Dubito perfino che Betocchi sia esistito

Come un oriente che beato
eppur mesto illumina un cielo,
tinge di sé stesso il creato
d’un allegro, d’un triste velo. <1
Realtà vince il sogno è la prima raccolta di liriche di Betocchi, pubblicata a Firenze per le Edizioni del Frontespizio. Nel contesto della fondazione della rivista – a cui il poeta aveva collaborato attivamente <2 – Carlo Betocchi si trova ad instaurare collaborazioni con personalità quali Nicola Lisi e soprattutto Pietro Bargellini <3, che successivamente si riveleranno decisive per l’inizio del percorso poetico del nostro, rappresentato, appunto, dalla raccolta in questione. Sarà infatti proprio Bargellini a occuparsi, inizialmente, della pubblicazione di alcune liriche all’interno della rivista e, successivamente, a scegliere <4 e organizzare la raccolta del ‘32.
[NOTE]
1 Cfr. Sulla natura dei sogni in BETOCCHI 1984, p. 40.
2 Il Frontespizio nasce e muore con Betocchi tra i più assidui animatori; fondata nel 1929 cesserà le pubblicazioni nel 1940. Principale rivista di ispirazione cattolica per tutti gli anni ‘30 in Italia, vedrà passare in veste di collaboratori più o meno attivi personalità di spicco del panorama culturale italiano dell’epoca del calibro di Piero Bargellini, Giovanni Papini, Carlo Bo, Oreste Macrì, Nicola Lisi. Oltre ad essere la prima sede di pubblicazione di liriche che successivamente entreranno a far parte di Realtà vince il sogno, è anche luogo in cui verranno ‟scoperti” e pubblicati Luzi e Sereni nonché centro in cui si sviluppa la polemica ermetica legata alla pubblicazione del saggio di Carlo Bo Letteratura come vita (1938).
3 La collaborazione con Bargellini affondava le sue radici ai tempi della frequentazione della scuola secondaria: «Ci trovammo con Bargellini nel 1912, allievi della stessa classe dell’Istituto Tecnico Galileo Galilei di Firenze.»; sempre con Bargellini, ma questa volta anche con Lisi, Betocchi costruirà un primo nucleo collaborativo che costituisce una significativa anticipazione della fondazione de Il frontespizio: «Ma Bargellini si ricordò di me quando dette vita, nel 1923, alla prima rivista, che ebbe il nome originale di Calendario dei pensieri e delle pratiche solari: nome lisiano. Ci lavoravamo, infatti, Bargellini, Lisi ed io.». Le parole sono di Betocchi, tratte da un’intervista contenuta in VOLPINI 1971, pp. 1-10; cfr. anche MENGALDO PIN, p. 597.
4 Cfr. L. Baldacci in BETOCCHI 1984, Introduzione, p. 14.
Davide Murari, Per uno studio su Carlo Betocchi. Metro, lingua e stile in diacronia, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2016/2017

[…] Negli anni Trenta del Novecento, a Firenze, lo scambio per lettera era ancora l’unico strumento di comunicazione in absentia fra i molti giovani e meno giovani, artisti ed intellettuali, che partecipavano alla intensa vita culturale della città. Essi, infatti, molto spesso si conoscevano all’università o nelle redazioni delle riviste e delle case editrici e poi iniziavano delle lunghe corrispondenze epistolari che, ancora oggi, permettono di approfondire un periodo storico particolarmente vivace, dal punto di vista culturale, e ricco di rapporti umani e intellettuali. L’interesse per questi scambi epistolari, intesi come documenti e testimonianze storico-culturali, si associa dunque a quello per l’evoluzione del genere epistolare e di una tradizione retoricamente codificata.
Il lungo dialogo fra Bo e Betocchi, durato dal 1934 al 1985, può dunque servire come «campo di riconoscimenti» agli spunti teorici fin qui offerti. A distanza di più di un secolo da quello fra Leopardi e Giordani, anche il carteggio Bo-Betocchi si basa sullo scambio intellettuale e sulla loro «intimità al servizio della letteratura». Come scrive Bo, nel suo saggio più famoso, Letteratura come vita, per letteratura si vuole intendere «una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza». Questa concezione della letteratura, che sottende tutto l’arco del carteggio in esame, va dunque a collocarsi e a proporre la strada specifica per affrontare l’ambiguità ineliminabile della scrittura epistolare. Il carteggio fra Bo e Betocchi dimostra ancora una volta quello che Todorov ha scritto in La letteratura in pericolo: sia l’opera letteraria, che la scrittura epistolare, possono «permettere a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano» e trasformare quindi la parola scritta in un mezzo insostituibile di maturazione personale e di comunicazione con l’altro.
Nell’ultima lettera di Betocchi a Bo, quella del 7 novembre 1985 dettata alla figlia Silvia, pochi mesi prima della sua morte, il poeta ormai quasi ottantenne dichiara di aver trovato nell’amico la più approfondita vicinanza al suo spirito […]
Annalisa Giulietti, «Una preziosa testimonianza» tra vita e letteratura. Il carteggio inedito Bo-Betocchi (1934-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2019

Lettera 59
S. Michele di Tiorre, presso Cantarelli 4 maggio [1]944
Carissimo [Giacinto Spagnoletti],
la Galleria è sfuggita di pochi metri: comunque è chiusa, ultimo conato delle nostre tristiori letizie.
[…] Il povero Betocchi <2 giace da 80 giorni a letto ammalato di pleurite a Bologna: scrivigli qualcosa: è sempre più aereo e dolce. Che dirti altro?
[…]
Scrivimi qui. Riceverò al mio ritorno da Borgotaro. Saluti cari a Pierina e a tutti i tuoi anche da Albertina, che poveretta ha molto sofferto in questi giorni.
A te un valoroso abbraccio dal tuo
Oreste [Macrì]
Lettera manoscritta. Busta mancante.
[NOTA]
2 Al poeta Carlo Betocchi (1899-1986) Macrí dedicherà numerosi studi, tra cui: Studio archetipico-testuale sulle “seconde” poesie di Betocchi, con un risguardo rivolto alle “prime” («Antologia Vieusseux» XVI, 1-2, 1981, pp. 25-70) e Studi betocchiani (Carlo Betocchi. Atti del Convegno di Studi, a cura di L. Stefani, Le Lettere, Firenze 1990) – entrambi gli interventi ora nel macriano La vita della parola. Da Betocchi a Tentori, cit., pp. 97-219. Su Betocchi cfr. anche Anniversario per Carlo Betocchi (Atti della Giornata di Studio, Firenze 28 febbraio 2000), a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 2001.
(a cura di) Andrea Giusti, «Si risponde lavorando». Lettere 1941-1992 / Oreste Macrí-Giacinto Spagnoletti, Firenze, Firenze University Press, 2019

Lettera 60
[Marzano t.p.] [9 maggio 1944 t.p.]
Carissimo [Oreste Macrí],
no, non va proprio bene. Leggo nella tua più di quanto non dici: e ti comprendo. A parte la morte e le sue esperienze, sento che non va bene, che questa primavera non è precisamente quella che mi aspettavo. Brutta, stupida, deforme, odiosa, come una vecchia che ha molti anni, e non ha nessuna intenzione di morire, o di lasciare il passo ad altre età. E poveri noi con la nostra giovinezza macchiata, intontita, oh davvero poco privilegiata. Non c’è nulla da aspettarsi: nemmeno un rimpianto.
[…] Molte care cose a Albertina, alla quale farai i saluti di Piera e da me un abbraccio caro
Giacinto [Spagnoletti]
A Betocchi cosa dire? Accidenti, più il tempo passa, e più il passato mi sembra illusorio. Dubito perfino che Betocchi sia esistito.
Lettera manoscritta. Busta indirizzata a «Sig.ra Albertina Baldo Macrí / S. Michele di Tiorre / presso Cantarelli / Parma». T.p. del 9 maggio [19]44. (Sul verso della busta: spedisce: Gina Incerti. Marzano (Parma)).
Andrea Giusti, Op. cit.

Lettera 101
Taranto 12 ottobre [19]46
Caro Oreste [Macrí],
prima ancora che venisse la tramontana a Taranto, quest’autunno (fatto importantissimo, come immagini), è giunto il tuo quaderno di poesia.
Taranto si è riempita di una strana luce appenninica, al mio sguardo incantato. Giacché i tuoi versi – è ben vero che non vogliono essere commentati alla stregua di un fatto letterario – mi hanno aperto specchi di ricordi lucenti (1943…) ed ora me li rigiro in queste giornate fredde, col pianto in gola.
Ahi, le lontananze come si rimpiccioliscono al fiato della poesia!
[…] L’antologia, come prevedevo, sta attraversando quel denso murmure dei pettegolezzi ambientali che non detesterei troppo – te lo confesso – se io vi potessi partecipare. Ma che gusto c’è sfottermi a distanza, approfittando delle mie mani legate? Carlino <1, bene interpretando quel sapore, quella leggenda che il libro contiene, me ne ha scritto assai favorevolmente e dice che un lungo articolo sul «Lombardo», consacrerà la sua soddisfazione.
Più o meno a Milano ho avuto buone accoglienze, se si eccettua naturalmente il perfido nanerottolo di via Sismondi <2, che fa pervenire auguri per lettera, e poi soffia veleno in disparte.
È Roma, Roma irritata, meravigliata, inviperita. Bene, a chi la tocca la tocca.
[…] Accetta un caro abbraccio con i saluti più cordiali
Giacinto [Spagnoletti]
Piera
Lettera dattiloscritta (LS), ad eccezione delle firme. Busta (LS) indirizzata a «Oreste Macrí / via Puccini [cassato], 9 / Parma [cassato] / Presso Baldo / V.C. Colombo 30 / (Torino)». T.p. del 14 ottobre [19]46.
[NOTE]
1 Carlo Bo
2 Il riferimento è all’abitazione milanese di Luciano Anceschi.
Andrea Giusti, Op. cit.

Il primo incontro fra Bo e Betocchi avvenne intorno agli anni ’30, a Firenze. La città, che come afferma lo stesso Bo «era una città ancora domestica, familiare» <45, viveva all’epoca un diffuso fervore culturale ed era divenuta «dimora vitale per eccellenza» <46 di molti giovani intellettuali ed artisti. Nonostante la Grande Guerra e il fascismo avessero distrutto e continuassero a distruggere molte delle possibilità migliori per i giovani, compresa quella di imparare apertamente dal passato e dalla tradizione dei migliore maestri, Firenze era la ‘città giusta’ in Italia per continuare a fare progetti in grande e dedicarsi a solidi rapporti d’amicizia. Come più volte ripetuto da Carlo Bo, in un periodo caratterizzato dai divieti e dalle chiusure imposte dal Regime, la poesia rappresentava l’unica possibilità di un vero apprendimento e di profondità spirituale con i compagni, «l’unica attività pura e degna di essere vissuta» <47. A Firenze, dunque, si poteva respirare un clima particolarmente vivace dal punto di vista culturale e gli uomini, impegnati a capire i propri interessi e a farlo soprattutto attraverso la letteratura, si riunivano coi compagni in moderni cenacoli, gruppi di sodali nati all’interno delle università, delle librerie, delle riviste letterarie e, anche, dei numerosi caffè della città <48 vita e gli interessi intellettuali, le questioni private e quelle lavorative, le idee e i risultati delle fatiche e delle letture compiute in solitudine diventavano patrimonio comune di conoscenza attraverso le discussioni orali e quelle sulle pagine delle riviste.
[…] Decisi a non cedere alle imposizioni che venivano dall’alto e a una politica che si sforzava di irreggimentare ogni aspetto delle loro esistenze, dalla vita pubblica a quella intima <50, i giovani cercavano nella letteratura, in poesia e nelle arti contemporanee «l’oggetto privilegiato» del loro discorso <51. Essi, insieme, tentavano di vivere seguendo soprattutto le proprie convinzioni e gli insegnamenti che si davano fra loro. «In un’epoca di grandi incubazioni», in cui sogni e speranze plasmavano un mondo «di vaste polivalenze» <52, questo clima diretto allo scambio era stato favorito soprattutto grazie alla realtà multiforme delle riviste letterarie.
[NOTE]
45 Intervista a Carlo Bo del 22 ottobre 1983, riportata in Tabanelli, Carlo Bo. Il tempo dell’ermetismo, cit., p. 190.
46 «… La pagina illustrata…». Prose e lettere fiorentine di Carlo Betocchi, a cura di M. Baldini, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, p. 8.
47 Nell’intervista di Carlo Bo del 26 febbraio 1979, da cui è presa questa citazione, il critico continua spiegando a Giorgio Tabanelli: «Che cosa voleva dire questa esaltazione della poesia? Voleva dire rifiuto della realtà, del mondo così come il fascismo ce l’aveva fatto, ce l’aveva presentato. Era la negazione di ogni forma di retorica, di tutto quello che del dannunzianesimo era passato nel fascismo, vale a dire l’esaltazione della romanità, della patria con la maiuscola, delle virtù civili e militari, dello spirito guerriero» (in Tabanelli, Carlo Bo. Il tempo dell’ermetismo, cit., p. 24).
48 Ricordando il periodo giovanile fiorentino, gli amici, le riviste, e l’importanza della lettura, Bo definisce la loro «una vita che si svolgeva o in biblioteca o nelle librerie e gran parte del tempo era apparentemente perduto nel caffè, vale a dire sembravano periodi di ozio mentre invece si avevano contatti. […] Le discussioni al caffè avvenivano sugli avvenimenti letterari […] non c’era questa rapidità, questa velocità che caratterizza il nuovo mondo e anche i libri non soggiacevano completamente a quella che è la regola della industrializzazione; e perciò erano dei punti di riferimento» (intervista del 22 ottobre 1983, in Tabanelli, Carlo Bo. Il tempo dell’ermetismo, cit., p. 190). Per un approfondimento sul ruolo dei caffè letterari, in Italia e in Europa, che dalle esperienze del XIX secolo ha condotto fino al novecentesco caffè fiorentino delle Giubbe Rosse, cfr. E. Livorni, The Giubbe Rosse Café in Florence. A literary and political alcove from Futurism to Anti-Fascist Resistance, «Italica», a. LXXXV, n. 4 (2009), pp. 602-622, in cui Livorni scrive fin da subito: «The literary cafés in Italy and indeed all over Europe have made the history of culture and ideas of that country and that continent, at least, since the eighteenth century. The importance of cafés had noticeably increased throughout the nineteenth and the first half of the twentieth centuries, but it slowly diminished in the second half. […] One of the most influential cafés of the twentieth century in Italy from a literary and cultural viewpoint is the Caffé Letterario Giubbe Rosse in Florence […] [which] marked the first phase of the cultural history of the Kingdom of Italy until World War I. However, its ingluence continued even after the Great War in the period marked by the Fascist regime in Italy […]» (ivi, p. 602).
50 Giorgio Luti, nell’affrontare la letteratura, e quindi soprattutto le riviste, del ventennio fascista, non può non sottolineare come il confronto col Regime fascista sia stato spesso indirizzato verso una forma di collusione, più o mena aperta, una forma di «compiacente ospitalità» della cultura nella politica, o, in seguito, di una «rivoluzione bianca» (cfr. G. Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre: 1920-1940, La Nuova Italia, Firenze, 1972).
51 G. Innamorati, Tra critici e riviste del Novecento, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1973, p. 59.
52 L. Bedeschi, Il tempo de «Il Frontespizio». Carteggio Bargellini-Bo, 1930-1943, Camunia, Milano, 1989, p. 8.
Annalisa Giulietti Op. cit.

Cartolina postale inviata da Roma il 19 dicembre 1948 a Mario Luzi da Carlo Betocchi

Ulteriore dimostrazione della nuova disposizione autoriale nei confronti del vero consiste nella presenza della volontà dedicatoria: Dediche è il titolo della terza sezione della raccolta, in cui si concentrano i componimenti più propriamente dedicatori dell’opera, ma lo stesso Diarietto si apre con una poesia – ed è l’unica della sezione a presentare un vero e proprio titolo – dal titolo Dedica ad un ragazzaccio. Non che prima del ’61 la poesia di Betocchi non comprendesse testi con funzione dedicatoria, ma è pur vero che tutti gli esempi antecedenti a L’estate <300 sono dedicati a generici personaggi privi di contorni definiti; in Dediche, invece, non solo la dedica è spesso scissa dal titolo propriamente detto, ma essa necessita anche di una ricerca tesa ad identificare la persona reale e storicamente definita cui la poesia è dedicata. Inoltre, il sistema delle dediche non si limita alla sola sezione omonima, ma risulta trasversale all’intera raccolta. Scorrendo nell’ordine le poesie <301 con una dedica esplicita e d’autore appena successiva al titolo, leggiamo:
L’opera comune, per dedica all’amico poeta, critico, lettore: titolo della prima sezione dell’opera, composta da una singola poesia per altro non a sua volta titolata. Rimane ignota l’identità dell’amico, anche se forse si tratta di Oreste Macrì, dato che la descrizione gli si adatta e che risulterà poi dedicatario in altre occasioni interne a L’estate; d’altra parte, il discorso vale altrettanto per Carlo Bo, di conseguenza risulta difficile capire a chi l’opera sia effettivamente dedicata.
La pazienza, A Carlo Bo: la dedica investe l’intera seconda sezione della raccolta; l’amicizia tra Betocchi e Bo risale ai primissimi tempi di attività poetica del nostro e prosegue lungo tutta la sua vita <302;
– in Dediche, Per Pasqua: auguri a un poeta, a Giorgio Caproni: poesia esplicitamente dedicata a Caproni, con cui Betocchi intrattiene una relazione d’amicizia, certificata dal fitto epistolario <303 cominciante fin dal 1936; per altro, Betocchi fu anche recensore del primo volume pubblicato da Caproni Come un’allegoria <304 […]
[NOTE]
300 E sono: in Altre poesie, Alla sorella (cfr. BETOCCHI 1984, p. 96), All’amata (cfr. BETOCCHI 1984, p. 98), Alla moglie (cfr. BETOCCHI 1984, p. 104), Alla dolorosa Provvidenza (cfr. BETOCCHI 1984, p. 126); in Notizie, Alla sera (cfr. BETOCCHI 1984, p. 138), Al figliolo (cfr. BETOCCHI 1984, p. 155); in Tetti toscani, Ad una campana (cfr. BETOCCHI 1984, p. 161), A Emilia (cfr. BETOCCHI 1984, p. 170), Per l’ultima nata (cfr. BETOCCHI 1984, p. 181), Alla mamma (cfr. BETOCCHI 1984, p. 184).
301 Non includo in questa disamina le dediche presenti nella sezione Il vetturale di Cosenza, di cui ho già parlato nel capitolo precedente.
302 Come dimostra il corposo numero di recensioni e articoli di Carlo Bo su Betocchi lungo tutta la sua vita. Si veda, a tal proposito, la bibliografia presente in Appendice di CIVITAREALE 1994, pp. 136-158 e, ovviamente, TARSI 2008C. Cfr. anche le numerose lettere che i due si scambiarono, ancora inedite e conservate presso il fondo Carlo Betocchi dell’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del gabinetto G. Vieusseux a Firenze.
303 Cfr. Carlo Betocchi – Giorgio Caproni, Una poesia indimenticabile. Lettere 1936-1986, a cura di Daniele Santero, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2007.
304 Ibidem.
Davide Murari, Op. cit.