L’ISPRA, nel rapporto sul consumo di suolo (2016), ha evidenziato che nel nostro Paese il suolo già consumato è pari al 7,0% del totale (una prestazione negativa che posiziona l’Italia al quinto posto in Europa per consumo di suolo)

L’Italia, un territorio complesso e variegato
L’Italia si estende per 1.200 chilometri e ha una superficie territoriale di 302,073 chilometri quadrati <3 pari ad un trentesimo di quella europea (ISTAT, 2016c). Al 1° gennaio 2016, la popolazione residente ammonta a 60.665.551 persone di cui oltre 5 milioni di cittadinanza straniera. Il Paese risulta caratterizzato da un territorio prevalentemente collinare (pari al 41,6% della superficie complessiva), seguito da quello di montagna (35,%) e di pianura (23,2%) (ISTAT, 2014). La Regione Valle d’Aosta e la Regione Trentino-Alto Adige (ripartita nelle due Province autonome di Trento e Bolzano) sono le uniche esclusivamente di montagna. La Lombardia presenta la maggiore estensione di pianura (11.246 chilometri quadrati). Le altre regioni con la maggiore estensione di territorio pianeggiante sono, nell’ordine, l’Emilia-Romagna, la Puglia e il Veneto, rispettivamente con 10.573, 10.417 e 10.405 chilometri quadrati. Le regioni con estensione di territorio collinare superiore ai 15 mila chilometri quadrati sono la Sicilia, la Sardegna e la Toscana (ISTAT, 2014). Al netto delle sovrapposizioni, sommando l’estensione delle varie tipologie di aree protette <4 (AAPP), all’incirca il 22% dell’Italia è posto sotto tutela (MATTM, 2010b). Il notevole gradiente altitudinale, l’estensione Nord-Sud e la complessità geologica ed orografica dell’Italia determinano una grande diversità di climi e ambienti naturali (Rondinini, C.; Battistoni, A.; Teofili, 2014). L’Italia è un hot spot <5 di biodiversità soprattutto per la presenza di migliaia di specie endemiche di piante vascolari, che rischiano di scomparire per l’elevato tasso di conversione degli habitat naturali (Myers, Mittermeier, Mittermeier, da Fonseca, & Kent, 2000). Gli ambienti italiani ospitano una fauna e una flora molto diversificate. La collocazione geografica dell’Italia al centro del bacino del Mediterraneo determina infatti la presenza di specie derivanti da diverse sotto-regioni biogeografiche, con popolazioni marginali di specie distribuite prevalentemente nei Balcani, in Nord Africa o nella porzione più occidentale dell’Europa. Questi fattori determinano una diversità biologica tra le più ricche dei paesi europei (Blasi, Boitani, La Posta, Manes, & Marchetti, 2005) con oltre 5.600 specie vegetali, pari al 50% delle specie europee, e oltre 57.000 specie animali, il 30% di quelle presenti nell’intero continente. Allo stesso tempo il nostro Paese è caratterizzato anche da un forte crescita delle aree urbanizzate, l’espansione di aree industriali e il moltiplicarsi di infrastrutture in particolare quelle viarie (ACI, 2011; Confcommercio, 2015; ISTAT, 2008, 2016a; MIT, 2016); tutto ciò a scapito prevalentemente delle aree agricole che registrano nell’ultimo decennio sia una drastica riduzione della SAU che del numero di aziende. Due fenomeni che congiuntamente confermano il processo di cementificazione del suolo agricolo in corso, anche a dispetto dell’incremento significativo (circa l’11%) riscontrato nel 2015 dell’incidenza della superficie biologica sulla superficie agricola totale.
La terra e il suo valore
La terra, intesa come sinonimo di suolo (TRECCANI, 2016), è ritenuta una delle risorse più importanti per lo sviluppo di ogni società in particolare quale supporto alla produzione agraria e forestale fornendo cibo, biomasse e materie prime, ed è elemento essenziale del paesaggio (FAO, 2015b). La Commissione Europea nel 2006 ha definito suolo “lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’unione tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera” (CE, 2006). Si tratta, quindi, di una risorsa naturale di grande valore, soprattutto nella sua duplice funzione di riserva degli elementi nutritivi e dell’acqua e di supporto meccanico per la vegetazione, consentendo la formazione di boschi, foreste e, se è lasciato indisturbato e mantenuto nelle sue condizioni naturali, quelle che noi consideriamo aree protette. Una delle caratteristiche riconosciute a questa risorsa è la sua non riproducibilità nel breve periodo (CE, 2006). Un’altra è data dalle crescenti pressioni cui è sottoposta (Gardi, Jeffery, & Saltelli, 2013; J.Ö.G. Jónsson, Davíðsdóttir, & Nikolaidis, 2016). Queste sono dovute in particolare all’intensificazione e agli usi concorrenti delle attività agricole, della silvicoltura, dei pascoli e dell’urbanizzazione, oltre che alla soddisfazione delle crescenti esigenze di una popolazione che aumenta (CE, 2006; FAO, 2015a; Gardi et al., 2013). Un aspetto fondamentale è il suo ruolo nel funzionamento degli ecosistemi; un rapporto già ampiamente studiato e presente in letteratura (Adhikari & Hartemink, 2016). Per contrastare queste pressioni, la UE si è data l’obiettivo del consumo di suolo pari a zero entro il 2050 (UE, 2011). Infatti, la biodiversità del suolo sul 56% del territorio della UE è stato stimato a rischio e “il 45% dei terreni europei hanno problemi di qualità del suolo, evidenziati dai bassi livelli di materia organica” (Westhoek et al., 2014). L’ISPRA, nel rapporto sul consumo di suolo (2016), ha evidenziato che nel nostro Paese il suolo già consumato <6 è pari al 7,0% del totale (una prestazione negativa che posiziona l’Italia al quinto posto in Europa per consumo di suolo) con valori più alti di consumo marginale di suolo rilevati in quelli con meno di 5.000 abitanti (i piccoli comuni) (ISPRA, 2016). Dal punto di vista qualitativo il rapporto evidenzia come la perdita di suolo in Italia sia dovuta a quella che comunemente viene chiamata cementificazione <7 e il suo degrado al diffondersi delle monocolture, basate sull’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, legate prevalentemente alla produzione animale per uso industriale. Aspetti che incidono fortemente sulla perdita di servizi ecosistemici del suolo che vengono azzerati nelle aree con copertura artificiale e diminuiscono sensibilmente nelle aree circostanti (la perdita di parte delle funzioni fondamentali del suolo è stata stimata poter riflettersi fino a 100 metri di distanza). Una perdita che, sulla base di elaborazioni sui costi a carico della collettività che portano, è stata stimata essere di 36.000 – 55.000 € all’anno per ogni ettaro di suolo consumato, pari ad un valore compreso tra i 538 e gli 824 milioni di € annui. Costi che però non tengono conto dell’impatto della perdita complessiva sugli ecosistemi, in quanto non completamente quantificabili. Il costo più alto deriva dalla mancata produzione agricola che incide per il 51%, segue il sequestro del carbonio (18%), protezione dall’erosione (15%) e infiltrazione dell’acqua (ISPRA, 2016).
Il valore del lavoro e della custodia
Fulcro delle attività primarie legate alla terra è la figura dell’agricoltore, (in passato chiamato contadino, oggi chiamato anche imprenditore agricolo), cioè colui (o colei) che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività ad esse connesse. In Italia è davvero molto recente (risale infatti ai primi anni di questo secolo) il riconoscimento che l’attività agricola (nelle sue varie tipologie) fornisce servizi finalizzati alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale, evidenziando quindi la molteplicità dei ruoli dell’agricoltura (Giani, 2007). Recentemente è stata istituzionalizzata quindi anche nel nostro Paese la figura dell’agricoltore quale gestore (e custode) del territorio. Gli viene riconosciuta la funzione di salvaguardia e valorizzazione degli aspetti naturalistici, ambientali e paesaggistici connessi all’attività agricola. Inoltre, è stata introdotta la possibilità da parte delle amministrazioni pubbliche di convenzionarsi con gli agricoltori per l’esercizio di mansioni per la tutela e la manutenzione del territorio, riconoscendo, di fatto, all’agricoltore un’attività sempre più multifunzionale (Ruffini, Streifeneder, Hoffmann, & Stiefenhofer, 2011).

Figura 2. Schema dei rapporti di lavoro in agricoltura. Elaborazione propria su dati UAIL, 2016. Fonte: Andrea Omizzolo, Op. cit. infra

Una responsabilità e una opportunità confermata dall’impianto della recente legge 2015 relativa alla Green Economy. “Agricoltore” può quindi essere oggi chiamato colui o colei che rientra in uno dei tre grandi gruppi di tipologie lavorative rappresentate in Figura 2. La nuova veste di manutentore del territorio, gestore e “custode” dell’agricoltore nel nostro Paese riguarda l’agricoltura familiare (Barberis & Greco, 2014), le sue peculiarità (Van Der Ploeg, 2015) e i processi di cambiamento che la stanno investendo (Gaudio, 2015). Secondo l’ultimo censimento, l’imprenditoria agricola familiare in Italia rappresenta oltre il 95% delle imprese e coltiva il 76% della SAU disponibile (ISTAT, 2016). La gran parte delle aziende familiari secondo l’esperienza di Medici (1961) sono spesso proprietà polverizzate, minuscole proprietà (1 su 3 ha estensione minore di 1 ettaro) insufficienti a sostenere un’azienda agricola autonoma. Per questo motivo la persistenza nel tempo di questa forma di conduzione è legata anche alla esistenza contestuale del fenomeno della pluriattività del conduttore e del resto dei suoi familiari, un fenomeno che sembrava di tipo transitorio, destinato a scomparire con la modernizzazione dell’agricoltura (Medici, 1961), ma che ancora oggi è significativamente presente nell’agricoltura italiana e rappresenta un importante fattore di vitalità delle aree rurali, in particolare quelle montane.
[…] Secondo l’Enciclopedia Treccani (2015), probabilmente la massima impresa di ricerca italiana (Benedetti, 2008) la montagna viene genericamente identificata come un rilievo più o meno accentuato della superficie terrestre; questo grazie ad alcuni aspetti fisico-geografici del territorio, che quindi ne definiscono la sua “montuosità”. Aspetti che permettono ad esempio di riconoscere che le Alpi, gli Appennini e le montagne insulari, sono i principali sistemi montuosi dell’Italia. Aspetti (elevazione e pendenza) utilizzati dall’United Nations Environment Programme World Conservation Monitoring Centre (UNEP-WCMC) per stimare che le montagne “coprono” circa il 23% della superficie mondiale. Altri aspetti, non sono solo fisico-geografici, relativi alla complessità e diversità, come per esempio quelli climatici, sociali, economici, amministrativi e politici, contribuiscono successivamente a definirne più in dettaglio il
carattere montano, la “montanità” (Omizzolo, Streifeneder, Ravazzoli, 2016). I citati sistemi montuosi ben rappresentano quindi l’eterogeneità delle aree montane del Paese, diverse fra loro per dislocazione geografica, caratteristiche fisiche, economiche, demografiche, culturali, per dotazione infrastrutturale e per la disponibilità di servizi alle persone e alle imprese (SIM, 2010).

Figura 5. I comuni montani in Italia. Elaborazione propria su dati Istat riferiti all’anno 2011. Fonte: Andrea Omizzolo, Op. cit. infra

Nell’ordinamento italiano, la caratteristica “montana” è stata attribuita ai comuni italiani attraverso un impianto legislativo (L. 991/52 e L. 657/57) che distingue tre diversi gradi di montanità: comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani <21 (Figura 5). Molti comuni si estendono territorialmente dalla montagna quella che viene considerata collina o dalla collina alla pianura, coprendo talvolta tutte e tre le zone altimetriche. I comuni compresi in più di una zona altimetrica sono tuttavia classificati dall’ISTAT entro un’unica zona, sulla base del criterio della prevalenza della superficie (ISTAT, 2009). Secondo i più recenti dati ISTAT, queste aree rappresentano circa il 52% del territorio nazionale (4.193 comuni italiani) nel quale risiede quasi 1/4 della popolazione nazionale, (Fondazione Montagne Italia, 2015). (ISTAT, 2016c). Parte dei comuni montani sono oggi ricompresi fra le aree interne, le aree italiane ritenute maggiormente periferiche e svantaggiate, oggetto di una specifica strategia nazionale per la coesione territoriale, la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) <22 (Ravazzoli, Omizzolo, Streifeneder, 2016).
[NOTE]
3 Dal calcolo sono esclusi i territori dello Stato della Città del Vaticano e della Repubblica di San Marino.
4 Fanno parte delle AAPP i parchi nazionali, i parchi naturali regionali e interregionali, le riserve naturali, le zone umide di interesse internazionale, le altre tipologie di aree naturali protette (oasi, parchi suburbani, aree naturali protette di interesse locale o provinciale ecc., istituite con leggi regionali o provvedimenti equivalenti) e i territori della Rete Natura 2000.
5 letteralmente: punto caldo
6 La quota di territorio con copertura artificiale.
7 La copertura del suolo con edifici, infrastrutture di trasporto o industriali, ecc., ed in particolare ad una forte prevalenza di tessuti
urbani a bassa densità (comunemente chiamato con il termine inglese sprawl)
21 Con l’approvazione della L. 142/90 di riforma dell’ordinamento locale, l’opera di classificazione dei territori montani si è conclusa ed è stata conseguentemente cristallizzata a quella data (art. 29, comma 7)
22 La SNAI è stata adottata come allegato nell’Accordo di Partenariato 2014-2020 per l’Italia per l’impiego dei fondi strutturali e di investimento europei. La sua approvazione da parte della Commissione europea è avvenuta il 29 ottobre 2014. Il testo dell’Accordo è disponibile online http://goo.gl/FVYzGK
Andrea Omizzolo, Impatti della frammentazione fondiaria nelle aree montane italiane e indirizzi di riqualificazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, 2015