Il mio paesaggio si era formato sulle balze ancora perfettamente coltivate della Rocca di Legino

Savona: Via alla Rocca di Legino. Fonte: Mapio.net

“È questa diversità naturale e soprattutto culturale della Liguria, che non sempre Genova e le sue classi dirigenti hanno saputo considerare e interpretare, che mi ha sempre attratto e ancora mi attrae. Anzi, è proprio questa Liguria divisa, come dice Italo Calvino, fra l’aprico e l’opaco, fra la Riviera luccicante di sole, vegetazione esotica e lussi superflui e l’umile mondo della montagna, custode di un’identità regionale sempre più a brandelli e a chiazze come un mantello di Arlecchino, che continua ad esercitare una forte attrazione e a farmi riflettere.
In questa mia condizione di ligure – mai dimenticata e anzi rafforzata dai periodi di ‘esilio’ – Calvino mi ha aiutato a capire che, come è implicito per ogni rivierasco, i due fondamentali ‘orienti’ della nostra bussola – i punti di riferimento per orientarci ovunque ci troviamo – sono l’avrigu e l’ubagu o luvegu (come si dice nel Genovesato): l’avere davanti l’aperto e luccicante orizzonte del mare e dietro la montagna ombrosa, nascosta, da scoprire. Un contrasto familiare al geografo e tale da suscitare vocazioni cartografiche se è vero che lo specchio del mare è, almeno a prima vista, come la superficie piatta di una carta, mentre il mondo della montagna si apparenta piuttosto a un plastico complicato e labirintico. Ma Calvino mi ha soprattutto insegnato che per intendere la Liguria, e con lei anche la vita e il mondo, è dal “fondo dell’opaco” che occorre pensare e scrivere. Più che nello specchio facile e ingannevole del mare dobbiamo imparare a rifletterci in quello austero della montagna, che esige fatica e ricerca continua.
Allora ho capito che la mia mappa mentale, il mio paesaggio – quello che si forma nell’infanzia e poi non si può più “scancellare” come dice Montale – si era formato sulle balze ancora perfettamente coltivate della Rocca di Legino – in una vecchia villa che aveva il nome delizioso di Parpagliona – che oggi domina (si fa per dire) soltanto la Savona malamente cresciuta attorno alla nuova stazione ferroviaria.
La distesa informe dei condomini cresciuti a monte dell’Aurelia ha soffocato e reso irriconoscibile la Parpagliona che agli occhi della mia memoria continua ad affacciarsi sulla più piacevole distesa di orti e ville che allora arrivava fino al mare delle Fornaci.
Nella villa, dove ancora vivevano le mie deliziose ‘nonnette’, tornavo a ogni estate della mia adolescenza e in quel golfo facevo il mio apprendistato con le insidie del mare. Neppure a oltre mezzo secolo di distanza riesco a dimenticare il piacere con cui ho appreso l’abilità insegnatami da un vecchio bagnino, di aspettare l’ultimo momento utile per buttarsi nell’onda mostruosa della prima burrasca estiva, così come non mi è facile dimenticare la gioia dei primi bordi a vela sul vecchio gozzo dello zio – un ‘argus’ per la precisione – nel mare di Celle.
Il mare mi ha sempre appassionato come fonte di emozioni forti (ritrovate anche nelle parole di Valéry, nel suo elogio del nuoto) o di divertimento ed esercizio sportivo e quando ho cercato di viverlo anche come ricerca non mi è riuscito di raggiungere risultati accettabili.
Anch’io, come Calvino – consentitemi questo ulteriore parallelo non letterario ma di vita e di infanzia – dopo la scuola e i compiti uscivo dalla porta della cucina, sul retro della Parpagliona e imparavo dai contadini a conoscere il mio paesaggio. Ma anche i suoni, i colori e la vita che di notte si ritirava sulla costa, sul nastro dell’Aurelia denso di traffici e di attrazioni, colpivano la mia fantasia e più grandicello mi spingevano a scappare di casa, a darmi con l’amico delle lunghe giornate estive ad avventurose fughe notturne.
La sintesi o meglio la pratica continua, quotidiana, di mare e di terra, in particolare della collina vignata e olivata in basso e più in alto orlata di boschi che ha costituito il mio primo, indimenticabile ambiente di vita, dove mai si perdeva di vista l’orizzonte marino, ha costruito il ‘mio’ paesaggio e mi ha fatto quello che ancora oggi sono. Prima a Savona e poi a Celle.
Nei loro antichi Statuti e documenti ho scoperto il rapporto fra il mare a la montagna, fra il grande nemus che risaliva verso il giogo o Giovo e le attività portuali e cantieristiche sulla costa: l’intreccio equilibrato di un rapporto che troppo presto i Liguri hanno ritenuto superato e che prima l’industrializzazione e poi il turismo di massa hanno spazzato via” (Quaini datt. 2011).
Luisa Rossi, Raccontare, raccontarsi. Massimo Quaini fra biografia ed ‘egogeografia’, Firenze University Press, Territori, 33, Firenze, 2021

Nell’arco cronologico che va dal 1968 al 1973 Quaini si occupa di Liguria in rapporto a fenomeni storico-geografici concreti – i boschi e la loro utilizzazione per i cantieri navali (Quaini 1968), i rapporti fra strade e insediamenti (Quaini 1969) – ma è soprattutto grazie al coordinamento del Gruppo interdisciplinare di ricerca sulle sedi abbandonate (Quaini 1971a; 1971b), che Massimo può strutturare le basi teoriche della ‘sua’ geografia storica (orientamento quasi esclusivo di questa fase cronologica): analisi sub-regionale; scelta di aree campione significative dal punto di vista del fenomeno indagato; schedatura delle fonti documentarie (cartografia storica, letteratura corografica, catasti, registri parrocchiali, descrizione delle diocesi ecc.); estrapolazione e analisi critica dei dati più utili per ricostruire – nel caso particolare – consistenza demografica, attività della popolazione, risorse del territorio in rapporto alle sue caratteristiche geografiche.
Carlo Alberto Gemignani, Massimo Quaini: la Liguria labirinto e laboratorio, Firenze University Press, Territori, 33, Firenze, 2021

Partendo dalla sua Liguria, l’autore affronta geograficamente il tema del paesaggio proponendo la virtuosa utopia del ‘paesaggio conviviale’, in cui l’uomo e la natura vivono in rispettosa armonia, l’unica capace di conservare reciprocamente la vita. La questione paesaggistica – la disposizione a vedere un territorio come insieme di natura e cultura, storia – è oggi di grande attualità, a causa dei processi economici della globalizzazione e delle devastanti possibilità delle tecnologie applicate al territorio. Non è però meno vero che un approccio di questo tipo è applicabile solo alla scala di una singola regione.
Redazione, Presentazione di Massimo Quaini, L’ombra del paesaggio. L’orizzonte di un’utopia conviviale, Diabasis, 2005