Nell’aprile del 1979 a Montecito, nei pressi di Santa Barbara, si svolse la prima conferenza di Public History della storia

Alcuni tra i primi membri del NCPH a Denver (Colorado) nel 1988. Da sinistra: George Wesley Johnson, Larry Tise, Noel Stowe, Michael Scardaville, Arnita Jones, Barbara J. Howe e Ted Karamanski. Fonte: A. JONES, Organizing Public History, in «International Public History», Vol. 1, No.1 (2018), * – immagine qui ripresa da Liliana Secci, op. cit. infra

< * su: https://www.degruyter.com/view/journals/iph/1/1/article-20180005.xml (visitato il 26/10/2020) > Un’altra risposta all’esigenza di mettere in connessione tutti gli storici che a più livelli svolgevano attività di Public History venne fornita negli anni immediatamente successivi all’avvio del corso di Kelley con la creazione di alcune organizzazioni ufficiali, alle quali si affidò il compito di programmare conferenze, raccogliere dati e promuovere il lavoro dei public historians e degli storici in generale.
Già nel 1976 cinque importanti associazioni storiche statunitensi (tra cui anche l’AHA) erano confluite nel National Coordinating Committee for the Promotion of History (NCCPH), la cui prima responsabilità divenne quella di favorire la diffusione delle conoscenze storiche al grande pubblico. Uno sforzo, quest’ultimo, condivisibile da tutti gli storici, che tuttavia in questo caso nasceva in risposta ad un problema specifico a noi già noto: la crisi occupazionale attraversata dagli storici a partire dagli anni Settanta. La premessa che accompagnò l’istituzione del NCCPH, infatti, era la stessa che aveva spinto Kelley, Johnson e i loro collaboratori a dedicare le loro ricerche alla Public History: e cioè che la percezione del grande pubblico circa il valore delle conoscenze e delle abilità degli storici dipende inevitabilmente dalle possibilità di impiego di questi ultimi nella società. «In short, historians need to learn how to market themselves and their discipline». <63 La famosa “utilità” dello storico si misura anche sulla base di quanti e quali settori ne richiedono le competenze. L’obiettivo del NCCPH divenne quindi quello di individuare tutti gli sbocchi professionali appetibili dagli storici e creare ponti fra questi e le università, in modo da favorire il passaggio degli studenti al mondo lavorativo.
La Public History trasse ampio giovamento dalle attività dell’organizzazione. I progetti del NCCPH, uniti al contestuale successo del corso post laurea alla UCSB e alla nascita del The Public Historian, stimolarono notevolmente il dibattito intorno alla Public History, che da semplice strategia per creare carriere alternative divenne a tutti gli effetti «a new field of history». <64 Di conseguenza, come in un circolo virtuoso, tra gli storici crebbe il desiderio e la necessità di confrontarsi in merito a tale novità. Anche in questo caso, il contributo di George Wesley Johnson si rivelò essenziale: nella primavera del ‘78, grazie a una sovvenzione dell’Arizona Humanities Council, egli organizzò una conferenza a Scottsdale durante la quale iniziò a parlare della nascita di un vero e proprio “movimento della Public History”. Nel dicembre di quello stesso anno, in occasione della conferenza annuale dell’AHA a San Francisco, Johnson discusse con Lydia Brontë, responsabile della Rockefeller Foundation che aveva già favorito lo stanziamento di fondi alla UCSB per il corso e la rivista, circa la possibilità di finanziare anche una serie di incontri dedicati esclusivamente alla Public History. <65
L’idea riscosse subito successo, e nell’aprile del 1979 a Montecito, nei pressi di Santa Barbara, si svolse la prima conferenza di Public History della storia. Nel corso dei tre giorni a Montecito quarantacinque storici (tra cui anche non docenti) furono invitati a raccontare le loro attività in veste di professionisti operanti al di fuori dell’ambito universitario – quindi nelle imprese, nei progetti di storia locale o negli uffici governativi – attraverso toni e modalità comunicative informali. A detta dei suoi organizzatori, infatti, l’incontro di Montecito si svolse in un clima ottimistico e propositivo, in contrasto con le conferenze storiche di quegli ultimi anni, che avevano invece risentito profondamente dallo scoraggiamento che accompagnava la crisi del settore. <66 A Montecito, inoltre, venne nominato un comitato direttivo incaricato di esplorare la possibilità di istituire un organo professionale permanente da porre a capo del nuovo “movimento”. Il comitato si riunì nuovamente a Washington D.C. nel settembre di quello stesso anno per istituire formalmente il National Council on Public History (NCPH). Incorporato nel Distretto di Columbia il 2 maggio 1980 come organizzazione no-profit, il NCPH deve il suo nome al fatto che inizialmente si decise di adottare la struttura di un consiglio nazionale composto solo da 32 delegati, per timore di non riuscire ad interessare un pubblico più vasto. Ma già nel 1984 il consiglio, pur mantenendo la stessa denominazione, divenne un’organizzazione associativa a tutti gli effetti, estendendo la membership a chiunque ne avesse voluto fare richiesta (compresi i singoli individui). La gestione delle attività passò quindi ad un comitato esecutivo composto da 16 membri e guidato da un presidente. <67 Johnson ricoprì la carica di presidente del NCPH per i primi due mandati, dal 1980 all’83. In quello stesso periodo egli stava ancora svolgendo l’attività di editore del The Public Historian; questa concomitanza gli permise, fin dalla nascita dell’organizzazione, di proporre il NCPH come principale finanziatore della rivista. Si trattava di una soluzione volta al reciproco successo: al giornale serviva urgentemente uno sponsor; mentre al Consiglio serviva qualcosa da offrire ai propri membri in cambio della loro quota associativa. La strategia funzionò, e una volta formalizzata la collaborazione col NCPH, il The Public Historian ottenne anche il patrocinio della University of California Press journals. Tali prestigiose collaborazioni permisero al giornale, che nei primi anni era stato gestito a livello quasi amatoriale dagli studenti, di dotarsi di una vera e propria redazione e di assumere professionisti del settore. Riassumendo, potremmo dire che, dopo un difficile periodo di sperimentazioni nel biennio 1977-’78, la Public History riuscì a recuperare una solida credibilità proprio attraverso la concertazione tra il lavoro della rivista e quello dell’organizzazione.
Sia il The Public Historian che il National Council on Public History sono tutt’oggi in attività e rappresentano i principali strumenti di divulgazione di contenuti di Public History negli Stati Uniti. La pubblicazione del The Public Historian avviene sempre a cadenza quadrimestrale ogni febbraio, maggio, agosto e novembre e la rivista è consultabile online sul sito dell’University of California Press, previa sottoscrizione di un abbonamento. Alcune sezioni della rivista sono rimaste invariate, come per esempio la rubrica dedicata alle riflessioni dell’editore (il famoso Editor’s Corner); oppure lo spazio riservato alle recensioni, ormai non più solo di libri e saggi, ma anche di esposizioni, mostre, film, risorse digitali. Sostanzialmente, ad oggi la rivista pubblica le ricerche più recenti e significative nell’ambito della Public History, spaziando da analisi politiche a questioni di storia locale, storia orale, servizi di documentazione e divulgazione al grande pubblico e tanto altro, mantenendo come obiettivo quello di rappresentare, agli occhi di storici e appassionati, «the definitive voice of the public history profession». <68 Analogamente, il primo articolo dello statuto del NCPH definisce così la missione dell’organizzazione: «NCPH inspires public engagement with the past and serves the needs of practitioners in putting history to work in the world by building community among historians, expanding professional skills and tools, fostering critical reflection on historical practice, and publicly advocating for history and historians». <69
Lo stesso statuto è stato modificato nel 2007 a seguito dell’operazione di revisione e aggiornamento del Codice di Condotta Etica e Professionale valido per tutti i membri del NCPH. In esso vengono sottolineate le responsabilità del public historian sia nei confronti di tutti i soggetti con cui egli è tenuto a collaborare (il grande pubblico, i colleghi, i clienti e datori di lavoro) nonché nei confronti di sé stesso e della professione. <70 Il Codice fornisce, insomma, una guida dettagliata sui comportamenti necessari a garantire la massima oggettività possibile, indispensabile per considerare le pratiche di Public History attendibili e credibili. In generale, oltre ad interessarsi dell’aspetto etico della professione, il NCPH ad oggi costituisce «il motore scientifico e organizzativo attorno al quale ruotano le iniziative più qualificate della disciplina», come l’istituzione di premi scientifici e borse di studio, il supporto alle associazioni storiche e l’organizzazione di conferenze. <71 «Rather than changing the whole profession, the NCPH became the symbol of a new category of historians able to work outside universities»: <72 lavorando sotto la sua egida, storici impiegati nei settori più disparati trovarono non solo lo spazio e gli strumenti per collaborare tra loro, ma anche un punto di riferimento in grado di fornire una visione unica e coerente del ruolo dei public historians nella società.
[NOTE]
63 A. JONES, The National Coordinating Committee, op. cit. p. 53
64 G. W. JOHNSON, The Origins of The Public Historian, op. cit. p. 171
65 Circa la proficua collaborazione tra Bronte e Johnson, cfr. K. LEONARD, How Philanthropy Helped History Go Public, articolo pubblicato su «RE:source» (16/03/2020), un sito di storytelling gestito dal Rockefeller Archive Center, disponibile su https://resource.rockarch.org/story/how-philanthropy-helped-history-go-public/ (visitato il 26/10/2020)
66 T. FULLER E G. WESLEY JOHNSON, Editor’s Preface, op. cit. p. 7. Per un approfondimento sugli oratori della prima conferenza del NCPH si veda l’inserto AA.VV., First National Symposium on Public History: A Report, in «The Public Historian», Vol. 2, No. 1 (1979), pp. 7-83
67 Per ripercorrere le tappe che portarono alla nascita del NCPH e per una panoramica su coloro che negli anni hanno rivestito le cariche ufficiali all’interno dell’organizzazione si rimanda al sito dell’Indiana University Library’s Ruth Lilly Special Collections and Archives, disponibile su: http://www.ulib.iupui.edu/collections/general/mss021 e al sito ufficiale del NCPH alla sezione «Our History», disponibile su: https://ncph.org/about/our-history/ (visitati il 28/10/2020)
68 Cfr. sito ufficiale del The Public Historian, University of California Press, sezione «About Journal» disponibile su: https://online.ucpress.edu/tph/pages/ncph (visitato il 28/10/2020)
69 Cfr. sito ufficiale del NCPH, alla voce «Bylaws», disponibile su: https://ncph.org/about/governance-committees/bylaws/ (visitato il 28/10/2020)
70 Cfr. sito ufficiale del NCPH, alla voce «Governance», disponibile su: https://ncph.org/about/governance-committees/code-of-ethics-and-professional-conduct/ (visitato il 29/10/2020)
71 S. NOIRET, Public History e Storia pubblica nella rete, in «Media e storia», F. MINECCIA E L. TOMASSINI (A CURA DI), num. spec. di «Ricerche Storiche», a. XXXIX, No. 2-3 (2009), p. 289
72 T. CAUVIN, Public History in the United States, op. cit. p. 149
Liliana Secci, Le sfide della Public History. Tra pratica, disciplina storica e funzione civile, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pavia, Anno accademico 2019/2020