
Il viaggio rappresenta un tratto distintivo dell’identità americana.
Fin dal periodo coloniale riveste infatti un ruolo centrale nell’esperienza di vita nel Nuovo Mondo e possiede un importante valore simbolico per i suoi abitanti.
È del resto un viaggio a sancire l’inizio dell’avventura americana per i coloni che raggiungono i possedimenti inglesi d’oltreoceano e a segnare, già nei primi anni del Seicento, il forzato sradicamento degli schiavi africani dalla loro terra di origine. <1
Il viaggio è inoltre una metafora strutturante del pensiero puritano. Nelle geremiadi, la missione stessa della comunità assume il valore di “errand into the wilderness”, e dunque di viaggio salvifico attraverso un ambiente inospitale e il pericolo della tentazione. <2
Per i puritani, la colonia nordamericana avrebbe dovuto costituire il modello di una nuova società, retta dai principi della riforma protestante traditi dall’anglicanesimo.
Il viaggio dei puritani non si conclude dunque con l’arrivo in America. L’obiettivo, ancora una volta espresso con un’immagine dalla forte connotazione spaziale, è già chiaro nelle celebri parole di John Winthrop, pronunciate durante la traversata atlantica del 1630. I puritani sono chiamati a rappresentare un solido esempio e un punto di riferimento per l’umanità. “For we must consider that we shall be as a City upon a hill”, afferma Winthrop, “The eyes of all people are upon us”. <3
Come osservano Leo Marx e Thomas J. Lyon, lo spazio e il paesaggio esercitano una forte presa nell’immaginario degli europei che si trasferiscono in America. <4 “From the time they first saw the New World”, scrive Marx, “Europeans conceived of it symbolically, as a possible setting for a new beginning”. <5
Per i puritani e per gli altri coloni, dunque, lo spazio incontaminato del Nord America rappresenta la possibilità di una cesura netta con il passato, con quella storia individuale e collettiva che si sono lasciati alle spalle.
Il progressivo popolamento dell’Ovest ottiene decisivo impulso proprio grazie alla convinzione che il viaggio verso gli spazi sconfinati dell’America possa garantire nuove opportunità e occasioni di rinnovamento. “We go eastward to realize history and study the works of art and literature, retracing the steps of the race”, osserva Henry David Thoreau in “Walking” (1862), “we go westward as into the future, with a spirit of enterprise and adventure”. <6
Le promesse di libertà, di realizzazione di sé e di prosperità di cui l’Ovest diviene depositario costituiscono gli elementi centrali di un processo mitopoietico che, prima della formulazione della tesi della frontiera di Frederick Jackson Turner, trova espressione nella retorica politica e religiosa, ma anche sulle pagine della stampa periodica e delle guide per emigranti, nella letteratura e nelle arti figurative. <7
A partire dal Settecento, gli scritti autobiografici dei pionieri e le biografie loro dedicate contribuiscono ad esempio a rendere il viaggio verso Ovest un momento centrale non solo nell’esperienza del singolo, ma “esemplare per l’americanità”. <8
L’organizzazione dello spazio di queste narrazioni si basa sulla contrapposizione tra civiltà e wilderness, due poli opposti entro i quali il pioniere può muoversi in più occasioni alternando la direzione dei suoi spostamenti, oppure procedendo verso un’unica destinazione presentata al lettore come meta finale.
In entrambi i casi, il viaggio diventa occasione per testare il proprio valore nelle insidie della wilderness, superando pericoli naturali (condizioni climatiche avverse, fiumi da attraversare, animali feroci) o quelli rappresentati da altri essere umani (nativi, banditi, traditori). <9
La migrazione non è tuttavia l’unica forma di mobilità che contraddistingue l’esperienza di viaggio americana.
Come testimoniano i resoconti di molti esploratori, la tensione verso l’altrove è animata anche dalla volontà di conoscere le regioni che si estendono oltre i limiti degli insediamenti esistenti e di studiare l’alterità antropica e naturale che le contraddistingue.
Se il viaggio di esplorazione risponde generalmente ad intenti scientifici – si pensi ad esempio alle relazioni di viaggio del naturalista William Bartram, dell’ornitologo Jean-Jacques Audubon e dal pittore George Catlin – in altre circostanze le spedizioni di scoperta sono organizzate e finanziate dalle autorità politiche soprattutto per porre le basi del futuro controllo del territorio e dello sfruttamento delle sue risorse.
Il viaggio di Lewis e Clark lungo il Missouri verso il Pacifico (1804-1806), come quelli di Zebulon Pike lungo il Mississippi (1805-1806), l’Arkansas e il Red River (1806-1807) attestano infatti il grande interesse che il governo centrale nutre nei confronti dello spazio e mostrano come lo studio dell’esperienza di viaggio non possa prescindere dall’analisi di una complessa serie di fattori storici e sociali.
Ancora diversi sono i viaggi che la natura asimmetrica dei rapporti sociali impone a molti schiavi afroamericani, obbligati a seguire i loro nuovi padroni dopo essere stati oggetto di compravendita, e a intere popolazioni native, costrette a migrare dal potere centrale che vuole impossessarsi delle loro terre di origine. Per la storia e la cultura afroamericana, il viaggio assume tuttavia anche un valore di segno radicalmente opposto. Il viaggio che gli schiavi intraprendono attraverso la Underground Railroad, la rete di itinerari segreti utilizzata dai fuggiaschi per raggiungere gli Stati abolizionisti, è infatti simbolo dell’anelito alla libertà che quello stesso contesto istituzionale e sociale non sono riusciti a reprimere.
Il composito quadro delle ragioni che spingono gli americani on the road comprende anche spedizioni militari, missioni apostoliche, viaggi turistici, d’affari, o comunque legati alle attività professionali dei singoli, chiamati ad abbandonare la cornice spaziale del quotidiano a volte solo per un limitato periodo di tempo.
[NOTE]
1 I primi africani a essere trasportati nelle colonie inglesi giungono a Jamestown nel 1619. Per una ricostruzione del loro viaggio si rimanda a Engel Sluiter, “New Light on the ‘20. and Odd Negroes’ Arriving in Virginia, August 1619”, William and Mary Quarterly 54.2 (1997), 395-98. Per un’analisi della condizione degli schiavi della Virginia nel periodo coloniale si veda Cassandra Newby-Alexander, “The Arrival of the First Africans to English North America”, Virginia Magazine of History and Biography 127.3 (2019): 186-99.
2 L’espressione “errand into the wilderness” appare nel titolo del sermone “A Brief Recognition of New England’s Errand into the Wilderness”, composto nel 1670 dal reverendo Samuel Danforth. Per l’analisi del valore simbolico che il sintagma assume per la cultura puritana si rimanda alle monografie Errand into the Wilderness di Perry Miller (1956; Cambridge, Belknap P of Havard UP, 1984) e The American Jeremiad di Sacvan Bercovitch (Madison: University of Wisconsin P, 1978). Diversamente da Miller, Bercovitch riconosce la profonda influenza esercitata dal pensiero puritano nel processo mitopoietico dell’Ovest durante il Settecento e l’Ottocento (10-11).
3 Life and Letters of John Winthrop, 1630-1649, a cura di Robert C. Winthrop (Boston: Little, 1867), II, 19.
4 Leo Marx, “The American Revolution and the American Landscape”, The Pilot and the Passenger: Essays on Literature, Culture, and Technology in the United States (New York: Oxford UP, 1988), 315-20; Thomas J. Lyon, This Incomparable Land: A Guide to American Nature Writing (Minneapolis: Milkweed, 2001), 26-27.
5 Leo Marx, “The American Revolution”, 316.
6 Henry David Thoreau, “Walking” (1862), in Collected Essays and Poems, a cura di Elizabeth Hall Witherell (New York: Library of America, 2001), 235. Il saggio, pubblicato postumo sulle pagine dell’Atlantic Monthly nell’aprile del 1862, presenta i contenuti di una lecture tenuta per la prima volta da Thoreau nel 1851 e alcune riflessioni scritte nei suoi diari alla fine degli anni quaranta e nel decennio successivo. Vedi Robert Milder, Reimagining Thoreau (Cambridge: Cambridge UP, 1995), 107, 183.
7 Bruno Cartosio, Verso ovest. Storia e mitologia del Far West (Milano: Feltrinelli, 2018), 35; Heinz Ickstadt, “Dagli Usa alla Germania: la frontiera come metafora del cambiamento culturale”, L’invenzione del west(ern) americano. Presenza e fortuna di un genere nella cultura del Novecento, a cura di Stefano Rosso (Verona: ombre corte, 2011), 51-58; Cinzia Schiavini, “Guide per emigranti”, Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z (Milano: Saggiatore, 2012), 310-12.
8 Alide Cagidemetrio, Verso il West. L’autobiografia dei pionieri americani (Vicenza: Neri Pozza, 1983), 15.
9 Ivi, 79-83.
Gabriele Ferracci, On the River Road. In viaggio sui fiumi dell’Ovest, 1803-1861, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2019