La Vergine e il Discepolo si tengono in piedi per un miracolo di equilibrio

Fig. 268: J. Sorolla, El entierro de Cristo, 1887, dipinto a Roma (opera distrutta) – Fonte: Eugenia Querci, Op. cit. infra

Come è noto, prima ancora di Zuloaga ed Anglada, è Joaquín Sorolla a conquistare il pubblico e la critica italiani. L’Italia è il primo paese straniero in cui Sorolla si avventura, naturalmente attratto, come tutti i suoi compatrioti, dall’immenso patrimonio culturale dell’arte classica e della centenaria tradizione accademica. Una figura particolarmente significativa, quella del pittore valenziano, poiché per prima la sua pittura aveva rappresentato un’alternativa allo stanco preziosismo della scuola fortunyana. Nel suo volume “Storia della pittura del secolo XIX” (1915) Léonce Bénédite, direttore del Musée du Luxembourg, attribuiva alla scuola valenziana, a quella basca e a quella di Barcellona il merito di aver rinunciato “alla puerilità del genere in costume ed ai mezzucci di maniera” per volgere lo sguardo alla verità della natura. Affermava poi che “il primo artista che fece splendidamente ritorno ad una più sana visione dell’arte fu Joaquin Sorolla y Bastida” <544.
L’artista era giunto a Roma il 4 gennaio 1885 con una borsa di tremila pesetas della Diputación Provincial di Valenzia, vinta grazie al dipinto di argomento storico “El Palleter declarando la guerra a Napoleón” (1884, Valencia, Diputación de Valencia, in deposito al Palau de la Generalitat), dove raffigurante un episodio di eroismo locale contro Napoleone nel maggio 1808. L’opera proponeva spettacolarità, una buona dose di retorica, un numero elevato di personaggi ed un’adeguata celebrazione del genuino eroismo patrio; tutti elementi comuni alla pittura di storia europea della seconda metà dell’Ottocento, a vocazione identitaria e nazionalista. Sorolla, che già si era espresso nell’ambito della pittura di storia con il celebre “Dos de Mayo” presentato all’Esposizione Nazionale di Madrid, unisce a tale inclinazione un sincero interesse per la pittura dal vero. Come riporta Bernardino de Pantorba, in “El Palleter declarando la guerra a Napoleón” il giovane artista cerca di ricreare le condizioni reali in cui i fatti si erano svolti: “per dipingere la tela attesi proprio maggio, nonostante l’avessi concepita mesi prima; scelsi la luce di Valenzia, tanto intensa quanto quella di Madrid, e l’aria aperta, forse uno dei primi se non il primo quadro di composizione che è stato dipinto in Spagna all’aria aperta” <545.
Non stupisce dunque la relazione instaurata a Roma tra Sorolla e Francisco Pradilla, direttore dell’Accademia e noto pittore di storia, ma anche grande paesaggista, attento a fissare nel quadro la precisione dell’ora e dell’atmosfera.
D’altro canto Sorolla non è destinato a rimanere nell’alveo della pittura di storia, un genere che per altro nel giro di qualche anno tenderà ad esaurire il suo significato.

Fig. 149: Emilio Sala, Prigione del principe di Viana, Malaga, Museo de Bellas Artes – Fonte: Eugenia Querci, Op. cit. infra

Fatte le prime esperienze a Roma, dove entra in contatto con la pittura di Francisco Pradilla, José Villegas e Emilio Sala (fig. 149), in quell’epoca professori dell’Accademia, Sorolla si lascia convincere da Pedro Gil Moreno de Mora, conosciuto nella capitale, a compiere un viaggio a Parigi in sua compagnia. Lo stesso Sorolla dirà più tardi “dentro di me si agitava uno spirito inquieto, rivoluzionario” <546, lo stesso che lo accompagnerà nel suo primo viaggio nella capitale francese, appena tre mesi dopo il suo arrivo in Italia. A Parigi lavora “in modo vertiginoso”, ma in ottobre deve tornare a Roma per preparare il suo primo invio annuale di pensionato alla Diputación de Valencia: sei disegni e i due olii “Nudo femminile” e “Un crocifisso” (Un crucificado).

Fig. 201: J. Sorolla, Figura de santa italiana, 1885, Madrid, Museo Nacional del Prado – Fonte: Eugenia Querci, Op. cit. infra

Osservando le opere di questi anni tra il 1885 e il 1887, si nota l’oscillare incerto dell’artista tra diverse inclinazioni: la pittura pastosa e terrosa degli antichi maestri del Seicento (Tres cabezas de hombre, 1885), le seduzioni preraffaellite e neoquattrocentesche forse mediate attraverso il contatto con l’ambiente romano di In arte Libertas (Figura de Santa italiana, 1885, fig. 201), il verismo napoletano di discendenza morelliana e la più facile pittura commerciale revivalista che tanto a Roma (e nell’ambito dell’Accademia di Spagna), quanto a Napoli aveva trovato fecondo terreno grazie alla complicità di avveduti mercanti (Cabeza de italiana, 1886; Messalina en los brazos del gladiador, 1886).
Del resto, l’artista aveva conosciuto da vicino l’ambiente partenopeo, avendo visitato quello stesso anno Pisa, Firenze, Venezia e infine Napoli. È qui che dipinge olii ed acquerelli che, stando alla biografia dell’artista, vengono in buona parte acquisiti da mercanti locali. Una di queste opere, appartenente ad una serie, è “Niña italiana”, oggi al Museo Sorolla.
Nel 1886, Sorolla decide di affrontare un’opera di grandi dimensioni con cui partecipare all’Esposizione Nazionale di Madrid del 1887: “El entierro de Cristo” (fig. 268). Una tela enorme, 430 x 685 cm, che dimostra un’indiscutibile attrazione per l’idealismo di Domenico Morelli con cui poteva essere entrato in contatto anche in occasione della tappa napoletana del suo viaggio del 1886. Molti critici hanno attribuito l’insuccesso de “El entierro de Cristo” all’insincerità d’ispirazione, poiché l’artista non sentiva intimamente il soggetto religioso. In verità, ciò che Sorolla fissa con il pennello sulla grande tela è un momento profondamente umano, piuttosto che una manifestazione trascendente, della vita di Cristo. Sorolla allontana qualunque magniloquenza, abbandona la composizione classica di memoria rinascimentale e cerca di restituire la soggettiva verità umana di una sepoltura circondata di dolore e silenzio attonito.

Fig. 270: Domenico Morelli, L’imbalsamazione di Cristo, 1867, Roma, Galleria nazionale d’Arte Moderna – Fonte: Eugenia Querci, Op. cit. infra

L’esempio di Morelli pare più che un riferimento generico. Attorno al 1867 il maestro napoletano aveva dipinto “L’imbalsamazione di Cristo” (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, fig. 270), esposto lo stesso anno alla Promotrice di Napoli, dove viene comprato dal celebre collezionista Giovanni Vonwiller, e nel 1872 all’Esposizione di Milano, con grande riscontro di critica. Un opera che con altre di Morelli come il “Cristo deriso”, segnava un percorso nuovo e peculiare per la pittura religiosa.
È possibile che Sorolla conoscesse l’opera, di cui sembra ricreare l’atmosfera sospesa e pulviscolare così come l’afflato profondamente umano. In una lettera all’amico pittore Eleuterio Pagliano, Morelli aveva voluto spiegare l’iconografia del suo “L’imbalsamazione di Cristo” che, dobbiamo dedurre, aveva suscitato perplessità tra critici e commentatori. In effetti, la rappresentazione usuale della sepoltura di Cristo nella pittura dal Trecento in poi mostrava il corpo seminudo, talvolta parzialmente avvolto nel sudario, in pose di morbido abbandono. Morelli adotta invece una totale fedeltà al Vangelo di San Giovanni, secondo cui il corpo del Messia viene completamente avvolto in bende intrise di mirra e aloe secondo l’uso giudaico: “ti ho mandato il testo di San Giovanni perché…sfugge anche ai preti che si consumarono circa mille litri o libbre di aromi per imbalsamare il corpo di Gesù” <547.
Sorolla, al contrario, si muove più liberamente rispetto al testo biblico. Nel suo intervento dedicato al dipinto ne “La Ilustración Artística”, Pedro de Madrazo scrive: “si è preso la licenza razionale, conforme anche in questo alla generalità dei pittori, di prescindere da uno dei particolari del racconto di San Giovanni, secondo il quale il cadavere del Salvatore avrebbe dovuto apparire tutto avvolto in bende, con spezie aromatiche, alla maniera giudaica presa forse dagli Egizi o da altri popoli d’Oriente; e lo ha rappresentato semplicemente coperto con un lenzuolo che, per come aderisce alla forma del corpo, si può ben supporre inumidito con la mistura di mirra e olii portato da Nicodemo per ungere il santo cadavere” <548.
L’attenzione quasi puntigliosa di Morelli per la verosimiglianza storica dei episodi narrati nei suoi dipinti costituisce una sua caratteristica assolutamente peculiare, in linea con l’evoluzione della storiografia dell’epoca.
In ambito pittorico trova riscontro sia nell’arte revivalistica (neopompeiano, neogotico, ecc) sia, più in generale, nella pittura di storia propriamente detta, sulla scia tracciata da Meissonier e Delaroche.
Per il dipinto di Sorolla, Madrazo apprezza proprio il suo essersi discostato “dalla moderna tendenza a rappresentare i fatti biblici come meri monumenti archeologici, poiché il bendaggio di cui parla l’Evangelista sarebbe risultato, anche se corretto, molto antiestetico e poco conforme alla tradizione”. L’accoglienza dell’opera di Sorolla, che si rivela un totale insuccesso, è condizionata anche dalla tecnica adottata, fatta di pennellate ampie, e dalla mancanza di disegno e linea di contorno, secondo modalità molto vicine a quelle della pittura morelliana in questa fase. Confrontando il quadro di Sorolla con il “Miserere mei Deus” di Benlliure y Gil, Asenjo Blanco afferma che “El entierro de Cristo” è inferiore per inesperienza, timidezza, indecisione e vaghezza, tanto da sembrare un “gran bozzetto” <549. Madrazo segue Blanco in questo giudizio, parlando di “meri abbozzi”, nonostante riconosca che “la concezione dell’artista appare piena di sentimento: diciamolo risolutamente, di santa ed elevata poesia” <550. Fernanflor chiude il suo commento come molti altri critici, affermando: “come un bozzetto gigantesco, come una nota felice di un paesaggista mi sembra elogiabile <El entierro de Cristo>”, tornando poi a criticare la mancanza di cura delle figure, di modo che la Vergine e il Discepolo “si tengono in piedi per un miracolo di equilibrio”.
[NOTE]
544 L. Bénédite, Storia della pittura del secolo XIX, traduzione italiana con aggiunte per cura del dott. Gino Fogolari, Direttore delle Regie Gallerie di Venezia, Milano 1915, p. 392.
545 B. de Pantorba, en su libro Sorolla. Estudio biografico y crìtico, Madrid 1953, p. 18.
546 Ivi, p. 22.
547 M. Picone Petrusa, Domenico Morelli tra oblio e rinnovato interesse, in “ON/OttoNovecento”, n. 3-96, pp. 65-66.
548 P. de Madrazo, Nuestro Arte Moderno. Temores y esperanzas, en “La Illustración Artistica”, Madrid, ano VI, n. 285, 13 de junio de 1887, p. 4. El critico identifica el paso bíblico a lo que se inspira Sorolla: “Convienen los cuatro evangelistas en que el cuerpo de Jesús, después de muerto, fue entregado por Pilato a José de Arimathea, que le reclamó: el cual, habiendo le desclavado y bajado de la cruz, lo amortajó y lo enterró en un sepulcro nuevo abierto en la peña viva. San Mateo agrega á esto que el hecho acaeció al anochecer – cum sero factum esset – y añade por su parte San Juan que en la operación de amortajar á Jesús, ayudo a Jose de Arimathea otro discípulo llamado Nicodemo. El pintor ha reunido, siguiendo la piadosa costumbre, todos estos datos, y ha representado al momento en que el divino cadáver es llevado al sepulcro por los discípulos José y Nicodemo, y otro hombre oportunamente introducido en la escena para ayudarles en su piadosa tarea”.
549 R. Asenjo Blanco, Exposiciòn de Bellas Artes. Certamen Trienal, mayo de 1887, en “La Ilustraciòn Ibèrica”, Barcelona, año V, n. 233, 18 de junio de 1887, p. 391. Dobbiamo tuttavia rilevare come, nonostante queste critiche, de Madrazo riconosce che l’opera di Sorolla supera molto quella di Benlliure y Gyl “en idealidad, poesia y sentimiento”.
Eugenia Querci, Tra Parigi, Venezia e Roma: Zuloaga, i pittori spagnoli e l’Italia, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2014