Circa alcuni studi di storia sul neofascismo

L’espressione neofascismo iniziò ad essere usata in Italia quando la seconda guerra mondiale era ancora in corso. In un’intervista pubblicata dall’edizione meridionale de «L’Unità» nel maggio 1944, Fausto Gullo, da poco nominato ministro dell’Agricoltura del secondo governo Badoglio, reputò “la ragione centrale della formazione del nuovo governo […] il massimo potenziamento del concorso italiano alla lotta di liberazione del Paese dagli eserciti hitleriani e da ogni traccia di fascismo o di neo-fascismo” <2. L’appellativo di neofascisti, per altro già in uso anche nell’ambito della Repubblica sociale italiana <3, comparì sempre più frequentemente nei primi mesi del dopoguerra anche in ambito poliziesco, via via soppiantando altre definizioni quali ex fascisti, ammiratori del cessato regime, reazionari, nostalgici o similari. Cosa debba effettivamente intendersi per neofascismo, tuttavia, non è semplicissimo da chiarire. Il termine ha finito per rappresentare genericamente l’estrema destra italiana dopo il 1945, definendo una categoria onnicomprensiva che raramente, e con difficoltà, è stata specificata. Lungi dall’essere utilizzato come elemento qualitativo, al prefisso neo è stata per larga parte assegnata una mera funzione cronologica; spesso, soprattutto nell’ultimo trentennio, il prefisso non viene neppure utilizzato, in particolare nell’uso pubblico. Già in una lettera dell’estate 1949 inviata al settimanale satirico «Asso di bastoni», Giorgio Almirante osservava che “Per l’opinione pubblica siamo «i fascisti» e basta” <4.
“Fascista – fa notare lo storico statunitense Payne – è stato uno dei dispregiativi politici più frequentemente evocati, normalmente con la connotazione di “violento”, “brutale”, “repressivo” o “dittatoriale”. Eppure, se fascismo non significasse altro che questo […] si priverebbe la parola di qualunque utilità specifica” <5.
Su questo punto può dirsi che gli studi storici non siano stati granché d’aiuto. In un saggio del 2006, il politologo della Singapore Management University Riccardo Pelizzo segnalava il disappunto di diversi studiosi per la scarsa attenzione scientifica prestata, a partire dal secondo dopoguerra, ai partiti di estrema destra <6. E questo, fa notare, anche in paesi come l’Italia dove essi hanno goduto di una forza elettorale non trascurabile.
Tale osservazione rimbalzava fino al sud-est asiatico dalle osservazioni in proposito fatte più di quindici anni prima da Piero Ignazi nel suo studio sul Movimento Sociale Italiano. Nella riedizione di questo lavoro (1998), Ignazi annotava un certo miglioramento del panorama bibliografico riguardo all’estrema destra, che dieci anni prima gli era apparso “pressoché deserto” <7. Questo a significare la (ri)nascita di un interesse per il “fenomeno destra” dovuta, secondo l’autore, da un lato all’affermazione in alcuni paesi europei di movimenti o partiti di estrema destra (che avevano già fatto la loro comparsa alla metà degli anni Ottanta), dall’altro al successo elettorale della destra italiana nel marzo 1994 <8.
Trascorso qualche mese da quella consultazione elettorale (collocandosi tra l’altro fra le due edizioni del volume di Ignazi) il trimestrale del Centro di studi e di iniziative per la riforma dello Stato (CRS) <9 uscì con un numero monografico sul tema delle destre <10. Nel corso della presentazione del volume, l’allora direttore del CRS spiegò come “Il programma della rivista nasce […] dalla convinzione che c’è una lettura della crisi e una tematizzazione dei nodi di questa crisi che sfugge ancora alla sinistra. All’interno di questo tutto l’universo che chiamiamo destra, le sfaccettature, le correnti differenti, i percorsi, alcuni saldamente radicati sul terreno tradizionale della destra politica, altri via via fuoriusciti da quell’alveo erano totalmente sconosciuti. Pochissime sono state le opere di studio” <11.
La questione della carenza di studi viene problematizzata nel saggio di Pasquale Serra che apre tale numero di «Democrazia e Diritto» <12. Serra rileva come la “riluttanza” delle scienze storiche ad affrontare il tema della destra discenda dai due nessi speculari tracciati fra antifascismo e modernità da un lato, fascismo e tradizione dall’altro. Questa lettura, tipicamente azionista <13, “del fascismo quale prodotto di una arretratezza di lungo periodo della società italiana nel contesto europeo” <14, è responsabile della dissoluzione della “destra come oggetto (significativo) di conoscenza” <15.
A tal proposito Serra fa riferimento ad un eloquente articolo di Giuseppe Vacca pubblicato nell’agosto del 1978 sulle pagine de «L’Unità»: “Di quell’ampio e variegato movimento storiografico, che soprattutto dagli anni ’60 in poi ha cercato in tutti i modi di convincerci di una sorta di continuità fra fascismo e post-fascismo, probabilmente il risultato più serio è nella sollecitazione, che da esso è scaturito, a studiare il regime fascista […]. Se consideriamo il blocco delle analisi dedicate da Gramsci e da Togliatti al fascismo, soprattutto dal ’24 al ’35, ha dell’incredibile la regressione verificatasi nella storiografia di sinistra […] dopo la caduta del fascismo e fino a buona parte degli anni ’60” <16.
Ciò che, da un punto di vista storiografico, appare particolarmente rilevante del saggio di Serra è la periodizzazione proposta in merito a quel vuoto di ricerche. In una prima fase, identificata col trentennio 1946-1976, la visione della destra è cristallizzata su categorie di nostalgia residuale <17. Un fenomeno considerato per sua natura pericoloso, “ma di quella pericolosità non strutturale (e che proprio per questo si poteva evitare di conoscere) che, come la devianza, occorreva solo sorvegliare, punire, curare” <18. Da tale visione deriva, piuttosto che un’attenzione storiografica, la tendenza alla produzione di documentazione di denuncia, in particolare nella prima metà degli anni Settanta. <19
In questo l’analisi di Serra converge verso considerazioni già espresse negli studi che caratterizzano la seconda fase della sua periodizzazione, che egli fa coincidere con il lungo periodo di crisi del sistema politico italiano tra il 1977 ed il 1989 <20. Elemento determinante della produzione storiografica e sociologica del periodo è senz’altro il rifiuto, da parte di alcuni degli studiosi interessati, di “un uso non critico del termine «destra», operando doverose distinzioni sia tra fenomeni difficilmente affastellabili (destra missina, destra radicale, nuova destra) sia all’interno stesso del Msi” <21.
L’ultima tranche della tripartizione cronologica è infine indicata negli anni successivi al 1989, riguardo ai quali viene essenzialmente espresso il timore di una nuova regressione degli studi verso le forme dell’inchiesta militante. Tale timore non appare infondato. Se infatti, come già osservato, nel corso degli anni Novanta si può osservare un relativo incremento della produzione storiografica sul tema dell’estrema destra, i tratti tipici dell’inchiesta militante hanno rifatto la loro comparsa nell’ultimo decennio. Questo soprattutto in ragione della concentrazione degli studi e della pubblicistica sulle tematiche degli anni Settanta e, tra esse, sui temi della violenza, del terrorismo e della lotta armata.
Banalizzazioni e compressione dei fenomeni politici in categorie stagne (complotti, connivenze, regie occulte <22), utilizzi manchevoli o frettolosi delle fonti <23 e strafalcioni cronologici od evenemenziali <24 sono infatti fin troppo comuni anche in pubblicazioni scientifiche.
Un atteggiamento come questo può in parte essere ricondotto ad un discorso di carenza delle fonti.
Di fronte ad una relativa indisponibilità di carte di polizia, s’è fatto ampio ricorso a fonti di carattere giudiziario (sentenze, atti processuali, documentazione di commissioni parlamentari, etc.). L’uso di documentazione di tale natura, tuttavia, spesso non è accompagnato da una sistematizzazione specifica rispetto ad un complesso di fonti, né da un ragionato inquadramento nel contesto giuridico, politico e culturale nel quale essa è stata prodotta <25. Inoltre le caratteristiche intrinseche dell’inchiesta, del giudizio, del percorso eziologico, condizionano fortemente le ricerche che ne fanno uso primario, finendo per introiettarne le interpretazioni. Lo stesso discorso può essere fatto riguardo alla documentazione prodotta dai movimenti della sinistra extraparlamentare, che sul tema della destra presenta caratteristiche simili <26.
D’altro canto, tali carenze sottendono talvolta ad interpretazioni dei fatti molto specifiche, o ad un’interdipendenza culturale tra la memoria degli anni Sessanta e Settanta e la storiografia che di essi si è occupata <27. Si tratta per altro di una memoria focalizzata per lo più sulla violenza di quel ventennio; una memoria in cui, nel tentativo di essere metabolizzata attraverso un’ufficializzazione, e per tanto attraverso una condivisione, il tema delle vittime, nella sua scivolosa oggettività, occupa un posto centrale. Essa “si fonda quindi essenzialmente su riti di espiazione e di riparazione, […] quasi che la testimonianza delle vittime possa rappresentare la catarsi di una comunità ferita” <28.
L’egemonia memoriale di un paradigma vittimario <29 rende inevitabilmente poco lucide e superficiali le ricostruzioni su di esso basate <30. Il frequente ricorso a tale paradigma, inoltre, ha contribuito a strutturare la narrazione della violenza sulla distorsione del concetto stesso della violenza, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda il neofascismo: rappresentata come una violenza quasi sempre prima subita che agita, tale narrazione implode in una memorialistica (pur di notevole successo editoriale <31) recriminatoria oltre che vittimaria e finisce per essere privata di qualunque utilità interpretativa <32, soprattutto per quanto concerne il ruolo identitario prima e poi memoriale ricoperto da alcune specifiche vicende luttuose <33.
Dalla memorialistica, oltretutto, il paradigma vittimario si afferma anche nel discorso storico, andando a strutturare staticamente le cronologie e imponendo taluni eventi (di solito) luttuosi come rigidamente periodizzanti. Con esiti, come accennato, a volte deludenti.
[NOTE]
1 A. Cazzullo, Mogol: un braccio alzato per dirigere il coro, in «Corriere della Sera», 28/06/2005.
2 Il governo per i contadini, i contadini per la nazione, in «L’Unità», 04/05/1944. Si veda anche Quali erano le forze reazionarie che controllavano l’organizzazione fascista? in «L’Unità», 15/03/1945.
3 Cfr. I. Rossini, Riottosi e ribelli, cit., pp. 101-102, 136.
4 Il dibattito sul M.S.I. Una lettera di Almirante, in «Asso di bastoni. Settimanale satirico anticanagliesco», a. II, n. 34, 21/08/1949.
5 S.G. Payne, A History of Fascism, 1914-1945, The University of Wisconsin Press, Madison, 1995. Traduzione mia, corsivi nel testo.
6 R. Pelizzo, The Cartel party and the Rise of the New Extreme Right, Research Collection School of Social Sciences (Open Access), Paper 173, 2006, disponibile in rete all’indirizzo http://ink.library.smu.edu.sg/soss_research/173 (28/11/2012).
7 P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino, Bologna, 1998 (prima ed. 1989), p. 5.
8 Cfr. ivi, pp. 5-6.
9 Il CRS fu fondato nel 1972 come centro studi del Partito Comunista Italiano specializzato in temi politicoistituzionali. Ne sono stati presidenti, tra gli altri, Umberto Terracini, Pietro Ingrao, Pietro Barcellona e Mario Tronti.
10 Aa. Vv., Destra, «Democrazia e diritto. Trimestrale del Centro di studi e di iniziative per la riforma dello Stato», a. XXXIV, n. 1, gennaio-marzo 1994, ESI, Napoli, 1994.
11 Archivio di Radio Radicale, Registrazione n. 67444, “La cultura delle destre”. Presentazione del numero della rivista «Democrazia e Diritto» dedicato al tema della cultura di destra organizzata nell’ambito della Festa Nazionale dell’Unità, Modena, 09/09/1994, Giuseppe Cotturri, 04:40-05:20.
12 P. Serra, Destra e fascismo. Impostazione del problema, in Destra, cit., pp. 3-31.
13 Cfr. G. Santomassimo, La memoria pubblica dell’antifascismo, in F. Lussana, G. Marramao (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Culture, nuovi soggetti, identità, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 137-171.
14 Ivi, p. 146.
15 P. Serra, Destra e fascismo, cit., p. 4.
16 G. Vacca, L’intellettuale al servizio del fascismo, in «L’Unità», 03/08/1978.
17 Cfr. F. Ferraresi, La destra radicale, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 8: “[…] sembra prevalere, soprattutto a sinistra, un atteggiamento di sufficienza, che considera quest’area come un mero residuo storico, espressione di ceti preindustriali, di aree arretrate, di personaggi legati alle nostalgie del passato, complessivamente non meritevole di interesse concettuale”. Unica eccezione può considerarsi lo studio del politologo milanese G. Galli, La crisi italiana e la destra internazionale, Mondadori, Milano, 1974.
18 P. Serra, Destra e fascismo, cit., p. 6.
19 Si veda ad esempio lo studio di P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò ad Almirante, Feltrinelli, Milano, 1975, che mostrava tali caratteri già nell’introduzione di Carlo Rossella: “Questo libro ha la presunzione di colmare certe lacune, di saldare la documentazione storica sul neofascismo, dal 1946 in poi, con le pregevoli opere di ‘controinformazione’ servite in questi anni a smontare le trame del potere democristiano, a svelare i nomi dei terroristi, a smascherare la natura eversiva dei dirigenti e dei programmi del Movimento sociale italiano-Destra nazionale. Un partito che è l’immagine della illegalità, dell’oltraggio permanente alla lotta e alla Costituzione antifascista nata dalla lotta. La ‘storia’ del MSI intende essere un contributo utile a quelle attività antifasciste di massa volte a provocare la messa al bando di tutte le organizzazioni neofasciste ancora vive ed operanti nel nostro paese. Infatti, nonostante una precisa norma costituzionale […] in Italia dal 1946 in poi, i ‘rottami’ della Repubblica sociale italiana hanno continuato a propagandare i loro ideali, senza mai incorrere nei rigori della legge, anzi, delle leggi atte a perseguire ‘le forme nuove’ del fascismo […]. La lotta antifascista deve essere continua, sino al totale isolamento del MSI, sino alla sua definitiva messa al bando, prima ancora che nell’ordinamento legislativo, nelle coscienze di quegli strati popolari che ancora credono alla fallacia del verbo nero di Almirante”.
20 Cfr. in particolare R. Chiarini, P. Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), Franco Angeli, Milano, 1983; F. Ferraresi, La destra radicale, cit.; G. Tassani, Identikit della Nuova Destra, in «Bozze», n. 3-4, 1981. Oltre che nella produzione scientifica, questa nuova attenzione per i fenomeni di destra è manifestata anche in alcune occasioni pubbliche, come ad esempio il seminario La nuova cultura di destra organizzato dall’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla resistenza (IRSIFAR) nel febbraio 1980; il convegno Fascismo oggi. Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta organizzato a Cuneo nel novembre 1982 dall’Istituto storico in Cuneo e provincia; il convegno tenuto a Brescia per il decennale della strage di piazza della Loggia i cui atti sono pubblicati in P. Corsini, L. Novati (a cura di), L’eversione nera. Cronache di un decennio (1974-1984), Franco Angeli, Milano, 1985.
21 P. Serra, Destra e fascismo, cit., pp. 11-12.
22 Sul tema si veda A. Giannuli, La teoria del doppio Stato. Come superare lo scontro tra dietrologi e storici, in R. Polese (a cura di), Il complotto. Teoria, pratica, invenzione, Almanacco Guanda, Parma, 2007, pp. 51-61. “Dunque sgombriamo il campo […] da ogni visione «complottocentrica», per la quale la storia può essere spiegata con una sequela di oscure manovre. Pensare che ristretti gruppi, protetti dall’ombra della clandestinità, riescano a determinare il corso della storia da soli, senza che movimenti politici sociali, processi economici, correnti culturali abbiano alcun peso è una solenne sciocchezza”.
23 Cfr. ad esempio H. Rayner, Proteggere, subire, reprimere: la delicata gestione del terrorismo durante gli anni di piombo, in M. Lazar, M. Matard-Bonucci, Il libro degli anni di piombo. Storia e memoria del terrorismo italiano, Rizzoli, Milano, 2010, pp. 39-53: “I dirigenti dei servizi d’informazione e del ministero dell’Interno – si legge a p. 43 – chiudono un occhio per molto tempo sulle formazioni paramilitari neofasciste, di cui la legge Scelba del 1952 prescrive lo scioglimento. Per esempio, Ordine nuovo (ON), formatosi nel 1956 dopo la scissione del MSI, chiude i battenti soltanto nel 1973 a causa di un decreto ministeriale. La stessa sorte tocca nel 1976 ad Avanguardia Nazionale (AN), fondata nel 1959 a Roma da Stefano Delle Chiaie. Come spiegare questi meccanismi di collusione?”. In questo seppur recente saggio l’autore sorvola sulle distinzioni, ormai assimilate sia dal punto di vista giudiziario che storico, tra fenomeni politici. Il Centro Studi Ordine Nuovo, infatti, è stato un movimento legale, estinto dai suoi dirigenti che rientrarono nel MSI nel 1969, generando la scissione del Movimento Politico Ordine Nuovo, effettivamente sciolto con decreto ministeriale quattro anni più tardi. Stesso può dirsi di Avanguardia Nazionale Giovanile, che venne sciolta dal suo stesso leader Stefano Delle Chiaie nel 1966, a sei anni dalla fondazione, e rinacque nel 1970, mutata oltre che nel nome e nei militanti, anche nelle strategie e negli obiettivi. Le fonti, prime fra tutte quelle della Direzione generale di pubblica sicurezza conservate presso l’Archivio centrale dello Stato, forniscono un quadro chiaro di queste circostanze. La scelta, magari inconsapevole, di ignorarle mostra una lettura decisamente pre-orientata di quei fatti, che ne impedisce una più fruttuosa analisi.
24 Si veda ad esempio A. Ventura, La cultura del radicalismo di destra e il terrorismo nero in Italia, in id., Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma, 2010, pp. 117-135, originariamente pubblicato in Aa.Vv., 2 agosto 1982 ore 10,25: contro il terrorismo, per la democrazia, per la pace, Atti del Convegno «Il terrorismo delle stragi: la risposta dello Stato democratico» (Bologna, 31 luglio-4 agosto 1982), Graficoop, Bologna, 1983, pp. 70-80. L’autore postdata la nascita di Avanguardia Nazionale al 1969, identificandola con “il rientro nel Msi di Pino Rauti, assieme a parte dei seguaci di Ordine nuovo” e la conseguente scissione della “frazione intransigente che è rimasta fuori del Msi e ha dato vita al Movimento politico Ordine Nuovo e ad Avanguardia nazionale”. Sebbene lo scritto originario sia del 1982, sorprende che un errore così marcato permanga in una riedizione recente. La citazione è a p. 134.
25 Per un uso critico delle fonti giudiziarie si veda M. Sbriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sullo stato attuale degli studi di storia del crimine e della giustizia criminale, in «Studi Storici», a. XXIX, n. 2, pp. 491-501, Fondazione Istituto Gramsci, Roma, 1988. Si veda anche B. Tobagi, Le fonti giudiziarie, in I. Moroni (a cura), Rete degli archivi per non dimenticare. Guida alle fonti per una storia ancora da scrivere, ICPAL, Roma, 2010, pp. 21-28.
26 Fa in questo senso eccezione il volume di G. Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975), Einaudi, Torino, 2009 laddove analizza problematicamente le pratiche di schedatura dell’avversario come momento cruciale della militarizzazione dello scontro politico.
27 Recentemente David Bidussa ha scritto che “La storia degli anni ’70 si è sovrapposta a quella di una generazione lunga (in politica, nei media, nel sistema delle professioni, nell’area degli opinionisti…) da cui facciamo fatica ancora a liberarci o che con difficoltà è disposta a farsi da parte in nome del ricambio […] che ogni società sana, vitale, dinamica, dimostra di avere ed è capace di esprimere. Anche per questo forse farci i conti non è facile. Cfr. D. Bidussa, Gli anni ’70, quel buco nero della storia che si mangia il futuro, in «Linkiesta», http://www.linkiesta.it/piazza-fontana-anni-settanta, 12/12/2012.
28 G. De Luna, La repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 79.
29 Ivi, pp. 78 e ss.
30 A titolo d’esempio cfr. A. Melchionda, Piombo contro la giustizia. Mario Amato e i magistrati assassinati dai terroristi, Pendragon, Bologna, 2010. Nell’accorata ricostruzione dell’omicidio del procuratore Amato per mano dei NAR (23/06/1980), pur piuttosto documentata, si trovano errori piuttosto banali. A pagina 222 l’autore scorge nel termine cuib, usato da Terza Posizione per definire i gruppi attivistici territoriali, l’acronimo di “Comitato Universitario Iniziative di Base”. Il termine (che in rumeno significa nido), era mutuato dalla Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu e non era affatto una sigla. Quell’acronimo è usato (sempre in riferimento ai cuib rumeni) da un gruppo studentesco dell’Università Cattolica di Milano sorto nel 2007. L’autore, che pure vuole accostare alla rievocazione la ricostruzione storica, con questo salto in avanti di almeno trent’anni mostra di perdere di vista anche i tratti essenziali dei movimenti neofascisti degli anni Settanta, per i quali Codreanu è stato uno dei principali riferimenti ideali.
31 Emblematico in proposito il volume di L. Telese, Cuori neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli, 21 delitti dimenticati degli anni di piombo, Sperling&Kupfer, Milano, 2006.
32 Cfr. A. Ventrone, Introduzione, in Id. (a cura di), I dannati della rivoluzione. Violenza politica e storia d’Italia negli anni Sessanta e Settanta, EUM, Macerata, 2010, pp. 7-19.
33 Cfr. sul tema L. Guerrieri, Un’autonoma via rivoluzionaria nei gruppi dell’estrema destra italiana: dalla strategia della tensione allo spontaneismo armato, in Violenza politica, comunicazione, linguaggio, «Storia e problemi contemporanei», n. 55, Clueb, Bologna, 2010, pp. 55-78.
Carlo Costa, “Credere, disobbedire, combattere”. Il Neofascismo a Roma dai FAR ai NAR (1944-1982), Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia, Viterbo, 2014

II Movimento sociale italiano viene fondato nel dicembre 1946, in un periodo ancora tumultuoso per l’Italia che subisce ancora, anche a livello politico, gli effetti devastanti della guerra. Il governo in carica è guidato dal democristiano Alcide De Gasperi ed è sorretto da una coalizione di cui fanno parte democristiani, socialisti, comunisti, azionisti, demolaburisti e liberali, ovvero i sei partiti che compongono il Comitato di liberazione nazionale (Cln), costituito nel settembre ’43 per coordinare la lotta contro i tedeschi e i fascisti. La DC è il partito dei cattolici, legato a filo doppio con il Vaticano che, attraverso il movimento ecclesiale dell’Azione cattolica, le ha fornito i primi quadri dirigenti. Il Partito socialista, da quando si è ricostituito nel 1943, ha aggiunto al suo nome le parole “unità proletaria” (Psiup) mentre il Partito comunista è guidato da Paimiro Togliatti che fino al 1944 è vissuto a Mosca. Il Partito d’Azione (PdA) è costituito nel 1942 dall’unione del movimento Giustizia e libertà con elementi repubblicani, socialisti e radicali. Proprio dal Partito d’Azione è emerso Ferruccio Parri, presidente del Consiglio fino al dicembre 1945. Democrazia del lavoro (DI) è nata invece nel 1943 attorno a personaggi come Ivanoe Bonomi e Meuccio Ruini mentre il Partito liberale (Pli) è stato rifondato nel 1944.
Alcide De Gasperi si propone di rilanciare le attività economiche e mantenere l’ordine pubblico. Le condizioni di vita in Italia sono estremamente difficili e gli aiuti che provengono dagli Stati Uniti, pur consistenti, non sono sufficienti per venire incontro alle esigenze di coloro che hanno subito i disastrosi effetti del conflitto.
Adalberto Baldoni, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libertà, Vallecchi, 2009