Libri reali e libri immaginati

Ma belli più di tutti sono i libri mai trovati, mai letti e – al culmine – i libri mai scritti. In un volume di Paolo Albani e Paolo della Bella, Mirabiblia, c’è un esteso catalogo di libri introvabili, di libri che non esistono. Ma poi, a ben pensarci, quand’è che un libro esiste? Quando viene scritto? Quando viene pubblicato in edizione cartacea? Quando – semplicemente – comincia a a formarsi nella testa dell’autore?
Qualcosa del genere avviene anche in pittura.
Anzi, qui talvolta si realizzano concretamente i quadri inesistenti, che così, una volta realizzati, ovviamente perdono la qualità dell’inesistenza e diventano concreti, tangibili, e questo può creare alcuni problemi, come la condanna a sei anni di carcere che si è beccato il falsario professionale Wolfgang Beltracchi (ma in realtà si chiama Wolfgang Fischer: naturalmemte ha voluto falsificare anche il suo nome), che ha scritto una sorta di autobiografia sulla sua attività, L’arte della falsificazione, testo che qui ora citiamo senza averlo mai visto né letto (ma un po’ riusciamo a immaginarcelo). E possiamo comunque in qualche modo sintetizzare il credo di questo facitore di quadri: il falsario crea le opere che sono state, che sono esistite (create e poi distrutte, perdute, disperse…) o che potrebbero essere state. Così Beltracchi, che ormai firma i dipinti col suo (falso) nome e non va più in galera, ci presenta un autoritratto della maturità di Gustav Klimt (che in realtà si raffigurò solo nel 1886, in un’opera per il Burgtheater di Vienna) o un ritratto di Charles Darwin, in partenza sul brigantino Beagle, che potrebbe/dovrebbe essere stato eseguito da William Turner nel 1831.
Sono straordinarie le qualità mimetiche di certi autori (come non pensare alle pagine di Paolo Vita-Finzi?). Ma scendendo un po’ più verso terra, diciamo una cosa semplice semplice: capita che taluni di questi falsi diventino in qualche modo veri (e come non pensare qui ai Canti di Ossian e all’influenza che hanno avuto sulla poesia?). E allora arriviamo al punto a cui volevamo arrivare: che non è la questione falsi o non falsi, e neppure la questione dell’impegno per la ricostruzione di opere d’arte perdute (che significa, comunque, l’allestimento di una copia). Noi volevamo, invece, spiegare (e spiegarci) come certe opere simulate, travestite o semplicemente inesistenti siano spesso assai importanti per la nostra cultura, la nostra formazione, la nostra attività percettiva. Insomma, stiamo dicendo che, al pari delle opere direttamente conosciute, valgono anche le opere sognate, immaginate, fraintese…
Ci stiamo inerpicando per sentieri scivolosi e pericolosi, direte voi. Probabilmente avete ragione.
Il rischio del bluff, della cialtroneria, del “faccio finta di sapere” è lì dietro l’angolo.
Sì, sì, certo, ma valutiamo ora l’ipotesi che un libro sia per noi inesistente semplicemente perché non lo abbiamo letto.
La differenza fra quello che esiste e quello che non esiste, in ciò che non conosciamo, ci pare piuttosto labile.
E poi è anche vero che non sempre il rapporto con “l’altro” è un rapporto diretto. Dante affronta da par suo elementi della cultura greca ed ebraica, senza aver mai letto l’originale di testi ai quali comunque fa riferimento, senza conoscere né l’una né l’altra lingua (anche se qualche elemento fonetico appare, ad esempio nell’ebraico parodiato e deformato che si parla nel pozzo dei giganti).
Insomma, fra chi crea opere spacciandole per altre magari distrutte e chi distrugge le opere altrui (e qui dovremmo aprire tutto un discorso su chi sol per cancellare vive, anche quando non ci sono alibi di mancanza di spazio: anti-collezionisti che stracciano documenti, rovinano reperti, demoliscono tutto quello che riescono a demolire, compresa magari la loro propria vita… metodici ripulitori e selezionatori di tutto ciò che incontrano… wikipediani et similia che hanno come scopo prioritario della loro vita togliere dal web tutto quello che par loro non degno dell’etere immateriale…), fra l’uno e l’altro di questi due estremi, ci sono coloro che materialmente né distruggono né falsificano ma, sotto sotto, eliminano certe cose (magari semplicemente rimuovendole dalla mente, grazie a un processo del loro inconscio) e altre se ne creano a loro uso e consumo. Come?
Be’, pensiamo a Campana che si riscrive a memoria i Canti orfici, quando gli smarriscono l’originale: cioè: le opere perdute o distrutte che lo stesso autore ricostruisce. Riscrivi un’opera – e la rifai con la memoria. Ma pensiamo anche, e questo vale per tutti, alle cose che esistono esclusivamente nella nostra mente, almeno sino al momento in cui si decida di dar loro una parvenza, una consistenza tangibile. Dentro ogni intellettuale ci sono anche libri non letti o perduti da secoli, cose assaporate e poi gettate, oppure assorbite “per aura”.
Se per taluni oggi leggere significa lanciare un’occhiata a un tweet, scorrere dei link (e sono operazioni in genere troppo, troppo veloci), per noi resta importante avere del tempo per pensare e digerire le cose lette o viste, e per far pensare. E per trasformare…
Infine: la percezione estetica. Come vedi l’opera d’arte e – appunto – la trasformi. O ne senti parlare, e te la crei mentalmente. Non accade solo ai bambini – o alle esperienze avute da bambini – ma probabilmente in loro è più facile. Vi è mai capitato, rivedendo un film, rileggendo una storia a fumetti, di constatare che “l’originale” è ben diverso da come voi ve lo ricordavate? Eppure eravate convinti che ci fosse proprio quella scena, che i riquadri fossero così e cosà…
Per quanto ci riguarda, noi ci siamo creati opere nella memoria che sono oramai altra cosa da quanto abbiamo a suo tempo effettivamente visto: abbiamo colto un’atmosfera, un’emozione, che in quel momemto della nostra vita ci è pervenuta, e da lì siamo partiti, come si usa dire, per la tangente. E abbiamo visto Biennali veneziane e altre mostre d’arte senza esser mai usciti di casa e abbiamo subito influenze, sviluppato idee, ci siamo esercitati in imitazioni da molti film, mai visti, ma di cui abbiamo letto soltanto poche sintetiche righe nella traduzione di un Dictionnaire des Films di Georges Sadoul o in un Occhio mio dio di Alfredo Leonardi.

Marco Innocenti in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno IX, n° 3 (35), luglio-settembre 2018 [Marco Innocenti è autore di diverse opere, tra le quali: Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon edizioni, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010]