Conte esplicita il potere rigenerante della poesia

In questo studio vengono prese in esame le opere dello scrittore ligure Giuseppe Conte, pubblicate dal 1972 al 2005. Nella Parte Prima vengono considerate le ragioni che giustificano questa ricerca su Giuseppe Conte. L’autore viene discusso nel contesto dei movimenti letterari del secondo Novecento in Italia, ed in particolare il suo approccio alla letteratura che propone una riscrittura del mito in chiave moderna. Lo scrittore è infatti uno dei cofondatori del “Mitomodernismo”. Il “Mitomodernismo” è un movimento letterario che vide la luce nel 1994 e che è ancora attivo alla data attuale. Esso si prefigge di risanare la società moderna mediante una rinascita spirituale promossa dalla ripresa dei valori umani di base, simili a quelli suggeriti dal mito fin dai tempi antichi.
A tutto ciò i Mitomodernisti propongono un’alternativa che aiuti l’uomo contemporaneo a superare gli impedimenti creati da queste “malattie” moderne, particolarmente nell’ambito occidentale, siano queste socioculturali, ecologiche, religiose, o altre. Attraverso tutta l’opera di Conte si percepisce chiaramente questo desiderio di rinascita che per lo scrittore si concretizza nel “Fare Anima”, vale a dire in un modo di ricollegarsi al cosmo, di innalzarsi verso la “luce”.
Questa tensione verso la rinascita può venire metaforicamente comparata alla ricerca del Graal attraverso la sofferenza che redime. L’opera visionaria dell’artista è paragonabile al viaggio extrasensoriale intrapreso dallo sciamano durante la sua trance. Per questo motivo nella Prima Parte di questo studio si esamina la figura dello sciamano anche in ambito socioculturale per poterla poi meglio trasferire in quello letterario.
La Parte Seconda è completamente dedicata all’analisi dell’opera contiana – poesie, romanzi e, trasversalmente, i saggi e gli articoli alla luce dei suoi temi portanti, che dello scrittore fanno metaforicamente uno “sciamano”.
L’analisi viene condotta basandosi su alcuni concetti elaborati dallo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung, quali la funzione ed il simbolismo del mito in letteratura da una prospettiva psicoanalitica.
[…] Ermes è l’unico dio dell’Olimpo, prosegue Conte <865, la cui presenza puó identificarsi con l’erma, ovverossia la pietra che indica la via sulle strade maestre, e che è anche un simbolo fallico <866 , simile all’obelisco, al menhir ed al linga, oppure, secondo Durand <867 ad ormê “impetus”, moto, derivato a sua volta dalla radice sanscrita ser, la quale sviluppa sirati (correre) e sisarti (scorrere). Ermes è il dio che si può riconoscere in altre mitologie oltre a quella greco-romana. Ad esempio, come Pusan è la deità che nell’Induismo ha relazioni con Surya – il dio del Sole -, e nella cosmogonia scandinava-germanica è Odino/Wotan, anche dio del vento e dello spirito <868 che può prendere metamorficamente le fattezze di un alato, di un animale della terra o di un pesce, ed è pure il signore dei sogni, e psicopompo. Tra i Celti, Ermes/Mercurio si identifica con Lug, il dio della Luce per trasformarsi poi, afferma Durand <869, dualmente sia nel San Michele cristiano – messaggero e psicopompo – che nel diavolo medievale la cui morfologia rimane inalterata dal Lug-Mercurio romano-celtico. Le due fasi rappresenterebbero la lotta dell’arcangelo e del diavolo. Inoltre, sempre secondo Durand <870 Ermes rappresenta il “legame dell’archetipo dell’anima e del saggio antico”.
Poiché “Gli eroi sono sovente viandanti” <871 ad esempio Dioniso, Gilgamesh, Eracle, sembrerebbe legittimo considerare anche Ermes sotto questa luce, benché anche qui duplex, in quanto il lato positivo lo identifica quale psicopompo e mistagogo, mentre quello negativo lo vede drago, velenoso, spirito maligno e briccone <872 con la stessa meccanica del S.Michele/Demonio a cui si è sopra accennato. Nelle opere liriche di Giuseppe Conte – sia ne Le stagioni che in Dialogo, – Ermes è sempre, a nostro avviso, centrale alla composizione poetica e, come si vede in Passaggio <873, questa figura mitica è presente “dove si transita,
[…] Il viaggio dell’io poetico si svolge in luoghi che vanno da Fez <1270 a Casablanca <1271, a Istanbul <1272, a Shiraz <1273 ed è proprio questa città, patria del poeta Hafiz caro a Conte, che Tamerlano risparmiò dalla distruzione “perché vi crescevano le più belle rose” <1274 e grazie all’ammirazione che nutriva per le liriche del grande persiano <1275: in questo modo Conte esplicita il potere rigenerante della poesia.
[…] L’affermazione di Giuseppe Conte che nel “canestro della scrittura” c’è spirito non deve stupire o lasciare perplesso il lettore poiché, secondo Knapp <1829 la parola è un veicolo esoterico che è essenziale all’espandersi del sapere ed è archetipico nello stesso modo del numero, formando una particella dell’energia cosmica. La parola – parlata, ma ancora più scritta perché rimane – può pertanto diventare veicolo di trasformazione per colui che l’ascolta o legge. Essendo la parola considerata un contrasto di energia divina, prosegue Knapp <1830, essa può diventare forza traente – catalizzatore – e permettere ai ritmi cosmici di fluire, con movimento perpetuo di onda, nell’anima. Le parole diventano allora, conclude Knapp <1831 simili a ponti i quali permettono una comunicazione reciproca tra il mondo e l’infinito, tra il materiale e l’immortale. Le parole di Conte sono invero i “ponti” tramite i quali egli raggiunge la comprensione del suo lettore, “allacciandolo” a quello che per lui “fa Anima” e questo è ciò che rende la sua opera così distinta. Questi “ponti” sono però anche essenziali stratagemmi per mettere in particolare rilievo come l’opera letteraria di Conte, scrittore-sciamano, possa essere affiancata all’opera salvifica dello sciamano tradizionale. A questo proposito desideriamo ritornare a quanto affermato sia da Eliade <1832 che da Jung a proposito dello sciamano delle tribù Navajo. Questo saggio esegue disegni sulla sabbia allo scopo di curare il suo paziente riavvicinandolo agli dèi ed al creato, mentre lo sciamano dei Na-Khi tibetani racconta storie mitiche allo stesso scopo. Ora, il nostro scrittore-sciamano racconta a sua volta le sue storie alla cui base c’è sempre la “rigenerazione spirituale” <1833 che egli propone per mezzo della sua arte poetica. Pertanto, i suoi disegni sulla sabbia – i suoi mandala in rena multicolore – in altri termini i suoi stratagemmi per curare la “malattia” sono le lettere della lingua italiana che egli scrive sulla pagina bianca quando ricrea il mondo degli dèi e lo riporta nel quotidiano, nelle poesie soprattutto, ma anche nei romanzi e persino nei saggi. Per mezzo delle parole che egli utilizza, Conte instaura un collegamento tra la dimensione grezza della vita e quella utopistica e mitica. Gli dèi di Conte, anche se pagani, rappresentano pienamente i valori spirituali che egli propone al lettore: tramite i suoi “disegni” egli ricrea davanti agli occhi – quelli dello spirito – la dimensione divina attraverso le immagini della natura e del cosmo.
[NOTE]
865 Passaggio: 81-85.
866 Anche il caduceo di Ermes è, a parere di Jung (1980: 287), un simbolo fallico.
867 1991: 304.
868 Jung 1980: 237.
869 1991: 305.
870 1991: 228.
871 Jung 1970: 56.
872 Jung 1980: 369.
873 Passaggio: 81. 1270 Bab Boujellud, O&O: 14-15.
1271 Dar el-Beida, O&O: 16.
1272 Dolmabahce O&O: 37.
1273 O&O: 58-59.
1274 O&O: 64.
1275 O&O: 58-59-64-123.
1829 1984: 194.
1830 1984: 200.
1831 ibid.
1832 v. quest’opera: 44-45.
Rosa-Luisa Amalia Dogliotti, Arte e mito nell’opera di Giuseppe Conte. Lo scrittore come sciamano, Tesi di laurea, Università del Sud Africa, 2005

Se infatti Montale, precorrendo per le tematiche i poeti della neoavanguardia, si rendeva conto dell’impossibilità per i poeti di adottare parole definitive in grado di svelare l’essenza della realtà, il cui mistero si va via via celando sempre più all’uomo occidentale; Conte invece decide di incaricarsi di ricondurre l’uomo, tramite la poesia, alla riscoperta del significato della natura, proprio come se fosse uno sciamano o medicine man che guida il lettore attraverso mondi oramai inaccessibili e non più percepibili. Conte, possiamo affermare, è il poeta del coraggio che non subisce il momento storico in cui vive ma vi fluisce attraverso, forte della tradizione poetica ma capace comunque di reinventare la poesia stessa; è un poeta che ha il coraggio di chiamare le cose per nome e di affermare:
e dire «io sono il poeta, il distruttore, io sono il poeta,
colui che salva»
<433
Quest’affermazione, che viene ripetuta anaforicamente in “Oh Omero, oh Whitman” fino a diventarne il leitmotiv, <434 è appunto inserita in una delle poesie di Conte più vicine all’attualità (assieme a quelle sulla democrazia), poesia in cui il poeta si sofferma proprio a riflettere sull’inaridimento del proprio tempo e, invocando i due grandi padri spirituali, si chiede:
Oh Omero, oh Whitman! Quanto buio quanto su questo secolo
è stato versato

Ma non si tratta appunto di una considerazione sull’ineluttabilità del fato e sull’impossibilità per l’uomo, soprattutto per il poeta, di opporvi rimedio, tematica appunto molto forte in Montale, si tratta bensì di una riflessione a cui seguono immediatamente versi pregni di redenzione e di consapevole fiducia:
ma è scritto che tutto il buio versato si squarcerà come un tessuto
troppo lavato, o troppo consunto
o come il grigio di un cielo atlantico sotto le sferzate del vento
al sole congiunto
che i cigni si alzeranno in volo e nel loro turbine torbido
scenderanno a possedere ancora Leda
. <435
Conte è sostanzialmente poeta del positivo, della rinascita e della riscoperta del senso delle cose. È il cantore della linfa vitale che nessun orrore della Storia potrà cancellare. A Conte non interessa quindi cantare le brutture del suo tempo né vi adatta la propria forma poetica, basta infatti cantare il mistero della vita stessa, con i suoi chiaroscuri, con il suo «turbine torbido». Proprio per farsi cantore della linfa vitale che perpetra la vita, Conte si avvale del linguaggio come strumento per operare un’azione diretta sulla realtà: il poeta è infatti perfettamente consapevole della potenza che sta nascosta all’interno della lingua, come la forza elettrica sta assopita nei metalli, ed ha affermato in tal proposito che:
La vera, grande poesia non si accontenta di dare al linguaggio la carica di senso di cui abbiamo parlato, ma vuole fare in modo che questa carica sia la massima possibile, sopportabile dal linguaggio in una determinate epoca storica. La poesia tende a rendere il linguaggio magnetico, elettrico. Tende ad immettervi correnti ad altissima tensione. Questa accelerazione, questo imprimere al linguaggio velocità, energia, trasformazioni imprevedibili è l’«innovazione». <436
Attraverso il sapiente uso delle tecniche stilistiche, in particolare la metafora e l’allitterazione, come abbiamo avuto modo di affermare nel capitolo ad esse dedicato, Conte innova la poesia del tardo Novecento imprimendovi quell’energia e quell’accelerazione che gli esiti delle poetiche neoavanguardiste avevano programmaticamente sottratto al linguaggio poetico.
[NOTE]
433 G. Conte, Oh Omero, oh Whitman, in Id., Poesie 1983-2015, op. cit., p. 247.
434 Compito del poeta-vate è la denuncia sociale e la proposta di nuove forme democratiche in sintonia con i dettami divini.
435 Ivi, p. 251.
436 G. Conte, Il senso poetico del linguaggio. Innovazione, in Id., Manuale di poesia, op. cit., p. 37.
Monica Ramò, L’universo poetico di Giuseppe Conte, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova – Université Côte d’Azur, 2022