Scerbanenco scelse Milano perché era un simbolo inequivocabile della nuova realtà socio-criminale impostasi nel giro di pochi anni a livello nazionale

In altri paesi <1 il destino editoriale di Giorgio Scerbanenco sarebbe stato molto diverso: trattandosi di un autore di assoluto riferimento all’interno del genere della narrativa poliziesca, non mancherebbero edizioni complete dell’opera in più volumi né corpose monografie di approfondimento critico.
Invece dalle nostre parti non abbiamo né gli uni né le altre, anche se già due generazioni di studiosi della letteratura poliziesca e affermati autori di gialli in versione tricolore lo hanno riconosciuto come un autentico caposcuola e un apripista del moderno nostrano. Il vuoto editoriale è così allarmante da far registrare un altro primato non certo invidiabile: e cioè il fatto che non si sia ancora nemmeno potuti arrivare a una definizione precisa del numero di scritti di vario genere riconducibili senza margini di dubbio allo scrittore italo-ucraino.
Le colpe di tutto questo di chi sarebbero?
Se si volesse cercare un capro espiatorio per giustificare le spesso insormontabili difficoltà affrontate da chi ne abbia tentato una prima sistemazione rendendone spesso vani gli sforzi e a poco varrebbe comunque chiamare in causa la modalità stessa con cui Scerbanenco sfornò l’immensa mole di racconti e romanzi partoriti sparpagliandoli in periodici e occultandoli intenzionalmente sotto una fitta serie di eteronimi <2. Ciò che conta è però lo stato attuale della quaestio che è decisamente poco confortante.
Per i romanzi va un po’ meglio: anche se manca un’opera che li raccolga in maniera organica, hanno avuto una loro collocazione definitiva sia per ciò che riguarda la pubblicazione che l’attribuzione <3. Lo stesso non si può purtroppo dire per la sterminata produzione di racconti: non ostante gli sforzi fatti in questo senso dai più attenti studiosi scerbanenchiani negli ultimi vent’anni <4, ancor oggi non è possibile affermare quanti siano effettivamente quelli scritti da Scerbanenco e quali gli siano da attribuire con assoluta certezza tra i moltissimi apparsi in testate delle quali egli era spesso il factotum letterario e sulle quali per questo firmava con svariati e ingegnosi nome de plume i numerosi contributi che ne affollavano le pagine. L’immensa mole dei racconti di Scerbanenco è una sorta di continente ancora in parte inesplorato nel quale di quando in quanto continuano ad affiorare piccoli arcipelaghi di cui non si conosceva prima l’esistenza e che coraggiosi speleologi letterari appassionati di imprese impossibili riescono a portare alla luce scavando negli archivi di famiglia o dando loro la caccia tra le pagine di riviste e periodici di un’altra èra.
Data la difficoltà con la quale si è quindi costretti a muoversi all’interno di questa piccola Amazzonia in formato di racconto nella quale la sola cosa certa è che ci vorrà ancora del tempo prima che le sorprese si esauriscano <5, ed è più di un sollievo il fatto di avere a nostra disposizione “Milano calibro 9” e “Il centodelitti” <6, due raccolte fondamentali che mettono insieme forse il meglio <7 della produzione “breve” dello Scerbanenco più nero e intimamente legato all’universo e alle atmosfere antropologiche della tetralogia <8 che lo ha convertito in un maestro indiscusso per le successive generazioni di giallisti di casa nostra […]
La serie di Duca Lamberti viene inaugurata nel 1966, data particolarmente significativa non solo nella parabola produttiva di Scerbanenco, ma anche per l’intera letteratura poliziesca italiana <9: nell’arco di pochi mesi Garzanti aveva infatti pubblicato “Venere privata” e “Traditori di tutti”, ovvero i primi due capitoli di quella che nelle intenzioni dell’autore avrebbe di certo dovuto diventare una saga composta da un non precisabile numero di avventure seriali <10 e che sarebbe stata destinata a rivoluzionare in maniera radicale il mondo del giallo italiano, offrendo agli scrittori delle generazioni successive gli strumenti per liberarsi dalle pastoie dei gialli-scimmiottatura della produzione anglosassone che avevano caratterizzato il ventennio compreso tra la fine della guerra e il 1966 <11 e dare nuovamente vita a romanzi polizieschi autoctoni <12. Soprattutto dopo che il ventennio appena trascorso sembrava aver di fatto dimenticato la grande lezione del poliziesco degli anni ’30 (che sarà oggetto della presente tesi in relazione agli esordi di Scerbanenco in tale àmbito letterario) e gli affannosi sforzi fatti da parte dei principali autori di quella fortunata stagione per imporre anche in Italia un modello di romanzo poliziesco che si potesse dire svincolato dalle ipoteche dei modelli di importazione e riuscisse a caratterizzarsi per una sua fisionomia immediatamente riconoscibile. Per il pubblico dei lettori dell’epoca ma anche per la critica si tratta di una vera e propria “rivoluzione copernicana” in termini di rappresentazione della realtà: fin dalle prime battute del romanzo che apre la serie, è chiaro anche al lettore meno smaliziato che ci troviamo ad anni luce di distanza dalle rappresentazioni stucchevoli di scenari sociali e ambientali del tutto estranei a quelli del paese “reale” ma purtroppo tipici dei molti gialli-spaghetti pubblicati anche da editori di prestigio quali Mondadori e Garzanti nei vent’anni precedenti.
Con “Venere privata” irrompe tra le pagine del poliziesco la cruda realtà che fa da contorno quotidiano alla vita “vera” di tutti i giorni, trascinandosi dietro le contraddizioni e gli squilibri ingenerati dalle trasformazioni economiche e sociali fin troppo repentine che il paese aveva conosciuto proprio negli anni del boom economico passando in poco tempo da una lunga storia di arretratezza rurale alla veloce e feroce disumanizzazione di tanti singoli spaesati di fronte al cinismo e alle dure leggi della civiltà dei consumi. La novità dei quattro gialli che Scerbanenco pubblica negli ultimi e intensissimi tre anni di vita provoca un terremoto letterario tale da far parlare di una storia del giallo italiano divisa in due tronconi nettamente distinti e in parte incompatibili l’uno con l’altro: da una parte tutto ciò che sta a monte di “Venere privata” e degli altri tre polizieschi scritti da Scerbanenco tra il 1966 e il 1969 ma anche delle due summenzionate raccolte di racconti “neri” usciti alla fine del 1969, e dall’altra tutto ciò che è venuto dopo quel magico triennio in cui il meglio di una lunga tradizione d’importazione (la detective story di provenienza più che altro anglosassone) si va a innestare in un impianto narrativo moderno e innovativo che riesce a coniugarli al meglio con l’urgenza di raccontare una società in forte fermento.
La società che Scerbanenco racconta è l’Italia di metà anni ’60 con Milano presa come cartina di tornasole e sintesi compiuta di tutte le repentine trasformazioni che il paese aveva subito: passata in maniera fin troppo rapida da una fisionomia quasi esclusivamente agricola a una vocazione marcatamente industriale, senza però che il tessuto sociale fosse pronto ad assorbire tale trasformazione, l’Italia del boom aveva così dovuto fronteggiare effetti devastanti che poi sarebbero in parte sfociati nei disagi della primavera del ‘68 e in parte nell’affiorare un po’ dovunque di sacche di insofferenza e repressione.
Un passaggio questo che non poteva non comportare pericolose conseguenze a livello sociale destinate, a loro volta, a imporre sui palcoscenici della vita quotidiana delle grandi metropoli l’inevitabile fiorire di una criminalità nuova: e cioè una nuova tipologia di delinquenti, incarogniti e feroci quanto bastava per essere l’espressione prima del malessere sociale, ma capaci anche di spazzare via in un attimo quel gangsterismo vagamente signorile e romantico che era l’universo delle varie “male” diffuso un po’ ovunque nei grandi centri urbani del Nord.
Il fatto che Scerbanenco scelga proprio Milano come palcoscenico privilegiato tanto delle vicende infernali del ciclo di Duca Lamberti quanto di quelle non meno feroci e digrignate delle sue due più celebri raccolte di racconti non dipende solo dal fatto che la metropoli meneghina era diventata da anni la città di elezione dello scrittore italo-ucraino: Scerbanenco scelse Milano perché era un simbolo inequivocabile della nuova realtà socio-criminale impostasi nel giro di pochi anni a livello nazionale e che nel capoluogo lombardo – complici le dimensioni stesse della città, la sua vocazione di centro economico e produttivo del paese e il potere di attrazione tentacolare che era in grado di esercitare in quegli anni su chiunque provenisse dalla provincia e fosse a caccia del miracolo a portata di mano – aveva trovato l’humus ideale per radicarsi e proliferare.
Una Milano livida e feroce che fa da incubatrice privilegiata di figure esemplari di questa neonata galassia della criminalità che Scerbanenco trascina di peso dalle pagine della cronaca nera dei quotidiani dell’epoca a quelle delle sue trasfigurazioni letterarie, facendole spesso assurgere a icone paradigmatiche dei volti del Male in quell’Italia alle prese con i primi singhiozzi sociali del post-boom economico di inizio anni ’60.
Si tratta di un vero e proprio bignami sanguinolento nel quale è riassunta praticamente ogni forma di inclinazione delinquenziale che non conosce barriere sociali, differenze anagrafiche e disparità di classe. L’elenco – veramente completo nella sua volontà di essere onnicomprensivo – sintetizza in modo esaustivo i nuovi squilibri sociali che iniziavano a imporsi all’attenzione degli osservatori <13 e dei sociologi in quel preludio di guasti da società dei consumi allo stato avanzato. I criminali e le loro imprese sono presentati nell’infinita varietà dei loro possibili ruoli ed è più facile individuare quel poco che forse manca all’appello piuttosto che elencare la lista infinita di variazioni sul tema che Scerbanenco riesce a mettere insieme creando così un modello di romanzo poliziesco moderno, aggressivo, cinico ed essenziale con cui tutti gli scrittori delle due generazioni future saranno costretti a fare i conti nel momento in cui si accingeranno a fornire una propria rappresentazione dell’Italia criminale degli anni a venire.

[NOTE]
1 Si pensi soltanto alla Francia e alla rapidità con cui l’opera di Scerbanenco si impose non solo tra gli addetti ai lavori e gli appassionati di letterature gialla: a dimostrarlo non è soltanto il fatto che nel 1968 a Traditori di tutti venne attribuito il Grand prix de littérature policière, riconoscimento di primissimo piano nel campo della letteratura poliziesca mai andato prima a un autore in lingua italiana, ma dal grande numero di traduzioni in francese di sue opere uscite poco dopo la pubblicazione delle stesse in Italia e soprattutto dalla costante attenzione dimostrata dalla critica transalpina per la figura di Scerbanenco. A tale proposito si vedano i due numeri monografici dedicatigli rispettivamente nel 1985 e nel 1987 dalle riviste “Roman” e “Hard-Boiled Dicks”.
2 Per un elenco degli infiniti eteronimi usati da Scerbanenco, si veda Pirani R., Alla ricerca di un continente perduto: Giorgio Scerbanenco dal 1933 al 1965, in “Delitti di carta”, 2-3, 1998, pp. 107-108 e anche Crovi, L., Giorgio Scerbanenco: il Duca del noir, in Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, p. 87.
3 All’appello mancherebbero “soltanto” due testi di cui si conoscono i titoli (La notte è buia e Viaggio in Persia) ma non i contenuti né tantomeno il genere di appartenenza. Consegnati da Scerbanenco all’editore Mondadori nella tribolatissima estate del 1943, andarono persi nei mesi di caos susseguenti all’8 settembre di quell’anno e da allora non sono più riemersi. Nemmeno quando, a partire dalla fine degli anni ’80, i figli dello scrittore Cecilia e Alberto, iniziarono a mettere mano agli immensi archivi lasciati loro in eredità dal padre tirandone fuori una ricca mole di testi inediti destinati almeno in parte a essere pubblicati (cfr. Scerbanenco C., Un altro Jelling, in Scerbanenco G., Lo scandalo dell’osservatorio astronomico, Sellerio, Palermo 2011, pag. 222-223).
4 Per avere un’idea di quanto sia stato ostico organizzare l’immensa mole dei romanzi e dei racconti di Scerbanenco in una bibliografia ragionata che potesse essere di comune utilità a tutti gli studiosi, si vedano Scerbanenco, C., Ristrutturazione in casa Scerbanenco, “Delitti di carta”, 1, 1997, pp. 75-77; Pirani R., Alla ricerca di un continente perduto: Giorgio Scerbanenco dal 1933 al 1965, in “Delitti di carta”, 2-3, 1998, pp. 106-111; Pirani R.- Mare, M.- De Antoni, M., Voce Scerbanenco Giorgio, in Dizionario bibliografico del giallo, Vol. III R-Z, Pirani, Pontassieve, 1998, pp. 148-172, poi confluito e ulteriormente ampliato in Pirani R., Bibliografia delle opere di Giorgio Scerbanenco, in Pirani R., (a cura di), Scerbanenco. Riflessioni scoperte proposte per un centenario. 1911/2011, Pirani Bi-bliografica Editrice, Pontassieve 2011, pp. 159-279.
5 Cfr. Scerbanenco, C., Ristrutturazione in casa Scerbanenco, op. cit., p. 76. Orsi, G., Introduzione a Il ritorno del Duca, Garzanti, Milano 2007, p. 11.
6 Si tratta di due opere solo apparentemente contigue per evidenti ragioni tematiche ma nate e concepite in àmbiti editoriali del tutto diversi. La prima a essere data alle stampe fu Milano calibro 9 (22 racconti in parte accomunati dai temi trattati ma soprattutto dalla centralità che la città di Milano assume quale sinistro palcoscenico su cui l’umanità mette in scena il peggio del proprio degrado declinato in tutte le forme possibili di abiezione criminale). Uscita nel giugno del 1969 poco prima dell’improvvisa scomparsa di Scerbanenco nell’ottobre di quello stesso anno, questa raccolta è frutto della collaborazione tra lo scrittore e Oreste Del Buono. Conosciutisi ai tempi in cui entrambi lavoravano alla Rizzoli, Del Buono e Scerbanenco crearono uno strana forma di sodalizio umano e letterario caratterizzato da costanti alti e bassi ma soprattutto da atteggiamenti non sempre cristallini da parte di Oreste Del Buono, ovvero colui che per anni, dopo la morte dell’amico, ne sarebbe divenuto il curatore delle spoglie letterarie avendo infatti accesso privilegiato a cumuli di inediti, ma essendo soprattutto uno dei pochi in grado di entrare in sintonia con la disordinata sintassi creativa di Scerbanenco in qualità di suo mentore letterario per anni. Questi racconta molti episodi relativi ai propri rapporti con Scerbanenco (spesso ripetendosi) in quasi tutte le prefazioni scritte per libri editi durante la vita dello scrittore ma soprattutto per moltissimi testi usciti proprio grazie all’accesso privilegiato che egli ebbe alle carte e agli inediti dell’amico scomparso. Si vedano, tra gli altri, Il rosa, il giallo e il nero, prefazione a Milano calibro 9, Garzanti, Milano 1969, p. 12; Nota introduttiva a Il Centodelitti, Garzanti, Milano 1970, p. 5; Giorgio Scerbanenco, “La Lettura”, XLVII, febbraio 1980, pp. 15-16; Dal rosa al nero passando col giallo, “Europeo”, XL, 27, 7 luglio 1984, p. 91; “Tolsi la K da Scerbanenko”, Introduzione a La vita in una pagina, Mondadori, Milano 1989, pp. 5-12; Scerbanenco. Una vita in rosa e in noir, “Tuttolibri”, XVII, 793, 14 marzo 1992, p. 5; Escono i racconti inediti. Scerbanenco dolce killer, “La Stampa”, 21 ottobre 1993, p. 21;. Introduzione a Il falcone e altri racconti inediti, Frassinelli, Milano 1993, pp. VII-XII; L’altro giallo di Scerbanenco, in Cinque casi per l’investigatore Jelling, Frassinelli, Como, 1995, pp. VII-IX; Presentazione a Lupa in convento, La vita felice, Milano 1995, pp. 7-15; Prefazione a Millestorie, Frassinelli, Como, 1996, pp. IX-XI. Per quel che riguarda invece Il Centodelitti, la vicenda editoriale di questa raccolta di racconti fu completamente diversa: edito pochi mesi dopo la morte di Scerbanenco, è un volume nel quale Oreste Del Buono raccolse cento racconti “neri” composti dall’autore tra la fine del 1962 e la metà del 1969 e originariamente pubblicati su “Novella”, “Novella 2000”, “Annabella” e “Stampa Sera”. Introvabile per quasi trent’anni, il volume è stato finalmente ristampato da Garzanti nel 2009 con un’Introduzione a firma di Nunzia Monanni nella quale la compa-gna di Scerbanenco racconta la straordinaria genesi letteraria dei pezzi poi apparsi in vo-lume e l’ugualmente stupefacente rapidità con cui venivano scritti (“Mi piace ricordare come Giorgio scriveva quei brevissimi racconti. Erano nati nel 1963 come Il quattro-novelle per una rivista. I quattro racconti dovevano stare tutti in una pagina e avevano un tema diverso ogni settimana: la guerra, gli innamorati, le grandi città di notte, avere sedici anni, vittoria!, i piccoli paesi, i sogni, le infermiere, a che servono i soldi?, la moglie in vacanza… Li scriveva in un’oretta dopo cena.” Cfr. Monanni, N., Prefazione, in Scerbanenco, G., Il Centodelitti, Garzanti 2009, pag. II). Siccome il progetto iniziale prevedeva che una pagina interna della rivista su cui comparvero per la prima volta ne ospitasse ben quattro ogni settimana, Scerbanenco era praticamente costretto a confezionare un racconto lungo con tre brevissimi di corredo. Ed è proprio questa azzardata scommessa editoriale ad averci regalato forse il meglio di quanto Scerbanenco abbia lasciato in materia di racconti: obbligato a condensare in una paginetta scarsa quanto materiale umano e narrativo era sufficiente per tenere in piedi un racconto spesso corredato anche da una mirabolante sorpresa finale, tocca vertici di efficacia che pochi altri autori italiani del ‘900 sono stati in grado di raggiungere in spazi narrativi tanto angusti. Sul “metodo di lavoro” di Scerbanenco e sulla sua facilità di scrittura, si veda quanto racconta il giallista Renato Olivieri in Olivieri R., Scerbanenco con amore e fantasia, “Corriere della Sera”, 8 settembre 1997, p. 29.
7 A sostenerlo sono studiosi di diverse generazioni ed estrazione, nonché giallisti dei giorni nostri. Si vedano, tra gli altri, Del Buono, O., Il rosa, il giallo e il nero, prefazione a Milano calibro 9, Garzanti, Milano 1969, p. 12; Crovi, R., Il consumo del thrilling, in Buon sangue italiano. Delitti e detectives del thrilling nostrano, Rusconi, Milano 1977, pp. 279-286; Guagnini, E., Scerbanenco, il giallo e la storia del giallo italiano, in Delitti di carta”, 1, 1997, p.67.
8 Si tratta di Venere Privata (Garzanti, Milano 1966), Traditori di tutti (Garzanti, Milano 1966), I ragazzi del massacro (Garzanti, Milano 1968) e I milanesi ammazzano al sabato (Garzanti, Milano 1969), tutti con la figura di Duca Lamberti come protagonista.
9 Cfr. Carloni, M., L’artigianato letterario di Scerbanenco, “Il Belpaese”, I, 1984, pp. 259-268.
10 Cfr. i due fascicoli della rivista “La Lettura” usciti tra febbraio e marzo del 1980 e contenenti la trama del V e del VI capitolo delle avventure di Duca Lamberti; ma anche Orsi, G., op. cit., pp. 17-39, nel quale viene proposto anche il primo capitolo della VI avventura.
11 Si tratta dei famigerati giallo-spaghetti, ovvero polizieschi scritti da autori italiani (alcuni anche di una certa levatura quali Franco Enna e Guglielmo Giannini) che, celandosi dietro pseudonimi americani, “scrivono avventure ambientate quasi esclusivamente negli Stati Uniti facendo propri i modelli meno prestigiosi del ‘giallo all’americana” (cfr. Carloni, M., Storia e geografia di un genere letterario: il romanzo poliziesco italiano contemporaneo (1966-1984), “Critica letteraria”, XIII, I, 46/1985, pp.170-171; idem, L’ostracismo e l’esilio in patria (1945-1966), in Indagine sul giallo italiano, Porziuncola, Assisi 1984, pp. 7-11).
12 Sull’italianità e sulla natura ruspante del personaggio di Duca Lamberti, si vedano Carloni, M., L’artigianato letterario di Scerbanenco, “Il Belpaese”, op. cit., pp. 259-268; Carloni, M., Storia e geografia di un genere letterario: il romanzo poliziesco italiano contemporaneo (1966-1984), “Critica letteraria”, XIII, I, 46/1985, pp.172-173; Rambelli, L., Scerbanenco e la società industriale, in Storia del “giallo” italiano, Garzanti, Milano 1979, pp. 200-202; Canova, G., Scerbanenco e il delitto alla milanese, ne Il successo letterario, Unicopli, Milano 1985, pp.159-160; Bini, B., Scerbanenco: dal giallo al nero, ne Il poliziesco, Letteratura italiana. Storia e geografia, Vol. III, L’età contemporanea, Einaudi, Torino 1989, p. 1021; Besana, R., Dimensioni parallele: la Milano di Scerbanenco e Olivieri, in Giuffrida, S.Mazzoni, R., Giallo: poliziesco, thriller e detective story, Leonardo, Milano 1999, p. 30; Oliva, C. Italiani brava gente, in Storia sociale del giallo, Todaro, Lugano 2003, pp. 180-182.
13 Recensendo Italia nera di Franco Di Bella uscito nel 1960 e relativo alle varie forme della delinquenza degli anni compresi tra la fine del dopoguerra e appunto il 1960, Dino Buzzati osservava che la diffusione e la varietà di forme del crimine facevano assurgere il Bel Paese a palcoscenico ideale per ambientarvi storie gialle (cfr. Buzzati, D., Come sfondo di storie gialle l’Italia non è da disprezzare, in “Corriere della Sera”, 25 ottobre 1960).

Guido Reverdito, Giorgio Scerbanenco e il cuore nero del giallo di casa nostra. Viaggio al termine dell’ossessione di una vita, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2013