A Parigi sotto l’occupazione tedesca la pasticceria del Martini fu un attivo centro di solidarietà

La bussola per orientarmi in questo oceano di facile distrazione e confusione mi è stata generosamente lasciata in eredità da un nonno partigiano combattente contro il regime fascista emigrato in Francia (attraverso il passo della morte tra Ventimiglia e Mentone <61) prima della seconda guerra mondiale e attivo nel FTP – MOI (Francs Tireurs et Partisan de la Main d’Oeuvre Immigrée) <62, da un padre nato nella Parigi della liberazione che divenuto maggiorenne negli anni in cui l’Algeria stava lottando per l’indipendenza decise di disertare il servizio militare obbligatorio che lo avrebbe arruolato a partecipare al dominio colonialista della Francia in cui era nato, rifugiandosi in Italia; da una madre che, nata da un amore clandestino scoprì alla maggior età di essere figlia di colei che pensava essere sua sorella maggiore, incontrando quell’uomo di cui si innamorò decise di sposarlo per regolarizzarlo. Sono cresciuta con letture che poi sono diventate, nell’età adulta, oggetto di studio e riflessione: Gramsci, Foucault, Sayad, Weil, Orwell, Benjamin, Levi, Bourdieu, Reclus, Bakunin, Dickens, Said … la prima volta che ho sentito parlare di Marx avrò avuto 12 anni, seduta sulle gambe di mio nonno mentre mi faceva leggere gli appunti di quando partecipava alle riunione del PCF (Partito Comunista Francese, ho ancora a casa quel quaderno pieno di note e riassunti di filosofia e storia politica); così come la prima volta che sentii pronunciare il nome di Sartre eravamo seduti in giardino dopo un pranzo di quelle giornate estive in cui i grandi rimangono seduti a tavola a raccontare e i bambini si alzano per andare a giocare. Nella scatola dei ricordi c’è una foto della manifestazione parigina dopo il massacro degli algerini sulla Senna <63, promossa fra altri da Sartre; mio nonno lì riconobbe Pierre Boulez il celebre direttore d’orchestra molto amico di Foucault … da piccola adoravo il suono della pronuncia di quel nome, da grande ne ho apprezzato molto altro.
[…] Riprendendo l’esperienza biografica, al suo arrivo in Francia mio nonno chiese l’asilo politico in quanto perseguitato dal regime fascista ma ben presto fu costretto a vivere in clandestinità per via di una circolare del Ministero dell’Interno francese varata nel 1935 sui rifugiati politici che dichiarava che non si poteva mantenere l’ospitalità a stranieri che «si intromettono intempestivamente nella vita politica francese e di promuovere nel nostro suolo movimenti ai quali partecipavano nel loro paese di origine» essi «non possono sul nostro territorio prendere parte attivamente alle discussioni politiche e provocare disordini».
[…] Nel novembre del ‘38 in Francia venne varata “la legge dei sospetti” che permetteva di togliere la cittadinanza ai naturalizzati, in particolare se questi praticavano «atti contrari all’ordine pubblico e al funzionamento delle istituzioni» o se avevano subito una condanna al carcere in Francia o all’estero superiore a un anno con effetto anche retroattivo. Questa legge prevedeva l’internamento preventivo per gli indesiderabili che potevano essere raggruppati in centri speciali, oggetto di sorveglianza permanente. Il 21 gennaio 1939 è stato così aperto il primo centro di internamento a Rieucros nel sud della Francia – chiamato “campo di accoglienza”.
Da qui nasce il soffermarsi sull’esperienza del FTP-MOI. Essa mirò ad organizzare gli immigrati non a fini umanitari opportunamente assistenzialistici, ma facendone dei veri propri protagonisti politici. Sebbene nell’estate del 1945 la Francia dichiarerà la riconoscenza del popolo francese nei confronti dell’attività e dei combattenti stranieri nella lotta di liberazione in realtà fu solo nel 1985 che grazie alla proiezione di un telefilm sull’attività dei gruppi immigrati di un giovane regista di nome Mosco che molti francesi scoprirono che degli stranieri avevano combattuto nella resistenza francese. Scoprivano una sigla, la MOI – Mano d’Opera Immigrata <64 – scoprivano delle donne e degli uomini dall’accento straniero che avevano dato battaglia senza quartiere contro l’esercito di occupazione, una battaglia che si è svolta dalle strade ai boulevard e nelle piazze della capitale e che venne decimata nel novembre del 1943 non per mano dell’occupante ma per opera della polizia francese – in particolare della Brigata Speciale 2 dei Rensegnements généraux (Rg) – del quale mio nonno fu uno dei pochi sopravvissuti <65. Una storia che io sentii raccontare da quando ero bambina e che non ritrovando nei libri di scuola mi pose fin da giovane con uno sguardo critico al “sapere” come strumento di conoscenza e allo stesso tempo di dominio.
[NOTE]
61 https://video.repubblica.it/edizione/genova/ventimiglia-in-marcia-sul–passo-della-morte–il-sentiero-proibito-usato-daimigranti/
217288/216484
62 Palidda http://www.labottegadelbarbieri.org/scor-data-ancora-sul-25-agosto-1944/; un film ne racconta l’organizzazione
https://www.google.com/search?q=l%27arme+du+crime&client=safari&rls=en&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=ljaC17G9x
HhgJM%253A%252ChSMMRkQujo1CxM%252C_&usg=AI4_-kTnUGBcfxQSwQN8FU9Pbmi0DY- e la Tesi di Dottorato di
Eva Pavone – Università degli Studi di Firenze Ciclo XXV ne approfondisce contesti e percorsi “Gli emigrati antifascisti italiani
a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza” consultabile online.
63 http://contropiano.org/documenti/2017/10/18/parigi-17-ottobre-1961-mattanza-algerini-096789
64 Inizialmente si chiamavano MOE (Main D’Oeuvre Estrangère – Mano d’Opera Straniera) ma venne cambiata in MOI perché ci si rese presto conto che il termine straniero non era più adatto utilizzando quindi quello più economico e oggettivo di immigrato.
65 Per molti anni furono l’unica forza combattente della resistenza a Parigi divisi in 4 distaccamenti di cui il primo rumeno, il secondo ebraico, il terzo italiano e un quarto misto chiamato di “deragliatori”. Di quello italiano si salvarono solo due militanti Martino Martini – mio nonno – e la sua compagna Grandjean Luoise – mia nonna. Martino decide di partire clandestinamente per la Francia nel febbraio del 36 recandosi a Parigi dove cominciò subito la sua attività antifascista in seno all’associazione Giovani Antifascisti prima come dirigente di un piccolo circolo poi come responsabile della regione parigina. Divenne membro e poi dirigente della segreteria del Consiglio Nazionale dell’Unione Popolare Italiana. L’8 febbraio del 1941 venne arrestato con Luoise e altri compagni e venne poi scarcerato nel maggio del 1941. Mia nonna fu arrestata per stampa e distribuzione di manifesti clandestini, condannate a sei mesi di prigionia fu internata a Fresnes e liberata il 19 luglio 1941. In questa occasione venne contattata dalla MOI, dove iniziò la sua attività militante dal settembre del 1941 fino alla liberazione. La sua principale occupazione era quella di trasportare armi e munizioni a differenti gruppi del FTP-MOI. Martino entrò nel FTP-MOI col compito di organizzare depositi di armi e avendo una pasticceria era fornitore di ticket di alimentazione armi provenienti dei
paracadutisti. La sua pasticceria era luogo di attività clandestina dove si organizzavano riunioni e si decidevano le azioni. Non si capacitava della sua sopravvivenza, a volte diceva che la polizia non fece in tempo ad arrestarlo a volte invece era convinto che venne volontariamente lasciato libero per seguire altri collegamenti. Raccontava con i cuori pinei di lacrime di coraggio che il compagno Ferrari Ernesto di Treviglio fu torturato per sapere chi era il grande ricciuto con la Canadienne. Martino restò dell’illegalità fino alla liberazione: quando nel 1944 fu incaricato di organizzare la milizia patriottica del sud della regione parigina come comandante, divenendo responsabile della sussistenza nel terzo distaccamento degli immigrati. Combatte fino al 1944 partecipando all’insurrezione di Parigi. Tratto dal libro “FTP – MOI: il ruolo dei comunisti nella resistenza europea”, Redstarpress, Roma, 2018, a cura di Centro di documentazione Wacatanca
Francesca Martini, Aporie e metamorfosi o eterogenesi dell’accoglienza degli immigrati in Italia. Etnografia dei mondi dell’immigrazione nel frame liberista, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2019

Il giorno stabilito Richard, con Nino Perlini, Tonussi e due FTP francesi collocarono tutto il materiale su due treni che portavano a lavoro gli operai nel campo di aviazione di Persan Beaumont, dove Tonussi si era fatto assumere. In questi manifestini, si ricordava agli operai che Il PCF era ancora a loro fianco e che era venuto il momento per i francesi di unirsi e combattere contro Laval e Pétain per una Francia Libera e indipendente. Fu sempre Richard ad autorizzare Tonussi a compiere, all’inizio del 1942, un’azione di sabotaggio nello stesso campo di aviazione dove lavorava: mettere dello zucchero nei depositi di benzina che servivano per rifornire di carburante gli aerei Junker. <243 Secondo quanto afferma André Rossel Kirschen – sopravvissuto al processo della Maison de la Chimie, Rohregger avrebbe partecipato all’incendio di un deposito di benzina vicino al metro Bérault. <244
Nell’inverno 1941-42 al Forte di Vincennes, dove affluivano le requisizioni fatte a Parigi, quali auto e camion, racconta Guglielmo Marcellino che iniziarono ad arrivare molte stufe da riscaldamento.
L’esercito tedesco le sequestrava nei magazzini e negozi della città, e gli operai del Forte vennero incaricati di adattare queste stufe sui camion in partenza per il fronte russo, fu allora che Rohregger, Buzzi e gli altri del gruppo che lavoravano al Forte decisero di riempire le stufe di volantini scritti in tedesco da destinare ai soldati in partenza per il fronte di Mosca. <245
Le bombe fabbricate da Richard e dai suoi compagni vengono assegnate in parte a Miret-Muste e a Guisco, che a loro volta le consegnavano ai gruppi delle OS. Le bombe erano destinate inoltre anche ad un gruppo di “gappisti” italiani, il più importante dei quali era comandato da Pietro Pajetta detto Nedo, cugino dei comunisti Giuliano e Giancarlo Pajetta. Nedo era emigrato in Francia clandestinamente nel 1937 per arruolarsi come volontario nella guerra di Spagna da dove tornò gravemente ferito, amputato della mano destra. Rientrato in Francia venne arrestato e internato ad Aurillac nel dipartimento del Cantal per un breve periodo. <246 Rientrato a Parigi, si rese disponibile per arruolarsi nell’esercito francese il 1 settembre 1939. <247 Dopo l’arrivo dei nazisti, organizzò un gruppo di resistenti insieme a Vittorio Barzari (detto Charpier) di Bergamo, Martino Martini di Genova che a Parigi, prima dello scoppio della guerra, aveva fatto parte della Direzione dell’Unione Popolare Italiana e della Segreteria dei Giovani Comunisti Emigrati con Giuliano Pajetta e Michelino Rossi, e Ernesto Ferrari, ex garibaldino di Spagna con il grado di tenente di artiglieria.
Inoltre collaborarono a volte con questo gruppo Severino Cavazzini e Ardito Pellizzari, comunista friulano che aveva fatto la scuola leninista a Mosca. Quest’ultimo, che partecipò saltuariamente alle azioni del gruppo di Nedo, sarebbe diventato in seguito un membro del CILN e della “Milizia Patriottica dell’XI arr. nel 1944. Altro collaboratore fu Bruno Tosin di Vicenza, un quadro comunista che aveva collaborato a La Voce degli Italiani. <248
Una delle “basi” del gruppo di “Nedo” era il laboratorio di pasticceria di Louise Grandjean e Martino Martini, situato al n. 11 della rue Laferrière, nell’IX arr. dove lavoravano sia Pajetta che la compagna Bianca Diodati. Una seconda base, molto sicura, era la casa dei coniugi Diodati, noti militanti comunisti, situata al Passage du Génie n. 7, nel XII arr. <249
La pasticceria del Martini, che prima della guerra aveva garantito un lavoro e un tetto agli emigrati comunisti che arrivavano dall’Italia senza permesso di soggiorno, durante la guerra di Spagna e sotto l’occupazione tedesca fu un attivo centro di solidarietà: da qui erano partiti gli aiuti e i pacchi per i volontari delle Brigate Internazionali e poi per gli internati nei camps d’accueil francesi. <250 Il laboratorio fu anche un deposito di volantini del Front National, e durante una perquisizione del locale la polizia trovò il materiale e arrestò l’8 febbraio Martini e in seguito a pedinamenti, Pajetta, la Grandjean e Tosin. <251
Martino Martini ricorda “Venimmo arrestati (…) per colpa del compagno Antonio Pancaldi di Bologna che, a sua insaputa, venne seguito fino alla pasticceria, dove i poliziotti trovarono qualche manifestino. Questo ritrovamento indusse i poliziotti a pernottare nell’edificio per arrestare, il mattino successivo, alla ripresa del lavoro, un maggior numero di compagni, ignari del pericolo. E così avvenne: ad uno ad uno i lavoranti – che erano quasi tutti compagni – che arrivavano a lavorare, vennero arrestati dai poliziotti. Poi arrivò il cacio sui maccheroni: Piero con il suo triciclo carico di manifestini scritti in italiano, francese e tedesco”. Furono in un primo momento mandati alla prigione La Santé dove erano rinchiusi molti spagnoli e anche italiani. Furono condannati da un tribunale tedesco a 6 mesi di carcere per diffusione di materiale di propaganda e furono trasferiti alla prigione di Fresnes <252 tranne Louise Grandjean che fu condotta prima alla prigione de la Petite Roquette e poi a quella del Cherche Midi. <253 Furono tutti rilasciati nell’agosto del 1941. Il Ferrari prese parte con Richard, prima dell’arresto di quest’ultimo, alla fabbricazione di esplosivi data la sua esperienza come tenente di artiglieria in Spagna. Cadde poi anche lui nelle mani del nemico, venne torturato selvaggiamente al Fort di Romainville e internato successivamente nel campo di concentramento di Compiègne, da dove evase e partecipò all’insurrezione di Parigi nell’agosto del 1944.” <254
Dopo la scarcerazione, Tosin e Pajetta, per ordini del partito passarono nell’illegalità e poco dopo anche il Martini.
[NOTE]
243 A. Tonussi, op. cit, cit. p. 124. Anche se Tonussi parla di FTP, è opportuno precisare che i FTP si formarono successivamente dalla primavera del 1942 prima erano attivi i gruppi dell’OS., pp. 127-128.
244 Secondo il codice militare tedesco potevano essere condannati a morte solo persone dai 16 anni in su. Kirschen nel 1942 aveva 15 anni, e per questo venne lasciato libero.
245 G. Marcellino, Italiani a Parigi sotto l’occupazione nazista, in Patria indipendente, quindicinale della resistenza e degli ex combattenti, anno XXI n. 7-8, 23 aprile 1972.
246 L. Moranino, “Nedo” un combattente per la libertà, Associazione culturale Elvira Berrini Pajetta, Taino, 1995, p. 16.
247 In una lettera del 1.09.39 inviata alla famiglia scrive “(…) Oggi stesso mi sono arruolato nell’esercito francese, come altre centinaia di migliaia di italiani che fortunatamente qui non siamo schiavi e possiamo vedere la verità quindi abbiamo scelti la via giusta. (…)”. ACS, CPC Pietro Pajetta, b. n. 3663.
248 Bruno Tosin, apparteneva ai giovani comunisti del PCd’I, nel 1930 rientrato dalla Francia in Italia per ricostituire il Centro Interno del partito,viene arrestato e condannato dal Tribunale Speciale a 14 anni di carcere, nel 1940 si trovava di nuovo in Francia. P. Spriano, Storia del partito comunista, Volumi II, III,VI, Da Bordiga a Gramsci, p. 512; I fronti popolari, Stalin, la guerra, p. 306; La fine del fascismo. Dalla riscossa operaia alla lotta armata, p. 337.
249 La famiglia antifascista dei Diodati era composta da 7 persone, padre, madre, e cinque figli, tre femmine e due maschi. Emigrati in Francia nel 1937 erano militanti comunisti e furono tutti attivi nella resistenza. Uno dei fratelli Diodati, Arrigo, durante i primi anni dell’occupazione nazista, lavorava nella pasticceria del Martini e trasportava le armi e materiale di propaganda che gli consegnava il cognato Pietro Pajetta. In seguito Arrigo sarebbe stato inviato in Italia e fu gappista a Genova. Scampò miracolosamente alla fucilazione il 23 marzo 1945 nella zona di Cavrasco, fu ritenuto morto e venne lasciato tra i cadaveri dei suoi compagni, fu poi salvato da alcuni contadini. Un altro fratello, Wladimiro, inviato dal partito comunista in Italia per fare propaganda tra i militari, fu partigiano a Genova. F. Giannantoni, I. Paolucci, La bicicletta nella Resistenza: storie partigiane, Varese, Arterigere, 2008, p. 93 e ss.
250 L. Righi, op. cit., p. 40
251 Attestazione di Darno Maffini rilasciata a Martino Martini il 27 giugno 1961. BDIC – Fonds Maffini, Carton 3 – F delta 1873, B, Certificat de résistance, médailles et récompenses (deux dossiers) Attestations et certificats de résistance et de faits d’arme des personnes.
252 La testimonianza del Martini è riportata in L. Moranino, “Nedo” un combattente per la libertà, op. cit., p. 22.
253 Attestazione rilasciata da Maffini a Louise Grandjean, coniugata Martini, il 24 maggio 1980.
254 S. Schiapparelli, Ricordi di un fuoruscito, op. cit., p. 204.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013