Scrivere per immagini in W.G. Sebald, Peter Weiss e Arno Schmidt

[…] nel corso del Novecento si è fatto spesso ricorso al visuale in letteratura. Si affronteranno qui tre autori che, seppur con modalità estremamente differenti, hanno inserito nei loro testi alcune tipologie di immagini. Il primo è W.G. Sebald (1944-2001), cultore dell’utilizzo di immagini, prevalentemente fotografiche, in una poetica tutta incentrata sulla rimemorazione. Il secondo è Peter Weiss (1916-1982), il quale, pur non integrando in modo continuo l’immagine al testo, rappresenta un caso di «doppio talento» e, in alcune opere, inserisce meravigliose pagine di collage, che spesso illustrano e integrano il significato dei suoi testi; il terzo è Arno Schmidt (1914-1979), i cui «album fotografici» si inseriscono in una poetica della memoria quanto mai complessa, che vuol trasformare il ricordo in letteratura, attraverso l’utilizzo di una sorta di imput memoriale (la «foto»), cui fa seguito un frammento narrativo vero e proprio (il «testo»).
3.1.1 W.G. Sebald: tra testo e fotografia
La retorica iconotestuale di Sebald è stata oggetto di numerosi studi, in quanto da essa emerge una particolare relazione tra testo e immagini. Elena Agazzi, occupandosi dei «fototesti» <152 sebaldiani e interrogandosi sulla funzione di queste creazioni sinestetiche, <153 afferma, appellandosi alla nozione di «post-memoria» di Marianne Hirsch, <154 che la presenze delle fotografie in Austerlitz (2001) sia da ricondurre proprio a questo particolare tipo di memoria «mediata», i cui elementi fondativi sono «la comunicazione tra generazioni, che produce testimonianza, e il completamento delle informazioni lacunose tramite un investimento immaginativo». <155
È questo il meccanismo che emerge dalle immagini ri-contestualizzate nei testi sebaldiani: “Se esaminiamo soprattutto ‘Austerlitz’ di Sebald domandandoci che cosa «vogliono» le immagini, qui, come nel caso delle sue altre opere la risposta più ovvia è che esse vogliono essere indagate, perché oltre che possedere una superficie (surface), rimandano anche ad un volto interno (face), si potrebbe dire al recto di questa superficie, che provoca il lettore interrogandolo sul senso della loro presenza nel testo. <156
Nello specifico, Agazzi analizza le fotografie delle stazioni ferroviarie, tappe del passato del protagonista di origini ebraiche del romanzo. «Le stazioni (surface)», sostiene Agazzi, «sono luoghi di oblio, perché nascondono sotto le loro fondamenta (la face del luogo) gli orrori stratificatisi nel corso della Storia». <157
Tra le fotografie e il testo non esiste sempre un rapporto indicale, ma, piuttosto, un rapporto di tipo «allusivo, associativo o evocativo». <158 “In Die Ausgewanderten” (1992), così come in “Schwindel. Gefühle” (1990), le immagini non sono commentate nell’opera, ma vengono «assorbite nel continuum della narrazione» <159 per accompagnare ciò che viene raccontato. Esse costituiscono l’esperienza traumatica, da un lato, e «l’effetto della ricostruzione post-memoriale del narratore», <160 dall’altro.
Se n’è occupato anche Nicola Ribatti, <161 quando, nel 2014, ha applicato alcune riflessioni di Cometa e Cogliatore <162 agli iconotesti di Sebald e Monika Maron (1941). Interessante è il suo procedimento d’analisi, poiché esso parte dalla distinzione di due livelli, quello «sintagmatico» e quello «semantico». Mentre il primo livello prende in considerazione «le modalità attraverso cui le immagini sono inserite e collocate all’interno del continuum testuale», <163 il livello semantico prevede l’analisi dell’«interazione «semantica» tra testo e immagine allo scopo di individuare la modalità epistemica che l’autore sembra attribuire all’immagine in relazione al testo». <164 Da un punto di vista sintagmatico, l’analisi di Ribatti, mostra da un lato la totale assenza di didascalie o note, elementi di non poca importanza per l’interpretazione dell’immagine stessa, dall’altro sottolinea la posizione delle fotografie all’interno del continuum testuale, interrompendolo e apparentemente sottolineando una forte relazione tra parola e immagine. <165 Da un punto di vista semantico, tuttavia, questa apparente relazione viene meno a causa di un «instabile» rapporto indicale che si instaura tra i due media: in particolare, così come Ribatti evidenzia appellandosi allo studio di Silke Horstkotte, <166 alcune fotografie, anziché «attestare la veridicità» del testo, sono in totale disaccordo con esso. Così l’autore commenta il racconto di “Die Ausgewanderten” dedicato ad Ambros Adelwart: “L’io narrante, per dare sostegno documentario alla propria ricostruzione storicobiografica, riproduce nel testo la fotografia del diario che questi avrebbe scritto. Nella prima immagine esso appare chiuso, nella seconda appare aperto e all’interno sono presenti delle annotazioni fatte verosimilmente da Ambros. Nulla più di una fonte come un diario personale, per di più riprodotto in fotografia, dovrebbe persuadere il lettore/osservatore che quanto il narratore sta raccontando corrisponda al vero. A ben vedere, tuttavia, la fotografia viene ironicamente meno alla sua funzione documentaria anzitutto perché la scrittura è di assai difficile decifrazione. In secondo luogo, come ha dimostrato Silke Horstkotte (2009), l’io narrante nel corso del testo inserisce delle citazioni (tratte dal diario) che risultano ambigue poiché non coincidono sempre con il testo visibile nell’immagine o non vengono citati dettagli la cui omissione diviene proprio per questo altamente significativa. […] Lo scrittore stesso, come ha dimostrato Horskotte, ha dunque scritto il diario e lo ha inserito nel testo presentandolo come documento reale, per poi disseminare nella narrazione una serie di indizi che ne minano l’autenticità e la capacità persuasiva di attestare una data realtà”. <167
Attraverso queste due diverse relazioni tra testo e immagini, corrispondenti ai due livelli di analisi proposti da Ribatti, si può affermare che ciò che emerge è un ironico utilizzo delle fotografie, comunemente interpretate come rappresentazioni di una realtà oggettiva e neutra. Lo statuto della fotografia viene messo in dubbio e la veridicità della realtà che generalmente rappresenta viene confutata da quanto «rappresentato» a livello testuale. Ribatti sostiene che è l’autore stesso a voler rivelare «il suo profondo scetticismo verso un’idea della fotografia intesa come strumento neutro e oggettivo che sarebbe in grado di favorire un accesso sicuro e oggettivo alla realtà e al passato». <168

3.1.2 Peter Weiss: pagine di collage
Considerato da Michele Cometa <169 un «doppio talento», Peter Weiss, nonostante sia oggi conosciuto principalmente come scrittore e drammaturgo, fu, ai suoi esordi, anche pittore e regista. Proprio per questo, Cometa lo inserisce nella categoria dei sopracitati Doppelbegabungen, parlando, nello specifico, di «concrescenza genetica» <170 e intendendo con ciò quei casi di autori per cui «le due arti, i due media, collaborano, anche se in diversa misura, alla definizione di un unico mondo immaginale». <171 “È questo il momento in cui l’opera sta nascendo, la «fase della sua genesi», <172 un momento che permette di confrontare le rappresentazioni verbali e visuali della stessa opera. Lo studio di questa forma di «doppio talento» permette di progettare una «poetica del testo» tenendo conto sia di una «poetica della scrittura» sia di una «poetica del disegno», un campo di studio che riserva straordinarie sorprese come ha dimostrato la critica genetica. […] è questo un campo che non solo ripropone l’irriducibile simbiosi – anche sul piano antropologico – di verbale e visuale, ma costringe a tutta una serie di considerazioni sulla genesi delle forme di scrittura ma anche – ed è questa la prospettiva più affascinante – sulla genesi del disegno, quasi i due media fossero, com’è del resto plausibile sulla base dell’indagine etnografica, il prodotto di un’unica evoluzione”. <173
Peter Weiss, ebreo in esilio dapprima in Inghilterra, poi in Cecoslovacchia e in Svizzera, per poi terminare la sua vita in Svezia, è un caso paradigmatico in questo senso, poiché la sua esistenza è caratterizzata da un’estrema poliedricità che lo porta a sperimentare le tre arti per eccellenza: la pittura, il cinema e la scrittura. Ad una prima fase prettamente pittorica e fortemente incoraggiata da Hermann Hesse, punto di riferimento per il giovane e incerto Weiss, segue un momento di crisi, durante la quale prende coscienza dell’ormai inadeguatezza nell’esprimersi attraverso l’arte. <174 Ecco, dunque, che, seppur dopo essersi riavvicinato alla scrittura, si dedica a una nuova arte: quella cinematografica. Da questa esperienza matura tecniche di ispirazione surrealista che «non corrispondono alla logica narrativa del cinema tradizionale, ma prendono avvio dal tentativo di conferire ai quadri una dimensione dinamica». <175 Lo sperimentalismo cinematografico, accompagnato da un’intensa produzione collagistica, è seguito da un altro trauma: la morte dei genitori. Questo evento significativo riporta l’autore sulla strada della scrittura, sulla quale vi rimane sino alla morte. La scrittura di Weiss, tuttavia, porta i segni delle sue esperienze artistiche sperimentate nel corso di una trentina d’anni, che si manifestano in ékphrasis, accostamenti fra testo e immagini e ricorrenti tematiche a sfondo artistico. Come Anna Cappellotto fa notare, “La tensione tra testo e immagine rimane dunque un perno nell’opera di Peter Weiss: nel romanzo La situazione […] le forme dell’arte sono rappresentate dal ruolo rivestito dai personaggi, fra i quali Funny e Leo, che sono rispettivamente una scrittrice e un pittore. Similmente può avvenire che la pittura tematizzi l’atto dello scrivere, come mostra il quadro “Der Schreiber” (lo scrittore), del 1946, in cui l’artista è raffigurato seduto al centro della tela mentre elabora un testo”. <176
In generale, il rapporto tra la lingua e le immagini permea la poetica weissiana, soprattutto se si considera il contesto nach Auschwitz al quale l’autore non può sottrarsi.
L’utilizzo della lingua tedesca, taciuto dapprima dalla dedizione di Weiss all’arte figurativa e cinematografica, torna ad essere centrale per le sue espressioni artistiche negli anni Sessanta, come si evince dalla chiusa di “Fluchtpunkt”, citata da Marco Castellari per evidenziare la sua «personalissima Stunde Null» che sancisce il passaggio di testimone dall’immagine alla parola: <177 “Ora potevo mostrare chi ero, che io ero quello che avevo portato con me lungo gli anni della fuga, che avevo salvato dall’annientamento sul campo di battaglia e nella camera a gas, che avevo protetto e curato […]. Ma la libertà era così grande che avevo perso ogni misura. Quella libertà io non l’avevo conquistata, a quella libertà ero condannato […]. Fino a quando, un tardo pomeriggio, ritrovai me stesso, sotto gli alberi del viale sull’argine della Senna, e riconquistai la mia dimensione. […] La libertà era assoluta, potevo perdermi in essa e in essa potevo ritrovarmi, potevo abbandonare tutto, ogni aspirazione, ogni appartenenza, e potevo riprendere a parlare. E la lingua che ora si manifestò era quella che avevo imparato all’inizio della mi vita, la lingua naturale, che era il mio strumento, che ora apparteneva solo a me e che non aveva più nulla a che fare con la terra in cui ero cresciuto. Quella lingua era sempre presente, ogni volta che lo volessi, ovunque mi trovassi […] portavo la lingua con me, nel più leggero dei bagagli. In quel momento lasciai la guerra alle mie spalle, sopravvissi agli anni della fuga”. <178
L’opera weissiana rimane tuttavia innervata da una dimensione visuale, «una vera scrittura visuale e visionaria […] che prosegue il suo cammino in una simbiosi esplicitamente interdiscorsiva di Wort e Bild». <179 Nel microromanzo “Der Schatten des Körpers des Kutschers” (1959), ad esempio, sono inserite pagine di collage à la Ernst che, da un lato «illustrano» il testo, «dall’altro dettano al testo un ritmo che è quello dell’assemblaggio delle immagini». <180 Ci sono passi, infatti, come sottolinea Cometa, <181 il cui ritmo rispecchia l’accumulazione e l’assemblaggio di immagini tipiche della tecnica collagistica. È il caso del seguente estratto, per altro illustrato e amplificato nel suo significato dal sesto collage dell’opera: “Allora mi alzai e mi accostai a lui e avvicinai l’orecchio alla sua bocca ed ora potei indovinare dai suoi respiri e movimenti di lingua queste parole, piaghe che non guariscono, per quanto io tagli, scavi profondo, fino alle ossa, coltelli stridono su ossa, raschiano, spezzano, è ancora più profondo, sbendare, tutta la notte, tutta la notte veglia, sempre altro sangue, altro pus, e avanti, giù sul braccio, poi più in alto, quassù, ascella, omero, bollire l’acqua, articolazione, slogatura, bendare, trovare, fino alle costole, nel petto, in fondo al petto, scoprire il cuore, lobi polmonari, ossa, ingessare i malleoli, segare, scopare, intorno ai peroni, tibi, squarciate, tendini, ingessare il ginocchio, coscia, in fondo al basso ventre, due vasi di pus e di sangue, avanti in furore, e adesso…” <182
Nella sesta pagina di collage sono rappresentati un orecchio e numerose fasciature agli arti su un tetro sfondo, su cui si stagliano uomini e donne in fuga da un paesaggio apocalittico, rappresentando e aggiungendo significato a quanto descritto nel testo.
La tecnica dell’assemblaggio è riflesso delle sperimentazioni filmiche di Weiss. In particolare, Christine Ivanovic sottolinea la corrispondenza tra gli esperimenti filmici degli anni 1952-1955 e la struttura collagistica di questo «Mikroroman». <183 Appurato il suo rapporto con l’estetica surrealista, Ivanoviç prosegue lo studio sottolineando analogie e differenze tra “Der Schatten des Körper des Kutschers” e i “Collageromane” di Max Ernst del 1931. Tra queste, una sostanziale differenza merita di essere menzionata: mentre nei “Collageromane” i romanzi vengono «generati dai collage», <184 Peter Weiss sembra riflettere l’estetica del collage prima di tutto nel testo e, solo in un secondo momento, nella sua realizzazione visiva (sia essa filmica o figurativa). <185
Il testo è dunque la prima realizzazione della tecnica del collage, che si compie attraverso la prevalenza di descrizioni a scapito delle azioni: “La sua tendenza principale non è quella di raccontare, bensì di descrivere. La conseguenza di questo procedimento è che non è il deflusso dell’azione a dominare nel tempo, bensì la proiezione nella mente di una situazione come fosse un’immagine […]. Così gli agenti vengono introdotti come persone in un luogo e non come membri di un processo d’azione”. <186
È dunque la staticità che domina “Der Schatten des Körper des Kutschers” e che rende «visive» le descrizioni. Tornando al rapporto tra il testo e i collage in esso inseriti, Ivanovic sostiene che una lettura di tali collage sia possibile anche senza riferimenti testuali. Ciò nonostante, riconosce che da un lato, la conoscenza del testo può aiutare a decifrare singoli elementi del collage […], dall’altro sono i collage a commentare, viceversa, ciò che avviene del testo, in un modo che pone accenti diversi da quelli che riconoscerebbe un lettore fissato al procedimento narrativo. <187
Il passo sopracitato e la relativa corrispondenza visiva ne sono un chiaro esempio.

3.1.3 Arno Schmidt: i Fotoalben
Tornando alla questione del rapporto tra memoria e immagini, si è scelto di esaminare brevemente lo stile letterario di Arno Schmidt (1914-1979) quale ultimo esempio di autore che nel corso del Novecento ha prodotto opere «ibride», per l’intrinseca contaminazione tra testo e immagine. Si considereranno, in questa sede, due brevi romanzi, la cui forma innovativa è chiamata dall’autore stesso “Fotoalben” (album di foto): “Die Umsiedler” (1953) e “Seelandschaft mit Pocahontas” (1955). La particolarità di questa «neue Prosaform» sta nella rappresentazione del processo memoriale, esplicitata chiaramente nel saggio teorico “Berechnungen I”, apparso nel primo numero della rivista letteraria “Texte und Zeichen” del 1955: “L’avvio per il calcolo della prima di queste nuove forme prosaiche è stata la riflessione sul processo del «ricordarsi»: quando ci si ricorda di un qualsiasi piccolo evento, che sia «scuola elementare» o «vecchio viaggio estivo», velocemente appaiono sempre per prime singole e chiarissime immagini (da me brevemente designate: «foto»), attorno alle quali, poi, si pongono nel corso del successivo «ricordo» piccoli frammenti che integrano e chiarificano («testi»): un tale miscuglio di «unità foto-testo» è, infine, il risultato finale di ogni tentativo di ricordo consapevole”. <188
Questa accurata descrizione del processo memoriale rappresentato in forma letteraria è quanto avviene nella prassi scrittoria delle opere sopra menzionate. Nei due «romanzi svelti», come lo stesso autore li definisce, i capitoli sono strutturati in due parti. La prima è costituita da un brevissimo testo graficamente diviso dal resto del capitolo, perché incorniciato da una linea semplice. È la «foto» a cui Schmidt fa riferimento, la successione di singole, limpide immagini che appaiono nella mente quando ci si appresta a ricordare un avvenimento. È l’input che stimola il ricordo e può essere un piccolo e insignificante momento quotidiano di cui ci si ricorda improvvisamente, in modo chiaro e limpido e che permette di tornare indietro nel tempo. Dopodiché queste «immagini» vengono ampliate e integrate da una seconda parte, costituita dal «testo». È questo il momento in cui il primissimo ricordo si sviluppa in una descrizione dettagliata di ciò che è avvenuto prima o dopo quel preciso istante.
Per Schmidt questa miscela di «varie unità foto-testo» è la base per una nuova forma prosaica che consente di trasportare letterariamente il ricordo. È una forma frammentaria, che consente di «rivelare la “struttura porosa” del vissuto, cioè la relazione reciproca fra gli eventi». <189 E, leggendo i due romanzi in questione, la sensazione che si avverte è proprio quella di una mancanza di omogeneità nel tessuto testuale. Il tema del ricordo si avverte in tutta la sua frammentarietà, evidenziando, come Calzoni sostiene, la necessità di un lettore attivo, «chiamato a ricomporre il mosaico degli eventi del passato attraverso i frammenti che costituiscono la narrazione». <190
Tuttavia, la presenza del visivo nelle due opere di Schmidt sopracitate non è immediatamente riconoscibile. Soprattutto, quelle che l’autore chiama «foto» sono, in realtà, vere e proprie descrizioni di precisi momenti del passato, una serie di «immagini in movimento» che si compongono solo nella mente di chi ricorda (in questi casi del protagonista dell’opera, o di Schmidt stesso, essendo questi romanzi prettamente autobiografici). Se, come nel caso dei collage testuali di Weiss, l’assenza di azioni crea effettivamente in chi legge la sensazione di «vedere» un’immagine, di averla davanti agli occhi, in questi scorci di ricordi il lettore riesce a riconoscere piuttosto dei fotogrammi di una più ampia azione. Infatti, questi piccoli riquadri testuali non prevalgono in statiche descrizioni paesaggistiche, sono invece spesso sono costituiti da azioni, da un susseguirsi di movimenti, se non addirittura da dialoghi. È il caso del nono «capitolo» di “Die Umsiedler”, la cui foto iniziale racconta il momento in cui il protagonista si appresta a radersi, perché ciò gli è richiesto dalla compagna: “«Guarda: gli altri si rasano già tutti!». «Ma sei proprio sicura che non ti piace un uomo barbuto?» – arricciò il mento dal disgusto, e mugolai ancora un poco, ma poi mi misi in coda al rubinetto. «Con l’acqua fredda!»; suonò così forte da rimprovero, che impaurita mi carezzò (finché fece abitudine del linguaggio teatrale). «Te, che robo è laggiù?!» Girai scandalizzato la soaphead e reclamai attraverso il naso: dunque o rasarsi, tesoro, o spiegare l’Ehrenbreitstein, scegli! Mentre mi asciugavo, ebbi davanti la fila di case diroccate; il profugo dava da mangiare alla sua capra; e dietro giunsero dalla Croce Rossa con pasta e carne di cavallo (ma più frattaglie e cartilagini!)”. <191
Il discorso diretto, i verbi di moto come «mi misi in coda» e «girai», nonché il cambiamento di stato del protagonista (prima «uomo barbuto», poi «uomo rasato»), rendono difficile la composizione di un’unica, ferma immagine, poiché la narrazione avviene nel corso di un (seppur breve) tempo e non risulta, dunque, essere statica. Piuttosto, pare che questa «foto» sia, come detto, una sequenza di fotogrammi, che, uniti, compongono un’azione, o, ancor meglio, uno scorcio di ricordo, sviluppato poi nel testo che segue l’immagine.
Tuttavia, è interessante che l’autore chiami questi incipit con un termine così legato alla visualità. Al contrario delle opere di Sebald, nelle quali la valenza della fotografia come strumento oggettivo e documentaristico di rappresentazione del reale viene messo in dubbio, Schmidt, con tale designazione, rende quanto più preciso il ricordo, caricandolo di verità e di assoluta corrispondenza alla realtà.
Se, però, la visualità di queste prose innovative va ricercata più nel processo del «ricordare» e, dunque, a un livello quasi esclusivamente cognitivo piuttosto che testuale, quello che è estremamente visuale è il ricorso a precise forme geometriche per designare le «curve di movimento» che avvengono all’interno del ricordo. A ognuna di queste «curve» corrispondono certe tematiche e certe conseguenze sul piano ritmico, linguistico e contenutistico. A tal proposito così si legge in “Berechnungen I”:
“Per quanto riguarda il numero e la lunghezza delle foto e dei testi, così come per il loro
ritmo e la loro raffinata costruzione, sono decisivi:
la curva di movimento e il tempo
delle azioni nello spazio !
C’è una differenza fondamentale, se io un luogo
velocemente
lo devo
sorpassare
O se
lentamente
lo posso
circoscrivere”. <192
E a ciò Schmidt allega una tanto esauriente quanto complessa tabella nella quale a ogni «curva di movimento delle azioni nel tempo» (designate, ad eccezione della prima – «dritto; avanti» – , dai nomi delle figure geometriche «ipocicloide», «epicicloide», «punto; rotante», «spirale; indietro», «spirale; avanti» e «lemniscate») corrispondono una modalità temporale precisa (veloce, lento, frettoloso, uniforme, accelerato, smorzato, sfumato), determinate tematiche (ad esempio, «trasporti», «piccolo mondo», «zona proibita», etc.) e precise conseguenze a livello testuale. Per fare due esempi: la prima curva di movimento, chiamata «dritto; avanti» prevede un tempo «veloce», una tematica relativa ai «trasporti» o, in ogni caso, allo spostarsi da un luogo a un altro e, come conseguenza ritmico-contenutistica, la costituzione di circa 25 brevi foto e testi, frasi brevi, e dinamismo; la curva di movimento «spirale; indietro» prevede un tempo «smorzato», come tematica risulta adatta quella della «sopravvivenza» a una guerra o a una situazione di pericolo e, come conseguenza testuale, la presenza di unità che progressivamente si accorciano, di parole all’inizio di una lunghezza «filamentosa» sino a una concentrazione «stilettosa».
La rappresentazione del movimento temporale attraverso le figure geometriche e la sua realizzazione a livello testuale è quanto di più visivo venga messo in pratica da Schmidt in questi testi.
[NOTE]
152 Cfr.: Cometa (2011)
153 Agazzi (2016)
154 Hirsch (1997), p. 22: «la postmemoria è una forma efficace e molto particolare di memoria proprio perché il rapporto con il proprio oggetto e con la sua fonte è mediato non tanto tramite la rimemorazione, ma tramite un investimento immaginativo o una forma di creatività»
155 Agazzi (2016), p. 86
156 Ivi, p. 87
157 Ivi, p.89
158 Ivi, p. 90
159 Agazzi (2012), p. 98
160 Ibidem
161 Ribatti (2014)
162 In particolare Ribatti si riferisce a: Cometa (2004), (2010), (2011), (2012).
163 Ribatti (2014), p. 3
164 Ibidem
165 Ivi, p. 5
166 Horskotte (2009)
167 Ribatti (2014), pp. 8-9
168 Ivi, p. 9
169 Cometa (2014), p. 53
170 Ivi, p. 47-78
171 Ivi, p. 54
172 Ivi, p. 63
173 Ivi, p. 65
174 Cappellotto (2010), p. 9
175 Ivi, p. 10
176 Ivi, p. 11
177 Castellari (2010), pp. 6-7
178 Weiss (1962), p. 195-197, cit. in Ivi, p. 6
179 Castellari (2010, p. 7
180 Cometa (2014), p. 68
181 Ibidem
182 Weiss (2016), p. 62, citato in Cometa (2014), p. 68: «Da stand ich auf und ging nah an ihn heran und legte mein Ohr dicht an seinen Mund und nun konnte ich mir aus seinen Atemzügen und Zungenbewegungen folgende Worte deuten, Wunden nicht heilen, wie ich auch schneide, tief aushöhle, bis auf die Knochen, Messer auf Knochen knirschen, schaben, abbrechen, sitzt noch tiefer, abbinden, die ganze Nacht, die ganze Nacht wacht, immer noch Blut, Eiter,, weiter, unten am Arm, dann eriter oben, hoben, Achselhöhle, Oberarmknochen, Wasser kochen, Gelenk, verrenk, hochbinden, finden, bis zu den Rippen, in der Brust, tief in der Brust, Herz frei legen, Lungenflügel, Beine, Gips um die Knöchel legen, sägen, ausfegen, um die Waden, Schienenbeine aufgeschnitten, Sehnen, Gips ums Knie legen, Oberschenkel, tief im Unterleib, zwei Töpfe Eiter und Blut, weiter in Wut, und jetzt…»
183 Ivanovic (2005), p.72
184 Ivi, p. 73: «Bei Max ernst wirken die Collagen romangenerierend»
185 Ibidem
186 Ivi, p. 76: «Seine Haupttendenz ist, nicht zu erzählen, sondern zu beschreiben. Die Konsequenz aus dieser Vorgabe ist, dass nicht der Ablauf der Handlung in der Zeit dominiert, sondern die Vergegenwärtigung einer Situation als Bild […]. So werden die Handelnden zwar als Personen im Raum eingeführt, nicht aber als Glieder eines Handlungszusammenhangs»
187 Ivi, p. 89-90: «So kann einerseits die Textkenntins einzelne Elemente der Collage entziffern helfen […], andererseits kommentieren umgekehrt die Collagen das im Text beschriebene Geschehen auf eine Weise, die andere Akzente setzt, als sie ein auf den erzählerischen Ablauf fixierter Lesen bei der ersten Lektüre erkennen würde»
188 Schmidt (1955), p. 113-114: «Ausgangspunkt für die Berechnung der ersten dieser neuen Prosaformen war die Besinnung auf den Prozeß des »Sich=Erinnerns«: man erinnere sich eines beliebigen kleineren Erlebniskomplexes, sei es »Volksschule«, »alte Sommerreise« – immer erscheinen zunächst, zeitrafferisch, einzelne sehr helle Bilder (meine Kurzbezeichnung: »Fotos«), um die herum sich dann im weiteren Verlauf der »Erinnerung« ergänzend erläuternde Kleinbruchstücke (»Texte«) stellen: ein solches Gemisch von »Foto=Text=Einheiten« ist schließlich das Endergebnis jedes bewußten Erinnerungsversuches»
189 Calzoni (2013), p. 284
190 Ibidem
191 Schmidt (2016), p. 33; orig. Schmidt (2015), p. 94: «Sieh mal : die Andern rasieren sich schon Alle !». «Magst Du denn nun auch ganz bestimmt keinen Mann mit Vollbart?» – sie krauste das Kinn vor Abscheu, und ich stöhnte noch ein bißchen, ging aber dann doch zu der Schlange am Wasserhahn. «Mit Kaltem!»; so mächtiger Vorwurf war darin, daß sie mich erschreckt streichelte (bis sie der Bühnensprache gewohnt wurde). «Du, was iss das da drüben?!» Ich drehte entrüstet den soaphead und beschwerte mich durch die Nase: also entweder rasieren, Du Ding, oder den Ehrenbreitstein erklären, wähle! Als ich mich abtrocknete, stand drüben die ruinierte Häuserreihe; der Flüchtlin fütterte seine Ziege; und hinten kamen sie vom Roten Kreuz mit Nudeln und Pferdefleisch (aber mehr Eingeweide und Knorpel!)»
192 Schmidt (1955), p. 114 «Für Anzahl und Länge der Fotos und Texte, sowie deren rhytmischen und sprachlichen Feinbau sind das Entscheidende: / Bewegungskurve und Tempo der Handelnden im Raum! / Es ist ja ein fundamentaler Unterschied, ob ich etwa einen Ort / rasch / durchfahren / muß / oder ihn / langsam / umkreisen / kann»
Silvia Vezzoli, Scrivere per immagini: lo stile sperimentale di Herta Müller, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, 2015