Al nuovo governo tornarono a partecipare tutti i partiti del CLN

Fonte: Biblioteca nazionale centrale di Roma

All’arrivo degli alleati, nelle città già liberate l’amministrazione passa nelle mani dei Comitati di Liberazione Nazionale, in cui sono rappresentati, al nord, cinque partiti (PCI, PSIUP, P. d’Azione, PLI e DC). Nessuno fra di essi può considerarsi prevalente, dato che non esiste un dato elettorale che ne dimostri la rappresentatività. Essi dunque si ripartiscono equamente le cariche. In parallelo gli alleati installano nelle città la loro Amministrazione Militare (AMG) che controlla la vita pubblica.
E’ anche il momento in cui nord e sud dell’Italia devono riunirsi, all’indomani di una separazione che ha condotto a vivere esperienze molto diverse.
Le diverse tendenze dei partiti, che si erano scontrate all’interno del CLNAI per poi trovare una temporanea tregua nella necessità di cooperare, riemergono in tempo di pace. Gli alleati favoriscono gli elementi moderati. Allo stesso modo agisce la Chiesa. Opinioni e atteggiamenti divergono fra nord e sud. Ma Chabod individua un ulteriore elemento che va ad interporsi fra le aspirazioni rivoluzionarie e la loro realizzazione concreta:
“C’è la forza enorme costituita, nello stato moderno, dalla burocrazia, dalla struttura amministrativa dello stato. E’ una forza meno appariscente dei partiti, ma che possiede una continuità e può quindi esercitare col tempo un influsso forse superiore a quello dei partiti. Lo “stato” moderno è, per molta parte, l’organizzazione tecnica della vita pubblica, cioè, come dicevo, la burocrazia. Ora, la burocrazia è naturalmente conservatrice: la sua forza risiede nella “continuità” delle funzioni, non certo nel sovvertimento. Al suo interno possono operare, e operano di fatto, singoli individui, socialisti, comunisti, o membri del partito d’azione; ma l’insieme funziona come un organismo che tende alla continuità e alla conservazione. La forza tecnica della burocrazia si trasforma così in una forza politica di gran peso, anche se poco appariscente. In un’analisi del fascismo… Salvemini ha insistito sul fatto che, anche per il fascismo, l’appoggio dell’alta burocrazia è stato un elemento di primaria importanza. Da parte mia ho già osservato come uno dei motivi che, in parte, spiegano il “consenso” incontrato dal fascismo, va ricercato nella sua “durata”, nella sua capacità, cioè, di acquistare quella forza di persuasione che deriva dalle cose che hanno un’apparenza di stabilità; ciò è tanto più vero per la burocrazia. Lo Stato continua a funzionare, “deve” essere fatto funzionare: è in giuoco la coscienza del “dovere professionale”. Agli occhi del funzionario, lo Stato appare come un’entità a sé stante, al di sopra della lotta politica; un’entità materiata di leggi, di regolamenti, di continuità di funzioni amministrative, che va salvaguardata a ogni costo”. <63
Dunque questa potente forza conservatrice della burocrazia, che da Roma in giù si è già riaffermata al momento della liberazione, richiede che anche il nord si adegui ad un rientro dall’eccezionalità alla normalità.
Nel giugno del 1945 Ivanoe Bonomi si dimise e i partiti affrontarono la scelta del successore, carica che si contendevano socialisti e democristiani. Tutti i partiti si accordarono infine sull’azionista Parri, il quale rappresentava un partito numericamente meno consistente, ma aveva un proprio prestigio personale come capo militare della Resistenza.
Formato un ministero con la partecipazione di tutti i partiti del CLN, Parri cercò di promuovere un processo di normalizzazione nel paese ancora sconvolto dagli strascichi della guerra e mise all’ordine del giorno lo spinoso problema dell’epurazione (che avrebbe dovuto applicarsi non solo ai funzionari statali, ma anche agli esponenti del potere economico più compromessi con il fascismo).
Annunciò inoltre una serie di provvedimenti volti a colpire con forti tasse le grandi imprese e a favorire la ripresa delle piccole e medie aziende. Ma in questo modo Parri suscitò l’opposizione delle forze moderate, in particolare del PLI, che nel novembre del ’45 ritirò la fiducia al governo, determinandone la caduta. <64
Al momento di definire una base comune su cui rifondare il nuovo stato nazionale l’unità antifascista si incrina e il governo Parri fallisce in tutti i suoi obiettivi e mette in evidenza l’impossibilità per i partiti di accordarsi ormai anche su questioni marginali. Da una parte si pongono quelle forze che cercano la continuità sostanziale nel passaggio dal vecchio al nuovo ordine; dall’altra ci sono tutti coloro che aspirano a riforme radicali e profonde. In particolar modo il PSI e il Partito d’Azione considerano centrali le strutture dei CLN e sono propensi ad estenderne le funzioni, procedendo ad una riforma decisiva della struttura statale.
Così Francesco Barbagallo descrive gli schieramenti in campo in questa congiuntura storica:
“Il progetto azionista, di forte impronta morale e culturale, punta a una rivoluzione democratica italiana dentro un progetto di federazione europea. E’ la prospettiva di costruire una nuova comunità nazionale, fondata sul principio di responsabilità individuale e collettiva lontana dalla tradizione italiana del particolarismo familistico e trasformistico, risalente nei secoli. Questa radicale esigenza di chiarire i fondamenti morali e politici dell’identità nazionale si scontrava proprio con l’interpretazione della storia italiana e la connessa prospettiva politica indicate dalla tradizione culturale liberale, in cui si erano formati gli intellettuali fautori di una rivoluzione democratica. La rimozione del fascismo, quale incomprensibile parentesi, ed il ripristino delle forme politiche e istituzionali dell’Italia liberale fondavano la proposta di Benedetto Croce e degli altri esponenti della tradizione politica prevalente fino al primo dopoguerra. Le forze liberali e moderate si riconoscevano nell’organizzazione dello stato monarchico, rinnovato dal suffragio universale, che ora veniva esteso alle donne. Il Partito comunista, guidato da Palmiro Togliatti, già dirigente dell’Internazionale comunista a Mosca, intende invece legittimarsi come forza di governo dentro le strutture di uno stato rinnovate in senso democratico per il ruolo centrale assegnato ai partiti di massa. La strategia di unità nazionale e la prospettiva della costruzione di una “democrazia progressiva”, capisaldi del “partito nuovo” togliattiano, si fondano sull’alleanza antifascista tra le grandi potenze, che regge però poco alla fine della guerra antinazista, presto diventata guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica. La Democrazia cristiana, abilmente fondata e diretta da Alcide De Gasperi, già segretario e deputato trentino del Partito popolare, rifugiato in Vaticano durante il fascismo, assume una posizione centrale, per favorire un largo passaggio degli italiani dall’adesione al fascismo ad una rinnovata forma di democrazia, intrecciando la partecipazione delle energie più avanzate del mondo cattolico con l’adesione di ceti più orientati verso equilibri moderati e conservatori”. <65
Nel novembre del 1945, dunque, dissidi sulla data in cui tenere le prime elezioni politiche provocarono la caduta di Ferruccio Parri e la sua sostituzione con Alcide De Gasperi. Al nuovo governo tornarono a partecipare tutti i partiti del CLN, ma si ebbe tuttavia una svolta in senso moderato, con l’accantonamento immediato di tutti i progetti maggiormente innovativi. Quasi tutti i prefetti nominati dal CLN furono sostituiti da funzionari di carriera, le riforme economiche furono momentaneamente messe da parte e anche il processo di epurazione subì un forte rallentamento.
A proposito dei problemi relativi al processo di epurazione occorre qui aprire una parentesi relativa alle linee lungo le quali esso era stato condotto.
Per bene rendersi conto del clima di aspettativa che si poteva percepire nei primi momenti successivi alla liberazione in ordine alla defascistizzazione e alla fondazione di un nuovo stato democratico completamente rinnovato, si riporta qui una dichiarazione di Ivanoe Bonomi, rilasciata alla stampa il 15 agosto 1944, subito dopo la restituzione di Roma all’amministrazione italiana:
“Credo che il maggior effetto del passaggio [dall’amministrazione alleata a quella del Governo italiano] si verificherà nel campo delle cosiddette sanzioni contro il fascismo. Fino ad oggi ad epurare le amministrazioni e a punire i fascisti concorrevano le Autorità governative e il Comando Militare con i suoi molti organi e i suoi numerosi interventi. Le Autorità alleate procedevano con criteri ferrei e dovevano servirsi di informatori non sempre adatti all’ufficio. Anche i metodi erano diversi: spicci, rapidi, improvvisi da parte di chi operava con poteri militari sopra un territorio occupato; più ponderati, più lenti, più cauti da parte di chi si era data una legge e si era obbligato a rispettarla. Da ciò una situazione di incertezza e di perplessità morale che ormai deve scomparire. Una legge, severa ma equa darà a tutti le garanzie necessarie per stabilire le colpe e le responsabilità di coloro che saranno proposti per l’allontanamento… Certo l’opera è vasta e la sua portata politica eccezionale. Si tratta di creare gli strumenti di azione di una nuova classe dirigente che prenderà il posto di quella che per venti anni ha avuto il Paese nelle sue mani e sciaguratamente l’ha portata al disastro… Occorre che il governo abbia in breve tempo organi esecutivi sicuri. Soltanto quando avrà nelle sue mani gli strumenti per agire potrà dare maggiore impulso alla ricostruzione del Paese, opera formidabile che viene affrontata con povertà di mezzi con limitata libertà e fra le rovine che crescono con ritmo pauroso man mano che la guerra si avvicina all’altra metà della Penisola che attende ancora la sua liberazione”. <66
Queste erano le intenzioni dichiarate da parte del governo, appoggiate e sollecitate da giornali e riviste di sinistra, che cercavano di individuare le linee per un’azione efficace e risolutiva. Ad esempio Pietro Nenni scriveva nel giugno del 1944:
“Che varrebbe mutare gli uomini se il sistema rimanesse lo stesso? L’epurazione noi l’abbiamo invocata implacabile e giusta nell’esercito, nella polizia, nella magistratura, negli alti ranghi dell’amministrazione statale, dove è urgente far passare una corrente di aria nuova e pura ed eliminare gli uomini che, per aver servito con zelo la dittatura fascista, non possono servire la democrazia che rinasce. Ma vi è un settore in cui l’epurazione ci appare ancora più urgente, ed è quello produttivo. Secondo la legge del moderno capitalismo, anzi del super-capitalismo di cui il fascismo è stato la espressione politica, questo settore è controllato da pochi gruppi, ognuno dei quali è dominato da pochi uomini, più potenti dei ministri, dei generali, dei direttori di Pubblica sicurezza… Questi uomini detengono nello stato un potere reale infinitamente superiore al potere molte volte fittizio non soltanto della dittatura alla Mussolini, ma della stessa democrazia parlamentare, più debole della dittatura nella sua struttura, ma anche per il libero gioco dei partiti e della stampa, si difende più agevolmente dalla super-dittatura del super-capitalismo…. Il fascismo dei consigli d’amministrazione ha fatto al paese più male del fascismo piazzaiuolo… Sono i consigli di amministrazione che hanno voluto il fascismo e l’hanno alimentato. Sono i consigli d’amministrazione che l’hanno sostenuto per un ventennio… Se non si fa questo, se non si colpisce in alto, se non si strappa dalle mani di venti o cinquanta persone la potenza che deriva loro dal monopolio della ricchezza e dei mezzi di produzione, l’epurazione sarà in definitiva una burla e la democrazia una lustra”. <67
Nell’aprile del 1943 il giornale clandestino “La Ricostruzione” aveva preso in considerazione il problema dell’epurazione, proponendone come linea guida una triplice distinzione fra i colpevoli di reati comuni, che “saranno regolarmente condannati”, “i colpevoli di reati politici e i loro svariati manutengoli” che “saranno banditi dalla vita pubblica” e infine “i milioni di nostri fratelli… costretti ad accettare il marchio di servi col distintivo del partito, per non essere scacciati dai loro posti e impieghi, e ridotti alla miseria con le loro famiglie” che non avrebbero avuto nulla da temere. <68
Scrive Claudio Pavone:
“Il dibattito sui fondamenti, sull’ampiezza e sui risultati dell’epurazione si colloca nel punto di congiunzione fra un passato da rinnegare e punire, ma anche da comprendere, e un futuro da tutelare contro ogni nuovo rischio di tipo fascista. La condanna dei comportamenti fascisti, anche delle scelte a favore della RSI, doveva prendere atto della necessità di convivere con certi non eliminabili risultati di quei comportamenti e di quelle scelte. Tutto sarebbe dipeso dalla chiarezza delle idee e dalla forza morale e politica che si sarebbe stati in grado di portare in campo. Togliatti si spinse a dire che non si dovevano chiudere le porte del Partito comunista nemmeno a coloro che, per necessità, avevano prestato giuramento alla RSI: e il partito era un’associazione volontaria, non necessaria come lo stato… Dal riconoscimento delle colpe e delle debolezze del popolo si dipartivano almeno due strade. La prima finiva col rovesciarsi in una generale sanatoria. La seconda tentava un giudizio più articolato. Entrambe contenevano elementi di realismo, nel senso che mettevano in dubbio l’immagine consolatoria di un popolo civile e istintivamente ostile alla tirannia”. <69
In materia di epurazione la legislazione <70 emanata dal governo italiano, che sarà esaminata nel dettaglio nel del prossimo capitolo, fu tecnicamente mal congegnata e poi male interpretata da una magistratura che non era stata preventivamente epurata. In tali condizioni le leggi finirono con il non essere applicate con la celerità e il rigore necessari. Molto discusso fu il punto della retroattività delle sanzioni. Era possibile appigliarsi a questo principio, in quanto c’era stata continuità con l’ordinamento giuridico precedente, invece di una netta cesura.
Nell’ambito, poi della pubblica amministrazione, la defascistizzazione fu intesa in pratica come un ritorno della burocrazia alla sua funzione di braccio statale apolitico e questo permise di aggirare il rinnovamento e con esso il pericolo di mettere in discussione l’intero apparato.
La controparte attiva dell’epurazione avrebbe dovuto essere, secondo Pavone, l’immissione dei partigiani nell’esercito e nella polizia, intenzione in pratica poco realizzata.
Nel giugno del 1946 Palmiro Togliatti, in qualità di ministro della giustizia, varò una larga amnistia che in pratica poneva fine al processo di epurazione, che fin dall’inizio si era rivelato assai difficile da condurre con equità a causa dell’ampiezza di adesioni di cui il fascismo aveva goduto.
La delusione che serpeggiava nel paese produsse manifestazioni di protesta che comunisti e socialisti evitarono di appoggiare per mantenere intatta la solidarietà di governo in attesa di un auspicato vasto successo elettorale.
[NOTE]
63 FEDERICO CHABOD, L’Italia contemporanea, cit., p. 141.
64 GIOVANNI SABBATUCCI, VITTORIO VIDOTTO , Il mondo contemporaneo, cit., p. 495. Si veda anche PAVONE, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, cit., p. 180, dove si riporta una dichiarazione del segretario del PLI Leone Cattani che riassume le posizioni del partito nei confronti dei CLN: “Il voler diffondere in tutta la struttura della società i Comitati di Liberazione, quando ormai la liberazione è avvenuta contrasta con la loro natura provvisoria, contrasta con la democrazia che si fonda sui suffragi liberi, diretti e segreti di tutti i cittadini singolarmente considerati; minaccia insomma di porre le basi di un secondo stato accanto e forse contro lo Stato democratico unitario che faticosamente si va ricostruendo. Tale indirizzo si risolve in realtà in una grave violazione del reale spirito e della esistenza stessa dei CLN quali furono voluti da tutti i partiti dopo il 25 luglio 1943 e durante la lotta di liberazione”.
65 FRANCESCO BARBAGALLO, L’Italia repubblicana, Roma, Carocci, c2009, pp. 14-15.
66 “Corriere di Roma” del 15 agosto 1944, p. 3 citato in LAMBERTO MERCURI, L’epurazione in Italia. 1943-1948, Cuneo, L’arciere, 1988 alle pp. 63-64 e 104n.
67 PIETRO NENNI, Colpire in alto… e cominciare dalla oligarchia industriale in “Avanti!”, Roma, 21 giugno 1944, p. 1, riportato per intero in appendice da LUCIO D’ANGELO, I socialisti e la defascistizzazione mancata, Milano, Franco Angeli, c1997, pp. 111-113.
68 Articolo Senza discriminazioni contenuto in “La Ricostruzione. Organo del fronte unico della Libertà”, citato in CLAUDIO PAVONE, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, cit., p. 228-229.
69 CLAUDIO PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 562.
70 Si veda, oltre alla breve disamina al capitolo successivo, il mero elenco dei decreti in CLAUDIO PAVONE, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, cit., p. 243-244.
Eleonora Giaquinto, L’archivio di Nello Traquandi (1926-1968). Inventario, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2009/2010