Se il consolidamento dell’ordine pubblico doveva avere la sua parte, l’emergenza che andava affrontata senza indugio, era quella economica

Successivamente alle elezioni per l’Assemblea costituente Alcide De Gasperi fu incaricato di formare un nuovo governo che sarebbe stato espressione dei tre partiti di massa principali: DC, PCI, PSIUP. Il cosiddetto governo tripartito rappresentava le maggiori forze politiche, ma fu anche importante poiché era una coalizione antifascista. Questo aspetto fu sicuramente un fortissimo legame che intercorse tra i tre partiti al governo. Oggi il concetto dell’antifascismo può sembrare scontato, ma all’epoca fu molto rilevante poiché solo attraverso un principio comune si poteva sperare di avviare il processo di democratizzazione che convincesse partiti con ideali molto differenti a lavorare insieme. Era cruciale scongiurare spaccature che avrebbero potuto minare il lavoro di creazione e stesura della Carta Costituente. Inoltre, sul tavolo della politica internazionale era necessario un governo che raccogliesse un ampio consenso e che potesse essere di supporto nelle trattative per la ratifica del Trattato di Pace.
La convivenza dei partiti di sinistra con la DC fu sin da subito molto complessa poiché in un clima ricco di tensioni e incertezze a livello internazionale e di riorganizzazione degli equilibri mondiali la neonata Repubblica Italiana era ancora politicamente molto fragile. Il PCI storicamente di spirito rivoluzionario veniva accusato di seguire una politica a due facce, facendo parte del governo e parallelamente fomentando nelle piazze azioni antigovernative e insurrezionali.
In un contesto come quello sopra descritto, il primo ministro De Gasperi, insieme a molti altri parlamentari di centro, temeva che il paese potesse essere sopraffatto dallo spirito rivoluzionario che animava molte realtà comuniste. Ad aggravare la situazione di politica interna ci fu proprio la degenerazione dei rapporti tra USA e URSS che stimolò lo spirito sovversivo degli anticapitalisti.
La strategia di De Gasperi per cercare di contenere la crescita delle tensioni sociali e dare una risposta sul piano economico alla crisi che stava dilagando in Italia fu articolata e legò gli equilibri politici interni del paese con le dinamiche internazionali. Nella sfera economica si cercò di introdurre nei ministeri italiani i cosiddetti «tecnici» con l’obiettivo di stabilizzare il contesto economico e quindi influire in maniera positiva anche su quello sociale. Così, come a livello internazionale il contrasto tra USA e URSS si andava inasprendo, anche la scena della politica interna italiana era sempre più dominata dal contrasto tra la DC e le sinistre. La pesante carenza sia di beni che di risorse finanziarie aggravava ancor più la crisi. A complicare queste circostanze l’intera area europea soffriva di una paralisi degli scambi e dei pagamenti tra i paesi.
I primi aiuti post-bellici americani stavano terminando senza aver apportato i benefici sperati, il ché fece percepire all’America come la situazione politica italiana gravemente compromessa poteva rappresentare un grosso problema. Data la sua posizione geografica e il valore strategico della penisola italiana che di fatto di rappresentare l’ultima frontiera alla minaccia comunista costituita nello specifico dalla Jugoslavia, gli Stati Uniti decisero di avviare dei colloqui con il governo italiano. Nel gennaio del 1947 anche il leader della DC fece un viaggio negli Stati Uniti determinato dall’estrema necessità di trovare dei finanziamenti esteri per dare respiro alle finanze statali e per creare dei presupposti di governabilità del paese. Il viaggio diede la possibilità a Degasperi di iniziare un dialogo con le autorità monetarie statunitensi. Agli occhi degli Stati Uniti la situazione politica, economica e finanziaria dell’Italia era fortemente preoccupante e non ci fu grande comprensione delle richieste italiane poiché, a detta degli americani, le misure che erano state intraprese e che si volevano intraprendere non erano sufficienti per una stabilizzazione economica e sociale del paese. In Italia stavano crescendo sia l’inflazione e le difficoltà monetarie che il senso di insicurezza creando una condizione di forte inaffidabilità del governo italiano. Durante gli incontri con le autorità americane il primo ministro italiano negoziò un prestito che sarebbe provenuto dall’Eximbank <27 per un valore di cento milioni. In sé la cifra non fu assolutamente degna di nota ma fu un sostanziale segnale politico di collaborazione. Un segnale che fu interpretato come gesto di fiducia del governo americano nei confronti del governo italiano e in particolare nella persona di De Gasperi. Egli in quanto leader della DC con questa “vittoria” diede nuovo slancio a credibilità all’intero partito.
Come già visto, la situazione dell’URSS era diametralmente opposta poiché non aveva la possibilità di fornire all’Italia il necessario supporto economico e questo fu un fattore cruciale nella scelta di campo che la parte centrista del governo fece nel 1947. Il PCI era fortemente legato alle direttive del PCUS che non era nelle condizioni di intraprendere delle politiche economiche che potessero in un qualche modo contrastare i finanziamenti offerti dagli Stati Uniti all’Italia. Il PCI nonostante fosse al governo si trovò a non ricevere sostegno dal partito da cui dipendeva. Questo squilibrio economico tra USA e URSS pose il PCI nella situazione di non poter controbilanciare il programma economico finanziario di De Gasperi. L’Italia aveva bisogno di liquidità ma in un periodo in cui il mondo stava entrando in una nuova fase denominata poi guerra fredda i comunisti italiani non poterono contare sull’appoggio necessario da parte dei russi semplicemente perché i russi non potevano permetterselo. In aggiunta allo sbilanciamento economico che intercorreva tra le due superpotenze, vi era anche una differente visione politica sul come far rientrare nella propria orbita di influenza i vari stati, come si vedrà nel capitolo due.
L’impossibilità da parte dell’URSS di aiutare economicamente l’Italia e il rapporto che De Gasperi riuscì ad instaurare con gli Stati Uniti furono sicuramente dei segnali che la situazione politica italiana, vista l’estrema necessità di trovare dei finanziamenti esteri per dare respiro alle finanze statali e per creare dei presupposti di governabilità del paese, stesse mutando. Già quando si formò il terzo ministero <28 Degasperi vi erano stati dei sentori di frizione tra la DC e le sinistre, il principio unificatore dell’alleanza antifascista stava cedendo il posto ai programmi politici dei singoli partiti. In questo governo i comunisti non ricevettero l’incarico per alcun ministero economico, il che metteva in evidenza come la politica economica fosse una delle cause di incomprensione. Nonostante i comunisti non avessero dicasteri economici il governo non riuscì ad affrontare incisivamente né il problema dell’inflazione né ad avviare un programma strutturato per riformare il sistema.
Il terzo governo Degasperi nei mesi in cui era stato al governo si rese conto del perdurare delle difficoltà e all’interno della dirigenza della DC si iniziò a paventare l’idea che «non sarebbe stato un male» se l’amministrazione avesse potuto ampliare la propria base di governo attingendo a tecnici che aiutassero a sbrogliare l’impasse.
Il 28 aprile il Presidente del Consiglio si esprimeva così: «Se i rappresentanti di tutti gli interessi onesti e di tutte le concezioni economiche fattive fossero dentro il governo e, consapevoli della estrema gravità dell’ora concorressero alla salvazione del paese, il popolo che lavora riprenderebbe quel senso di sicurezza che vuol dire fiducia e l’estero riconoscerebbe che la nostra solidità nazionale merita credito. E questo il pensiero che mi tormenta da quando tornai dall’America» <29. Le condizioni di governabilità erano ormai troppo precarie per via del grande clima di sfiducia nei confronti del governo che a sua volta causava la continua perdita di valore della lira. Ormai la situazione era insostenibile e il 13 maggio Degasperi decise di aprire una crisi di governo rendendosi disponibile ad un tentativo di rimpasto governativo con l’immissione di ministri provenienti dall’area liberale e di tecnici che potessero cercare realmente di stabilizzare la situazione italiana. Oltre al fatto che la situazione con le sinistre era diventata ingovernabile e quindi che fosse necessario un cambiamento di rotta radicale, la mossa di Degasperi fu anche un tentativo di dimostrare agli Stati Uniti la volontà italiana di cercare di migliorare la situazione interna.
Una volta aperta la crisi di governo l’Italia e gli Stati Uniti iniziarono una serie di fitti colloqui proprio perché se l’Italia fosse stata lasciata sola in un momento così delicato i comunisti avrebbero potuto prendere il potere. Di fronte ad uno scenario così grave i funzionari statunitensi comunicarono al governo italiano che avrebbero potuto contare sul forte sostegno morale e finanziario degli Stati Uniti. Con l’ipotesi di un rimpasto monocolore democristiano supportato da tecnici e da altre forze provenienti dai partiti centristi, il governo americano si convinse che fornire aiuti economici alla popolazione avrebbe certamente portato un miglioramento sociale e che questo, a sua volta, avrebbe spinto la popolazione a compiere altri passi nella direzione della democratizzazione. Un governo democristiano guidato da Degasperi e sostenuto economicamente dagli USA avrebbe potuto convincere i cittadini italiani a dare fiducia alla compagine centrista, incrementare la rappresentanza in parlamento del fronte democratico e dare una “spallata” elettorale alle sinistre.
Dopo delle consultazioni con gli americani, avendo deciso di dare una svolta di governabilità al paese per attuare delle misure di politica economica realmente efficaci, il 31 maggio Degasperi annunciò la formazione di un nuovo governo composto da democristiani e da tecnici provenienti dal raggruppamento liberale. Tra questi ultimi eccelleva sicuramente Luigi Einaudi a cui fu affidata la vicepresidenza del consiglio e il nuovo ministero del Bilancio.
Le dichiarazioni di buone intenzioni e il supporto sia morale che finanziario degli Stati Uniti di fatto non vennero mai mantenute in un’ottica di rapporto bilaterale. Questo poiché il 5 giugno il Segretario di Stato statunitense Marshall annunciò, nello spirito della nuova dottrina Truman, approfondita nel capitolo secondo, un nuovo piano di aiuti economici che si poneva come obiettivo anche quello di tenere sotto controllo le ambizioni egemoniche sovietiche verso l’Europa occidentale. Insieme all’annuncio degli aiuti economici gli Stati Uniti suggerirono all’Italia di avviare delle misure che cercassero di contenere l’espandersi della crisi per poi beneficiare appieno delle opportunità offerte dai finanziamenti d’oltre oceano. I risultati del cambio di governo sul piano economico si videro sin da subito e anche la credibilità internazionale nei confronti dell’Italia crebbe.
[NOTE]
27 La Export – Import Bank degli Stati Uniti (abbreviata come EXIM) è l’agenzia ufficiale per il credito all’esportazione del governo federale degli Stati Uniti.
28 Il Governo Degasperi III è stato il secondo governo della Repubblica Italiana. È stato in carica dal 2 febbraio 1947 al 1º giugno 1947, per un totale di 119 giorni, ovvero 3 mesi e 30 giorni.
29 Oliva, Juan Carlos Martinez. “La Stabilizzazione Del 1947. Fattori Interni e Internazionali.” Ventunesimo Secolo, vol. 6, no. 12, 2007, pp. 41-73. JSTOR, www.jstor.org/stable/23719680. Accessed 9 Jan. 2021.
Tommaso Cortivo, Politiche ufficiali ed ufficiose condotte dall’Italia nel biennio 1947/1948 al confine orientale, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020


Durante le trattative per la formazione del suo terzo governo, De Gasperi pensò di dare vita ad una nuova coalizione che, con l’ingresso di Saragat e la conferma dei repubblicani, ultimasse l’esperienza del tripartito. In verità, la mancanza di disponibilità da parte di ambedue i partiti non rese possibile la realizzazione di questo progetto: il nuovo Partito socialista e il vecchio Partito repubblicano respinsero la proposta di collocarsi al centro della scena politica italiana, lasciando «a De Gasperi e alla Dc il compito di svolgere interamente questo ruolo» <110. Dunque, venuto meno l’obiettivo di formare un governo che non fosse più tripartito ma aperto ad altre forze politiche, il 2 febbraio 1947, De Gasperi formò il suo terzo esecutivo avvalendosi nuovamente della collaborazione di Pci e Psi. Anche in questo caso, lo statista trentino non mise in discussione la collaborazione con il Partito comunista. Essa, ancora una volta, si dimostrò essere una collaborazione nella diversità che i comunisti accettarono nonostante la riduzione del loro ruolo nel governo. Quanto alla composizione di quest’ultimo, De Gasperi si assicurò che uomini di comprovata capacità e di fiducia venissero collocati ai vertici dei dicasteri più importanti: «politica estera, politica economica e ordine pubblico erano le tre improrogabili emergenze di quella fase di trapasso» <111. Al ministero degli Esteri nominò Carlo Sforza mentre al Commercio con l’estero propose Campilli e Vanoni. In particolare, a Campilli, venne affidata anche la gestione della politica economica, in quanto egli, viste le sue posizioni precedenti, aveva la fiducia non solo di De Gasperi ma anche della sinistra democristiana. Quanto al ministero dell’Interno, esso venne assegnato a Scelba con l’appoggio pressoché unanime della Dc.
Nel concludere l’accordo per la formazione del gabinetto, a De Gasperi fu rimproverato «di non aver presentato ai rappresentanti dei partiti un vasto e sonante programma» <112. Egli, diligentemente, replicò facendo intendere che quel governo era la continuazione dei precedenti e che «così pure ne proseguiva il programma, abbandonandosi da ultimo alla considerazione che, in fondo, più che i programmi contano gli uomini che sono chiamati ad attuarli» <113. In quel momento, una delle questioni più urgenti che il nuovo esecutivo dovette risolvere riguardava il problema del mantenimento dell’ordine pubblico. In particolare, per De Gasperi era prioritario raggiungere il disarmo e stroncare tutte le manifestazioni paramilitari di destra e di sinistra finalizzate all’istituzione di nuove forze contrarie allo Stato. Di questo se ne preoccupava anche la Commissione alleata: in un colloquio con lo statista trentino, l’ammiraglio Stone presentò un promemoria sulla «riorganizzazione della polizia italiana» in cui lamentava il precario stato della Pubblica Sicurezza e la mancanza di coordinamento tra quest’ultima, il corpo dei Carabinieri e la Finanza. Era, dunque, di primaria importanza iniziare a provvedervi e lungo questa direzione si mosse il ministro degli Interni, Mario Scelba. Egli operò una vera e propria rifondazione dell’apparato di Pubblica Sicurezza, che vide anche l’entrata in vigore dell’Ispettorato del corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza e il rafforzamento dei corpi mobili della «Celere». A questo seguì, poi, la stabilizzazione del sistema prefettizio e la rivalutazione sia della figura sia del ruolo di questo istituto, accompagnando ciò con provvedimenti di vasta mobilità di prefetti e questori <114.
«Ma, se il consolidamento dell’ordine pubblico doveva avere la sua parte, l’emergenza che andava affrontata senza indugio, era quella economica» <115. Questa compagine governativa, nonostante fosse composta in maggioranza da ministri democristiani, non riuscì a migliorare le condizioni della finanza pubblica. Il 29 marzo 1947 il ministro Campilli annunciava alla commissione finanziaria della Costituente che il deficit era arrivato a 610 miliardi. Allo stesso tempo, il governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, comunicava che la circolazione monetaria era aumentata vertiginosamente. In particolare, il governatore avvisò che «si stava raggiungendo il momento critico dell’inflazione, cioè quello in cui, chiedendo lo Stato biglietti all’Istituto di emissione per far fronte ad un aumento di spesa, non ottiene più nessun vantaggio dalla maggior spesa» <116. Egli, dunque, ribadiva la necessità di procedere con il taglio della spesa pubblica vista l’impossibilità di individuare nuovi criteri per allontanare lo spettro di un processo inflattivo. Questa posizione veniva condivisa anche da De Gasperi e Campilli. La risposta delle sinistre, al contrario, sembrava essere molto più debole: esse, non mettendo in discussione la necessità di questi provvedimenti deflattivi, insistevano sulla gradualità di applicazione degli stessi. Alla fine, si attuò una politica economica di austerità, elaborata in quattordici punti dal ministro socialista Morandi, che prevedeva l’abolizione di ammortizzatori sociali come, ad esempio, il «prezzo politico» del pane, ma che di fatto non rispecchiava il mutamento radicale di politica economica atteso da De Gasperi e consigliato da Einaudi <117.
Vista la complessità della situazione, lo statista trentino, durante il Consiglio dei ministri del 30 aprile, dichiarò «di non sentirsi di tirare avanti in quella situazione», insistendo «sulla necessità di ottenere il consenso e la collaborazione di uomini, i quali attualmente non rientrano nella compagine governativa» <118 per contrastare la crisi economica. Tuttavia, in quel preciso momento, con quelle dichiarazioni, De Gasperi non aveva intenzione di aprire la crisi di governo: ci tenne a specificarlo due giorni dopo alla stampa, affermando che una crisi ministeriale sarebbe stata un pericoloso lusso che non poteva permettersi. In verità, l’opposizione dei socialisti alla sua richiesta di avvalersi di figure esterne all’esecutivo per fronteggiare la crisi finanziaria e la loro conseguente dichiarazione ufficiale di contrarietà, portarono De Gasperi ad aprire la crisi ministeriale, il 13 maggio, dopo una riunione del Consiglio dei ministri.
Dimessosi l’esecutivo, Enrico De Nicola conferì l’incarico di formare un nuovo gabinetto a Nitti. Quest’ultimo, nonostante fosse convinto che con il suo prestigio avrebbe potuto risolvere i conflitti politici, dovette ricredersi a seguito del rifiuto da parte dei liberali di partecipare ad un governo con i comunisti e a seguito delle richieste avanzate dal Psli. L’incarico, dunque, venne conferito di nuovo a De Gasperi che, dopo aver valutato tutte le possibili soluzioni, decise di consegnare al presidente della Repubblica la lista dei ministri di un governo monocolore democristiano, con esponenti liberali presenti a titolo personale come tecnici e con esponenti socialdemocratici e repubblicani. L’ingresso di questi ultimi nella compagine governativa segnava così la nascita dei governi quadripartiti, destinati a durare per più di cinque anni. Questa alleanza con i partiti laici, anche detti partiti minori, non fu per De Gasperi un fatto casuale o il frutto di un’imposizione dovuta dalla difficile situazione parlamentare. Il significato che lo statista trentino attribuiva a questa nuova alleanza, che di fatto escludeva le sinistre e poneva fine all’esperienza del tripartito, era molto più forte: egli la riteneva una «condizione per non far rinascere nel paese fratture di tipo confessionale e insieme per resistere alla pressione della destra cattolica» <119. Dunque, questa scelta centrista, confermata anche dopo la vittoria delle elezioni del 18 aprile 1948, aiuta a comprendere il significato storico della crisi del maggio 1947. Essa fu una crisi di governo e non certo una crisi costituzionale. Come ha notato Pietro Scoppola, il passaggio all’opposizione dei partiti della sinistra non incrinava il comune quadro di riferimento costituzionale: la stessa reazione moderata di Togliatti ne rappresenta una conferma.
In verità, rispetto alla crisi del maggio 1947, una buona parte della storiografia ha più volte sostenuto che la fine della collaborazione con i comunisti era stata concordata da De Gasperi con il governo americano durante il suo soggiorno negli Stati Uniti. Per lungo tempo, la presenza di implicazioni internazionali sulla politica nazionale italiana è stata utilizzata come motivo per sottolineare i reali condizionamenti che gli Stati Uniti esercitavano sul governo italiano al fine di limitare le mire espansionistiche sovietiche. Secondo Pietro Scoppola questa ricostruzione è riduttiva e semplicistica. In effetti, la possibilità di accedere a nuovo materiale documentario ha permesso agli storici di formulare una interpretazione più ampia delle scelte compiute da Alcide De Gasperi tanto rispetto alla rottura della collaborazione con le sinistre, quanto alla scelta in campo occidentale <120. E ancora, lo storico Scoppola sostiene di non aver trovato nulla negli appunti di De Gasperi che autorizzi l’ipotesi di un’intesa con gli americani per l’esclusione dei comunisti dal governo. I documenti diplomatici americani analizzati da Antonio Gambino e relativi allo sviluppo della crisi del maggio 1947 confermano questa valutazione. Secondo un’altra parte della storiografia, dunque, la decisione di formare un governo senza i comunisti più che il frutto di un compromesso fu, per lo statista trentino, un prendere atto di una situazione già esistente.
L’irrigidirsi dei rapporti politici tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti confermerà l’esattezza della sua intuizione <121.
Dopo aver formato l’esecutivo, il 9 giugno 1947 De Gasperi presentò alla Costituente il programma del suo nuovo governo lasciando intendere che in sostanza esso non fosse molto diverso dal precedente. Con estrema cautela lo presentò come «un ministero di emergenza che vuole fare uno sforzo supremo per evitare la rovina economica e finanziaria del paese» <122 oltre che proporlo come «governo anti-nessuno» <123. Secondo il giudizio dello storico Piero Craveri, questo gabinetto si poteva definire «nazionale» in quanto nasceva dall’incontro di due classi dirigenti, quella demoliberale e quella del nuovo partito dei cattolici, oltre che presentare il segno della continuità di quello che era stato il sistema economico e sociale del paese. Come prima cosa, vennero adottati una serie di provvedimenti deflattivi che strutturarono la cosiddetta «linea Einaudi» e grazie ai quali si andò a disegnare un «equilibrio speciale di poteri nel governo dell’economia» <124. Essi stabilivano, oltre alla svalutazione del cambio ufficiale della lira sul dollaro, anche l’aumento di alcune tariffe di servizi pubblici. Nel mese di luglio venne poi varata la patrimoniale che, non essendo più vincolata al cambio della moneta, toccava principalmente i patrimoni immobiliari. Nel mese di settembre, gli indicatori economici mostravano qualche segno di miglioramento ma, dal punto di vista sociale, ciò era lontano dall’essere percepito in quanto solo con la fine dell’anno il costo della vita prese a scendere.
Per quanto riguarda la politica estera, due furono le questioni che De Gasperi dovette affrontare: l’adesione al piano Marshall e la ratifica del Trattato di pace.
[NOTE]
110 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 279.
111 Ivi, p. 280.
112 Ibidem.
113 Ibidem.
114 Ibidem.
115 G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit., p. 185 ss.; P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 287.
116 Banca d’Italia, Relazione annuale, 31 marzo 1947; P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 288.
117 Nell’immediato dopoguerra sia Morandi sia Einaudi erano concordi sulla necessità di attuare una politica economica di austerità, il cui obiettivo principale fosse combattere l’inflazione, conseguenza inevitabile della guerra. La vera differenza risiedeva, dunque, in due diverse misure di austerità: la prima, privilegiata da Morandi, era un’austerità fiscale. Egli, essendo un marxista-leninista ortodosso, era convinto che un raffreddamento dell’espansione monetaria potesse essere raggiunto con una pianificazione attenta, efficientista, ispirata a uno spirito produttivistico, senza dar luogo a fiammate salariali; la seconda, privilegiata da Einaudi, era un’austerità monetaria. Il governatore della Banca d’Italia, essendo liberale e liberista, vedeva soprattutto l’aspetto monetario della questione. Le misure di austerità che favoriva erano la convertibilità aurea della lira, di per sé antinflazionistica, e il contenimento della spesa pubblica. In secondo piano, c’era poi un’ulteriore distinzione fra un’austerità da maggiori entrate e maggiori controlli, tale da compensare le spinte inflazionistiche legate all’accoglimento delle istanze salariali (Morandi) e una da minore spesa pubblica e minore acquiescenza verso le parti sociali, tale da compensare l’effetto espansivo di un più blando sistema di regole e controlli (Einaudi). Sullo sfondo restava aperta anche la questione della partecipazione dell’Italia ai mercati internazionali: le sinistre volevano controlli sui capitali e una pianificazione degli scambi commerciali; i governi centristi preferivano, invece, che il Paese scegliesse l’opzione di una maggiore libertà.
118 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 289.
119 P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, cit., p. 304.
120 V. Capperucci, Il partito dei cattolici, cit., p. 131.
121 Per maggiori approfondimenti circa i documenti americani che rafforzano la tesi sostenuta da Gambino e Scoppola si veda: P. Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, cit., p. 297 mentre a p. 322 si veda la nota n. 57.
122 G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit., p. 161.
123 P. Craveri, De Gasperi, cit., p. 314.
124 Ivi, p. 311.
Martina Cirelli, La ricostruzione degasperiana dell’Italia: il decennio 1943-1953: dal partito alla nazione, Tesi di laurea, Università LUISS “Guido Carli”, Anno accademico 2020/2021