Tambroni arruolò i prefetti nel comitato elettorale della DC

Fin dal 1955, la carica di ministro dell’Interno fu ricoperta da Fernando Tambroni: l’impostazione che egli diede all’incarico è già stata esaminata nella precedente parte di questa ricerca <50.
Verso la fine del 1957, mentre si approssimavano le elezioni politiche previste per la primavera successiva, Tambroni arricchì di nuovi espedienti la sua carriera politica. All’inizio dell’ottobre 1957, infatti, egli chiese ai prefetti di inviare entro la fine del mese «una relazione riservatissima e assolutamente obiettiva» sulla situazione socio-politico-economica della provincia: essa avrebbe dovuto contenere anche suggerimenti al ministero per «attuare una assistenza più larga possibile nei confronti delle categorie più bisognose, anche allo scopo di mantenere le popolazioni in una calma assoluta» e, «al fine di contrastare efficacemente il comunismo nell’ambito della provincia», un elenco di proposte «per determinare o favorire l’orientamento politico delle nuove leve elettorali per contrastare l’azione di penetrazione svolta in tale settore dal partito comunista, specificando in quale direzione, con quali mezzi e con quali risultati questa ultima venga attuata» <51. Come ha fatto notare Giorgio Caredda, Tambroni confermava così «di considerare i prefetti come dei funzionari al servizio non dello Stato ma del partito di maggioranza relativa, che è poi il partito di cui lo stesso ministro è autorevole esponente; e tutti i prefetti, con maggiore o minore solerzia, rispondono nel giro di poche settimane, dimostrando ch’essi ritengono del tutto naturale svolgere funzioni di sostegno elettorale per la Democrazia cristiana» <52. Molto efficacemente, lo storico Guido Crainz ha affermato che il ministro piceno, con la richiesta di compilare questo questionario, «arruolò i prefetti nel comitato elettorale della DC», chiedendogli, tra l’altro, di «indicare persone che avendo largo seguito e vasta estimazione potrebbero determinare, se inclusi nella lista dei candidati, un sensibile incremento di voti per il partito di maggioranza» <53.
A Roma, il prefetto Rizza rispose evidenziando le posizioni prevalentemente anticomuniste degli abitanti della capitale, legandole alla loro posizione professionale principalmente impiegatizia: “Per quanto concerne […] la Capitale va notato che essa non a torto viene chiamata la città degli impiegati, cioè di quel ceto estesissimo che vive a reddito fisso e che contribuisce in notevole misura a formare la cosiddetta opinione pubblica. Se dal punto di vista della classificazione è facile dire che la maggioranza assoluta della popolazione romana è per natura, per educazione e per interesse legata ai principi di ordine, ben difficile è stabilirne l’orientamento politico e le conseguenti simpatie per i vari partiti. Nella stragrande maggioranza la popolazione romana è anticomunista e quindi ben difficilmente i partiti di sinistra potranno conseguire ulteriori incrementi di suffragi nelle prossime elezioni (ove si escluda una eventuale percentuale corrispondente al naturale aumento della popolazione). Quale sarà il comportamento di detta maggioranza nei confronti dei partiti di centro-destra non è possibile prevedere: ma sin da ora può agevolmente dirsi che la D.C. da qualche tempo non riscuote più eccessivi consensi e qualcosa pure dovrà fare per ridestare sopite energie e risollevare entusiasmi scomparsi. È ovvio che la prossima campagna elettorale non può essere impostata esclusivamente sul vecchio leit motiv dell’anticomunismo, che suonerebbe, almeno per i più intelligenti, fine a se stesso”. <54
Anche nei mesi successivi, il controllo sui comunisti rimase molto alto in tutti i settori, come dimostra il fascicolo “Elezioni politiche 1958 – Impiegati statali – Candidature del voto – Missioni” che contiene il sottofascicolo “Impiegati statali candidati per il Senato e per la Camera dei deputati” con il sottofascicolo “Dipendenti statali candidati nelle liste dei partiti di estrema sinistra – Elenchi nominativi”: per «estrema sinistra» si intendono il Pci e il Psi <55. In una circolare di Marzano del 3 maggio 1958, ad esempio, si legge che “la presenza di elementi comunisti in seno alla pubblica amministrazione e alla magistratura è un fatto notorio, sul quale quest’Ufficio ha riferito ogni qual volta se ne è presentata l’occasione, segnalando i casi più clamorosi. Non si hanno, invece, dati circa la presenza di comunisti fra le alte gerarchie militari, essendo agli ufficiali delle FF.AA., per legge, inibita, fra l’altro, l’iscrizione a partiti politici, ma non si esclude del tutto che qualche elemento al servizio del Pci, malgrado la vigilanza dell’Autorità Militare e degli Organi di Polizia, abbia potuto raggiungere qualche alto grado in seno alle Forze Armate”. <56
Dopo le elezioni del 25 maggio 1958, diventò presidente del Consiglio il segretario della Dc Amintore Fanfani (che rivestiva anche la carica ministro degli Esteri): entrato in carica il 1° luglio 1958, vi rimase fino al 15 febbraio 1959, confermando Fernando Tambroni come ministro dell’Interno. Si trattava di un governo di coalizione tra Dc e Psdi, con l’astensione del Pri. Come ha scritto Piero Craveri, la Dc aveva proposto Fanfani alla presidenza del Consiglio «con voto unanime, approvando non solo l’incarico, ma l’indirizzo politico di centro-sinistra […]. Non mancavano neppure alcuni cenni, per quanto cauti, sui diritti civili e sui rapporti tra Stato e Chiesa, che erano un’apertura implicita al laicismo repubblicano, e di politica industriale, dando ulteriore impulso alle partecipazioni statali e indicando chiaramente la via di un intervento statale nel settore elettrico»57. Si trattò, tuttavia, di un governo piuttosto instabile, anche per l’esigua maggioranza parlamentare.
Nonostante queste presunte aperture a sinistra, Tambroni rinnovò le dichiarazioni sulla supposta pericolosità delle organizzazioni comuniste e ordinò di limitare e reprimere le manifestazioni pubbliche sui temi internazionali <58. La repressione, dopo un periodo di relativa stasi, si fece tanto accentuata che il Pci curò una pubblicazione intitolata Libro bianco sulle “illegalità” del governo Fanfani, che fu poi ripubblicata da Lotta Continua nel 1971, quando il partito comunista si stava dimostrando aperto alla possibilità dell’elezione dell’ormai ex presidente del Consiglio alla presidenza della Repubblica <59. Il volume raccoglieva una serie di documenti redatti da prefetti e questori contenenti i divieti di diffusione e i sequestri di volantini e di manifesti: tra essi, il divieto del 22 luglio 1958 emesso dal prefetto Rizza di diffondere un manifesto che riportava alcuni passaggi di un discorso pronunciato da Togliatti alla Camera il 18 luglio precedente, poiché «nella particolare situazione contingente, il passo del discorso riportato in tale manifesto si palesa atto a fuorviare la opinione pubblica» e poiché esso «può suscitare allarme ingiustificato, esasperare gli animi e ingenerare contrasti, con conseguente turbamento dell’ordine pubblico» <60. Parallelamente furono anche vietate le manifestazioni di piazza. La raccolta non contiene quasi documenti provenienti da Roma, ma – al di là dei suoi intenti propagandistici – è interessante per ricostruire il clima del periodo e la crescente impopolarità del presidente del Consiglio e del suo governo.
Con la caduta di Fanfani, nel febbraio 1959 Tambroni fu sostituito ad interim dal nuovo presidente del Consiglio, il conservatore Antonio Segni, che rimase in carica fino al marzo 1960. Le grandi trasformazioni economiche e sociali che stavano coinvolgendo l’Italia, intanto, avevano reso il «centrismo» una formula politica sempre più inadeguata a rappresentare il paese. Come ha scritto lo storico Giovanni De Luna, «i partiti furono posti davanti alla necessità di cambiare essi stessi la propria struttura organizzativa e le proprie impostazioni programmatiche; erano stati in gran parte incapaci di determinare la grande trasformazione: ora si trattava almeno di assecondarla, trasferendo i suoi effetti a livello politico-istituzionale» <61. Cominciò, così, a ricorrere quasi ossessivamente «l’idea di crisi, una crisi che nascondeva un malessere diffuso in numerosi ambienti e che rischiava di bloccare gli ingranaggi politico-istituzionali» <62.
Mentre l’ipotesi centrista aveva ormai imboccato definitivamente il viale del tramonto, in alcune correnti della Dc aveva cominciato a farsi strada l’ipotesi, sostenuta principalmente da Aldo Moro, di una possibile «apertura a sinistra», che avrebbe avvicinato il Psi al governo. Questa prospettiva, tuttavia, era osteggiata, oltre che dagli Usa, dalla Chiesa e dalla Confindustria, anche da alcune correnti democristiane (scelbiani, andreottiani, dorotei), che contavano circa un’ottantina di parlamentari.
Fu così che, nel marzo 1960, Fernando Tambroni, che aveva ottenuto dal presidente Gronchi l’incarico di formare un nuovo governo dopo la caduta di Segni e il fallimento nel formare un governo da parte di diversi altri esponenti democristiani <63, per ottenere la maggioranza, ricercò l’appoggio esterno del Msi, suscitando una nuova ondata di sentimenti antifascisti in tutto il paese. Paul Ginsborg ha descritto Tambroni con parole molto efficaci: “Avvocato, quasi sessantenne, Tambroni era un attivo paladino della politica di «legge e ordine», e il suo ufficio stampa lo presentava in modo ammiccante come appartenente a «quella borghesia maschia e virile che si affaccia sui problemi sociali e politici senza infrangimenti, ma soprattutto senza paura». Egli era prevalentemente un opportunista, in buoni rapporti sia con i dirigenti del Psi sia con quelli del Msi”. <64
Il 21 marzo Tambroni ottenne la fiducia alla Camera per il suo monocolore – sostenuto dalla maggior parte dei settori industriali e finanziari del paese e dalle gerarchie vaticane più tradizionaliste – e i voti dei missini, che speravano i legittimarsi definitivamente come interlocutori della maggioranza governativa, si rivelarono determinanti <65.
Ciò determinò una reazione all’interno della Dc, con le dimissioni dei ministri della sinistra democristiana Giorgio Bo, Giulio Pastore e Fiorentino Sullo: Tambroni, allora, presentò anche egli le dimissioni, che furono però respinte dal presidente Gronchi, nell’impossibilità di trovare un altro politico che riuscisse a formare un nuovo governo. All’interno della Dc si decise così di accettare il nuovo governo, dietro la promessa che si sarebbe dimesso alla fine dell’ottobre successivo, dopo l’approvazione del bilancio. Il 29 aprile, il nuovo governo ottenne la fiducia anche al Senato, nuovamente con i voti determinanti del Msi di Michelini: anche se i missini avevano già dato la fiducia ad altri governi, per la prima volta un esecutivo otteneva la maggioranza esclusivamente grazie ai suoi voti. Fu il momento più alto della -politica di inserimento- del Msi. Il prezzo pagato ai missini per i loro voti era piuttosto venale: alcune sovvenzioni per l’editore del «Secolo d’Italia», garantite da alcuni contratti pubblicitari con Eni, Iri, Monopolio tabacchi e Monopolio banane; l’assicurazione di finanziamenti per le successive elezioni amministrative; la promessa di alcuni provvedimenti che equiparassero i titoli di benemerenza fascista a quelli combattentistici e partigiani <66.
Come ministro dell’interno fu scelto Giuseppe Spataro. Dal punto di vista dell’ordine pubblico, il nuovo governo si connotò subito per l’ordine di impedire ogni manifestazione a esso ostile <67 e per un nuovo impulso all’organizzazione di un apparato informativo parallelo a quello militare, che iniziò a controllare molti uomini politici, anche democristiani, tra cui Amintore Fanfani. Già il 2 maggio, Spataro diramò la circolare 442/5486, diretta ai prefetti, in cui affermava che “con vivo rincrescimento si son dovuti constatare, di recente, episodi di intolleranza e di violenza in occasione di pubblici comizi, durante i quali elementi di estrema sinistra hanno preteso di impedire che oratori di opposta tendenza potessero liberamente parlare ai convenuti. […] Non vi è dubbio che ciò risponde a deliberato proposito in relazione all’attuale situazione politica e, pertanto, è fermo intendimento di questo Ministero evitare il rinnovarsi di simili, deplorevoli episodi, che, oltre a provocare incidenti, diffondono nel Paese uno stato d’animo d’incertezza e di apprensione. […] Si prega di voler adottare ogni adeguata misura perché, in occasioni del genere, l’ordine pubblico sia assolutamente garantito, assicurando, nei limiti della legge, il pieno esercizio delle libertà di riunione e di propaganda. È poi opportuno che le SS.LL. convochino, al più presto, i dirigenti e i responsabili di tutti i partiti per far loro presenti tali inderogabili necessità, avvertendoli che, nel caso di violenze e sopraffazioni, oltre a perseguire con energia ogni responsabilità di ordine personale, sarà disposta la sospensione dei pubblici comizi nelle località interessate fino al ripristino della legalità”. <68
In generale, il governo Tambroni continuò ad amplificare l’immagine di una «congiura comunista» e a creare allarme intorno a una presunta «debolezza dello Stato», rappresentato come incapace a farvi fronte <69. Alla circolare, dunque, fecero seguito una serie di interventi repressivi, come la violenta interruzione di un comizio a Bologna di Giancarlo Pajetta <70, che aveva criticato il governo.
Il governo Tambroni si caratterizzò, dunque, per una nuova ondata di aggressività anticomunista, che faceva da contraltare a una serie di provvedimenti populisti (abbassamento dei prezzi di alcuni generi di consumo come carne, benzina, zucchero; aumenti degli stipendi nel pubblico impiego) miranti ad aumentare i propri consensi.
Nelle settimane seguenti all’entrata in carica del governo, in tutto il paese si moltiplicarono manifestazioni, scioperi e agitazioni che in alcune città (Ravenna, Bologna, Palermo) si caratterizzarono per scontri violenti con la polizia: le sinistre iniziarono a pensare che il governo Tambroni preludesse a una svolta autoritaria. La Cdl di Roma parlò apertamente di un «connubio clerico fascista» e chiese ai lavoratori di mobilitarsi contro di esso <71.
[NOTE]
50 Cfr. supra § 11.1.
51 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 405bis, f. 17221/2 -Elezioni politiche 1958 – Orientamento dell’opinione pubblica – Relazioni settimanali di prefetti-. Circolare riservata personale del ministro ai prefetti.
52 G. Caredda, Governo e opposizione nell’Italia del dopoguerra, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 229. Secondo Caredda, l’analisi dei prefetti era «economicista», in quanto essi sostenevano che per togliere consensi ai comunisti bisognasse eliminare le cause economiche e sociali che li facevano ben volere (Ivi, p. 230).
53 G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Donzelli, Roma 2003, pp. 19-20.
54 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 409, f. 17225, -Elezioni politiche 1958 – Relazioni riservate dei prefetti-, s. -Lazio-. Relazione riservata del prefetto Rizza del 31 ottobre 1957.
55 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 408, f. 17224 -Elezioni politiche 1958 – Impiegati statali – Candidature del voto – Missioni – etc.-, sf. -Impiegati statali candidati per il Senato e per la Camera dei deputati-, ssf. -Dipendenti statali candidati nelle liste dei partiti di estrema sinistra – Elenchi nominativi-.
56 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 408, f.17223/2 -Affari generali – Pci – Attività elezioni politiche 1958-. Comunicazione riportata nella comunicazione del capo della Polizia del 28 maggio 1958.
57 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992 in G. Galasso (a cura di), Storia d’Italia, vol. XXIV, Utet, Torino 1995, pp. 6-7.
58 Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 58.
59 Lotta continua (a cura di), Libro bianco sulle illegalità del governo Fanfani , Stampa Web, Milano 1971 (ma I dizione, a cura del Pci, 1958).
60 Ivi, p. 33.
61 G. De Luna, I fatti di luglio 1960, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 365.
62 F. Loreto, La rivolta democratica del 1960: origini, sviluppi, esiti in E. Montali (a cura di), L’insurrezione legale. Italia, giugno-luglio 1960. La rivolta democratica contro il governo Tambroni, Ediesse, Roma 2011, pp. 16.
63 Ivi, pp. 14-5.
64 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Einaudi, Torino 1989, p. 346.
65 Sulle trattative per la formazione del governo Tambroni, cfr. F. Malgeri, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra, 1945-60, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp. 373-83.
66 Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, cit., p. 64.
67 Canosa, La polizia in Italia dal 1945 ad oggi, cit., p. 219.
68 Acs, Mi, Gab, 1957-60, b. 57, f. 12010/93 -Partiti politici – Affari generali- (cit. in Canosa, La polizia in Italia dal 1945 ad oggi, cit., p. 220). Cfr. anche Loreto, La rivolta democratica del 1960, cit., p. 55.
Ilenia Rossini, Conflittualità sociale, violenza politica e collettiva e gestione dell’ordine pubblico a Roma (luglio 1948-luglio 1960), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015