Complessità istituzionale della presenza alleata in Italia durante il secondo conflitto mondiale

Alla fine di gennaio 1944, a conclusione di un dibattito prolungatosi per oltre due mesi, i Combined Chiefs accoglievano le proposte di Wilson e approvavano il piano dell’AFHQ [n.d.r.: Allied Forces Head Quarters, Quartiere Generale delle Forze Alleate] originariamente preparato dal suo predecessore, concedendo l’autorizzazione finale a procedere al trasferimento delle responsabilità amministrative al governo italiano <239. Pochi giorni più tardi, il 27 gennaio, MacFarlane presentava a Badoglio i termini giuridici della restituzione, quelli sui quali i tre centri alleati erano riusciti a trovare un accordo dietro le pressioni algerine, con la possibilità di accettarli o meno entro le seguenti 48 ore in vista del trasferimento previsto per il 10 febbraio. L’accettazione italiana sarebbe arrivata soltanto il 9 febbraio, un giorno prima dell’effettivo passaggio di consegne, dopo che un incontro convocato a Napoli allo scopo di fissare i dettagli burocratici tra MacFarlane, Caccia, Reber e alcuni membri del governo italiano, in particolare il ministro delle finanze Jung, aveva chiarito le ultime questioni <240.
La notte tra il 10 e l’11 febbraio, dunque, gli Alleati restituivano la Sicilia, le isole adiacenti e i territori a sud della linea costituita dai confini settentrionali delle province di Salerno, Potenza e Bari alla ripristinata autorità del governo italiano, che ora governava sull’intero Meridione con l’eccezione di Lampedusa, Lipari, Linosa e Foggia, ritenute ancora di interesse militare tale da richiederne una prolungata occupazione <241. Il passaggio avveniva sulla base di un decreto legge emanato dal Re con il quale si riconosceva l’avvenuto trasferimento e dei documenti preparati dall’AFHQ, intenti a ristabilire le prerogative del controllo successivamente alla destrutturazione del governo militare e della sua sostituzione con la coppia costituita da governo italiano e commissione di controllo <242. In occasione della prima tranche di territorio restituito alla sovranità italiana così come in tutte quelle successive gli Alleati avevano operato all’interno dei limiti imposti da quattro documenti:
A. Terms of Restoration of Italian Territory (o Condizioni per la restituzione di parte del territorio italiano). Il governatore militare, agendo per conto del Comandante Supremo e messo in chiaro che il ritorno dei territori sotto la giurisdizione italiana non comportava alcun ridimensionamento di diritti e immunità garantiti alle Nazioni Unite dai termini armistiziali ancora pienamente in vigore sull’intero territorio italiano, elencava le quindici condizioni necessarie al trasferimento dei poteri. Tra queste si annoveravano il diritto alla presenza di forze anglo-americane, alla richiesta di mezzi e strutture a supporto delle truppe, la facoltà di dichiarare militare qualsiasi area di interesse particolare, di convocare tribunali militari alleati, di essere consultati ogni qualvolta il governo italiano avesse voluto rimuovere dalla carica un ufficiale incaricato dagli Alleati, di occupare nuovamente parte o l’interezza dei territori restituiti a seconda delle necessità militari. Malgrado la cessazione formale dell’occupazione, il personale dell’ACC rimaneva in loco in funzione consultiva con il compito di vigilare sulla gestione dell’ordine pubblico e della legge e sulla conformità delle attività del governo italiano con i termini previsti dall’armistizio <243.
B. Proclamation n. 16. Il governatore militare annunciava la terminazione di tutti i proclami e gli ordini emanati dal governatore stesso alla mezzanotte del giorno stabilito e la fine del governo militare, con il territorio in questione da quel momento sottoposto all’amministrazione del governo italiano.
C. Con un messaggio di Badoglio al popolo italiano e alcune disposizioni legislative si annunciava agli italiani quanto il nuovo passaggio comportava nella vita quotidiana, dal riconoscimento della validità pregressa dei proclami alleati sino al rispetto delle sentenze dei tribunali alleati.
D. Lista delle richieste alleate al capo del governo. Nel caso del primo trasferimento si ordinava anche il trasferimento della capitale a Salerno e l’emanazione di due decreti legge, uno sulla stabilizzazione della misura dei salari, dei prezzi e delle tariffe dei servizi; un secondo che traducesse in atto il paragrafo quinto del documento A sulla costituzione dei tribunali militari alleati. In un secondo momento il governo italiano avrebbe dovuto mettere in pratica le condizioni elencate nel documento A <244.
In febbraio, dunque, gli Alleati muovevano un primo, deciso passo verso la responsabilizzazione delle autorità italiane rilasciando al loro controllo una parte del Sud liberato e spostando la capitale a Salerno. Da un punto di vista meramente tecnico, come sottolinea Komer, la restituzione del primo spezzone di territorio non era condizionata dall’aderenza alle considerazioni politiche che avevano giustificato l’avvio del processo: il governo che riceveva il meridione non era ancora quello democratico né rappresentativo richiesto dagli Alleati <245. La proposta di rilasciare i territori meridionali alla competenza amministrativa del governo italiano, pur originando dal governo stesso, veniva elaborata da Eisenhower con la duplice intenzione di allentare la morsa alleata sull’esecutivo badogliano in netta difficoltà nelle politiche interne e alleggerire il peso che l’occupazione militare di una porzione della penisola in continua crescita imponeva sulle limitate risorse a disposizione del comando algerino. Nei piani di Eisenhower e della MGS, il ritorno delle regioni meridionali agli italiani sarebbe dovuto avvenire ben prima del febbraio 1944. Con la sua attuazione inizialmente prevista per le prime settimane di dicembre, l’idea veniva infatti prontamente accolta dall’ACI, ma le complicazioni politiche e le discussioni sorte sul metodo del trasferimento avevano fatto sì che il passaggio vero e proprio non avvenisse prima di due mesi. Un lungo dibattito sulla forma e sui contenuti del trasferimento tra Algeri, Londra e Washington aveva infine portato ad accogliere la proposta: nella visione dei due governi, il passaggio così come delineato nei documenti rischiava di pregiudicare la conservazione dei diritti goduti dagli Alleati nelle zone precedentemente governate dall’AMG. Il War Department aveva insistito su una semplice delega di autorità che mantenesse lo status di territorio occupato anche nelle aree concesse all’amministrazione italiana e i Combined Chiefs avevano preparato una nuova bozza dei documenti, assai più severa di quella prevista dall’AFHQ. Con l’avvento di Wilson, che portava con sé la contrarietà britannica alla linea dura imposta dagli americani, Algeri imponeva la propria volontà e, invocando il principio della supremazia delle considerazioni militari su quelle politiche tanto caro a Washington, riusciva a spuntarla, ottenendo il trasferimento secondo i parametri preferiti.
La gestione della vicenda del trasferimento da parte dei tre poli della produzione politica alleata può essere utilizzata dallo studioso come una cartina di tornasole della reale gerarchia di potere fra le istituzioni deputate al controllo in Italia. Nello stabilire la catena di comando e ricostruire l’iter processuale della restituzione si arriva a determinare il peso di ciascuno dei singoli agenti politici in gioco. Il cedimento di Washington e Londra alle insistenze provenienti dal comando alleato racconta di una vittoria di Algeri e delle considerazioni militari da questa rappresentate in un contesto in cui la campagna militare in Italia era appena agli inizi e dall’esito ancora incerto. La dottrina della priorità da concedere alle questioni di natura militare stava nel frattempo progressivamente assumendo una connotazione sempre più politica. Il nuovo meccanismo del controllo, con la coppia ACC/ACI che stava scalzando il governo diretto dell’AMG, mostrava il lento avvio di una fase di transizione ad una politica morbida nei confronti degli italiani. L’intera vicenda del trasferimento era strettamente connessa con la creazione dell’ACC, senza la supervisione della quale non sarebbe stato possibile, e con la comparsa sulla scena dell’ACI con la sua funzione moderatrice, investita del compito di manifestare una accresciuta fiducia riposta nelle capacità del governo italiano. La restituzione dei territori liberati al controllo italiano era infatti uno dei campi nei quali si era evidenziata con maggiore chiarezza l’emersione, almeno in una sezione sempre più consistente dell’apparato alleato, di una politica che concedesse margini di movimento più ampi alle amministrazioni occupate <246.
La creazione dell’ACI (Advisory Council for Italy) andava a stratificare la complessità istituzionale della presenza alleata nella penisola, dove si produceva una situazione in cui diventavano quattro le fonti dalle quali i due governi alleati si trovavano a ricevere informazioni e direttive politiche sull’Italia: i Combined Chiefs of Staff di Washington, l’unico strumento esecutivo nel complesso decisionale alleato; il comando algerino, con le coppie Eisenhower-Bedell Smith e Macmillan-Murphy a rappresentare rispettivamente le esigenze militari e gli interessi politici dei due governi; la sezione politica dell’ACC, responsabile della gestione dei contatti del e con il governo italiano; l’ACI, all’interno del quale gli anglo-americani potevano essere messi in minoranza dai membri delle altre nazioni rappresentate attraverso un sistema di votazione paritario. Tale situazione era tendenzialmente caotica ma soltanto relativamente pericolosa, in quanto rimaneva nelle mani del Comandante la facoltà di accettare o rifiutare qualsiasi indicazione che non provenisse direttamente dai CCS, rendendo la funzione degli altri tre meramente ausiliaria. Ciononostante, l’importanza data al Consiglio da parte dei russi, i quali credevano di poterlo usare come grimaldello per inserirsi nel Mediterraneo alleato, suggerisce un fraintendimento del potere concreto che questo organo avrebbe esercitato in Italia. Il 24 novembre 1943 si era presentato ad Algeri Vyshinsky, procuratore generale sovietico durante i grandi processi moscoviti della fine degli anni ’30 e futuro ministro degli esteri, seguito in pompa magna da oltre trenta collaboratori per assumere la carica di rappresentante del governo sovietico nell’ACI. Stalin sorprendeva tutti con la nomina di uno degli uomini più in vista del Cremlino a ricoprire la posizione sovietica nel consiglio, conferendo allo stesso, quindi, la massima priorità e rilevanza. L’Unione Sovietica, nella efficace definizione data da Di Nolfo, «non era riuscita a inviare un proprio carceriere a Brindisi; decise allora di spedire in tournee italiana il numero uno dei suoi grandi inquisitori» <247.
Durante la prima seduta dell’ACI, il 30 novembre, si era deciso di organizzare una visita guidata dell’Italia occupata a beneficio dei membri del consiglio, affinché questi potessero acquisire diretta conoscenza delle condizioni dei territori sui quali avrebbero dovuto in seguito deliberare <248. In occasione del tour, tuttavia, era emersa una delle spinose controversie che avrebbero caratterizzato il precario equilibrio istituzionale tra le diverse agenzie alleate attive in Italia. Paradossalmente, pur non occupandosi di altro che delle vicende politiche italiane, l’Advisory Council non disponeva di alcun accesso diretto al governo italiano. Il Dipartimento di Stato e il Foreign Office, proseguendo sulla strada della marginalizzazione già seguita nelle trattative per la definizione dei compiti del consiglio, avevano infatti stabilito che ogni contatto tra i membri dell’ACI e le cariche istituzionali italiane dovesse tenersi rigorosamente tramite i canali dell’ACC, secondo quanto indicato nella direttiva ricevuta da Eisenhower sulla formazione della commissione <249. Malgrado l’intenzione originaria londinese di mantenere contatti con gli italiani tramite il proprio rappresentante nell’ACI, Macmillan, l’insistenza americana aveva fatto sì che si ripristinasse l’esclusiva competenza dell’ACC sulle relazioni diplomatiche con il governo Badoglio. Era stato lo stesso Wilson, nell’agosto del 1944, a ribadire che l’ACI, non godendo di alcun canale privilegiato di comunicazione con gli italiani, doveva servirsi della commissione di controllo, la quale si sarebbe poi incaricata di riportare ad Algeri i messaggi del governo italiano e viceversa <250.
[…] In novembre, il vicepresidente della sezione per gli affari civili dell’ACC, colonnello Upjohn, richiedeva delucidazioni sullo stato giuridico del processo di nomina di funzionari governativi nei territori restituiti all’autorità italiana. Ricordando che il funzionamento dell’accordo di marzo era stato fino a quel momento impeccabile, si riteneva che la pratica dovesse continuare, contrariamente a quanto recentemente richiesto dal governo italiano a seguito dell’avvio della nuova politica alleata in Italia, con una rinnovata e ridotta lista di cariche da sottoporre all’AC <493. Se l’elenco originario delle cariche che necessitavano l’approvazione delle autorità alleate si allargava a comprendere prefetti, rettori, professori, presidi, presidenti di tribunali, sindaci e consiglieri comunali <494, in quella di novembre, specchio dell’avviato processo di allentamento del controllo alleato, l’ACC si limitava a pretendere l’ultima parola nella nomina dei ministri delle forze armate, quindi Guerra, Marina e Aeronautica, e delle funzioni chiave per il controllo dell’ordine pubblico e delle comunicazioni, dunque il direttore generale delle Ferrovie dello Stato e della Pubblica Sicurezza, il Comandante dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, il sottosegretario per le telecomunicazioni e le nomine in tutte le forze armate <495.
[NOTE]
239 22 gennaio 1944, CCS a Wilson, FAN 327, in JCS, GF, b. 110.
240 Cfr. i due telegrammi di Wilson ai CCS, 3 febbraio 1944, JCS, GF, b. 110 e 8 febbraio, CAB 88/21. Durante l’incontro, avvenuto il 6 febbraio, le modifiche richieste dagli italiani ai documenti del trasferimento erano quasi interamente respinte, ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, ROMA (ACS), PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (PCM), Affari Generali, 1944-1947 (AG), b. 1.1.26 – 10991.
241 La documentazione contenuta nei faldoni dell’ACS, PCM, AG, b. 1.1.26 – 10991 ci fornisce un quadro cronologico della progressiva restituzione del territorio nazionale al governo italiano dalle autorità alleate attraverso i decreti legislativi, compresi quelli luogotenenziali a partire dal giugno 1944, che sancivano la riassunzione delle prerogative sovrane da parte degli italiani: – 11 febbraio 1944. D.L. n. 30, Riassunzione dei poteri da parte del governo italiano su territori già sottoposti all’amministrazione militare alleata, Sicilia, Salerno – Potenza – Bari eccetto Lampedusa e Lipari e Linosa (Badoglio deve rilasciare un documento firmato in cui affermava di aver acconsentito alla rinuncia temporanea alle tre isole per questioni di natura militare); – 20 luglio 1944. D.L.L. n. 160, le province di Campobasso, Foggia, Benevento, Avellino, Napoli con l’eccezione del territorio comunale di Napoli, che con il suo porto era di vitale importanza alle autorità militari alleate; – 12 agosto 1944. D.L.L. n. 169, Roma, Frosinone e Littoria; – 12 ottobre 1944. D.L.L. n. 243, Viterbo e Abruzzo; – 10 maggio 1945. D.L.L. n. 181, Umbria, Marche, Siena, Arezzo escluso il comune di Ancona; – 28 giugno 1945. D.L.L. n. 376, Firenze, Pistoia; Pisa e Livorno senza territorio comunale; – 10 agosto 1945. D.L.L. n. 454, Emilia Romagna e Ancona città; – 28 dicembre 1945. D.L.L. n. 792, tutti i territori ancora sotto il controllo alleato, comprese le città di Napoli, Livorno, Pisa e Pantelleria, con l’eccezione di Udine e della Venezia Giulia; – 31 dicembre 1946. G.U. n. 156, Udine e Venezia Giulia con l’eccezione di Trieste; – 5 ottobre 1954, accordo provvisorio per il passaggio della Zona A all’Italia. Il 10 novembre 1975, con il trattato di Osimo, Trieste ritornava italiana a titolo definitivo.
242 Il primo, risalente appunto all’11 febbraio, era un semplice Decreto Legge firmato da Vittorio Emanuele, mentre tutti gli altri sarebbero stati dei Decreti Legge Luogotenenziali firmati da Umberto.
243 Cfr. il promemoria dell’ACC HQ ai commissari regionali, Regioni I, II e VI, Reoccupation of Italian Controlled Territory del 17 febbraio 1944, con il quale si ricordava agli uomini sul campo che la possibilità di ripristinare il controllo militare alleato nelle regioni restituite al governo italiano era sempre presente e che a tal fine i commissari avrebbero dovuto preparare piani dettagliati, in ACC, b. 1229.
244 I documenti, nelle diverse versioni corrispondenti ai diversi territori di volta in volta rilasciati, sono conservati in ACS, PCM, AG, b. 1.1.26 – 10991.
245 Cfr. Komer, Civil Affairs, cit. pp. 13-17.
246 Per una disamina di origini, forme, contenuti e modalità di applicazione della “nuova politica alleata” si rimanda al paragrafo conclusivo del lavoro, VI. 2.
247 E. DI NOLFO – M. SERRA, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Roma-Bari, Laterza, 2010, cit. p. 93.
248 I membri sarebbero partiti da Algeri il 2 dicembre e tornati l’8 dopo aver visitato Brindisi, Salerno e Napoli. Il resoconto nei rapporti di Halford del 15 dicembre 1943, FO/371/37317, e di Macmillan al FO dello stesso giorno, FO 371/37314.
249 Cfr. Halifax al FO del 4 dicembre e il Foreign Office al Dipartimento di Stato del 29 dicembre 1943, in FO 371/37315.
250 Si veda il memorandum di Wilson all’ACC, Relations Between Allied Control Commission and Italian Government, del 23 agosto 1944, DS, CDF, b. 2943.
493 Cfr. il promemoria di Upjohn (vicepresidente della sezione CA dell’ACC), Approval of the Appointment of Italian Officials by AC, del 18 novembre 1944, in ACC, b. 968.
494 MAE, SG, vol. XL.
495 Cfr. MAE, ADG, b. 85bis.
Marco Maria Aterrano, “The Garden Path”. Il dibattito interalleato e l’evoluzione della politica anglo-americana per l’Italia dalla strategia militare al controllo istituzionale, 1939-1945, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, Anno Accademico 2012-2013