro di un disegno insurrezionale o eversivo sempre sul punto di realizzarsi; scardinando i punti di riferimento politici, morali e sociali che si davano non solo per acquisiti ma iscritti nell’ordine naturale delle cose. La maggioranza silenziosa, anticomunista lo era ad un livello più profondo proprio perché chi sentiva di appartenere ad essa era l’antitesi della figura del militante, sulla quale le organizzazioni della sinistra, dai partiti ai sindacati fino ai gruppi extraparlamentari, erano strutturate. Quella che è stata definita una “anti-ideologia” <79 o una “ideologia anti-ideologica” fu il fattore unificante fondamentale con il quale si voleva coagulare e dare compattezza ad un’area politica e sociale che altrimenti si presentava vasta e atomizzata, difficile da mobilitare per richieste collettive.
L’anticomunismo fu anche il terreno sul quale i più attivi, gli organizzatori, riuscirono a costruire associazioni e comitati in maniera trasversale ai partiti o mirando ad un loro superamento.
Un nodo fondamentale nell’analizzare la diffusione e le diverse declinazioni dell’anticomunismo nell’Italia repubblicana è il quadro internazionale che si delineò dal 1947, in particolare per un paese “di confine”. L’inserimento in una cornice internazionalmente organizzata, il campo occidentale guidato dagli USA, diede alla lotta al comunismo una forza molto maggiore di un tempo. Anche se in Italia il richiamo all’idea delle società libere contro il totalitarismo fu meno forte di quello alla difesa della società cristiana, fu espressione ad esempio dei partiti laici di governo <80. D’altra parte secondo Sandro Setta era il tipo di confronto di per sé che rappresentava un ostacolo per il PCI: «I tentativi di penetrazione in aree sempre più vaste di opinione pubblica[…] si stavano infrangendo definitivamente sugli scogli della Guerra fredda, che aveva provocato il ritorno a schemi di propaganda e di lotta in precedenza superati dal “partito nuovo”» <81. Nel nostro paese, così come era accaduto in Francia, attraverso la lotta resistenziale, un partito comunista che continuava ad avere legami forti con l’Unione Sovietica era cresciuto numericamente e si era
inserito a pieno diritto nella vita costituzionale. Perciò, si può convenire con Agosti e Bongiovanni che, sebbene fosse legittimo accusare il PCI di avere un vincolo di lealtà con un mondo ostile a quello nel quale l’Italia si collocava, il timore di un pericolo per la libertà che ne derivava «cessò di essere realistico già molto presto nella storia dell’Italia repubblicana, nella quale il PCI ha svolto, assai più che un ruolo di “quinta colonna”, una funzione di disciplinamento delle masse subalterne e di loro integrazione in un quadro democratico» <82. Per Lepre l’anticomunismo che stava alla base della cosiddetta “operazione Sturzo” a Roma nel 1952 e al tentativo, l’anno seguente, di De Gasperi di dar vita ad una «democrazia protetta» con una legge elettorale maggioritaria finì per spingere i comunisti impegnati contro questi piani a combattere non «per la democrazia “progressiva”, ma per quella senza aggettivi». Dimostrando di essersi non solo adattati alle libertà democratiche ma di apprezzarle. L’emancipazione dall’URSS non andò di pari passo, come dimostrarono le reazioni al XX congresso del PCUS e all’invasione dell’Ungheria, che provocarono la rottura con il PSI e inasprirono le posizioni di altri, come Saragat che fece proprio il paragone fra comunismo e nazismo che aveva rifiutato nel 1948 <83.
Un elemento nuovo dell’anticomunismo del secondo dopoguerra fu la grande importanza (e l’uso strategico) della dissidenza. Non che fossero mancati nei decenni precedenti casi anche importanti di delusi che avevano denunciato le storture e i crimini dell’URSS, ma da questo periodo i dissidenti divennero un riferimento costante per gli anticomunisti. Questo almeno a partire dal “caso Kravchenko”, ingegnere sovietico rimasto negli USA dopo la guerra, autore del manoscritto “Ho scelto la libertà” (non a caso pubblicato in Italia un anno dopo l’uscita da Longanesi) che suscitò vaste polemiche con la stampa comunista, sfociate nel processo del 1949 contro la rivista del PCF “Lettres Française” <84.
Negli stessi anni, i due più famosi ex comunisti italiani furono sicuramente Ignazio Silone e Angelo Tasca. Il primo fu impegnato in diverse iniziative di livello europeo in difesa della libertà minacciata dal blocco orientale, ad esempio contribuendo al volume di scritti collettivi “Il dio che è fallito”, operazione curata dal laburista britannico Crossman. Oppure con il “Congresso per la libertà della cultura”, un gruppo di intellettuali europei e americani che combattevano una battaglia culturale per le libertà fondamentali, ma anche un “think tank” finanziato dalla CIA. Il secondo produsse dal 1948 una lunga serie di saggi per denunciare non solo l’Unione Sovietica ma anche la degenerazione stalinista dei partiti comunisti italiano e francese, con una particolare ossessione per il rapporto PCF-URSS allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Insegnò anche al “NATO Defence College” di Parigi nel 1952. Secondo Daniela Muraca Silone fece una chiara scelta di campo ma «conservò sempre una propria tenace indipendenza che gli impedì di divenire un semplice strumento della logica da scontro bipolare.». Mantenne una posizione dialogante contraria a quelle intransigenti e apologetiche dell’Occidente come ad esempio quella dell’ungherese Koestler. Tasca invece rifiutava esplicitamente l’equidistanza dai due blocchi, ma rivendicava al contempo di non aver mai offerto materiali del proprio archivio a quella che considerava con disprezzo come “propaganda spicciola anticomunista” <85.
L’importanza dei dissidenti e possibilmente anche di materiali in loro possesso non sfuggì ad Edgardo Sogno che negli anni Cinquanta fu molto attivo con la sua associazione “Pace e Libertà” appoggiandosi inizialmente all’ex PCI Luigi Cavallo, il quale gli mise a disposizione un suo archivio <86. Si facevano raccolte di firme per la messa fuorilegge del Partito Comunista e soprattutto si stampavano manifesti con accuse a singoli dirigenti comunisti, parlando di omicidi e altri crimini, del passato fascista e non lesinando rivelazioni sulla vita sessuale e la moralità <87. E’ interessante come Sogno avesse capito che temi come il tradimento, la coerenza o la moralità dei dirigenti, toccavano molto di più la base elettorale e militante del PCI piuttosto che discussioni intellettuali sullo scarso patriottismo o la propensione totalitaria del partito. Dopo un duro litigio con Luigi Cavallo, che abbandonò l’associazione, l’ex partigiano entrò in rapporti con Roberto Dotti. Altro deluso del PCI, aveva dovuto per un periodo riparare in Cecoslovacchia, perché accusato di un omicidio alla fine della guerra. Amava ripetere che quella permanenza l’avesse “vaccinato” dal comunismo, come l’Italia l’aveva precedentemente vaccinato dal fascismo. In seguito divenne anche il segretario organizzativo del Comitato di Resistenza Democratica, di cui si parlerà più avanti <88.
Alcuni gruppi della maggioranza silenziosa tennero sempre presente l’importanza propagandistica dei dissidenti di oltre cortina. L’Organizzazione Cittadini Indipendenti si occupò molto della Primavera di Praga sul suo periodico “Contro Stampa”. Nel Luglio 1968 invitò i Presidenti delle Camere ad impegnare il Parlamento per mandare a Mosca un messaggio simile a quello inviato da Bertrand Russel, con la richiesta di «rispetto della sovranità dello stato cecoslovacco e rinuncia all’uso della forza.» <89. Si attaccava il PCI accusandolo di parziali (menzognere o incompiute) prese di distanza, in articoli come “I però dei coccodrilli comunisti” <90; o in copertine a effetto come una con la foto di una donna piangente su fiori deposti sulla strada per una vittima dell’invasione, accompagnata dal testo di un telegramma inviato a Longo terminante in «morti Praga ringraziano solidarietà comunisti italiani» <91.
Commentando un articolo della Pravda nel quale si illustrava la cosiddetta “dottrina Breznev”, si diceva che questa equivaleva ad affermare il diritto di intervento dell’URSS in ogni paese socialista ma altresì che i russi non avrebbero mosso guerra al mondo per farlo diventare comunista. Una cosa non scontata e anche subito dimenticata, visto l’uso della minaccia sovietica nella propaganda del gruppo. Si scriveva: “questa mistura di “real politik” e di fanatismo la troviamo applicata nel medioevo quando, incapaci di trionfare sugli infedeli, i guerrieri di Simone di Montfort si scagliarono con incredibile ferocia contro i “deviazionisti” albigesi.[…] La logica conclusione è quindi: se i comunisti italiani hanno cara non solo l’indipendenza nazionale, ma quella loro stessa personale, devono cercare di non conquistare mai il potere e benedire la NATO, che impedisce alle forze sovietiche di arrivare fin qui per prelevarli e portarli in Siberia” <92.
L’OCI continuò a occuparsi molto spesso di portare alla luce testimonianze da oltre cortina (anche allargando il discorso ad esperienze diverse, ad esempio con la pubblicazione di estratti dell’ex dirigente jugoslavo Đilas <93). Non si trattava solo di raccontare le sofferenze di intellettuali e artisti perseguitati <94, ma di insistere sul fallimento della stessa società socialista. Frequenti e non certo casuali, gli articoli sui problemi di efficienza dello stabilimento FIAT di Togliattigrad e sull’arretratezza del settore automobilistico e delle relative infrastrutture in Unione Sovietica <95. Il “Gruppo Spontaneo Anticomunista Jan Palach”, di Milano, costituì nel 1970 un “Comitato di solidarietà con il Movimento di resistenza russo” per far conoscere notizie che si ritenevano obliterate dalla stampa perché compiacente con il PCI, e con la convinzione che il comunismo andasse colpito nell’URSS per vincerlo anche in Italia <96. La rivista “Lotta Europea” del “Comitato Cittadino Anticomunista per la difesa delle libertà” cercò di promuovere una manifestazione sul tema e vi dedicò una buona parte di un suo numero. C’erano articoli (a partire da “Senso non senso dissenso” di Domenico Siena), poesie e disegni. Ritratti a china con citazioni di Solgenicyn, Sacharov, Bukowsky e Yakir <97.
[NOTE]
79 A. Lepre, L’anticomunismo e l’antifascismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 1997, p.7
80 Ivi, p.120
81 S. Setta, L’Uomo Qualunque. 1944-1948, Roma-Bari, Laterza, 1975, p.272
82 A. Agosti, B. Bongiovanni, “Traiettorie dell’anticomunismo”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, p.19
83 A. Lepre, L’anticomunismo e l’antifascismo in Italia, cit., pp.125-126
84 Ivi, pp.103-104
85 D. Muraca “Tasca, Silone e la Guerra fredda culturale”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, pp.37-40
86 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Milano, Mondadori, 2000, p.96
87 Ivi, pp.102-107
88 Ivi, pp.110-111; Per un ricordo in occasione della morte CRD Resistenza Democratica, n.2, Gennaio 1972, p.4, allegato a Comunicazione prefettura Torino 25/1/1972, in f. G5/12/135, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
89 Telegramma OCI ai Presidenti delle Camere 26/7/1968, in f. UA2153, Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia, Fondo Giovanni Malagodi, Serie 3 Partito Liberale Italiano, Sottoserie 11 Nominativi I
90 Contro Stampa, a.IV n.18, 2° quindicina Settembre 1968, p.3, allegato a Lettera S: Gaddi a G. Malagodi 30/9/1968 in f. UA2153, cit.; oppure la foto di un giovane che sfida un carro armato su Contro Stampa, a.IV n.19, 1° quindicina
Ottobre 1968, p.1, in f. UA2153, cit.
91 Contro Stampa, a.IV n.18, 2° quindicina Settembre 1968, p.1, allegato a Lettera S: Gaddi a G. Malagodi 30/9/1968 in f. UA2153, cit
92 Contro Stampa, a.IV n.19, 1° quindicina Ottobre 1968, p.3, in f. UA2153, cit.
93 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.I n.7/8, Luglio/Agosto 1969, pp.26-34
94 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.7/8, Luglio/Agosto 1971, pp.26-27
95 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.3, Marzo 1971, pp.36-37; Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.10, Ottobre 1971, pp.29-33
96 Comunicazione prefettura Milano 13 /7/1970, in f. G5/35/112, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
97 Lotta Europea, n.13/14 Ottobre 1973, pp.21-32
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio ’70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea Magistrale, Università di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2013-2014