Nella politica culturale fascista il teatro avrebbe ricoperto un ruolo privilegiato

Una delle espressioni tipiche della demagogia fascista fu l’incoraggiamento delle rappresentazioni all’aperto, espressione di un teatro di massa volta al più vasto consenso ideologico. Il suo significato intimo risiedeva nella scoperta e nella valorizzazione delle bellezze architettoniche e naturali dell’Italia come mezzo di autopromozione politica e motivo di gloria nazionale.
L’idea dello spettacolo all’aperto <116 non è però una prassi fascista. In Italia funzionavano da anni numerosi teatri all’aperto con manifestazioni basate prevalentemente sulla drammaturgia greca e latina. Tra il 1912 e il 1914 il teatro romano di Fiesole aveva ospitato una serie di rappresentazioni della classicità antica e moderna tra cui Edipo re, Le baccanti, l’Oreste di Alfieri e l’Aminta di Tasso; spettacoli che posero le basi di un’altra iniziativa a Siracusa da cui verrà fondato nel 1921 l’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
Al concetto di teatro all’aperto il regime fascista sovrappone quello del ‘teatro di massa’, in quanto strumento di consenso ideologico <117. Nel corso degli anni Trenta in Italia, come precedentemente in Francia, Russia e Germania, il termine “massa” venne spesso usato come equivalente di “popolo” con l’implicito richiamo al binomio popolo/nazione mutuato dalla rivoluzione francese e poi diffusosi nell’Europa dell’Ottocento. In realtà, come osserva Gianfranco Pedullà, il concetto di popolo «non può essere immediatamente assimilato a quello di “massa” poiché esso appare direttamente connesso con le formazioni sociali dotate di sistemi di produzione e consumo di massa affermatesi soltanto nel Ventesimo secolo» <118.
Il teatro di massa trova in Italia la massima ma infelice espressione nella messa in scena di 18 BL (il nome dell’autocarro assunto a simbolo della vittoria italiana nella Grande Guerra): il mastodontico allestimento diretto dal giovane Alessandro Blasetti fu rappresentato il 29 aprile 1934 su un palco di 250 metri situato sulla riva sinistra dell’Arno, con la partecipazione di circa duemila comparse e ventimila spettatori <119.
Gli spettacoli all’aperto dai connotati propagandistici si affermano in tutta Italia nella seconda metà degli anni Trenta e sono allestiti in scenari naturali di particolare suggestione: dai teatri antichi ai ruderi della Magna Grecia o dell’antica Roma, dai giardini ai chiostri dei palazzi patrizi, dalle piazze agli stadi, in riva al mare o lungo la sponda dei laghi. Erano luoghi capaci di contenere le ventimila persone auspicate da Mussolini durante il Convegno Volta del 1934 al fine di unire «l’autore» con le «masse» per mezzo di un’immediata aderenza dell’arte alla vita e alla natura. «Sotto i cieli stellati delle notti estive – si legge in un articolo promotore delle attività culturali dell’estate 1939 alle Terme di Caracalla -, nella superba “cavea romana” circondata da una cornice stupenda di fiaba, nel fantastico gioco di colori e luci, il popolo in tripudio, cui tanto godimento spirituale viene profuso, inneggerà a Colui che ha saputo creare spettacoli di tanta magnificenza» <120.
Gli spettacoli all’aperto superano la loro natura artistica, la rappresentazione teatrale diventa raffigurazione del vanto nazionale e ritorno alla «gloriosa tradizione» italica <121.
Non solo, il teatro all’aperto, per la sua congenita simbiosi con la natura, si prefigurava come una forma artistica che anelava all’«essenza dell’eternità» <122, più «pura e genuina» rispetto alla convenzionalità degli spettacoli al chiuso, avvezzi a degenerare nello «spettacolismo, nel gusto della scenografia e in una sorta di fastoso secentismo», come scrive De Pirro nella presentazione della seconda stagione dell’Estate Musicale Italiana (EMI) <123. «Sotto il cielo e con l’immediato e impegnativo confronto del vero in natura, il senso dello spettacolo non viene soffocato, come si potrebbe a tutta prima pensare; viene anzi esaltato nella esigenza di maggiore grandiosità, ma nello stesso tempo viene mantenuto sano ed elementare, fuori d’ogni imbarocchimento del gusto» <124.
La prospettiva del Teatro di massa voluto dal Duce si basava su alcuni principi base quali: messe in scena accuratissime affidate ad artisti rinomati; platee vaste, ricavate in ambienti di alta suggestione scenica; prezzi modesti accessibili a tutte le categorie di spettatori, un repertorio prevalentemente classico, perché noto alle masse e più affine alla loro sensibilità <125.
Con il passare del tempo l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) contribuì efficacemente alla diffusione di tali spettacoli, pubblicizzandoli e predisponendo viaggi e altre facilitazioni in occasione di ogni ciclo di rappresentazioni. La legge 397, varata il 2 febbraio 1939, ristrutturò profondamente l’Istituto Nazionale del Dramma Antico al fine di farlo diventare un reale centro propulsore per la divulgazione del teatro classico in tutto il paese.
L’evoluzione del teatro tradiva una destinazione dapprima aristocratica, per il colto e raffinato pubblico delle corti, e in seguito borghese, con i complicati drammi psicologici e le sue introspezioni liriche. Mancava nella letteratura drammatica italiana un repertorio moderno rivolto a un vero pubblico di massa <126.
La presa di posizione più significativa in tale direzione venne dallo stesso Mussolini. In occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della SIAE, il 28 febbraio 1933, egli pronunciò il suo discorso forse più importante riguardo al teatro. Dopo aver rilevato come eventi quali la guerra e la rivoluzione fascista avrebbero dovuto essere la migliore ispirazione per il genio artistico, Mussolini affermò:
“Ho sentito parlare di una crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli autori; quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di masse, il teatro che possa contenere 15 o 20 mila persone. La ‘Scala’ rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle vicende degli uomini. Basta con il famigerato ‘triangolo’, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito. Fate che le passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema” <127.
Nella politica culturale fascista il teatro avrebbe ricoperto un ruolo privilegiato, facendosi interprete dei sentimenti più autentici e profondi dell’intera comunità. In questo senso è comprensibile come non solo ci si opponesse alla monotona ripetizione del tema del ‘triangolo’ amoroso ma anche non ci si riconoscesse nelle correnti d’avanguardia, dai futuristi a Pirandello, dai grotteschi ai crepuscolari, per chiedere invece all’opera teatrale – secondo le parole di Mussolini – di «agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulle scene quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle vicende degli uomini». Non un teatro portatore di dubbi e negazioni dunque, ma un teatro in grado di affermare certezze, di celebrare quasi una sorta di rito collettivo.
Era necessario quindi creare un repertorio adeguato, «lontano dalla prosaica quotidianità del teatro borghese, in grado di interpretare i miti e le idealità dell’epoca moderna» <128. I nuovi valori poetici e la ritrovata socialità del mezzo teatrale sarebbero stati le fondamenta di una rinnovata concezione estetica.
[NOTE]
116 Per la costruzione formale degli spettacoli all’aperto un esempio suggestivo proveniva dalla Germania, dove venivano organizzati i Thingspiele (dal termine germanico indicante il tribunale degli uomini liberi). Tali imponenti manifestazioni all’aperto, legate alla storia, alla leggenda e alle feste locali, dovevano rappresentare, nelle intenzioni di Goebbels, il nuovo teatro tedesco. Per esse Wilhelm von Schramm giunse a elaborare uno schema che contrapponeva il vecchio teatro borghese (intimista, individuale, con protagonisti in lotta con se stessi, rappresentato in luoghi chiusi) al teatro nazista (corale, popolare, con eroi drammatici, cori, rituali, pubblico di massa, rappresentato in luoghi aperti). Caratteristiche degli spettacoli erano essenzialmente la netta contrapposizione tra capi e gregari, l’accuratezza delle messe in scena (con masse di comparse, architettura e scenografia molto curate, impressionanti effetti visivi e sonori), il richiamo diretto all’ideologia nazista (tramite bandiere, simboli e attori rigorosamente di ‘pura razza ariana’) e quello al misticismo. «L’autosuggestione così creata provocava un’identificazione di gruppo – osserva Emanuela Scarpellini – facendo percepire tangibilmente agli spettatori l’appartenenza a un’unica collettività e razza.» Cfr. Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., p. 243.
117 Sulle sfumature politiche del teatro di massa estese anche al contesto francese si rimanda a EROI e massa, Bologna, Patron, 1979.
118 Gianfranco Pedullà, Il teatro di massa in Italia durante il fascismo, contributo al Convegno di studi Le Théâtre de masse: une expérience européenne. La France et l’Italie, 14-16 ottobe 2009, Avignon, di prossima pubblicazione. Ringrazio l’autore per la gentile concessione.
119 Gli autori dello spettacolo erano Alessandro Pavolini, Corrado Sofia, Giorgio Venturini, Luigi Bonelli, Raffaele Melani, Sandro De Feo, Gherardo Gherardi e Luigi Lisi. L’oggetto scenico principale, che dava il titolo alla rappresentazione, era un autocarro da trasporto, il Fiat 18 B.L., che inizialmente attraversava le trincee carico di giovani fanti. La seconda scena ricostruiva gli scontri in occasione di uno sciopero ‘rosso’ e la fine del Parlamento avvenuta attorno a un grande tavolo che veniva successivamente travolto dal 18 B. L, mentre un aereo sorvolava la scena lanciando migliaia di copie del «Popolo d’Italia» con l’annuncio della formazione del governo Mussolini. Il terzo tempo si svolgeva in epoca fascista: aperto da una coreografica esibizione di centinaia di giovani atleti, proseguiva con scene di lavori di bonifica e di costruzione della strada per Littoria. Il logoro autocarro, dopo essere servito anche a tali realizzazioni, veniva infine accantonato. La critica dell’epoca, da Guido Salvini e Silvio d’Amico, misero in evidenza i numerosi limiti della rappresentazione, tra cui l’inefficacia espressiva, per poi riconoscere come quel primo tentativo, comunque, indicasse le «grandi possibilità per gli spettacoli a venire». Cfr. Silvio d’Amico, Spettacolo di masse e teatro politico, in «Il Popolo d’Italia», 17 marzo 1934; Guido Salvini, Spettacoli di masse e ‘18 BL’, in «Scenario», a. III, maggio 1934. Su questo episodio importante cfr. anche Jeffrey T. Schnapp, 18 BL. Mussolini e l’opera d’arte di massa, Milano, Garzanti, 1996.
120 Gli spettacoli alle terme di Caracalla, in «Scenario», a. VIII, n. 7, luglio 1939, p. 293.
121 Cfr. il trafiletto dedicato alla pubblicazione del volume di Mario Corsi, Il teatro all’aperto in Italia, Milano-Roma, Rizzoli, 1939; in «Comoedia», a. XXI, n. 7, 15 luglio 1939, p. 314.
122 Eugenio Bertuetti, Appunti per un invito all’aperto, in «Scenario», a. VIII, n. 7, luglio 1939, p. 297.
123 L’EMI, l’impegno più grandioso, a livello organizzativo, finanziario e propagandistico assunto dal regime in fatto dispettacolo dal vivo, fu fondato nel 1937 dal ministero della Cultura Popolare su preciso invito di Mussolini. I suoi compiti principali erano quelli di realizzare nuove grandiose rappresentazioni all’aperto e di inquadrare le attività già esistenti in un organico programma. Dai 56 centri del primo anno, le manifestazioni dell’E.M.I. si erano estese in 101 siti nel 1939; le rappresentazioni da 444 diventarono 601; gli spettatori da 1.865.000a 2.200.400. Il primo dato che emerge dalle statistiche è la preponderanza dell’attività lirica rispetto alla prosa (nel 1938, 392 spettacoli lirici, operistici e concerti contro 52 di prosa). E ciò a conferma del fatto che la tradizione musicale – oltre a riscuotere un favore maggiore presso il pubblico – si prestava di più a spettacoli di massa con gran numero di comparse, sia per la tipica struttura del melodramma ottocentesco, sia per il carattere stesso del linguaggio musicale. Cfr. Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., pp. 252-253. Due dei più imponenti eventi lirici degli anni Venti sono: Cavalleria Rusticana e Pagliacci in piazza San Marco nel luglio 1928, entrambe dirette da Pietro Mascagni (Cfr. Mario Corsi, Il teatro all’aperto in Italia, Milano-Roma, Rizzoli, 1939, p. 217; Il grandioso spettacolo lirico nella piazza di San Marco di Venezia, in «Il Popolo d’Italia», 24 giugno 1928). Già nell’estate del 1923 il Comando dei Balilla aveva organizzato all’Arena di Milano finte azioni belliche con gli arditi, e in seguito il grandioso spettacolo La laguna a Milano, per il quale era stata allagata l’Arena e ben duecento orchestrali, cento bandisti, cento mandolinisti e mille corali avevano eseguito un programma vocale e strumentale su di una grande pagoda galleggiante e su tre motoscafi e quaranta barconi, terminando con giochi pirotecnici (Cfr. Il successo della ‘Laguna’ all’Arena, in «Il Popolo d’Italia», 20 luglio 1923; La Laguna a Milano, in ivi, 21 luglio 1923; L’eccezionale spettacolo all’Arena, in ivi, 22 luglio 1923; Nuovi spettacoli lagunari all’Arena, in ivi, 28 luglio 1923). Nello stesso anno davanti a Mussolini e una folla immensa veniva presentato allo stadio del Palatino il terzo atto dell’atteso poema drammatico Rùmon di Ignis (Musmeci) sulla leggendaria fondazione di Roma (Cfr. Guido Ruberti, La novità della quindicina, in «Comoedia», 15 maggio 1923), mentre successivamente un analogo grande successo avrebbe riportato un concerto di Gigli, a Venezia, in favore dei refettori popolari e delle opere assistenziali del partito (Cfr. Il grande successo del concerto Gigli in piazza S. Marco a Venezia, in «Il Popolo d’Italia», 13 luglio 1930). Particolare significato assunsero gli omaggi tributati a Gabriele D’Annunzio, come la maestosa rappresentazione de La figlia di Iorio al Vittoriale nel settembre 1927 (Cfr. Le scene della ‘Figlia di Iorio’, in «Il Popolo d’Italia», 13 settembre 1927).
124 Cfr. Nicola de Pirro, E.M.I. – anno XVII, in «Scenario», a. VIII, n. 10, ottobre 1939, p. 439.
125 Sante Savarino, Spettacoli di prosa all’aperto, in «Il Dramma», a. XVI, n. 324, 15 febbraio 1940, p. 23. «Un Teatro del Fascismo non potrà essere che un Teatro per le masse – scrive Pavolini nel 1936 – che raccoglie attorno a sé il respiro unanime delle folle: il che si spiega con la storia stessa d’Italia, dove permane sì attraverso ogni tempo un miracoloso sentimento sotterraneo dell’unità.» Corrado Pavolini, Per un teatro di domani, in Storia del teatro italiano, a cura di Silvio d’Amico. Milano, Bompiani, 1936, pp. 364-367.
126 Trentacinque teatri, in «Scenario», agosto 1938; Carlo Vico Lodovici, Le sacre rappresentazioni italiane, in ivi, giugno 1942. Cfr. anche Emanuela Scarpellini, La funzione della cultura popolare, in Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., pp. 241-245.
127 Mussolini parla agli scrittori, in «Nuova Antologia», a. LXVIII, n. 1466, maggio-giugno 1933, p. 191.
128 Emanuela Scarpellini, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, cit., p. 245.
Adela Gjata, Renato Simoni: un’idea di teatro tra drammaturgia, critica teatrale e pratiche registiche, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

La celebrazione dell’estetizzazione della politica – strumento demiurgico del Duce per imprimere al vortice della storia la forza e la direzione di marcia del popolo italiano – è al centro del testo di Jeffrey Schnapp, 18BL.Mussolini e l’opera d’arte di massa (1996). Schnapp, studioso di letterature comparate e specialista di cultura fascista presso la Standford University, traccia un’acuta analisi della cultura fascista e dei suoi rapporti con i mass media, mettendola a confronto con l’opera delle avanguardie storiche e con gli apparati propagandistici degli altri regimi totalitari dell’epoca, quello sovietico e quello hitleriano <14. 18BL è il nome di un camion FIAT utilizzato in numerose occasioni dall’esercito italiano durante il primo conflitto mondiale. Per volontà di Mussolini e degli artefici della cultura del regime fascista, il camion 18BL diventò l’eroe di un megaspettacolo teatrale, ambiziosissimo e sostanzialmente fallito, che si tenne a Firenze nel 1934, con la regia di Blasetti <15. Attraverso la ricostruzione di questo kolossal e del dibattito che lo accompagnò, Schnapp prende in esame il ruolo occupato dai mezzi di comunicazione, dalla tecnologia e dalle macchine nell’immaginario fascista, con particolare riferimento ai suoi legami con modelli di narrativa, storiografia, spettacolo e soggettività fascisti.
L’analisi di Schnapp si concentra sostanzialmente sugli anni Trenta, perché è proprio in questo periodo che il regime decide di intervenire direttamente sulle vicende teatrali attraverso iniziative quali il Convegno Volta e la promozione di grandi esperienze teatrali di massa all’aperto come i Carri di Tespi, o 18BL16. Nel Novecento ciò che contraddistingue il teatro non è più la finzione ma la messa in scena della vita contemporanea.
L’Italia si vede investita da un processo di politicizzazione della vita pubblica negli anni dopo il 1922, quando l’influenza dello Stato fascista diviene determinante con il progressivo consolidarsi del regime. In effetti, l’intervento dello Stato nei confronti del teatro è sempre stato modesto, prima di quegli anni, mentre in questo periodo il governo di Mussolini s’impegna ad attivare una propria politica culturale favorendo una serie di interventi legislativi e la fondazione di molti istituti culturali. Se durante gli anni Venti il teatro vede progressivamente diminuire il suo pubblico a vantaggio del cinema, il clima muta, invece, a partire dagli anni Trenta, quando lo stato fascista comincia ad occuparsi seriamente del teatro e a vederlo come un settore non più secondario, impegnandosi su tutti i fronti possibili per sostenerlo. Si organizzano sistemi di finanziamento pubblico, repertori, calendari delle stagioni, censura dei testi, riorganizzazioni delle filodrammatiche, controllo delle compagnie e tournèes: «lo scopo era di avvicinare il pubblico alla sfera della cultura alta italiana, di estendere la “bonifica” spirituale e intellettuale fascista dell’Italia e propagare la lingua nazionale» <17.
Schnapp evidenzia gli aspetti più interessanti dell’orientamento teatrale fascista: la costituzione nel 1929, dei Carri di Tespi o teatri itineranti; l’istituzione nel 1930 della Corporazione dello spettacolo che ha lo scopo di studiare e ricercare, in armonia con gli interessi dell’economia nazionale, le soluzioni dei problemi riguardanti le industrie del teatro e del cinematografo e di altre affini, e di assicurare un luogo di collaborazione permanente fra i datori di lavoro. Segue nel 1935 la nascita dell’Ispettorato del Teatro alle dipendenze del sottosegretariato di Stato per la Stampa e Propaganda: istituzione che prevede la centralizzazione della censura. Viene così a costituirsi un pensiero nazionale dello spettacolo, nel cui vigile e costante esercizio si progetta la “norma” drammaturgica, l’ottimizzazione di quello che è corretto e conveniente argomentare secondo l’etica e il buon gusto. Insomma la centralizzazione della censura e la creazione di scuole nazionali d’arte drammatica lasciano intendere la volontà di una politica che trova nella cultura lo strumento di un’espressione nazionale degli apporti tradizionali: sono ritenuti minori i pericoli di una omologazione rispetto a quelli di una serie di manifestazioni […]
[NOTE]
14 Cfr. J. T. SCHNAPP, Stating Fascism: 18BL and the Theather of Masses for Masses, Standford University Press, 1996; trad. it. 18BL.Mussolini e l’opera d’arte di massa, Garzanti, Milano 1996. Sempre sul rapporto tra fascismo e cultura, dello stesso autore cfr. A Primer of Fascism, University of Nebraska Press, 2000; Gaetano Ciocca: costruttore, inventore, agricoltore, scrittore, Skira, Milano 2000.
15 Lo spettacolo 18BL viene allestito a Firenze dove, su una riva dell’Arno, tremila attori si raccolgono sopra un palcoscenico di oltre 250 metri, davanti a circa ventimila spettatori, con una scenografia che comprende un doppio ponte di barche, giganteschi libri sormontati da baionette, trincee e sacchi di sabbia, aerei e carri armati. Nonostante gli sforzi profusi, lo spettacolo si risolve in un avvenimento scenico fragoroso, piuttosto confuso e stucchevole. La rappresentazione si svolge in tre quadri e mostra la storia di un camion militare – il Fiat 18BL appunto – che, nel primo quadro riesce insieme all’autista a giungere fino alle trincee nemiche, rendendo possibile la vittoria dell’esercito italiano; nel secondo quadro, l’autocarro serve a sbaragliare la sovversione comunista all’interno di una fabbrica, prima di avviarsi a partecipare alla marcia su Roma. Nel finale, invece, dopo la vittoria mussoliniana, il vecchio camion assiste ad immagini di vita lavorativa nei campi della nuova Italia fascista.
16 I Carri di Tespi erano teatri meccanizzati ambulanti, ispirati sia al modello di compagnie teatrali itineranti italiane che a precedenti esperimenti di “teatro mobile” russi o francesi. «I Carri di Tespi abbracciarono la tecnologia come il marchio di un’Italia del futuro interamente modernizzata e razionalizzata […] A un livello più profondo, il mezzo era il vero messaggio. Mobili e modulari, rapidamente assemblabili e smontabili da parte di squadre di tecnici esperti, provvisti di illuminazione e scenografie di ottima qualità, i Carri di Tespi funsero da veicolo dei valori fascisti […] Essi rappresentavano il governo fascista come onnipresente, attivo e disciplinato agente di modernizzazione culturale e politica che direttamente andava a raggiungere le masse italiane per provvedere ai loro bisogni e per plasmare la nazione in un insieme omogeneo» (J. T. SCHNAPP, op. cit., pp. 29-34).
17 Ivi, p. 31.
Flavia Stara, Note su alcune interpretazioni statunitensi del fascismo in (a cura di) Hervé A. Cavallera, La formazione della gioventù italiana durante il ventennio fascista, Tomo I, Paideia, 2006