Le truppe italiane, infatti, non riserveranno lo stesso trattamento ai partigiani di Tito e alla popolazione civile che li fiancheggia

Nell’aprile del 1941 alla disfatta militare della Jugoslavia, sotto i colpi delle potenze dell’Asse, segue la spartizione dei suoi territori e la demarcazione delle rispettive zone d’occupazione. All’Italia è riconosciuto
l’inserimento dello Stato Indipendente Croato (Nezavisna Država Hrvatska, NDH) nella propria sfera d’interessi, anche se una linea invisibile di demarcazione divide di fatto lo Stato in due zone d’occupazione, a ovest l’italiana, a est la tedesca. I territori croati e bosniaci occupati dall’Italia saranno a loro volta suddivisi in tre zone d’occupazione con diverse condizioni giuridico-amministrative, sulle quali le truppe italiane esercitano un controllo che diminuisce progressivamente dalla costa verso l’interno: la prima zona (Dalmazia e costa adriatica) è costituita dai territori annessi all’Italia e considerati italiani a tutti gli effetti; la seconda zona (il Gorski Kotar, l’intera Lika, l’entroterra dalmata, buona parte dell’Erzegovina e i territori lungo la costa e le isole formalmente appartenenti allo Stato Indipendente Croato), inizialmente denominata zona demilitarizzata, è occupata dalle truppe italiane con la facoltà di condurvi operazioni militari, nonostante i poteri civili siano affidati alle autorità croate; infine la terza zona (da Karlovac – incluse Bihać, Bugojno e Prozor – a Bileća e Čajniča sulla Drina) fino alla linea di demarcazione con l’occupazione tedesca, è posta sotto il controllo civile e militare croato, nonostante resti aperta, in caso di necessità, all’accesso di truppe italiane o tedesche. Le tre diverse condizioni renderanno l’amministrazione dei territori dello Stato Indipendente Croato non poco confusa e porteranno a una serie di attriti tra milizie croate ed esercito italiano per le competenze territoriali: nell’immediato, però, consentono all’Italia di lasciare truppe d’occupazione a presidio di vaste zone della Croazia e della Bosnia-Erzegovina <1.
Ufficialmente contrassegnate dal rapporto di alleanza, infatti, le relazioni italo-croate saranno caratterizzate da una forte conflittualità a diversi livelli, generata da alcune fondamentali questioni, tra le quali primeggia la disputa dalmata. Le tensioni non riguarderanno solo i rapporti tra Roma e Zagabria ma determineranno ancor più una serie di attriti tra le autorità militari e le personalità politiche italiane all’interno dello stesso Stato croato: gli ambienti militari italiani fin dall’inizio si dimostreranno critici nei confronti degli ustaša al potere, mentre la Legazione Italiana a Zagabria – decisamente più conciliante con l’alleato croato fino a gran parte del 1943 – criticherà gli atteggiamenti filo-serbi assunti da ufficiali e soldati italiani. L’intransigenza degli ustaša vicini alla Germania nazista in contrapposizione alla flessibilità che caratterizzerà le posizioni del Poglavnik Ante Pavelić, legato all’Italia da una sorta di “debito morale” con questa contratto per il sostegno ricevuto nel corso degli anni Trenta, rappresenterà poi un ulteriore ostacolo per l’imperialismo italiano.
Il generale Vittorio Ambrosio, comandante la 2ª Armata, fin dall’ultima decade di aprile delinea la delicata situazione dei territori d’occupazione italiana. Soprattutto la popolazione dalmata – sostiene il generale – non nasconde la propria ostilità all’occupante e va sviluppando un forte sentimento irredentista sostenuto dagli ustaša al potere nello Stato croato e comune a tutta la popolazione e contrario a qualsiasi concessione all’Italia.
Il carattere spiccatamente anti-italiano degli atteggiamenti croati risulta grave d’incognite soprattutto «per il grado di spregiudicata sicurezza con la quale viene affermato, sia da chi ricopre incarichi di responsabilità, sia da elementi che palesemente obbediscono al proprio istinto piuttosto che ad una direttiva superiore. L’italianità della Dalmazia è ormai un ricordo che sopravvive nei monumenti e nella tradizione di pochi pastori della Morlacchia e nei centri urbani è decisamente motivo di reazione a sfondo nazionalista croato».
L’occupazione italiana, «ostentatamente subita come un male necessario e soprattutto transitorio», è accolta «con assai tiepida simpatia» anche nei centri rurali: «il malessere croato si manifesta in diverse forme, dall’espressione timidamente ostile dell’individuo isolato o di gruppi di persone alla negata oppure ostruzionistica collaborazione delle autorità costituite verso il potere militare italiano» <2. Alla base dello stato d’animo croato non v’è un sentimento di soggezione nei confronti degli occupanti, bensì una concezione di assoluta parità con l’alleato italiano e tedesco, determinatasi nella coscienza croato-dalmata con la proclamazione della piena indipendenza della Croazia promossa da Hitler e Mussolini <3.
Bandiere croate vengono ostentate in tutta la Dalmazia e nella regione di Sušak, con la totale mancanza o quasi di bandiere italiane. Comune e profonda nella popolazione di ogni ceto sociale la convinzione che la Dalmazia e il retroterra occupato dalle truppe italiane siano parte integrante dello Stato Indipendente Croato e alla diffusione di tale opinione concorrono le autorità di Zagabria <4.
Ciò nonostante, esclusi i gruppi di agitatori intransigenti – aggiunge Ambrosio nei primi giorni di maggio – nelle zone occupate, il contegno della popolazione non va oltre le menzionate dimostrazioni d’indifferenza e risulta sostanzialmente calmo. A Split (Spalato) come nel resto della costa, elementi provenienti da Zagabria tentano di sobillare i connazionali minacciando chi asseconda l’occupazione italiana. Anche a Dubrovnik, dove l’occupazione militare è mantenuta dalle truppe italiane ma i poteri civili rimangono inizialmente in mano agli ex funzionari jugoslavi e al comitato ustaša locale (quest’ultimo non ottiene il riconoscimento formale delle autorità militari italiane), la quasi totalità della popolazione cittadina desidera l’annesione allo Stato Indipendente Croato e solo la minoranza serba preferisce l’annessione italiana, eventualità comunque generalmente temuta e deprecata. Gli ufficiali della 2ª Armata ritengono invece necessaria l’annessione di Ragusa all’Italia, che – sostengono – non può essere in alcun modo considerata estranea al complesso culturale, geografico ed economico dalmata. Per indebolire il fronte croato viene anche avviato il rientro degli italiani di Dalmazia che avevano abbandonato le città della costa allo scoppio del conflitto, al fine di rafforzare il consenso popolare per l’occupante. È però necessario evitare complicazioni e sollecitare la soluzione definitiva della questione dalmata e croata – sostiene ancora Ambrosio – «poiché l’indugiare eccessivamente potrebbe portare atteggiamenti contraddittori e dannosi», pregiudicando non solo i rapporti italo-croati ma determinando anche attriti con i tedeschi, per i quali i croati ostentano invece «entusiasmo e ammirazione» <5. Anche la popolazione dell’entroterra occupato – Kninska Krajina, Lika, Erzegovina – che sulla Dalmazia gravita culturalmente ed economicamente, vive con inquietitudine gli avvenimenti, nell’attesa di conoscere il proprio destino. E anche qui i serbo-ortodossi, per «istintiva salvaguardia», di fronte alle vendette ustaša finiscono con il sostenere le rivendicazioni italiane. Numerosi notabili serbi della Bosnia si presentano, infatti, al comando della Divisione Sassari scongiurando l’annessione all’Italia; sentimenti favorevoli agli italiani sembra vengano dimostrati anche dai musulmani e dal resto della popolazione dell’Erzegovina <6.
Gli Accordi di Roma del 18 maggio 1941, che cedono all’Italia buona parte del litorale e delle isole dalmate, causano tuttavia ulteriore malcontento tra i croati, che attendevano l’annessione di tutta la costa allo Stato croato, e si diffonde di conseguenza la convinzione che l’Asse non abbia sufficientemente ricompensato la Croazia per il contributo fornito alla vittoria italo-tedesca sulla Jugoslavia <7. Si provvede rapidamente alla consegna dei poteri civili nelle località fino a quel momento amministrate dalle forze d’occupazione italiane e ora assegnate allo Stato Indipendente Croato, mentre cresce il numero di serbi ed ebrei che dai villaggi e dalle città dell’entroterra accorrono nelle località costiere assegnate all’Italia, chiedendo protezione ai comandi militari italiani. Fin dall’inizio di maggio il ministro degli Affari Esteri croato Mladen Lorković ha chiesto la cessione alle autorità croate dei poteri civili tenuti dai comandi italiani e il permesso per gli ustaša e la gendarmeria di portare armi <8: anche Pavelić interviene presso Ambrosio accennando alla necessità del ritiro graduale delle truppe italiane e il 19 maggio ottiene, su disposizione di Mussolini, l’amministrazione civile dei territori dello Stato Indipendente Croato, nei quali tuttavia le truppe italiane, pur cessando di avere il carattere di truppe d’occupazione, rimarranno in qualità di forze di presidio in un «Paese amico» <9. Pavelić cerca di respingere la proposta italiana – unica vera garanzia per mantenere l’influenza sullo Stato croato – e rinnova senza successo la richiesta che le forze italiane siano ritirate del tutto, presentando un quadro alquanto ottimista della situazione interna, a suo dire «tranquilla e sotto il pieno controllo di Zagabria». L’equivoca condizione delle truppe italiane rimaste nei territori dello Stato Indipendente Croato, formalmente in sostegno al consolidamento dell’amministrazione croata, contribuisce a rendere più complessi i problemi esistenti e a creare una situazione che avrebbe avuto importanti ripercussioni politiche. Dinanzi alle azioni degli uomini del Poglavnik, infatti, i militari italiani intervengono in più di un’occasione a tutela dei civili, che cercano protezione. Ne deriva una progressiva divergenza tra l’orientamento della linea politica ufficiale del governo di Roma e la realtà in cui si trovano le forze armate italiane, che tendenti a soccorrere la consistente minoranza serba, crea, di fatto, un imprevisto legame con questa, contrastante con le intese politiche raggiunte tra Roma e Zagabria. Ne scaturiranno gravi incomprensioni e attriti, sia tra i due governi, sia tra le massime autorità politiche italiane e l’esercito in Dalmazia e nei territori passati all’amministrazione croata. L’ordine trasmesso da Roma alla 2ª Armata è di non intervenire dinanzi alle violenze, ma forte resterà la tentazione di allantonare gli ustaša, almeno dai territori dalmati annessi <10.
A Roma intanto giungono notizie riguardanti la distruzione d’interi villaggi. L’Ufficio Affari civili della 2ª Armata l’11 giugno informa lo Stato Maggiore dell’Esercito dell’attività terroristica svolta dagli uomini del Poglavnik, che si lanciano alla caccia dei «nemici dello Stato», individuati negli ebrei e nella popolazione ortodossa. Le azioni in Erzegovina, che confermano alle autorità militari italiane il contegno inqualificabile degli ustaša contro la popolazione civile <11, sono inoltre causa delle reazioni che alcune bande armate serbe hanno avuto contro la Divisione Marche, accusata di essere responsabile delle malefatte ustaša, data la libertà loro lasciata di esercitare arbitri e violenze <12. Anche la «parte sana» della società croata, inclusa buona parte della popolazione musulmana, è indignata dallo scempio commesso nello Stato croato e inizia a stigmatizzare l’astensione delle autorità militari italiane dal prendere provvedimenti contro gli uomini del Poglavnik o sedicenti tali. L’atteggiamento d’indifferenza incoraggia gli ustaša nelle proprie azioni e serbi ed ebrei vanno perdendo la fiducia riposta nelle autorità militari italiane, meditando di organizzarsi per opporsi alle rappresaglie <13. I massacri compiuti in Lika assumono aspetti feroci che – scrive l’Ufficio Affari civili della 2ª Armata – «possono trovare riscontro soltanto nei tempi più oscuri del Medioevo». Secondo Ambrosio i civili uccisi sono migliaia e altrettante le persone arrestate: «le violenze sono condotte all’insaputa delle stesse autorità governative o degli stessi comandi delle truppe regolari croate, quasi sempre dovute ad iniziative di gruppi locali, a manipoli di gente indefinibile». Ambrosio attribuisce la responsabilità della situazione esclusivamente agli ustaša, precisando che le autorità civili e militari croate ne comprendono invece la gravità. Diventa necessario porre fine alle violenze, che compromettono seriamente l’esistenza stessa dello Stato Indipendente Croato e il «prestigio italiano» tra la popolazione che tali atti subisce e deplora. I comandi delle truppe italiane, in base alle disposizioni impartite, evitano ogni ingerenza nelle attività politiche locali, ma le violenze ustaša trascendono i limiti dell’episodio politico e inducono a intervenire: la sola presenza italiana, infatti, è a volte sufficiente a frenare gli eccessi. Ambrosio invoca anche un intervento presso Pavelić di Raffaele Casertano, ma l’incaricato d’affari italiano nella capitale croata, allineato alle posizioni del governo croato, comunica a Roma di non ritenere opportuno intrattenere l’alleato di Zagabria sulla questione <14.
Non dissimili le osservazioni del generale Furio Monticelli, comandante la Divisione Sassari a Knin. Anche qui gli arresti e gli omicidi della popolazione serba, numericamente prevalente, si susseguono a ritmo accelerato, essenzialmente per vendette personali. La presenza italiana nella zona è sempre meno tollerata dagli ustaša, seppur sopportata, e l’impotenza dinanzi alle violenze crea un sentimento di profondo malumore che rende difficile la permanenza delle truppe italiane. Monticelli sottolinea il rischio di vedersi sfuggire il controllo sui propri uomini, «poiché nonostante il diffuso senso di disciplina e la volontà di ossequiare gli ordini», non può garantire che di fronte ad atti di così inaudita violenza, non vi sia un intervento in contrasto con le azioni delle locali autorità croate. Rimanere passivi significa apparire complici dei massacri agli occhi delle vittime e in generale di chi disapprova le persecuzioni <15.
Ufficiali e soldati italiani racconteranno in seguito nelle loro memorie le vicende di quegli anni. In alcuni casi contravvengono agli ordini superiori e intervengono in difesa di serbi ed ebrei, creandosi la fama di «protettori degli elementi più avversi al regime di Zagabria». Le autorità croate inoltrano proteste ufficiali alla Legazione italiana a Zagabria, lamentando l’atteggiamento della 2ª Armata che rivolge appelli agli abitanti della Bosnia-Erzegovina affinché si pongano sotto la protezione delle autorità militari italiane, che a Knin dispongono la riapertura al culto della cattedrale ortodossa e lo stesso fanno a Mostar, tra le proteste del vescovo della città.
Si tratta fondamentalmente di episodi isolati e iniziative spontanee da parte di singoli soldati o di interi reparti che si espongono anche a gravi rischi, ma molto più semplicemente le truppe italiane salvano serbi ed ebrei accogliendoli nei territori dalmati annessi all’Italia. Le reazioni italiane certamente sono anche dettate da questioni di ordine pubblico e di controllo del territorio che l’esodo in massa di migliaia di profughi in fuga dalle persecuzioni va provocando. Le truppe italiane, infatti, non riserveranno lo stesso trattamento ai partigiani di Tito e alla popolazione civile che li fiancheggia, verso cui si rendono invece responsabili di dure repressioni.
[NOTE]
1 In merito alle relazioni tra l’Italia e lo Stato croato nel periodo in oggetto mi permetto di ricordare, nella vasta bibliografia, la monografia da cui è estratto il presente contributo: A. Becherelli, Italia e Stato Indipendente Croato (1941-1943), Roma, Nuova Cultura, 2012.
2 Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), fondo M-3, Documenti it., b. 5, fasc. 7, Comando 2ª Armata-Ufficio I, a Ministero della Guerra-Gabinetto, prot. n. I/2952/S, oggetto: Attività croata nel territorio di occupazione, f.to il Generale Comandante designato d’Armata V. Ambrosio, P.M.10, 23 aprile 1941-XIX.
3 Ibidem, Stato Maggiore R. Esercito-Ufficio Operazioni-I-Sezione 3^, a Comando Supremo-Stato Maggiore Generale, prot. n. 5988, oggetto: Manifesti Croati, f.to il Sottocapo di S.M. dell’Esercito, P.M.9, 20 aprile 1941-XIX.
4 Ibidem, Comando Supremo Stato Maggiore Generale-Ufficio Operazioni-Sezione 2^, 26 aprile 1941-XIX.
5 Ibidem, Comando 2ª Armata-Ufficio Affari Civili, a Comando Supremo Stato Maggiore Generale-Ufficio Personale e Affari Vari, prot. n. 102/A.C./S. e n. 155/A.C., oggetto: Informazioni di carattere politico, f.to il Generale Comandante desiganto d’Armata V. Ambrosio, P.M.10, 4 e 9 maggio 1941-XIX.
6 O. Talpo, Dalmazia. Una cronaca per la storia (1941), Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, 1985, pp. 179-183.
7 Archivio Storico Diplomatico Ministero degli Affari Esteri (ASDMAE), Gabinetto del Ministro e Segreteria Generale 1923-1943, b. 1493 (AP 28), Armistizio pace, AG Croazia P.G., aprile-dicembre 1941, Centro “I” Antico, a Servizio Informazioni Militare Ufficio Albania P.M.22 – A, n. prot. 5/1240 segreto, oggetto: Notizie sulla Croazia, f.to il Capitano dei CC. RR. Capo Centro Angelo Antico, P.M.9IA., 7 giugno 1941-XIX.
8 O. Talpo, op. cit., p. 465.
9 AUSSME, fondo N. 1-11, Diari Storici Seconda Guerra Mondiale, b. 580, Comando VI Corpo d’Armata, Diario Storico, Comando 2ª Armata, Telescritto n. 4550, P.M.10, 19 maggio 1941-XIX; id., Comandante VI Corpo d’Armata a comandi dipendenti, P.M.39, 24 maggio 1941-XIX. Anche in ASDMAE, b. 1493 (AP 28), Ministero degli Affari Esteri-Gab.A.P., Appunto per l’Eccellenza il ministro, Roma, 24 maggio 1941-XIX.
10 ASDMAE, b. 1493 (AP 28), Delegazione del P.N.F. presso il movimento ustascia, al Duce, al Segretario del P.N.F. e p.c. al Ministero degli Affari Esteri, prot. ris. 2/C, oggetto: relazione sulla situazione dopo l’ordine di rioccupazione militare, f.to il Capo Delegazione P.N.F. in Croazia Lgt. Gen. Eugenio Coselschi, Zagabria, 19 agosto 1941-XIX.
11 Ibidem, Comando Divisione Fanteria Messina-Sezione Operazioni e Servizi, a Alto Commissariato civile per il Montenegro-Cettigne, prot. n. 1851 Op., all. 1, oggetto: Informazioni, d’ordine il Ten. Colonnello Capo di S.M. Michele Tanzi, P.M.91/A, 9 giugno 1941-XIX; id., R. Ministero Affari Esteri Roma, f.to l’Alto Commissario Mazzolini, 16 giugno 1941-XIX; id., Commissariato civile per il Montenegro, Delegazione di Nikšić, a Alto Commissariato per il Montenegro Cettigne, f.to il delegato Avv. Lodovico Maravalle.
12 Ibidem, Comando Divisione Fanteria Messina, Ufficio Informazioni, a Comando Superiore Forze Armate Albania 9ª Armata P.M.22/A, a Alto Commissariato per il Montenegro Cettigne, n. 1139 s.I – All. 1, oggetto: Situazione nella zona di confine con la Croazia, f.to il generale comandante Carlo Tucci, P.M.91/A, 30 giugno 1941-XIX.
13 Ibidem, Centro I Antico, a Servizio Informazioni Militare Ufficio I Albania, P.M.22 – A., prot. n. 5/1330 segreto, oggetto: Notizie dalla Croazia, Mostar, f.to il Comandante dei CC.RR. Capo Centro Angelo Antico, P.M.9I/A., 18 giugno 1941-XIX; id., Comando Supremo, Servizio Informazioni Militare Ufficio I Albania, Centro I Antico, a Servizio Informazioni Militare Ufficio I Albania P.M.22 – A., prot. n. 5/1375 segreto, oggetto: Notizie dalla Croazia, Mostar, f.to il Capitano dei CC.RR. Capo Centro Angelo Antico, 20 giugno 1941-XIX.
14 Ibidem, Comando 2ª Armata-Ufficio Affari Civili, Segreto, Riservatissima-personale, a R. Legazione d’Italia a Zagabria, oggetto: Violenze degli ustasci – Reazioni sulle truppe italiane, P.M.10, 21 giugno 1941-XIX.
15 Ibidem, Comando Divisione Sassari, Ufficio Informazioni, prot. n. 478/I, Riservata personale, a Comandante del VI Corpo d’Armata, oggetto: Situazione politica in Tenìn, f.to generale F. Monticelli, P.M.86, 16 giugno 1941-XIX; id., Governatorato della Dalmazia, prot. n. 454, Riservato, a Ministero degli Affari Esteri, oggetto: Situazione nel territorio dalmato-croato: attività degli ustascia, f.to Bastianini, Zara, 24 giugno 1941-XIX.
16 AUSSME, N. 1-11, b. 523, Comando Divisione Sassari, Diario storico, P.M. 86, 15 e 18 luglio 1941-XIX.
Alberto Becherelli, La 2ª Armata italiana nello Stato Indipendente Croato (1941-1943). Occupazione e operazioni antipartigiane nelle relazioni degli ufficiali italiani, Studia Universitatis Petru Maior, Historia, 2/2012

[…] la Seconda Guerra Mondiale rese molto più visibili il carattere del potere fascista. La compartecipazione all’edificazione di un sistema violento di dominio poteva produrre anche reazioni intrise di senso di colpa, o distacchi assimilabili a forme di renitenza dall’autorità <563. Ma nella pur nella complessa parcellizzazione degli atteggiamenti nei confronti del fascismo, ufficiali animati da una concezione «ottocentesca […] borghese e paternalista», così diversa dalle aspirazioni dell’“uomo nuovo”, contribuirono all’edificazione del nuovo ordine mediterraneo <564.
La recente storiografia che ha indagato la natura delle occupazioni italiane, ha dimostrato come ci fosse un grosso grado di responsabilità dei militari e dell’istituzione militare nell’edificazione di un sistema di dominio dal carattere autoritario. Le politiche di occupazione messe in atto dalle autorità militari – una «pagina nera» che coinvolse la maggior parte dell’esercito italiano, dispiegato in modo diseguale su territori oggetto di diversi obiettivi politici, sottoposti a diversi regimi occupazionali, in cui le autorità militari esercitarono sempre maggior controllo <565 – si dimostrarono spesso più dure di quanto le autorità fasciste avrebbero voluto, come evidenziato ad esempio per il caso della Slovenia. In questo senso, le idee senza parole alla base della cultura militare italiana, fornirono una base di legittimazione alla guerra italiana, anche dopo che il fascismo dimostrò la propria incapacità di combattere la guerra per cui si era sempre preparato.
[NOTE]
563 Ne sono un esempio le reazioni di fronte alla violenza degli ustaše nei confronti dei serbi, GOBETTI Eric, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 29. L’esercizio diretto della violenza poteva però tingersi sia di ragioni politiche, che di reazioni a caldo, che asettici calcoli a freddo, OSTI GUERRAZZI Amedeo, L’esercito italiano in Slovenia. 1941-1943. Strategie di repressione antipartigiana, Viella Roma 2011, p. 99. Per il carattere dell’occupazione in Grecia, vedi CLEMENTI Marco, Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-1943), DeriveApprodi, Roma 2013, pp. 182-188; PASQUALINI Maria Gabriella, L’esercito italiano nel Dodecaneso. 1912-1943. Speranze e realtà. I documenti dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma 2005; GODDI Federico, La repressione italiana nel Montenegro occupato 1941-1943, in «Italia Contemporanea», n. 279, dicembre 2015, e la sua ancor più recente monografia sullo stesso tema.
564 RODOGNO Davide, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 191.
565 Le forze complessivamente destinate nei Balcani tra 1941 e 1943 furono 30-35, per 600-650.000 uomini complessivi, ROCHAT, Le guerre italiane…, p. 360, 363; vedi anche RODOGNO, Il nuovo ordine…, pp. 170-181.
Nicolò Da Lio, Il Regio Esercito fra fascismo e Guerra di Liberazione. 1922-1945, Tesi di dottorato, Università del Piemonte Orientale, 2016

Complessivamente, i manuali di storia esaminati mostrano un interesse tutto rivolto alla fase iniziale, quella dell’attacco, e alla fase “conclusiva”, quella dell’intervento dei tedeschi giunti in soccorso dei “camerati” italiani in difficoltà. Manca completamente, invece, un sia pur minimo riferimento al “durante”, cioè alla presenza, alle attività, ai comportamenti dei militari e delle autorità italiane nei territori occupati. C’è solo un manuale, uno su trentadue, che richiama l’attenzione su vicende che sono state completamente rimosse e che, pur presenti in opere di memorialistica o in qualche saggio di carattere storiografico, sono diventate, soprattutto in questi ultimi anni, oggetto di riflessione e di ricostruzione storica.
Alberto Mario Banti, infatti, scrive:
“Le aggressioni nazi-fasciste non seguono alcun criterio giuridico riconosciuto che non sia quello di spargere il terrore tra persone le cui vite e i cui diritti sono considerati meno di niente. Questo tipo di azione politico-militare viene messo in atto non solo dalle autorità naziste ma, in Grecia e in Jugoslavia, anche dalle autorità fasciste. Sin dal 1941 in Grecia e in Jugoslavia le autorità italiane attuano rastrellamenti, esecuzioni di civili sospettati di appoggiare le formazioni partigiane, aggressioni e bombardamenti contro interi villaggi, che vengono completamente distrutti. In Grecia tra il 1942 e il 1943 le azioni di intimidazione e repressione diventano particolarmente violente. L’esercito italiano ricorre alla tecnica di bombardare e incendiare villaggi, di saccheggiare le riserve di viveri e gli attrezzi da lavoro, di deportare gli ostaggi nei campi di concentramento locali, nel tentativo di spezzare i rapporti (veri o presunti) tra comunità rurali e gruppi partigiani. Non meno dure sono le azioni repressive ordinate dal generale Mario Roatta (1887-1968), che dal 19 gennaio del 1942 è il comandante della Seconda Armata che opera nella parte della Jugoslavia affidata alle truppe italiane. Come in Grecia, anche in Dalmazia e in Croazia le truppe italiane procedono a rastrellamenti, fucilazioni sommarie e internamento di sospetti nei campi di concentramento” <222.
[NOTA]
222 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi, 1ª edizione, Laterza, Bari 2009, p.234.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011