L’intento di Pesce, come quello di molti altri memorialisti, è pedagogico

Lo status di testimone diretto dei fatti costituisce quindi una sorta di garanzia di veridicità per il lettore. Ciò che noi sappiamo sui Gap lo sappiamo in ultima analisi grazie a Giovanni Pesce.
Egli ci narra con stile scarno, netto, con un ritmo sempre incalzante, le continue azioni messe in atto dai Gap, la meticolosa preparazione che vi stava dietro, e la tensione che li accompagnava costantemente, la “febbre dell’azione”.
A ciò si aggiungono straordinari momenti di intima riflessione, pieni di drammaticità, in cui Pesce riflette sul significato del proprio operato quotidiano, sul senso di angoscia provocato dall’isolamento forzato, ma soprattutto sulla paura.
[…] Un’analisi a parte merita il capitolo sesto, dal titolo “Morte e trasfigurazione”, dedicato alla morte di Dante Di Nanni, giovane gappista torinese, percepito come un vero e proprio eroe della Resistenza dalla memoria cittadina.
Innanzi tutto bisogna notare come queste pagine siano le uniche in cui si parla in terza persona. Qui Giovanni Pesce non si pone più nell’ottica dell’io testimone, bensì in quella del narratore onnisciente, in grado di conoscere gli intimi pensieri del compagno Di Nanni e persino quelli della madre di questi.
Il capitolo prende avvio dall’ordine ricevuto di far saltare la radio che disturba le frequenze di Radio Londra. È un’operazione che “Ivaldi” (il nome di battaglia che Pesce aveva a Torino) fin da subito percepisce come complessa in quanto presenta dei problemi per la ritirata dopo l’azione, ma alla fine concluderà così: «Ci ritireremo risalendo lo Stura: se rischio di essere scoperti c’è, perché saranno in allarme, è un rischio che dobbiamo correre. D’altra parte non vedo altre vie d’uscita». <53
Il capitolo è costellato da continue anticipazioni. In un punto del capitolo Pesce narra l’avvicinamento all’obiettivo. Nel paragrafo successivo invece ci troviamo già dopo il compimento dell’azione (che ci verrà poi narrata in un successivo paragrafo) e “Ivaldi” è vicino al letto sporco del sangue delle ferite di Dante Di Nanni. <54 Da qui prendono avvio alcune pagine altamente drammatiche in cui Di Nanni, in un dialogo con Pesce, vede avvicinarsi la morte e capisce che non potrà vedere la fine della guerra. In lui si susseguono sensazioni di paura, rabbia, sofferenza e orgoglio. Il loro discorso riprenderà poi qualche pagina dopo assumendo la forma di un dialogo intimo, amichevole, affettuoso, in cui emerge tutto l’eroismo dei personaggi. L’intensità dello scambio di parole è molto forte e ne escono fuori due eroi pieni di umanità, con le loro paure e insicurezze.
Le ultime parole di Di Nanni sono domande tese a dare un senso a quanto compiuto fino a quel momento. Egli vuole quasi essere rassicurato sulla grandezza del loro partito e sul fatto che per il dopoguerra esso punti sui giovani. Domande che rispecchiano una forte incertezza per ciò che avverrà quando tutto sarà finito.
Dal momento in cui Pesce se ne va dicendo che presto arriveranno i soccorsi, prende avvio un vero e proprio racconto epico che ha come protagonista Dante di Nanni. Egli è rimasto solo, ha voluto accanto al letto due mitra, uno sten e il sacco degli esplosivi con le micce a strappo già pronte e infilate nei detonatori. Sente arrivare i tedeschi che presto aumentano di numero, fanno sgomberare l’edificio e lo circondano da ogni lato. Le pagine che seguono vedono l’estrema supremazia di Di Nanni rispetto al nemico, in una sorta di “uno contro tutti”. Egli riesce ad uccidere un numero altissimo di soldati tedeschi (in “Soldati senza uniforme” Pesce li quantifica in più di trenta) <55 fino a quando non gli rimane più nessun’arma a disposizione e decide di suicidarsi.
Così Pesce descrive il momento della morte del compagno:
“Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio”. <56
Da notare la differenza con cui lo stesso episodio si conclude nelle prime memorie scritte da Giovanni Pesce, “Soldati senza uniforme”:
“I vigili si erano ritirati mentre i tedeschi, sempre più furibondi, facevano arrivare sul posto i due carri armati e riprendevano a sparare all’impazzata. Così, il 18 marzo 1944, Dante Di Nanni moriva da eroe: la popolazione del rione, attirata nella strada dalla battaglia, salutava con commosso silenzio la morte di questo glorioso combattente”. <57 Pare quindi non esservi traccia del coraggioso suicidio di Di Nanni.
Questo elemento, insieme ad altri, ha portato lo storico Nicola Adduci a svolgere alcune ricerche, ancora inedite, circa le circostanze della morte del giovane gappista. Non entreremo qui nel merito dei dati da lui rilevati, in quanto in questa sede non ci interessa fare una ricostruzione storica degli eventi, bensì osservare come a distanza di anni, gli stessi ricordi, le stesse memorie, possano subire variazioni, anche in base alle nuove circostanze e alle scelte che si operano.
Quanto riportato sopra costituisce un esempio del rischio di accostarsi ai testi di memoria attribuendo loro la stessa validità di una fonte storica in senso tradizionale. Come già osservato precedentemente, il ruolo della letteratura non è quello di fornire una precisa ricostruzione storica degli eventi, bensì di fornirci altri elementi, donandoci il senso complessivo dell’esperienza.
L’intento di Pesce, come quello di molti altri memorialisti, è pedagogico. È lui stesso a dircelo:
‘“Senza Tregua” ha una morale profondissima valida oggi come ieri. È un insegnamento che gli uomini, i giovani che furono impegnati in drammatiche battaglie, hanno consegnato ad altri uomini, ad altri giovani, oggi impegnato nel lavoro o nello studio, perché sappiano lottare per le libere istituzioni, la giustizia, la libertà, la democrazia’. <58
Quindi si tratta di raccontare affinché le nuove generazioni sappiano ciò che è stato, perché non si ripeta, nella speranza che, con la scomparsa di coloro che hanno combattuto per la libertà della gente, ci sia qualcuno disposto a “raccogliere il testimone”.
[NOTE]
53 G. Pesce, Senza Tregua, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 113.
54 Ivi, p. 117.
55 G. Pesce, Soldati senza uniforme, Roma, Edizioni di cultura sociale, 1950, p. 100.
56 G. Pesce, Senza tregua, cit., p. 145.
57 G. Pesce, Soldati senza uniforme, cit., p. 101.
58 G. Pesce, Senza tregua, cit., p. 9.
Valentine Braconcini, La memorialistica della Resistenza attraverso gli scritti di Giovanni Pesce, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2007-2008