Nel nord industriale crescevano le prospettive dell’azienda leader del settore elettrico

La lapide, che in Milano in una via laterale al Duomo, ricorda la prima (1883) centrale termoelettrica d’Europa

A dimostrazione dell’importanza e del ruolo svolto dalla Sme negli anni Venti e Trenta nel panorama economico nazionale, nel consiglio di amministrazione cresceva la presenza di gruppi elettrici italiani, e finanziarie, che avevano intrecciato i loro interessi con la Meridionale. Alla seduta del consiglio tenuta presso la Banca Commerciale Italiana il 24 maggio 1930 erano presenti, come consiglieri, molti rappresentanti del capitalismo italiano: consiglieri in quota Franco-Suisse e Italo-Suisse, come il presidente onorario Aubert, De Haller, Hentsch, Corbino, esponenti della Comit, come Toeplitz, eletto nel frattempo presidente del consiglio della Sme, Guido Donegani, presidente della Montecatini e della Comit, Alberto Lodolo, esponente Credit, La Centrale e Ansaldo, Alberto Beneduce, all’epoca presidente della Bastogi e promotore di enti pubblici, Stefano Antonio Benni, presidente Confidustria e della Magneti-Marelli, Giacomo Merizzi, rappresentante del Tecnomasio Brown-Boveri, Agostino Nizzola della Motor, Nicola Raffalovich della Italian Superpower, ecc…
Questa <160 <161 folta rappresentanza del mondo capitalistico italiano era la prova che qualcosa stava cambiando nelle elettrocommerciali: il management vedeva arretrare il proprio ruolo decisionale a favore dei finanziatori esterni alla società, i quali erano collegati ad una strategia di impresa nazionale dalla quale era difficile sottrarsi <162.
In rapporti molto stretti con la Sme, la Unes, Unione Esercizi Elettrici, riuscì in breve tempo a formare un monopolio anomalo rispetto alle altre holding elettriche del Paese.
Infatti, la Unes non basò il proprio ramo produttivo sull’utenza di un’unica zona in continuità territoriale, ma forniva elettricità in aree geografiche a volte confinanti, a volte lontane anche centinaia di chilometri l’una dall’altra. Come rilevato dai documenti a disposizione, la Unes, nata l’11 febbraio 1905 dalla volontà di alcuni tecnici preparati dai corsi dei politecnici di Milano e Torino, distribuiva elettricità soprattutto nella zona dell’Adriatico centrale, tra l’alta Puglia, l’Abruzzo, le Marche, parte del Lazio orientale e del nord-est della Campania, e riuscì anche a ritagliarsi una piccola fetta di mercato in alcuni comuni della Toscana <163 e della Liguria. Ciò che emergeva dalla politica della Unes era la scelta di rifornire di elettricità zone scarsamente industrializzate, dedicandosi soprattutto ai piccoli consumi domestici e poco più. Con tutta probabilità l’Unione scelse quelle zone poiché credeva in un loro potenziale sviluppo, oppure perché il mercato elettrico dei monopoli regionali aveva già occupato i territori che avevano bisogno di energia per fini industriali. Un’ulteriore influenza fu esercitata sulla società quando entrò nell’orbita Comit, la quale probabilmente fu la vera artefice di alcune scelte aziendali.
Tuttavia, però, la Unes salì tardi alla ribalta del grande mercato elettrico, quando i grandi gruppi avevano già fatto incetta di concessioni nelle loro zone di competenza, ammazzando un’ipotetica concorrenza.
La Unione Esercizi Elettrici, già alla fine degli anni Trenta, presentava diverse particolarità che la contraddistinguevano dagli altri grandi gruppi. Infatti la Unes visse un periodo di grande espansione facendo il passo più lungo della gamba. Il periodo divenne noto come ‹‹era Simonotti››, dal nome dell’amministratore dell’azienda, una fase contraddistinta da una disinvoltura finanziaria che condusse la società sul piano produttivo a generare più energia di quanta se ne vendesse, sul piano finanziario a distribuire un indice di dividendi che superava anche quello delle aziende più vivaci del settore come la Edison: dal 1922 al 1929 la Unes distribuiva dividendi in percentuale dal 13% al 18%, in confronto al 10% di media della Edison, all’8,5% della Sme, al 9% della Sip e al 13,5% della SADE <164.
Dalla gestione ‹‹allegra›› delle finanze della società ne derivarono i primi problemi; per tali ragioni la Unes cedette la Lucana alla Sme, sua contigua di zona, e iniziò ad arretrare dal punto di vista della produzione tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Inoltre, l’azienda finì nelle mani della Sofindit, anche se questo non fu l’ultimo passaggio. La crisi portò alla sua irizzazione e alla successiva retrocessione alla Sme nel 1939 <165.
Da queste originalità la Unes assunse già all’epoca un rilievo particolare nella storia dell’industria elettrica italiana: era un monopolio, dunque, esteso su una regione non continua, ma che ricopriva un decimo dell’utenza nazionale; era un gruppo basato su piccole aziende distributrici non dedite alla fornitura elettrica per uso industriale <166; soprattutto fu il primo, e unico, monopolio elettrico a retrocedere alla posizione di azienda controllata, come accadde nel 1939, e andò a ingrandire una vecchia e diretta concorrente, ovvero la Sme <167.
Negli anni Venti e Trenta del XX secolo nel nord industriale crescevano le prospettive dell’azienda leader del settore elettrico, ovvero la Edison di Milano, che raggiunse un vero monopolio regionale lombardo attuando politiche volte ad incorporare aziende, in modo da sbaragliare la concorrenza assoggettandola. Dal primo dopoguerra in poi, infatti, la società milanese combatté le sue «guerre parallele <168» con alcune grandi società del panorama industriale italiano, ritagliandosi sempre più spazio anche nel contesto delle alleanze bancarie, fondamentali all’epoca per il finanziamento delle attività <169.
Il 7 settembre 1918 morì Esterle, e i suoi poteri furono trasferiti al consiglio, il quale decise di accrescere sempre più le mansioni di Giacinto Motta, ormai il vero fautore nel nuovo indirizzo della Edison. Molto importante risultò la seduta del consiglio Edison dell’11 settembre 1918, in cui si commemorava il corso Esterle, elogiando l’operato del consigliere ed esprimendo le condoglianze nei confronti della famiglia. In più, dai verbali emerge una volontà innovatrice nelle strategie aziendali: fu decisa l’emissione di 80 mila nuove azioni da L. 300 cadauna. Attraverso questa manovra il consiglio si impegnava ad attuare «il proposto aumento di capitale da L. 48.000.000 a L. 72.000.000 <170». L’unanimità dell’approvazione dell’aumento di capitale sottolineava la comunione di intenti da parte dei diversi interessi rappresentati nel CDA Edison. Motta assunse la linea guida che aprì la nuova era aziendale; egli seppe mettere in pratica le sue conoscenze tecniche in quanto docente di tecnologie elettriche al politecnico di Milano. Egli rappresentava l’avanguardia dei tecnici-manager impiegati nel settore elettrico: i suoi studi accademici vennero a confrontarsi con la realtà della gestione elettrica aziendale e con ruoli dirigenziali nazionali, come la presidenza dell’Unione degli Industriali Elettrici Italiani.
Tra la fine della Grande guerra e gli anni Venti, sotto la gestione dell’amministratore Motta si conclusero importanti acquisizioni che accrebbero l’operatività della Edison, allargando il raggio d’azione a tutta la zona lombarda. Infatti, in poco tempo, la Edison riuscì a cooptare interessi regionali per collaborare nella formazione di alcune società dedite al comparto elettrico, come la Società Idroelettrica Cisalpina e la Società Elettrica Interregionale. In più cedette delle partecipazioni non più soggette all’interesse aziendale, come le azioni Unes e Idroelettrica Ligure, spostando l’attenzione maggiormente sul suolo regionale, aumentando la propria forza rappresentativa con l’acquisizione di importanti pacchetti azionari della Dinamo e della SEB (Società Elettrica Bresciana) <171.
Pian piano emerse, dunque, nel corso degli anni Venti un vero monopolio elettrico regionale sottoposto agli indirizzi della società Edison. Dopo l’assorbimento della Conti, nel 1927, la Edison venne a capo di un network di imprese ben ramificato: ad essere sottoposte alla volontà della società capogruppo furono la Dinamo, l’Emiliana, l’Interregionale Cisalpina, la Negri, la Piemonte Orientale, la Ticino, la Bresciana, la Conti in modo diretto, mentre si contavano una miriade di piccole società con vincoli indiretti con la società milanese, in quanto sorrette da una rete di relazioni con altre società medie incastonate nel sistema Edison.
Dal punto di vista finanziario, la Edison seppe, dopo la guerra parallela con l’Ilva e con la Comit, anche ritagliarsi margini ampi di autonomia rispetto al volere del capitale bancario, appoggiandosi volta per volta anche a gruppi di finanziatori esteri, oppure andando avanti soltanto con le proprie forze. Così la società leader del settore elettrico limitò la sua esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario italiano e, in questo modo, riuscì a limitare anche gli effetti della grave crisi che si aprì agli inizi degli anni Trenta come riflesso del crollo di Wall Street.
Dalle vicissitudini della Grande guerra nacque anche il polo elettrico dell’Italia nord-occidentale, ovvero la Sip. In realtà la Sip raccolse l’eredità della già operativa Pont Saint-Martin, creata nel 1899 da un incrocio di interessi tra il Credit e la società elettrofinanziaria tedesca Schuckert di Norimberga <172. Le direttive elettrofinanziarie furono poste sulla base delle strategie di Gian Giacomo Ponti, il promotore della Sip, già consigliere delegato della Pont Saint-Martin e alto rappresentante della generazione dei manager-tecnici che fecero crescere l’industria elettrica in Italia. Avendo compiuto viaggi di studio in America, Ponti risultava il più aggiornato tra i tecnici della sua generazione, e mise in pratica le sue ricerche finalizzate all’incremento produttivo e finanziario della società che si avvalse della sua esperienza <173.
Gli interessi che vertevano sul cambio della ragione sociale dell’azienda in Società Idroelettrica Piemonte furono molteplici: dalle esigenze del capitalismo piemontese, alle strategie bancarie, ad altro. Prova di ciò si ha nei verbali dei consigli di amministrazione della nuova società, in cui i nomi riscontrati sono un esempio della presenza degli interessi descritti in precedenza: la presidenza fu affidata a Dante Ferraris, ex vicepresidente Fiat <174, mentre consigliere delegato e direttore generale divenne Ponti, che dettava la linea societaria; Augusto Abegg, imprenditore tessile, presente contemporaneamente nei CDA Sip, SNIA Viscosa e Credit e promotore, insieme ad Agnelli, della Lega industriale di Torino <175; lo stesso Agnelli, proprietario della Fiat e uomo di spicco dell’imprenditoria nazionale; Emilio De Benedetti, amministratore delegato della Moncenisio, tra i fondatori dell’Unes nel 1905, nonché altro promotore della Lega industriale di Torino, consigliere della Cassa di Risparmio di Torino ed elemento della giunta esecutiva di Confindustria <176; Pietro Fenoglio, amministratore delegato della Commerciale, presente in diversi CDA di società elettriche per conto della banca milanese; Garbaccio e Rivetti, rappresentati gli interessi del mondo tessile piemontese, in particolar modo del territorio biellese; Panzarasa, presidente Italgas e consigliere della Commerciale <177.
Quasi da subito il vertice aziendale puntò sulla possibilità di formare un monopolio regionale elettrico, attraverso partecipazioni incrociate in altre società del settore in Piemonte promosse di volta in volta per agire da controllore e gestore della fornitura energetica nella zona predisposta. Così si procedette da acquisizione in acquisizione, a partire dalla EAI (Elettricità Alta Italia) della Indelec; successivamente si puntò sull’incrocio azionario per esercitare diritti di prelazione sull’uso energetico dell’elettricità: era il caso della Società Idroelettrica Monviso, della SFIM (Società per le Forze Idrauliche del Moncenisio) e la Società Idroelettrica Piemontese-Lombarda <178.
Il duo Ponti-Panzarasa governò le strategie Sip per tutto il decennio degli anni Venti, ma la loro tattica per la costruzione del gruppo condusse verso una politica di indebitamento. Infatti, la loro tecnica espansiva faceva perno sulla capacità aziendale di contrarre debiti nei confronti degli istituti bancari alleati, come il Credit, la Cassa di Risparmio di Torino e, soprattutto, la Comit. Le banche miste vantavano nei confronti della Sip milioni di lire di credito, somma che aveva permesso l’estensione delle zone produttive, ma che dal punto di vista finanziario non lasciava presagire nulla di positivo <179.
Nonostante ciò il gruppo piemontese costruì un vero potere economico nella regione: possedeva la Sip-Breda, la SFIM, la SIM, la SIDE, la Società Idroelettrica Dolomiti, la SAVE del vercellese, la Piemonte Centrale di Elettricità, la EAI, ecc, e vantava partecipazioni in altre società di distribuzione. In più, la dirigenza riuscì a spostare l’attenzione finanziaria anche su società dedite ad un altro settore in crescita, ovvero quello telefonico, raggiungendo il controllo di distributori come la Telve, la SETA, la TIMO e la STIPEL <180.
Tuttavia, i timori per il futuro si materializzarono nel momento in cui si palesò la crisi dell’Italgas nel 1930, la quale portò Panzarasa al di fuori del duo di vertice; con la crisi della società di Panzarasa la Comit prese il definitivo sopravvento sulla Sip, influenzandone fortemente le linee guida della società <181.
[NOTE]
160 L’Italian Superpower Corporation nacque alla fine del 1927 con un accordo tra la Comit e alcuni istituti statunitensi, come la Marshall Field, Glore, Ward & Co., la Bonbright & Co. Inc., con il fine di rilevare i titoli elettrici italiani in possesso. Nell’affare, oltre alla Comit entrarono anche la Bastogi e la SADE.
161 ASEN, sez. Napoli, VCA Sme, C1 I3 2c, verbale del 24 maggio 1930. La presenza di esponenti di gruppi industriali non elettrici dimostra che negli anni la Sme aveva concluso accordi di collaborazione con diverse industrie con il fine della crescita espansiva della propria area di competenza e per la volontà di Capuano, il quale si mostrava propenso ad un programma di industrializzazione del sud Italia che avrebbe potuto garantire sicurezza alla Società Meridionale con la creazione di uno strato stabile di richiedenti fornitura. Ecco spiegata la presenza nel consiglio di uomini come Donegani della Montecatini e Benni della Magneti-Marelli, anche se bisogna sottolineare che gli accordi con la Montecatini si interruppero bruscamente tra il 1927 e il 1928; tuttavia Donegani conservò la propria carica di consigliere nella Sme.
162 G. Bruno, Il Gruppo meridionale di elettricità, cit., pp. 825-826.
163 ASEN, sez. Firenze, accordi Selt-Unes, Scaff. FI K13/A, carte non inventariate. Nei resoconti degli accordi tra la Selt e la Unes emerge che la zona di influenza di quest’ultima era racchiusa nell’odierna zona di Massa, tra il Monte Altissimo e Migliarino, e comprendeva centri importanti come Viareggio e Pietrasanta.
164 Dati ricavati dai verbali dei consigli di amministrazione delle aziende considerate, conservati presso l’Archivio storico Enel e presso l’Archivio della Fondazione Edison. Cfr. Banca Commerciale Italiana, Alcuni valori industriali italiani, Milano, 1929.
165 Per la crisi della Unes, la questione riguardante Simonotti, l’irizzazione e la cessione alla Sme, cfr. Capitolo IV del presente lavoro.
166 A. Tajani, Lo sviluppo delle applicazioni elettriche domestiche nell’Italia meridionale, in ‹‹Rendiconti AEI››, 1938.
167 Purtroppo ad oggi non esistono grandi studi sulla Unione Esercizi Elettrici. Le informazioni sulla vita e la funzione di questa società si possono trarre dai lavori complessivi sulla storia dell’industria elettrica in Italia e dai documenti della società stessa. Con tutta probabilità, la penuria di ricerche su questa azienda è dovuta alla scarsa rilevanza della stessa nel periodo successivo alla nazionalizzazione; infatti, mentre gli altri monopoli regionali cambiarono ragione sociale e si dedicarono ad altri mercati, la Unes, finita nell’orbita Sme nel 1939, cessò la sua azione dopo il 1962.
168 Il termine in questione è stato utilizzato da Mori per descrivere i contenziosi maturati in seno al capitalismo italiano in tema di controllo del mercato elettrico e delle zone di influenza. Cfr., G. Mori, Le guerre parallele. Industria elettrica in Italia nel periodo della Grande guerra (1914-1919), in «Studi storici», n.2, 1973.
169 L’Ilva di Max Bondi nel 1918 si prefisse come scopo un tentativo di sovvertimento delle gerarchie societarie della Edison tramite l’acquisizione di un cospicuo pacchetto azionario della società elettrica milanese, grazie anche al rapporto con la Comit. La Edison, da parte sua, trovò nel nemico della Comit, ossia la Banca Italiana di Sconto, un partner per creare una risposta ai tentativi del gruppo Ilva. Dai verbali del CDA Edison del 1918-1919 si evince la capacità del gruppo Edison di saper respingere l’assalto dell’Ilva, creando le basi per una nuova fase che accrebbe le capacità finanziarie e produttive dell’azienda.
170 ASED, VCA Edison, E/79/7, verbale dell’11 settembre 1918.
171 Queste operazioni sono ben descritte nei verbali del consiglio di amministrazione Edison, in ASED, VCA Edison, E/79/8, consigli del 1919.
172 A. Castagnoli, Il passaggio della Sip all’IRI, in Storia dell’industria elettrica in Italia, vol. 3, cit., pp. 595-642. Sull’attività della Pont Saint Martin, cfr. G. Caligaris, Alle origini dell’industria elettrica in Piemonte. Dalla società industriale elettrochimica Pont St. Martin alla Società idroelettrica Piemonte (1899-1922), in «Studi piemontesi», vol. XV, n.1, 1986.
173 G. Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna, 1993.
174 A. Castagnoli, Il passaggio della Sip all’IRI, cit., p. 597.
175 M. Spadoni, Il gruppo SNIA dal 1917 al 1951, Giappichelli, Torino, 2003.
176 V. Castronovo, Economia e società in Piemonte dall’Unità al 1914, Banca Commerciale Italiana, Milano, 1969.
177 Per la composizione dei CDA Sip sono stati consultati i documenti in ASEN, sezione Torino, carte non inventariate.
178 A. Castagnoli, Il passaggio della Sip all’IRI, cit., p. 598.
179 In riguardo alle strategie aziendali per l’espansione dei gruppi, cfr. R. Giannetti, Tecnologia, scelte d’impresa ed intervento pubblico: l’industria elettrica italiana dalle origini al 1921, in «Passato e presente», n. 2, 1982.
180 La STIPEL era molto importante, poiché si interessava della fornitura telefonica a centinaia di famiglie nella zona lombardo-piemontese. Il suo capitale sociale era di 200 milioni, di sicuro il più importante dell’intero settore telefonico italiano.
181 AA. VV., Dalla luce all’energia. Storia dell’Italgas, Laterza, Roma-Bari, 1987.
Gerardo Cringoli, L’integrazione competitiva. L’industria elettrica italiana prima della nazionalizzazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2017

In alta Valtellina la fanno da padrone le dighe e la conseguente produzione di energia elettrica. La realtà della produzione di quest’ultima è un po’ più diffusa e coinvolge non solo la lunga Valtellina ma anche altre montagne ed altri confini geografici. Nell’analizzare la situazione dell’economia della Valtellina Catalano così inquadra la questione degli gli impianti idroelettrici: “Vediamo perciò di fronte, questo pauroso ristagno dell’agricoltura che cosa in sostituzione propone la politica fascista. La popolazione maschile dal censimento del 1921, si riduce di quasi 7000 unità (il 15% della popolazione attiva), e di altre 1500 dal 1931 al 1936. Contemporaneamente l’industria occupa, nel 1931, ben 5000 unità in più che nel 1921. Circa il 70% di questo incremento è dovuto all’edilizia. Come abbiamo prima accennato il boom edilizio si basava pressoché esclusivamente sulla costruzione degli impianti idroelettrici. Il funzionamento di questi impianti, però, è un’attività in cui si ha una netta prevalenza dell’elemento finanziario (investimenti a lungo termine), e che rende del tutto secondario l’esercizio. Così le costruzioni idroelettriche contribuiscono a portare una forte concentrazione finanziaria a Milano, mentre Sondrio e la sua provincia restano escluse dai circuiti reddituali. Il boom che nasce su questo ha perciò degli aspetti intimamente negativi perché produce uno stimolo all’edilizia locale che si traduce in uno spostamento dell’equilibrio economico verso attività destinate a riflussi sia stagionali sia di lungo periodo, condizionando tutta l’economia provinciale ai piani d’investimento dei grandi gruppi elettrici nazionali. Si crea inoltre un depauperamento per un’occupazione prevalentemente dequalificata, determinando l’impossibilità per un intero ciclo generazionale di reinserirsi nell’agricoltura, gravemente colpita, e determinando una stasi completa anche nella formazione di nuova imprenditorialità locale, al di fuori dell’edilizia. Le grandi società elettriche che ‘colonizzano’ così la provincia sono: L’Azienda Elettrica Municipale di Milano, che si attribuisce l’Alta Valtellina (centrali di Grosio, Grosotto, Roasca, Isolaccia). La Società Lombarda (poi Vizzola) che ‘occupa’ il versante retico da Tirano alla Val Masino (Centrali del Masino e del Mallero). La Società Acciaierie e Ferriere (Falk) che si impadronisce del versante dall’Aprica a Caiolo (dal bacino del Belviso, fino a quelli del Venina e del Livrio). La Cisalpina (Edison), che stabilisce il suo regno in Valchiavenna (centrale di Mese) e a Novate Mazzola”.
Oltre ai minori feudatari <174.
[…] Gli impianti idroelettrici sono innumerevoli in Lombardia e sono per lo più dislocati sui contrafforti alpini: sulle Prealpi Orobie, sia sul versante valtellinese che lecchese o bergamasco, nei massicci montuosi che vanno da Tirano fino al passo dello Stelvio, nella zona dell’Adamello, lungo la valle del passo dello Spluga e in val Chiavenna.
A questi bacini idrici principali fanno poi da contorno una numerosa serie di centrali idroelettriche lungo i fiumi: ne è esempio la centrale Taccani sul fiume a Trezzo d’Adda. Si può affermare che dovunque è stato economicamente vantaggioso si è cercato di costruire per produrre energia elettrica e rendersi indipendenti come nella zona di Premana in Valsassina o nella zona di Mandello del Lario (moto Guzzi).
[…] In alta Valtellina, considerando il territorio che da Sondrio va al passo dello Stelvio, troviamo questi impianti: Impianto di Arquino e altri in Valmalenco che alimentano la zona di Sondrio, l’impianto della diga di Fusino sopra Grosio attivo dal 1924, la diga del lago Venina in zona Piateda attiva dal 1926, l’impianto di Santo Stefano, attivo dal 1929, e la diga del Lago di Mezzo attiva dal 1930 entrambi a Ponte in Valtellina, la diga del lago di Scais con impianto attivo a Piateda dal 1939, in Valdidentro la diga di San Giacomo Fraele e di Cancano. Si deve considerare che il progetto della costruzione della diga di S. Giacomo di Fraele da parte dell’Azienda Elettrica di Milano (AEM) risale al 1937. La costruzione dei canali collettori iniziò nel 1938, e la filovia per il trasporto dei materiali fu costruita nel 1939. I lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1940. La difficoltà nell’approvvigionamento del cemento e della mano d’opera, a causa della guerra, rallentò non di poco i lavori di costruzione che nel 1944 si fermarono.
[…] Il patrimonio idroelettrico però non si esaurisce con le centrali elettriche e i relativi impianti artificiali di accumulo delle acque dal Comune di Sondrio in avanti; lungo tutta la valle Spluga il torrente Liro è stato imbrigliato, la centrale di Mese è il più grande impianto della Valchiavenna in provincia di Sondrio; è stato inaugurato nel 1927 alla presenza del Principe Umberto di Savoia e, quando è entrato in servizio, era l’impianto idroelettrico più potente d’Europa. Utilizza le acque della valle del torrente Liro scaricate da tutte le altre centrali più a monte. La centrale è in comune di Mese, tutte le altre opere industriali (canali, vasche, condotte forzate) sono all’interno della montagna e non sono visibili dall’esterno. L’acqua viene scaricata in un canale che la porta verso la centrale di Gordona. Sempre lungo la piana che da Colico porta a Chiavenna, entra in funzione nel 1936 la centrale di Campo alimentata dalla diga di Moledana che regola le acque del torrente che scende dalla valle dei Ratti. L’energia elettrica serve agli impianti di produzione delle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni. In una valle laterale che confina con la Svizzera, la diga del lago del Truzzo alimenta un impianto a San Giacomo e Filippo lungo la strada che porta al passo dello Spluga.
La bassa Valtellina
Se andiamo da Colico verso Sondrio, abbiamo la diga del lago di Trona e la costruenda diga del lago di Inferno nel bacino della val Gerola con la centrale di Gerola Alta e poi a Regoledo mentre lungo la strada che da Morbegno sale in valle, a Piateda c’è la diga di Panigai. Sempre sul versante delle alpi Orobie abbiamo la diga di Tartano. Sul lato di sinistra la centrale ad Ardenno che sfrutta le acque della val Masino. Vanno considerati anche gli impianti che sfruttano le acque del fiume Adda, come la centrale di Stazzona a Villa di Tirano o quella di Campovico (Morbegno) che fa capo alla SEM (Società Elettrica di Morbegno) e quella di Grosotto.
Alcuni impianti non sono ultimati, la diga al lago di Inferno in val Gerola, quella sul lago di Fraele nella valle omonima, altri sono stati terminati da poco e la guerra non ferma la progettazione e lo sviluppo delle aziende.
Le valli Bergamasche
Gli impianti idroelettrici delle valli bergamasche sono attestati nelle due valli principali, valle Brembana e valle Seriana con le loro convalli.
Il gruppo di impianti idroelettrici nella zona dell’alta Valle Brembana è costituito dalle tre centrali in serie di: Carona, Bordogna e Lenna. Queste centrali sono state precedute dalla realizzazione di altre più spostate verso la pianura; sono presenti centrali idroelettriche a Clanezzo, a Paladina, a Zogno, a S. Pellegrino, in Valle Taleggio, a S. Pietro d’Orzio. Differentemente dalle centrali valtellinesi, queste sono costruite con lo scopo di fornire energia elettrica sia alle industrie locali sia alle grandi industrie della cintura milanese. La Valle Brembana diviene anch’essa un’importante esportatrice di energia idroelettrica. Le dighe che alimentano le centrali in alta valle Brembana <177 sono costruite tra gli anni 1923 e 1946, solo una, quella del lago Pian di Casere, nella zona Branzi-Carona, è in costruzione durante gli anni della guerra.
Così una citazione nell’Enciclopedia Treccani a proposito della valle Seriana: «più di recente ancora l’economia della valle è stata trasformata dall’impianto di numerose centrali idroelettriche che utilizzano una massa d’acqua a regime piuttosto regolare, e fanno, della Seriana, uno dei plessi più importanti, sotto questo riguardo, di tutta l’Italia. Gl’impianti maggiori si trovano nella valle superiore, dove sono anche laghi artificiali <178». I lavori di costruzione dello sbarramento del fiume Serio a monte dell’abitato di Valbondione garantirono il funzionamento di una centrale idroelettrica posta in località Dossi. La centrale di Valgoglio è alimentata, mediante una condotta forzata, dalle acque provenienti da cinque laghi artificiali che costituiscono un complesso di straordinario valore ambientale e paesaggistico. La condotta forzata ha inizio sul lago Nero, connesso ai vicini laghi Campelli ed Aviasco; più a valle vengono immesse le acque regolate dal Lago Sucotto e dal lago Cernello. Il restante bacino del fiume Serio è costellato di innumerevoli centrali idroelettriche, ne sono esempio quelle allocate lungo la roggia Comenduna.
La valle Camonica
Gli impianti idroelettrici del val Camonica sfruttano il bacino imbrifero del fiume Oglio, si possono identificare in tre zone: il sistema che fa capo al torrente Poglia in Valsaviore e che produce energia in tre centrali in alta montagna (Baitone, Salarno, Campello), in fondo alla Valsaviore a Isola e poi a fondovalle a Cedegolo; il secondo sistema raccoglie le acque in valle d’Avio e Camonica per muovere le turbine delle centrali di Pantano (centrale in caverna) e di Temù; il sistema che utilizza i salti del fiume Oglio lungo la val Camonica con le centrali di Sonico, Cedegolo 2 e Cividate. Occorre notare che il sistema di produzione di energia elettrica posto a fondovalle produceva quanto i due sistemi allocati nelle vallate alpine <179. Le centrali fanno capo a un numero consistente di dighe perlopiù costruite nel massiccio dell’Adamello tra il 1910 (inizio della costruzione del lago d’Avio) e il 1940 (fine costruzione della diga del lago Benedetto) […]
[NOTE]
174 F. CATALANO, La Resistenza nel Lecchese e nella Valtellina, cit. pp. 64-65.
175 Cfr. E.ROSASCO, E. BATTAGION, L. ELMO, P. PASSONI, E. POMA, F. BOCCA (a cura di), Resistenza, cit., pp. 188-189.
177 Non prendiamo in considerazione le dighe costruite dopo il 1947, ovvero quelle la cui costruzione è posteriore alla Liberazione.
178 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/valle-seriana_(Enciclopedia-Italiana)/
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu